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Autore: White Dreamer    14/06/2013    2 recensioni
Sasuke alle prese con una belva feroce. Un gatto alle prese con un umano indisponente.
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A Sasuke Uchiha non erano mai andati a genio gli esseri umani. A essere precisi non gli erano mai andate a genio gli esseri viventi in generale.
Partendo da questo presupposto, come avrebbe dovuto comportarsi il genio, vedendo appostato sul suo balcone un esemplare di Felis silvestris catus, più comunemente detto gatto?
Genere: Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sasuke Uchiha
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Dedicata al mio futuro micio. Ti voglio bene frugoletto, ovunque tu sia.
 

 
 
A Sasuke Uchiha non erano mai andati a genio gli esseri umani. A essere precisi non gli erano mai andate a genio gli esseri viventi in generale.
Qualunque soggetto a base di carbonio che intralciava la sua strada veniva analizzato e sistematicamente eliminato. In maniera metaforica ovviamente, non era un serial killer. Non ci si sporca le mani per dei pezzenti.
In effetti l’unico umano che Sasuke considerasse suo pari era suo fratello maggiore. Gli altri erano spazzatura, potevano suicidarsi in massa per quello che gli importava.
 Partendo da questo presupposto, come avrebbe dovuto comportarsi il genio, vedendo appostato sul suo balcone un esemplare di Felis silvestris catus, più comunemente detto gatto?
 


Lunedì

Era rientrato da poco nel suo attico. Dolori muscolari e mal di testa indigente.
 Se questi sintomi li avesse avuti una persona normale, sarebbe bastata un aspirina. Ma il soggetto sopracitato non rientrava nella categoria di “normale”. Che fosse pericoloso era un eufemismo.
Munito di sigaretta e accendino si avviò verso la porta finestra e lo vide. Quella sottospecie di mostro rosso su quattro zampe. Era spalmato sul pavimento a godersi il sole del tardo pomeriggio.
Non si chiese nemmeno come avesse raggiunto l’ultimo piano di un palazzo. Per la semplice regione che ci avrebbe messo meno di cinque secondi e prenderlo per la collottola e buttarlo di sotto.
Con sguardo neutro aprì la porta e l’affare si girò a fissarlo languido. “Maaao”.
Il suo vocabolario non doveva essere molto vario. Si abbassò, allungando la mano, ma il quadrupede fu più svelto. Saltò sulla ringhiera, raggiungendo poi il tetto, sparendo alla vista.
L’Uchiha sbuffò, dopotutto così scemo non doveva essere. In ogni caso, meglio per lui che non si facesse rivedere. Avrebbe chiamato la disinfestazione se avesse messo nuovamente le zampe sulla sua proprietà.
 
 
 

Martedì

Camminava lentamente, la giornata di lavoro era stata snervante come poche. Avrebbe firmato una petizione per mettere i suoi colleghi d’ufficio in cattività. Sarebbero stati più utili in uno zoo, che su una scrivania per i successivi quarant’anni.
Rientrato a casa, si diresse direttamente in bagno - voleva darsi assolutamente una rinfrescata. Quell’anno l’estate sembrava essere arrivata in anticipo e la calura serale non dava tregua. Fortuna che aveva l’aria condizionata.
Riempì di acqua fredda la vasca e s’immerse con un lungo sospiro. Attivò l’idromassaggio e il familiare suono delle bollicine lo catturò. Fu solo qualche minuto dopo che sentì dei lievi ticchetti.
Aprì gl’occhi perplesso, da dove veniva il rumore? Assottiglio gl’occhi non appena la sua visuale raggiunse la finestra. Il gatto era lì, che lo guardava sfacciato. A intervalli appoggiava le zampe sul vetro, come a voler bussare.
Ma che diavolo aveva quell’affare, le ali? Chi se ne frega, lo avrebbe buttato giù con immenso piacere. Prese ad alzarsi, senza distogliere lo sguardo dalla bestia. Questa però balzò sul cornicione, doveva aver percepita l’aura omicida dell’umano.
Ora basta. Aprì la finestra. Si sarebbe munito di fionda per abbattere il nemico. Ma era fuggito di nuovo l’impiastro.
Uscì dal bagno sbuffando idrofobo. Chissà se sull’elenco telefonico trovava un disinfestatore attivo 24 su 24.
 


