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Autore: CowgirlSara    14/06/2013    3 recensioni
“Non posso averlo veramente fatto.” Si dice Arthur a bassa voce, con una mano sul viso.
Si guarda ancora intorno, cerca di mettere a fuoco il pavimento nella parte più buia della camera. Ci sono vestiti sparsi. Sì, c’è anche la bruttissima camicia di Eames.
“Merda.” Impreca Arthur a denti stretti.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Arthur, Eames
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Inception - Bersaglio facile
Bene, la prima fanfiction che scrivo in questo fandom.
Devo confessare che questo pairing, all’inizio, non mi diceva nulla e ce lo vedevo anche poco, però dopo aver letto alcune cose bellissime mi sono appassionata ed ora li ADORO!
Spero di avergli reso giustizia, questa è solo una cosina, penso di poter fare di meglio, ma sono dell’opinione che bisogna seguire l’ispirazione!

Mi rendo conto che non è un fandom frequentatissimo, però qualche commento mi farebbe piacere, grazie fin da ora.

I personaggi appartengono ai legittimi autori e sono usati senza scopo di lucro. La canzone che introduce la storia è “Every word was a piece of my heart” di Jon Bon Jovi.

Vi lascio alla lettura.
Sara

- Bersaglio facile -


You know that I love you, but I hate you

'Cause I know I can never escape you
Let the choir sing
For tonight I'm an easy mark


Arthur apre gli occhi piano, non mette subito a fuoco. Per un lungo momento pensa di essere al lavoro, perché non ricorda minimamente come è arrivato in quel letto, però ha in bocca e nella testa qualcosa che somiglia troppo ai postumi di una sbornia colossale – di quelle che risolvi a stento con uno zabaione doppio e quattro pillole di paracetamolo – per non rendersi conto che è la realtà.
Mastica a vuoto e si passa una mano tra i capelli, mentre si guarda attorno. È una camera d’albergo, forse quella che Saito gli ha fatto trovare prenotata in un hotel di lusso. L’arredamento è minimalista, elegante, di suo gradimento. Ricorda vagamente di aver fatto scattare la serratura elettronica, ma potrebbe essere benissimo una di quelle del sogno del lavoro Fisher.
Deve cercare di ricordare la sera precedente, oppure trovare il suo totem, perché è troppo brutto un sogno dove sei bloccato in un letto ed il tuo alito sa di fogna.
La sera prima, il giorno prima…

Sì, il giorno prima è facile: c’è stato il lavoro Fisher.
Un cazzo di fottutissimo ingorgo in cui hanno rischiato di rimanere incastrati tutti quanti. Prima per un suo stupido errore, poi per… No, non vuole sapere cosa è successo nella parte di sogno dove lui non c’era, è stato abbastanza complicato risolvere un calcio in assenza di gravità. Alla faccia di chi gli ha sempre rimproverato di avere poca fantasia.
Certo, deve ammettere di essere un po’ curioso, riflette, fissando il soffitto color crema. Potrebbe chiedere ad Ariadne, lei certamente gli racconterebbe cosa è successo. Probabilmente lo farebbe anche Eames…

Eames, cazzo!

È una rivelazione improvvisa che gli fa accelerare il cuore. Ora ricorda.

All’uscita dell’aeroporto hanno diviso un taxi e Arthur ricorda di aver rimproverato al falsario che era pericoloso, con Fisher ancora vicino. Lui lo ha ignorato con una scrollata di spalle ed un insopportabile sorrisetto dei suoi, poi gli ha proposto di cenare insieme.
Arthur ha ponderato di rispondere di no per qualcosa come cinque secondi, poi ha accettato, forse per il cervello ancora annebbiato dai composti di Yussuf e dall’adrenalina del sogno.
Non ha pensato nemmeno per un istante che possa essere a causa di quel filo di tensione che è sempre scorso tra lui ed Eames e che Arthur ha opportunamente classificato come irritazione e che, invece, è tutt’altro.

Ricorda sprazzi della conversazione a cena.

“Non vuoi proprio dirmi come hai risolto il calcio senza gravità?”
“Hm, che dire… forse non sono banale come pensi…”
“Non ho mai pensato che tu fossi banale, darling.”
“E cosa, allora? Noioso?”
“Affascinante.”

