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Autore: Yanothing    14/06/2013    2 recensioni
Billie Joe Armstrong. L'uomo talentuoso e tormentato, sballottato tra l'ossessione dell'alcool e le notti insonni. La rinascita dopo sei mesi d'inferno, la voglia di fare musica, di farsi perdonare.
Un pantalone strappato, i capelli corvini scombinati e un muffin per pranzo.
Ripercorre per la prima volta la sua vita, se così si può definire, passata tra le pareti di casa sua durante una dura riabilitazione.
"Sono fottutamente più grande di queste cose, molto meglio di questa merda. Questo è un incidente, è successo, il resto è storia."
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Billie J. Armstrong
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Varcò la soglia della porta dello studio a Jingletown, guardò il divano di pelle nera sul quale si sarebbe seduto per i minuti successivi, in mano aveva un sacchettino con su scritto Starbucks dentro al quale c'era il suo pranzo, un muffin al cioccolato, tutto quello che sarebbe riuscito a buttare giù quel giorno. Gli toccava rimettere a posto tutte le tessere del puzzle, organizzarsi un discorso e prepararsi alle domande che gli avrebbe posto David Fricke. Non era facile per lui ripensare a tutto quello che era successo in quei sei mesi, in realtà non voleva proprio parlarne, ma si sentiva in dovere di farlo, doveva raccontare la verità, aprirsi con i fan, rassicurarli in un certo senso.
Cominciò a percorrere le pareti della piccola stanza con lo sguardo, soffermandosi sui tabelloni affissi ancora al muro sul quale avevano attaccato e suddiviso le canzoni per i tre album, era tutto come l'aveva lasciato, in quel periodo che sembrò a tutti un'eternità nulla si era mosso, il tempo si era fermato, il mondo aveva aspettato il suo ritorno rimanendo sospeso nell'ansia e nella preoccupazione. Pochi minuti dopo alle sue spalle spuntò il vecchio David con il suo fedele taccuino in una mano insieme ad un piccolo registratore vocale, accennò un sorriso rimanendo a guardare le 'x' sul giubbotto dell'ormai quarantunenne Billie Joe, si schiarì la voce e vide la folta chioma corvina scuotersi, poi gli smeraldi del cantante si girarono a guardarlo e un sorriso gli spuntò sulle labbra.
“Ciao Dav..”
“Ciao Billie..” i due si strinsero amichevolmente la mano, non era la prima volta che David intervistava Billie Joe, eppure continuava a ripetersi che quella sarebbe stata un'intervista diversa.
Si sedettero sul divano, girandosi a guardarsi, sorridendo entrambi.
“Ti dispiace se oltre a scrivere registro?” David poggiò il piccolo registratore su un tavolino in vetro che si trovava di fronte il divano.
“No, fai pure..” gli sorrise il moro aprendo la busta dello Starbucks e tirando fuori il suo muffin “..a te non dispiace se pranzo vero?”
“Certo che no..” l'altro ricambiò il sorriso, accendendo il registratore, mentre Billie addentava l'impasto al cioccolato.
"Allora..questa è l'unica volta in cui ho intenzione di parlarne..non sono il tipo che racconta delle sue dipendenze per far compassione agli altri, è l'ultima cosa che voglio..”.
Partì con quella premessa, sentendo il rumore della penna di David scorrere sulle righe ingiallite del taccuino, diede un altro morso al muffin ridottosi ormai a metà, abbassò lo sguardo sulle punte delle sue converse rosse, pronto per ricevere la prima domanda di David, pronto a ripercorrere tutto quello che aveva passato in quei sei mesi successivi alla sua sfuriata sul palco dell'iHeart radio, pronto a mostrare a tutti lo scherzo che era diventato.
“Quando ci siamo visti lo scorso giugno, durante il mix dell'ultimo album, sembravi sereno e pieno di energia. Ma come ti sentivi davvero?”
La prima di tante, troppe, domande su quell'episodio al quale Billie Joe rispose con estrema naturalezza, cercando di esternare i suoi veri pensieri, le sue sensazioni, cercando di ricordare lui stesso come realmente si sentisse, ripercorrendo all'indietro la strada dell'alcool e della dipendenza da farmaci, facendo un rewind della sua vita, tornando all'origine, tornando alla goccia che fece traboccare il vaso.
Passò una mano tra i suoi capelli corvini mentre ingurgitava l'ultimo pezzo di muffin, faceva delle lunghe pause tra una domanda all'altra, non c'era bisogno di correre, non c'era bisogno di affrettarsi a rispondere, poteva prendersi tutto il tempo che voleva dalla vita, questa volta non l'avrebbe sprecato ad ingoiare pasticche di svariati colori con un sorso di birra rossa.
Tutto ciò che voleva realmente era finire quell'intervista e ricominciare, ricominciare una nuova vita con la sua famiglia, ricominciare un nuovo lavoro con i suoi due migliori amici, ricominciare un nuovo tour con i suoi fan.
