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Autore: NevillePupp    14/06/2013    2 recensioni
Una storia, secondo il mio punto di vista, su come andarono i fatti nella relazione tra Helena Corvonero/Dama Grigia e il Barone Sanguinario. Se ho sbagliato qualcosa, perdonatemi. Buona lettura!
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Barone Sanguinario, Helena Corvonero
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Un cielo nero e portatore di tempesta si stagliava al di fuori del castello di pietra fredda e grigia. L'atmosfera era tesa ed il tempo non migliorava di certo l'aria pesante e gelida che circolava nei corridoi vuoti e spenti.
I fievoli lumi delle torce illuminavano il pavimento roccioso ed i muri decorati qua e là con dei quadri antichi e polverosi. Sembrava quasi che da molto tempo quei passaggi non venissero percorsi. Un vento glaciale,che penetrava fin dentro alle ossa, circolava libero e creava un'illusione di una qualche presenza soprannaturale.
Di colpo il silenzio fu rotto dal rumore di passi affrettati e veloci, come se qualcuno stesse cercando di allontanarsi il più possibile da un eventuale inseguitore. Da un angolo sbucò la figura di Helena Corvonero, figlia di Priscilla Corvonero, una delle fondatici della rinomata scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Si guardava indietro con nervosismo ed ansia crescenti ad ogni passo. Il suo volto era pallido e il suo respiro veniva condensato dall'aria fredda, creando cosi delle piccole nuvole bianche davanti la sua bocca dalle labbra rosse come petali di una rosa appena sbocciata. I suoi lineamenti erano perfetti e lisci, malgrado il gelo ed i capelli neri svolazzavano accarezzati dal vento prepotente e gelato. Dietro di lei solo silenzio, nessuno sembrava averla seguita e lei potè cosi tirare un sospiro di sollievo, rallentando il passo per rilassarsi.
Tenendosi poi leggermente alzato il vestito, scoprendosi appena le scarpe e le caviglie, avanzò con passo calmo e sicuro fino ad una grande porta di legno di quercia di notevole spessore e robustezza. Sui due battenti vi erano incisi il simbolo di sua madre, un'aquila, e sull'altro l'oggetto a lei più caro ed il più potente in suo possesso, il diadema. 
Aprì un battente e scivolò dentro la stanza con grazia ed agilità, facendo molta attenzione a non far rumore nel richiuderlo. Un sorriso di trionfo venne stampato sulla sua faccia non appena vide il diadema lasciato incustodito proprio sul mobile, dove sua madre teneva tutti le sue cose di valore. Si avvicinò nell'oscurità della camera e prese tra le dita tremanti di emozione la soluzione di tutti i suoi problemi.
Poteva finalmente superare sua madre con l'aiuto di quel magico manufatto? 
Poteva finalmente avere fama e gloria come lei?
Poteva finalmente lasciare quel castello freddo e polveroso?
Poteva anche trovare un modo di sfuggire a quell'uomo di ghiaccio, che continuava a chiederla in sposa?
Non c'era altro modo per scoprirlo se non indossare il diadema. Lo sollevò con cura e con eleganza se lo pose sul capo, aspettando che esso riversasse tutta la sua saggezza e tutto il suo sapere nella sua mente furba ed intelligente già cosi com'era. Ma niente, nessun cambiamento, nessuna informazione nuova.
Stizzita e furente si diresse verso la porta e la spalancò, decisa a chiedere spiegazioni, ma non aveva fatto i conti con l'uomo che la stava aspettando là fuori. Era lui, il barone che insistiva per avere a sua mano. 
I capelli ricci ed argentei con alcuni sprazzi di un castano scuro gli ricadevano sulle spalle e sulla schiena.
Il suo viso era inespressivo e neutrale, impossibile da decifrare. Un paio di baffi curati lo mettevano in risalto ed i suoi lineamenti erano ben visibile per l'assenza della barba. I suoi occhi azzurri sembravano fatti di ghiaccio. Vestito come al solito della sua tenuta elegante di vestiti ricamati e dalla stoffa più pregiata, indossava un paio d pantaloni ed una giacca neri come la pece. Sotto la giacca una camicia bianca metteva in risalto la sua fisionimia snella ed agile.
"Che strano caso trovarvi qui, Lady Helena..." disse con tono indifferente.
"Immagino che voi siate capitato qui per caso,Barone" rispose lei scoccandogli un'occhiata nervosa e scocciata "Anche seguendomi, come sicuramente avrete fatto, non otterrete nulla da me. Non sarò mai vostra!" 
L'espressione del barone non mutò di un centimetro. Nessuna ombra di turbamento, di delusione, di rabbia. Quel suo comportamento freddo e silenzioso dava estremamemente ai nervi della donna. Come poteva essere sposa di un uomo del quale non sapeva nemmeno se fosse capace di provare amore o qualsiasi altra emozione?
"E allora?" sbottò Helena "Non siete deluso? Non siete arrabbiato? Quel vostro volto immutabile è tremendamente odioso."
"Sono deluso, lo ammetto. Ciò non toglie che non posso ancora avervi, posso conquistarvi in qualunque momento io desideri. Posso farvi mia anche in questo stesso istante" disse tranquillamente, con una lieve nota di charme nella voce "Posate il diadema, vostra madre non sarebbe molto contento di vedervelo indossare".