Oh, Dio… Ma gli ha sorriso? Quando lui gli ha fatto quel complimento con un sorrisino malizioso e complice? Gli ha sorriso? Anche se Eames indossava una camicia di seta con un’orrenda – seriamente orrenda – fantasia a fiori tropicali?

Si sono scolati tre bottiglie di vino a cena. Forse per quello gli ha sorriso.
Poi sono andati al bar, perché non gli bastava, evidentemente.
No, non perché voleva stare ancora con lui, questo no.

Tra shot di tequila e risate sul nulla – ubriachi, troppo – Arthur ha raccontato ad Eames tutto del calcio, dell’ascensore, della dinamite, di loro legati insieme col filo del telefono. Eames ha riso, forte e si è complimentato con lui per l’originalità e gli ha dato pacche sulle spalle.
Una di quelle pacche, senza preavviso, è diventata una carezza calda sulla nuca di Arthur. E il ghigno di Eames è diventato un sorriso dolce, mentre si guardavano con gli occhi illanguiditi dall’alcol.

E allora si sono alzati, sono usciti dal bar, hanno percorso l’atrio – sempre guardandosi negli occhi – e sono saliti su un ascensore pieno di specchi.

E, dopo, Arthur – sì, Arthur! – ha spinto Eames contro quegli specchi e lo ha baciato, mentre tutto intorno rifletteva l’immagine delle loro bocche attaccate.

Poi un campanello ha annunciato il piano e le porte si sono aperte e loro sono scivolati nel corridoio, continuando a baciarsi, a toccarsi, a sfilarsi le camicie dai pantaloni.

Non sa come hanno indovinato la porta, ma la sensazione è che Eames regga l’alcol meglio di lui. Ad ogni modo, Arthur ha aperto e poi…

Poi, cazzo…

“Non posso averlo veramente fatto.” Si dice Arthur a bassa voce, con una mano sul viso.

Si guarda ancora intorno, cerca di mettere a fuoco il pavimento nella parte più buia della camera. Ci sono vestiti sparsi. Sì, c’è anche la bruttissima camicia di Eames.

“Merda.” Impreca Arthur a denti stretti.

Comincia a pensare di non riuscire a muoversi perché a bloccarlo c’è quasi sicuramente un braccio di Eames. Abbassa gli occhi sul proprio petto nudo. Sì, c’è un braccio muscoloso e tatuato che gli stringe la vita.

Merda alla seconda, pensa alzando gli occhi al cielo.

Con manovre degne di un contorsionista piuttosto abile, riesce a districarsi dalla presa dell’altro uomo e a scendere dal letto senza fare rumore. Eames borbotta, ma non da segni di essersi svegliato. Arthur comincia a cercare i suoi abiti imprecando piano.

Gli viene un dubbio, ad un certo punto. Si mette dritto e ascolta il proprio corpo. Gli fa solo un po’ male il collo ed il suo stomaco brucia come l’inferno, ma non ci sono altri dolori sospetti, in punti del corpo compromettenti. Forse non sono andati fino in fondo.

Cerca il suo totem nelle tasche della giacca che indossava, perché ancora spera di essere in un sogno e che tutto quello non sia successo davvero.

“Dimmi che è un sogno, dimmi che è un lavoro…” Ripete come un mantra, mentre fruga nell’elegante capo d’abbigliamento.

“No, decisamente non è un sogno.” Mormora una voce arrochita dietro di lui, facendolo gelare sul posto. “Perché io sto davvero ammirando il tuo bellissimo culetto bianco.”

Arthur si gira lentamente verso il letto, con in faccia un’espressione omicida e trova ad attenderlo il sorriso assonnato di Eames.

“Buongiorno, darling.” Lo saluta rilassato. “E, comunque, dovresti sapere che ciò che succede nei sogni, per il cervello, è reale quanto quello che provi davvero, quindi non fa differenza se siamo in un sogno o no.” Spiega poi, con un irritante tono saccente.

“Fottiti.” Sibila Arthur.

“Oh, avrei tanto voluto!” Replica allegro lui, con quel suo fottuto, sexy accento inglese. “Ma tu sei venuto e ti sei addormentato, mentre io avevo ancora la bocca sul tuo…” E fa un cenno verso il basso del corpo dell’altro.

Arthur avvampa e si copre le pudenda con la giacca che ha ancora in mano.

