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Autore: Trestan    15/09/2004    1 recensioni
Una ragazza incontrata per caso... Un colpo di fulmine... Ma basta un niente per finire tutto...
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Faceva un caldo insopportabile quel giorno, me lo ricordo ancora. Noi, io e i miei amici, tipi famosi per la loro particolare furbizia, avevamo deciso di andare a giocare a calcio e in visto che nella città non c’erano molti spazi a nostra disposizione, ci recammo in un baluardo sulle mura.

Ci eravamo messi in cerchio e facevamo un po’ di passaggi fra noi, visto che fare una partita seria non era consigliabile, il pallone sarebbe potuto finire di sotto dalle mura e andarlo a riprendere sarebbe stata una fatica insopportabile per dei tipi volenterosi come noi.

Non eravamo soli, una ragazza, molto carina a dire il vero, era sdraiata in un angolo del prato con la schiena appoggiata al muretto che separava il baluardo dai venti metri di precipizio.

In realtà era già un po’ che osservavo quella ragazza mentre continuavo a giocare ed esibendomi in giochi complicati con la palla giusto per mettermi in mostra. Facevo sempre così quando adocchiavo una ragazza che mi piaceva, anche se quasi sempre mi dimostravo soltanto un pagliaccio, ma ero fatto così, perché cambiare?

Ogni volta che mi voltavo per guardarla lei era lì che osservava me a sua volta, sorrideva, quel dolce viso un po’ rotondetto sorrideva. Ogni tanto si sistemava la fascia colorata che aveva fra i capelli riccioluti, poi riprendeva a sorridere, mentre seguiva il nostro mediocre gioco. Andando avanti presi a fissarla con più insistenza: si, era proprio carina.

Poi la palla schizzò via sull’erba, non riuscii a stopparla e il caso la volle condurre proprio vicino a quella visione angelica. Uno dei miei amici era già partito per rincorrere la palla:

“Fermi! Vado io!”

E presi a correre più forte dell’altro, che si fermò quando gli passai accanto. Non la guardai in quegli attimi e, appena raggiunsi la palla, allungai la gamba e feci per tirare verso di me la palla. E come succede molte volte quando ci si vuole mettere in mostra, quando si vuole fare i “fighi”, si finisce per fare una figuraccia: la palla non si mosse di un millimetro e io persi l’equilibrio e caddi a terra. Bene, bravo Simone, bella pagliacciata!

Sentii gli altri scoppiare a ridere e prendermi in giro, ma non mi importava niente degli altri. All’improvviso captai una presenza vicina al mio corpo disteso. Feci per rialzarmi e mi vidi davanti, inginocchiata ad un metro da me quella bellissima ragazza dai verdi occhi dolcissimi, che mi chiese teneramente:

“Ti sei fatto niente? Tutto apposto?” Sul suo viso non vi erano segni di scherno, ma sembrava realmente preoccupata.

“No, no, non ti preoccupare…” Risposi abbassando lo sguardo il prima possibile, mi vergognavo a farmi vedere negli occhi dopo la figuraccia che avevo fatto davanti ai suoi occhi.

“Ehi, maniaco, vedi un po’ di passarci la palla invece di starci a provare con quella ragazza!”

Mi alzai e tirai la palla con rabbia verso i miei amici, poi mi voltai di nuovo verso di lei che si era di nuovo appoggiata al muretto.

“Fanno sempre così. Sono degli stupidi, ma sono sempre miei amici…”

“Sono simpatici, invece… Vuoi sederti?” mi chiese cordialmente indicando con la mano l’erba accanto a sé. Naturalmente non me lo feci ripetere due volte e mi accomodai.

Che sbadato!” esclamai tirandomi un colpetto sulla fronte “Non mi sono nemmeno presentato: sono Simone” e feci per porgerle la mano, ma lei mi sorrise alla sua maniera stregandomi e la mia mano si fermò a mezz’aria, tornando sui suoi passi.

“Io sono Giada”

La osservai meglio: il suo corpo sembrava brillare leggermente. Probabilmente era soltanto una mia impressione, dovevo essere cotto. Tutte le volte era così, bastavano due parole con una ragazza carina e perdevo la testa. Ma questa sembrava essere diversa dalle altre, anche se questa frase la ripetevo ogni volta.

Chiacchierammo per ore finché non fummo soli, i miei amici si scocciarono presto di giocare e fecero ritorno a casa, mentre io rimasi lì sdraiato con quella ragazza. Parlavamo e guardavamo il cielo azzurro, senza nemmeno una nuvola, incorniciato dai rami delle piante sopra le nostre teste. Gli uccellini cantavano per noi, accompagnando ogni nostra parola con soavi note, mentre un leggero vento si era alzato a sventolare le piccole bandierine verdi sugli alberi.

Si fece tardi e il sole iniziò ad abbassarsi sull’orizzonte. Ma in tutto quel tempo non ci fu nessun contatto fisico tra noi, ma non mi importava, era così bello stare lì, soltanto a parlare oppure stare zitti, ma sapendo che lei era lì accanto a me, pronta a sorridere ogni volta che avessi voltato lo sguardo verso quel visino da bambina.

Il cielo si fece rosso ad ovest, ci sedemmo sul muretto per guardare il tramonto. Pian piano il sole scese giù fino a sparire, la gamma di rossi e rosa si inseguivano sulle piccole nuvolette e i nostri cuori volavano in alto, sopra il cielo, sereni e felici come bambini che hanno appena ricevuto un nuovo regalo, senza nessuna preoccupazione.

In breve si fece tempo, era arrivato il momento di andarsene per me, altrimenti a casa avrebbero iniziato a preoccuparsi:

“Io dovrei andare…”

“E’ il momento anche per me. Ti accompagno per un po’.

Passeggiamo sulle mura per qualche minuto raggiungendo la discesa più vicina. Non parlammo, non sembrava essercene bisogno in quel momento, ma all’improvviso un dubbio, un’intensa paura, un fatale presagio lambì le paradisiache coste del mio pensiero.

“Ci rivedremo?”

Mi fermai, aspettando una sua risposta. Lei proseguì di alcuni passi e poi si girò verso di me. Non sorrise questa volta, il suo volto era triste. Si avvicinò a me, il suo viso si accostò al mio. Chiusi gli occhi. Qualcosa di freddo si posò sulle mie labbra e poi si riversò per tutto il corpo fino a raggiungere il mio povero cuore. Quando riaprii gli occhi, lei non c’era più.

 

  
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