Mercoledì

Tutto quello aveva del ridicolo. L’affare era tornato, ma non aveva un tugurio in cui stare?
Veniva giù a secchiate, il primo temporale estivo della stagione. C’era ancora luce, seppur lieve.
Il ragazzo era seduto in sala, sulla sua poltrona preferita. L’opera 71 di Tchaikovsky ad allietargli le orecchie. Udì di nuovo il rumore alla finestra. Il felino, fradicio dalla testa ai piedi lo fissava, accucciato a qualche centimetro dal vetro.
Sasuke nei secondi che seguirono soppesò la questione. Voleva davvero uscire sotto quel diluvio, solo per dare un calcio ben assestato a quel quattro zampe? Che se ne stesse pure sul balcone se gli piaceva tanto, lui di bagnarsi i capelli non ci pensava proprio.
Sprofondò meglio nel cuscino e riprese diligentemente a leggere i documenti.
Si sentiva tuttavia osservato, lo sguardo d’ambra non l’aveva abbandonato. Sembrava giudicarlo. Giudicare lui? Un Uchiha? Quell’impiastro ne aveva di coraggio. Orrendo coso peloso.
Prima che un animale domestico entrasse nel suo loft sarebbe morto sepolto. Non era mica il buon samaritano che dava asilo ai randagi.
Quando finì il lavoro, chiuse la cartella. L’orologio indicava l’ora tarda, meglio andare a letto.
Neanche a dirlo il gatto era ancora lì.
Ammiccò “Che fai? Torna a casa”. Ecco, aveva appena parlato ad un gatto, che cosa idiota.
L’affare piegò la testa di lato, sbattendo le palpebre.
Non si fece incantare da quello sguardo. Spense la luce e se ne andò in camera.
 
 


Giovedì

Odiava i giovedì. Era il giorno peggiore della settimana. Quando manca poco all’inizio del weekend, ma c’è ancora da affrontare il venerdì. Un tortura.
Naturalmente lui era un lavoratore diligente e non si lamentava di certo, ma il suo sguardo rispondeva per lui. Fu irritato per tutto il giorno.
Quando parcheggiò l’auto sotto casa, sospirò di sollievo. Si avviò verso l’ingresso, ma una macchia rossa lo fece fermare. Era il gatto, seduto sulle scalinate.
Come diavolo faceva ad arrampicarsi per sette piani davvero non sapeva. Le leggi di gravità per quell’essere dovevano essere cosa sconosciuta.
Si stava leccando la zampa, ma quando lo vide sbuffò. “Maaao”.
Senza neanche accorgersi rispose. “Qualunque cosa tu stia facendo non attacca con me. Fai pure la parte della Piccola Fiammiferaia, anche se a ben pensarci non ti conviene, se non lo sai alla fine tira le cuoia”.
Il botolo si alzò e saltellando raggiunse i piedi del moro. Parecchio spensierato e fiducioso per essere un gatto di strada.
O molto sciocco. “Sparisci pezzente”. Se lo scrollò di dosso e ad ampie falcate entrò nel condominio.
 
 


Venerdi

Aveva ordinato al ristorante sotto casa. Finalmente aveva due giorni per rilassarsi in totale solitudine.
Spense la sigaretta e rientrò in salotto. Il caldo aveva finalmente dato una tregua, e la temperatura era in calo. Si poteva camminare per strada senza il rischio di evaporare senza accorgersene.
Pagò il fattorino e poggiò la cena sul tavolo. Tirò fuori il cibo dalle scatole. Troffie al pesto e salmone al vapore con verdure miste.
Dove aveva messo il sale? Aprì la credenza allungando uno sguardo, quando un rumore di vetri rotti riempì il silenzio. Un soffio impaurito e un miagolio di protesta gli fece andare il sangue al cervello. La scena che trovo in sala era la seguente. Il vaso di ceramica blu – ricordo di sua madre – era in mille pezzi. La bestia rossa a pochi passi da esso si scrollava l’acqua di dosso, i tulipani erano sparsi sul pavimento.
Sasuke non aveva mai avuto così tanta voglia di fracassare la testa a qualcuno. Con la coda dell’occhio vide la porta finestra accostata. Si era dimenticato di chiuderla, matematico.
 Il coso non sembrava mortificato, senza neanche chiedere il permesso – non che avesse potuto chiederglielo – lo sorpassò e schizzò verso la cucina.
Dopo i primi secondi d’incredulità, il proprietario del vaso si mise a berciare “TU, affare lanoso, torna qui!”.
Il mostro era salito sul tavolo afferrando una fetta di salmone.
“Non – non ti azzardare, fermo lì! Ehi, DICO A TE!”.
Il felino ripiombò sul parquet e sgusciò tra le sue gambe. Mentre raggiungeva il balcone prese sotto una zamba il filo della lampada. Nella corsa la tirò giù, producendo un rumore agghiacciante per le povere orecchie traumatizzate di Sasuke.
Il terrorista assatanato raggiunse l’uscita e scomparì nel buio.
 