“Sai, amore, sei delizioso quando fai la verginella.” Afferma Eames e ride piano.

“Non chiamarmi ‘amore’!” Sbotta Arthur.

“Ti è sempre piaciuto che lo facessi.”

“Non è vero!” Si difende lui, ma è arrossito di nuovo, poi si siede sul bordo del letto sospirando. “Cosa abbiamo che non va, noi due?”

“Niente.” Fa Eames rilassato, sistemando le braccia sul lenzuolo che lo copre fino alla vita. “Siamo attratti uno dall’altro, tutto qui.”

“Ohh, e da cosa lo avresti dedotto questo?”

“Beh, lasciando stare le tue implorazioni di stanotte, che non posso riferire alla luce del giorno perché troppo lascive e volgari…” Arthur incassa la testa nelle spalle, nascondendogli il viso, ma Eames sorride furbo. “…ci sarebbe il bacio del lavoro Von Braun.”

“Stavamo morendo, Eames.” Obietta Arthur.

“Non veramente, darling.” L’altro sbuffa. “E al risveglio non mi hai neanche salutato, dovrei essere ancora molto offeso, tanto da rifiutarti anche il servizietto di stanotte…”

“Ti prego!” Supplica ostile Arthur. “Era solo un bacio e non so perché l’ho fatto, era stato un bel lavoro, finito di merda, ma… E comunque non è più successo niente.”

“Come no!” Sostiene con vigore Eames. “Ci siamo baciati anche durante il lavoro March.”

“No, non me lo ricordo assolutamente.” Nega Arthur scuotendo il capo.

“Mi hai anche toccato le tette…” Afferma furbo l’altro.

Arthur si gira con espressione incredula e fissa il sorriso soddisfatto di Eames.

“La rossa… Eri tu!” Esclama poi, sconvolto. “Tu! Brutto cazzone…”

Lui risponde con un’eloquente alzata di sopracciglia ed il solito sorriso sornione. Arthur deve ammettere che quando sorride in quel modo gli farebbe di tutto. E niente di questo tutto può essere riferito in fascia protetta.

Sì, va bene. È attratto da Eames. Molto attratto da Eames. Schifosamente attratto da Eames.

Inutile continuare a negarlo dopo che ci ha passato la notte insieme e che hanno avuto un così stretto scambio di liquidi corporali. Che ora ricorda.

Ricorda perfettamente baci umidi a bocca aperta. Carezze poco caste. Vestiti che volano. Imprecazioni. I propri gemiti conditi da affermazioni irripetibili. Le labbra carnose di Eames sulla pelle, che scendono sul suo petto, sul suo inguine… Il piacere che arriva ad ondate sempre più intense.

“Dai, amore, vieni qui…” Lo prega Eames con dolcezza.

Sa che se si girasse lo vedrebbe guardarlo con occhi caldi e magari la mano tesa verso di lui.

“No.” Risponde però, nonostante voglia andare da lui.

Si alza dal letto e corre in bagno. Come una neosposa casta e pura. Come non avesse il culo al vento e i capelli indecentemente spettinati.

Eames lo segue con gli occhi, un po’ deluso.

Passano lunghi minuti in cui gli unici rumori sono lo scarico del gabinetto e acqua che scorre.

Eames sospira e si accomoda i capelli. Non ha mai pensato che con Arthur sarebbe stato semplice.

Prima di tutto Arthur non è uno che si concede, anzi. È un fottuto cacacazzo pignolo e pedante, con la fissa delle cose fatte a regola d’arte, che non cede a facili lusinghe, che non si fa sedurre da un bel sorriso, che è capace di metterti i bastoni tra le ruote anche mentre te lo scopi.

Ma è Arthur.

E tanto basta a Eames per non smettere di tentare.

Non sa nemmeno lui come Arthur sia diventato il punto fermo in mezzo al mare dei suoi flirt, delle scopate occasionali, delle avventure più o meno serie. Quello che, anche se lo vedi ad intervalli più o meno irregolari, vale la pena di provarci. Sempre.

Sono dieci anni che si girano intorno. Perché Eames è perfettamente consapevole di non essergli indifferente, che anche lui è interessato. Eppure, nonostante quei baci rubati, non era mai successo niente.

Non erano mai arrivati ai livelli della notte precedente.

Ma Arthur – oh, il suo Arthur! – era pieno di tequila come una barrique messicana.