Ogni domanda era un tuffo nel passato se si potevano definire i sei mesi precedenti 'passato'. In fondo lo erano, erano un capitolo chiuso nella vita del quarantunenne californiano, erano acqua passata.
“Sono fottutamente più grande di queste cose, molto meglio di questa merda. Questo è un incidente, è successo, il resto è storia. Ho così tante cose importanti da fare. Ho la mia famiglia a cui badare. Ho la mia band. Sono una persona pazza. E lo sarò sempre. E questo oscurerà tutto ciò che riguarda i miei problemi con la dipendenza”.
David guardava quel 'ragazzo' dall'aria nuova e notava che il sorriso che ogni tanto affiorava sulle sue labbra fosse la prova evidente che era sincero, che aveva tanta voglia di vivere, di fare musica, non avrebbe mai buttato via la sua vita per così poco, era una delle poche persone che conosceva che si vergognasse della sua dipendenza, era una delle poche persone che conosceva che ogni volta che lo incontrava gli insegnava qualcosa di nuovo. Ormai Billie viveva in un clima di 'scampato pericolo', si sentiva al sicuro, si sentiva libero da ogni tipo di dipendenza, era nuovamente padrone della sua vita, era finalmente lucido, come non lo era da tempo.
“Eri sobrio quando hai scritto Amy?” Billie tornò indietro nel tempo a quel 23 luglio 2011, quando apprese la notizia della morte della giovane cantante inglese, quando stava sfrecciando sulle strade californiane diretto a Newport beach, quando ebbe paura, ebbe paura di finire anche lui così, ebbe paura di rovinare tutto quello per cui aveva faticato fin da ragazzo, ebbe paura di non farcela, di finire come lei, era sobrio, ma non lucido, era consapevole di ciò che stava scrivendo.
“..la morte mi è sempre stata vicina” accennò un sorriso carico di tristezza “E' come se ci fosse una parte di me che dicesse: 'Te l'avevo detto, non mi hai preso sul serio'”.
Gli angoli delle labbra si piegarono nuovamente in un flebile sorriso, si odiava per il rischio che ogni volta si ostinava a correre, si odiava per il dolore che si ostinava a far provare alle persone che si era ripromesso di rendere sempre felici.
Le domande continuarono, David sapeva essere persuasivo, sapeva comprendere quando era troppo e quando poteva strappare di più a un artista, conosceva Billie Joe, sapeva che non avrebbe potuto chiedergli più di quello che lui stesso gli stava dicendo, non l'aveva mai sentito parlare così apertamente, non l'aveva mai visto in quelle condizioni, così autocritico e così severo con se stesso, così impaurito nel ricordare quello che aveva passato, come se avesse paura di doverlo passare di nuovo.
Lo strafottente Billie Joe dalle risposte secche e cariche di ironia e sarcasmo avevano lasciato il posto a un Billie Joe dal cuore grande, dalle risposte accurate cariche di nuovi insegnamenti. Quello che sedeva al fianco di David, vestito con dei pantaloni neri strappati al ginocchio, converse rosse, vecchia maglietta dei Mistifs, capelli scombinati e matita attorno agli occhi, era la raffigurazione della fragilità di Billie Joe Armstrong, un uomo troppo misterioso pure per se stesso, un uomo dalle mille sfaccettature, un uomo dall'animo nobile, un uomo dalle mille imperfezioni, l'idolo di milioni di persone, il soggetto preferito di molti critici, l'uomo talentuoso e tormentato.
“Cosa farai la prossima volta che ti verrà voglia di bere?”
“Scapperò, fermerò un taxi al volo, correrò in albergo e mi farò una soda” sorrise a trentadue denti, irradiando la stanza, congedandosi con un tocco di classe, salutando una volta e per tutte quei brutti ricordi, non avrebbe dimenticato, era impossibile dimenticare e inoltre non era ciò che voleva, avrebbe ricordato tutto, nei minimi particolari, avrebbe appreso da quell'esperienza gli insegnamenti più grandi, sarebbe tornato sul palco, nonostante avesse ancora l'ossessione dell'alcool e le notti insonni a fargli compagnia, sarebbe tornato rinato, sarebbe tornato e avrebbe fatto dei buoni live in compagnia dei suoi migliori amici e avrebbe fatto quello per tutta la vita, evitando di cadere nuovamente nel baratro, evitando di far riaffiorare quel lato della sua vita che nessuno avrebbe mai dovuto conoscere.


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Allora, allora, allora.
So che scrivo solo sulla rehab, ma mi escono fuori cose belle solo su quell'argomento lì, dicono che non sia capace di scrivere cose allegre, sarà per la mia natura masochista, sarà perché è un argomento che mi sta molto a cuore.
Comunque sono qui con la mia prima One-shot, spero possa piacervi, mi è venuta l'ispirazione dopo aver corretto e sistemato i capitoli di Sweet sixteen. 

Rage and love. 

  
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