Sabato

Niente da fare, non si trovava. D'altronde non era così idiota.
Una sicurezza tuttavia restava. Avrebbe fatto arrestare il latitante, e fatto sbattere in gattile per il resto dei suoi giorni.
Un coso infido e codardo. Aveva fatto gli occhi dolci quando gli conveniva per poi approfittare della situazione.
Sbuffando si alzò dal letto. Il caldo atroce era tornato e come se non bastasse mancava la luce da qualche ora rendendo inutile l’impianto dell’aria condizionata. L’amministratore aveva informato i residenti che l’elettricità mancava in tutto il quartiere, bisognava solo aspettare.
Aveva sfogato la sua rabbia su Itachi che al telefono sembrava sereno come al solito, in pace col mondo.  Non aveva aiutato per niente la sua nevrosi.
Quanto sarebbero durate le pile della torcia? Non aveva di certo attrezzatura da campo e kit di sopravvivenza.  Sospirò afflitto, addio weekend rilassante.
Consumò un pasto freddo e si buttò sul letto ben prima delle undici. Una nottata di sonno gli avrebbe schiarito le idee.
 
 
Si svegliò infastidito da dei rumori. La sveglia segnava le tre e venti. Si adombrò, che fosse il gatto venuto in avanscoperta? Aveva dovuto lasciare alcune finestre aperte per far girare l’aria. Doveva essere lui.
Munito di mazza da baseball – regalo assolutamente inutile del fratello, ricordo del natale passato – si avventurò in punto di piedi nel buio.
Quando vide la causa di quei rumori molesti, gli si gelò il sangue.
Ma tra tutti gli appartamenti proprio quello all’ultimo piano dovevano scegliere di rapinare?
Il ladro si muoveva circospetto tra i mobili, dotato di torcia.
Accostò la porta della camera da letto. L’elettricità doveva ancora essere fuori uso, ecco perché non era scattato l’allarme.
Se osava sgraffignare il suo televisore al plasma, lo avrebbe steso a suon di bastonate.
Afferrò l’iPhone dal comodino, digitando il numero della polizia.
Sfortuna volle che l’infido bipede prese ad avviarsi verso la camera da letto. Lasciò perdere la chiamata alle autorità e impugnò con entrambe le mani la clava. Se non fosse stato per la situazione si sarebbe tirato un calcio nelle palle da solo.
Lui con una mazza da baseball in mano. Ora le aveva viste proprio tutte.
Indietreggiò nella stanza, deglutendo a fatica. I passi si avvicinavano irrimediabilmente all’uscio.
Stava quindi per avanzare in vero stile soldato romano, colpendo il malvivente alle parti basse, quando un urlo terrorizzato lo fece riscuotere dal suo stato di trans. Un ringhio da belva feroce riempì il silenzio.
Si catapultò fuori a vedere la causa del grido agonizzante. Sospirò, non sapendo se essere sollevato o ancora più preoccupato. Era lui, il kamikaze impellicciato.
La bestia, facendo bene uso dei suoi artigli, si era attaccato alla faccia del poveretto, miagolando assatanato. Il felino doveva essere un clone modificato in laboratorio di Tim Curry. I clown alienati - assassini compulsivi - lo avevano sempre perplesso.
La furia rossa era ancora attaccata alla testa incappucciata del tizio, che ululava disperato. Camminava a gambero, cercando di togliersi il gatto dalla faccia.
Inciampò nel filo della lampada – doveva assolutamente fare qualcosa a quel cavo elettrico o prima o poi sarebbe saltato in aria – e caracollò a terra guaendo.
Il quattro zampe soffiò minaccioso, pronto ad addentare il naso dell’umano, ma non fu necessario.
Il poveruomo era svenuto non appena il fondoschiena era precipitato al suolo. Troppa emozione – terrore puro – per un solo giorno.
Graffi profondi erano visibili dal naso fino alla base del collo. Giusto per essere pignoli il gatto segnò la fronte, ringhiando.
 