Eames si domanda scoraggiato se non sia per quello che si è concesso così facilmente.

Ora, però, il cielo si fa chiaro oltre la grande finestra semi coperta dalla tenda chiara e continuare a farsi domande non sarebbe da Eames.

È andata com’è andata. Ha preso quel che ha potuto – più di quello che avrebbe mai pensato – ed è il momento di un’educata uscita di scena.

Passerà del tempo prima che si rivedano. Potrebbero essere mesi o anni, addirittura.

Gli provoca uno strano peso nel petto realizzare che potrebbero passare anni prima che possa rivedere Arthur. Prima che possa di nuovo guardarlo negli occhi, provocarlo con qualche battuta, lavorare con lui, solo sfiorarlo fingendo di farlo senza intenzione.

Cazzo!

Con uno sbuffo frustrato, Eames esce dal letto e comincia a radunare le sue cose.

Meglio togliersi di mezzo finché lui è in bagno, così non lo costringerà a dei saluti imbarazzati e imbarazzanti.

Perché Eames conosce Arthur e sa che lui, certamente, si è già pentito di quello che è successo e sta cercando una soluzione, rintanato di là.

Si è appena infilato i suoi boxer fortunati – Cristo, mai così fortunati! – quando sente la porta del bagno aprirsi. Non si gira, cerca i pantaloni.

“Eames.” Lo chiama piano Arthur. “Te ne vai?” Chiede poi, sembra sorpreso.

Lui scrolla le spalle e si volta, trovando un sorriso di circostanza. Arthur è fermo sulla porta, indossa le mutande e una t-shirt, i capelli perfettamente pettinati. Eames spalanca un po’ gli occhi.

“Beh, pensavo…” Biascica il falsario. “Non vedo cos’altro potrei fare, dopo che sei scappato in bagno.”

“Non sono scappato.” Borbotta l’altro, abbassando e deviando gli occhi.

Non sei un bravo bugiardo, amore. Pensa Eames con un sorriso storto.

“No? E, allora, sei cosa? Fuggito?” Replica divertito.

“Eames, cazzo…” Sbotta Arthur.

“Tranquillo.” Fa Eames a mani alzate. “Non voglio metterti in imbarazzo, due minuti e me ne vado, la mia stanza è in fondo al corridoio…”

“Hai ragione.” Lo sorprende l’altro, interrompendolo.

Eames alza gli occhi e lo fissa un po’ perplesso. Ha i pantaloni in mano e la gamba destra alzata a mezz’aria nel gesto d’infilarseli.

Si raddrizza, abbassa la gamba e le braccia e continua a fissarlo, finché un suo sopraciglio si alza e l’espressione si fa ironica.

“Tu, mi stai dando ragione, darling?” Gli chiede divertito.

“Sì.” Ammette timidamente Arthur.

“Tu odi darmi ragione.”

“Sì.” Conferma asciutto l’altro. “Ma fammi spiegare…”

“Sono tutto orecchie, amore.”

Il suo tono fastidiosamente compiaciuto e ilare sta proprio per far saltare i nervi di Arthur, già al limite per via di quello che sta per dirgli.

“Credi che sia facile parlare, dopo quello che è successo stanotte?” Fa Arthur. “Tra l’altro indossi delle mutande orrende che mi rendono difficile la concentrazione…”

Eames abbassa gli occhi sui suoi boxer di seta di un abbagliante color verde bordato di marrone. Ma come? Orrendi i suoi boxer super fortunati, che hanno avuto il supremo onore di essere violati dalle dita di Arthur? Sei cattivo, piccolo mio… Pensa.

“Se vuoi posso toglierle.”

“Eames!”

Arthur.”

C’è qualcosa nel tono di Eames, mentre per la prima volta da molto tempo lo chiama per nome. Arthur lo guarda negli occhi e non c’è malizia, non c’è provocazione, né ironia. Sono sinceri e profondi, quegli occhi chiari, mentre lo fissano con dolcezza.

“Tu mi piaci, è vero.” Confessa alla fine Arthur.

Eames sorride appena, abbassando gli occhi. Ok, lo ha capito da un pezzo, ma è bello sentirselo dire. E fa anche un po’ paura.

“E, beh, ti odio.” Continua Arthur, strappandogli un sorrisetto consapevole. “Ti odio, sei insopportabile, chiaro? Però… mi piaci.”