"Potete scordarvelo, non lo riconsegnerò mai. Ora è mio, solo mio!" disse portandosi le mani sulla testa, dove giaceva poggiato il diadema.
"Datemelo. Non costringetemi a prendervelo con la forza." rispose lui, calmo.
"MAI!" urlò la dama, allontanandosi dalla sua mano pericolosamente vicina al diadema. 
Detto ciò, andò via a grandi passi, con l'obiettivo di arrivare nel cortile del castello ed essere libera finalmente da quelle mura opprimenti. Ma il barone la stava seguendo, sentiva i suoi passi veloci e senza fretta dietro di lei. Di colpo il cuore prese a martellarle forte nel petto e la paura si impossessò di lei.
Lui l'avrebbe trovata, l'avrebbe trovata dovunque. Non c'era nemmeno un posto sicuro che la aspettasse là fuori. 
Rapidamente svoltò l'ultimo angolo del corridoio e si trovò di fronte all'uscita del castello, con l'uomo che ormai era a pochi metri da lei. Spalancò il portone per fuggire nel cortile e poi tra gli alberi di un piccolo bosco lì vicino. Il suo respiro si stava facendo pesante e le gambe cominciavano a pagare gli sforzi della corsa forsennata. Nella corsa aveva perso le scarpe ed il vestito era strappato in più punti a causa di piccoli rami bassi e cespugli spinosi di rovi. Infine, si ritrovò in una radura al centro esatto del boschetto, ansimante e stanca. Tra i capelli qualche foglia si era infilata nella rapida fuga, ma il diadema ora scintillava colpito dai raggi di luna piena, rendendo facile intuire la sua posizione. 
Al barone quest'ultimo indizio non servì, poiché era già là. La lunga spada allacciata al fianco e il viso inalterato e privo di sentimenti.
La ragazza era, però, decisa a non dargliela vinta. Da sotto la veste, legato con una cinghia di cuoio, tirò fuori un pugnale affilatissimo, con l'elsa decorato a mo di ali spiegate. Lo puntò contro il suo inseguitore e gli intimò di andarsene lontano da lei.
"Vada via! Mi lasci in pace! Voi non avete nessun diritto di seguirmi!" urlò la dama con disperazione e con la voce rotta.
L'uomo con il suo sguardo gelido tirò fuori la spada, brandendola con sicurezza ed esperienza.
"Non mi costringa a disarmarla. Voi non siete allenata al combattimento, ogni mossa avventata potrebbe ritorcersi contro di voi." disse con un lieve accento di cautela, avvicinandosi lentamente alla donna, che ora tremava come una foglia.
"N-non si avvicini!" balbettò lei "U-un altro passo e vi attaccherò!" 
Il barone ignorò la minaccia e fece un altro passo. Quel passo fu forse fatale per il destino della dama.
Il barone vide distintamente la lama scintillante del pugnale venire verso di lui pericolosamente. Con un gesto fulmineo si preparò a disarmarla con la spada fredda come il suo proprietario, ma qualcosa di inaspettato accadde. 
La ragazza scivolò preda della stanchezza, malferma sulle gambe e fece deviare la traittoria del suo pugnale, finendo cosi infilazata dalla lama del barone senza alcun intento omicida. Spalancò gli occhi e sputò qualche goccia di sangue sui fili d'erba della radura, con un rivolo di sangue scesole da un lato della bocca. Il suo corpo inerme ed immobile giacque sollevato dalla spada e crollò a terra non appena l'uomo mollò la presa su di essa. Il diadema giaceva ora immerso in una pozza di sangue reso scuro dall'oscurità della notte.
Per la prima volta il comportamento composto e tutto d'un pezzo del barone crollò. Un'espressione di terrore e di rammarico si fece largo dentro al suo cuore ed un'espressione sconvolta dipinse il suo volto.
Che cosa aveva fatto? Non avrebbe mai voluto una cosa del genere! Aveva combinato un qualcosa di irreparabile.
Fissò il corpo della donna fermo nella radura, ormai senza più vita e con la carnagione man mano più pallida. La donna a cui ambiva giaceva là, morta. Lui ne era stata la causa.
Si inginocchiò davanti al cadavere e con mani tremanti raccolse il piccolo pugnale da terra. Si lasciò andare anche ad un pianto che lui stesso non sapeva spiegare. Le lacrime caldo e umide che rigavano la pelle del suo viso non le sentiva più da tempo immemore. Per lui un comportamento composto e deciso era simbolo di forza. Ma quella a forza addosso ormai non la sentiva più.
Puntò la lama sulla parte sinistra del petto, all'altezza del cuore e si pugnalò di netto, senza esitazione. 
Tutto gli apparve più scuro e deforme, ma nel buio riusciva a vedere il riflesso o il fantasma della dama che lo stava aspettando,per vendetta o forse solo per odiarlo, da qualche parte a lui ancora sconosciuta.
In quell'ultimo istante si rese conto che non voleva solo possederla, per lei provava qualcosa di ancora più profondo. Lui amava Helena Corvonero.
  
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