 


Domenica (troppo - troppo presto)
 
La polizia aveva appena terminato le pratiche. Il malfattore era stato portato all’ospedale. I paramedici prima di metterlo in barella avevano diagnosticato una probabile commozione cerebrale e un attacco frontale da belva feroce.
Il sergente idiota - responsabile del verbale - gli aveva chiesto sospettoso la licenza necessaria per tenere animali esotici in casa.
“Si, aspetti che le mostro il mio esemplare di boa constrictor, devo averlo lasciato in bagno”.
Dopo lo sbiancamento – e quasi mancamento – dell’uomo in divisa, si curò di riferire la vera dinamica dei fatti.
Il protagonista della vicenda era accucciato a lato della poltrona, spalmato sul pavimento. Il caldo torrido non dava tregua.
Non gli aveva rivolto parola dal pestaggio di poche ore prima. Lo guardò con la coda dell’occhio. Pareva beato, con gl’occhi rivolti al soffitto.
Che voleva ora? Una branda su cui dormire e un rancio due volte al giorno? Dio ce ne scampi.
Dopo aver mandato fuori a calci l’ultimo pezzente con berretto, chiuse la porta a doppia mandata. Decisamente il weekend più sfibrante dell’ultimo decennio.
Sentì qualcosa passare tra le sue gambe. Il mostro stava facendo le fusa, guardandolo adorante.
“Bè? Ti aspetti un ringraziamento per caso? Te lo scordi, davvero. Vedi di levare le tende, mi stai d’intralcio”.
Lo spostò con un piede e continuando a borbottare si diresse verso lo studio.
 
 
Il gatto arruffò il pelo, felice. Si era trovato una casa tutta per sé.
 
 
 
 
 
Un mese dopo
 
“Kagaisha di odio”. Il felino lo guardava stralunato - il finto fesso.
 

Sasuke era sicuro di non avere più il controllo degli eventi. Come aveva potuto - nel giro di ventisei giorni – comprare ciotola, lettiera e cuccia accessoriata? L’ultima inoltre era stata fondamentale fin dall’inizio.
Se solo il mostro avesse osato sedersi sulla sua poltrona di pelle lo avrebbe rasato a pelo corto.
E dopo tutta quest’opera di carità – gli prudevano le mani al solo pensiero – quell’affare non faceva neanche il suo dovere?

Una colonia di topi aveva fatto nido nelle tubature del palazzo. Appena lo aveva saputo era diventato isterico. Altro che disinfestazione, c’era da chiamare la guardia nazionale.
Nei giorni precedenti non ne aveva visti – la sua sanità mentale ringraziava – ma quella mattina c’era stato l’avvistamento.
Il ratto – munito di crosta di formaggio, sgraffignata dalla credenza – era sgusciato dalla cucina, correndo per l’appartamento alla ricerca di un uscita.
Quando Sasuke, seduto sul divano, scorse quella calamità porta-malattie passare a un metro dai suoi piedi, cacciò un urlo. 
Lo scemunito peloso era sdraiato sul pavimento, di fianco a lui.
Impanicato e pietrificato dal terrore lo adocchiò, per osservare la prevedibile reazione.
E invece niente - niente di niente. Il coso era rimasto immobile, seguendo il puntino bianco con lo sguardo. Scappò dal balcone – il famigerato balcone – con pranzo al sacco in bocca.
Il ragazzo digrignò i denti. “Kagaisha ti odio”.
Il decerebrato sbuffò annoiato, si stiracchiò e mettendosi sulle quattro zampe lo guardò, sostenuto. “Maaao”. Fa troppo caldo per giocare a rincorrersi.
Appoggiò le zampe anteriori sulla gamba, facendo partire il motore delle fusa.
Aveva certamente qualche deficit mentale e il suo spirito di conservazione era a livelli preoccupanti.
Lui che gli tirava pedate ad ogni smanceria e il quattro zampe che continuava ad attaccarsi alle gambe, venerante. Un film che si ripeteva ogni giorno.
 
“Meeeeo”. Ho fame. Andiamo a mangiare?
Il padrone si massaggiò le tempie. “Perché non vai a soffocarti col tuo cuscino?”.
Si mise a pancia in su, guardandolo felice. “Maaao”. Anch’io ti voglio bene.
 
 
 



Angolo autrice
Che cosa dolce. E’ inutile, appena vedo un micio, vado in brodo di giuggiole.
 
Kagaisha in giapponese significa terrorista/attentatore. Ho pensato fosse un nome appropriato. Del resto che cosa ci si può aspettare da quel tenerone di Sask’è? Fatemi sapere che ne pensate.
  
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