“Oggi sei un bersaglio facile, darling.” Replica Eames sbuffando un sorriso.

Arthur lo guarda malissimo. Lui adora quando aggrotta la fronte in quel modo e assottiglia i suoi occhi scuri in un’espressione minacciosa.

“Se vuoi che rimanga, basta che lo chiedi, Arthur.” Dice allora Eames.

Perché, alla fine, gli piace il suo nome. Se usa quei vezzeggiativi lo fa per provocarlo. E per far finta che questa cosa sia meno importante di quello che è.

Arthur sbuffa, guarda altrove, poi sospira e rilassa le spalle. Sembra molto più giovane di quando imbracciava un fucile di precisione contro la sicurezza di Fisher.

“Resta.” Esala infine, quasi contro voglia.

E allora Eames sorride e butta i pantaloni che aveva ancora in mano. Si avvicina a lui, finché gli è abbastanza vicino da costringerlo ad alzare la testa; allora allunga una mano e gli accarezza la pelle morbida sotto l’orecchio, la mascella, il collo.

Arthur, a quel tocco, sospira e socchiude gli occhi. Ah, allora gli piace! Davvero!

“Adesso me lo dici cosa sei andato a fare in bagno?” Gli chiede dolcemente Eames, prima di baciargli il mento.

Lui sospira indeciso, forse si vergogna.

“Sono andato…” Gli sfugge un sospiro, stavolta di piacere non trattenuto, perché Eames gli sta baciando il collo. “…a lavarmi i denti…”

Eames si scosta da lui, lo guarda con occhi brillanti e poi ridacchia allegramente sorpreso.

“Ti sei… lavato i denti.” Fa poi, incredulo e sempre più divertito. “Veramente?”

Arthur sbuffa, gli da una spinta e mette su un’espressione offesa.

“Certo che l’ho fatto!” Esclama. “Dovevo parlare con te e non potevo farlo tranquillamente con quell’alito orrendo! Perché devi sempre complicare le cose, eh?”

Ma Eames lo sorprende sempre e dovrebbe saperlo. Non è da uno che fa il suo lavoro, farsi sorprendere da tipi come Eames.

Lui gli sorride, con una dolcezza ed una sincerità disarmanti e, allora, anche Arthur non sa più cosa dire, ne ha più la forza d’inveirgli contro. Esala un respiro arreso.

Eames lo prende per i fianchi e se lo avvicina. “Vieni qui.” Gli sussurra morbido.

Arthur fa finta di non averne troppa voglia, ma si fa più prossimo al suo corpo solido.

“E così…” Sussurra Eames al suo orecchio. “…il mio perfettissimo Arthur non era così perfetto, per una volta.” Mormora contro la sua pelle. “Il mondo cadrà entro l’ora del the…”

“Quanto sei stronzo!” Ridacchia Arthur nella sua clavicola, mentre Eames gli solletica la schiena sotto la maglietta.

Sono ormai allacciati in un precario balletto sulla moquette coperta di vestiti sparsi.

“Dio, ti mangerei…” Mugugna Eames affondato nel collo di Arthur.

“Limitati a non rompermi una costola, per ora.” Replica lui, prima di succhiargli il lobo di un orecchio.

Inciampano, cadono sul letto. Eames sta attento a non rompere davvero qualcosa ad Arthur. Ridono e si baciano. E non sono più ubriachi. La maglietta di Arthur finisce sul pavimento insieme all’altra roba. Ed è tutto perfetto.

Tranne un piccolo particolare che disturba la visione d’insieme di Arthur.

“Mr. Eames…”

“Dimmi, amore…”

“Le tue mutande sono davvero inguardabili.”

“Se vuoi posso toglierle.”

“Sì.”

E quando un raggio di sole colpisce le mutande verdi di Eames, ormai cadute in terra, Arthur sorride. Sorride e sa per certo che non è un sogno. Perché in nessuno dei suoi sogni Eames indossava delle mutande verdi. In nessuno dei suoi sogni erano stati così realmente vicini, pelle contro pelle, respiro nel respiro.

E fanculo se è Eames e questa cosa sarà maledettamente imprevedibile e spaventosa.

In nessuno dei sogni di Arthur tutto era così assurdamente perfetto.





   
 
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