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Autore: Lumosmaxima    14/06/2013    1 recensioni
Era così bello perdersi nei suoi occhi chiari, lasciarsi abbracciare. Era bello che fosse lui ad accarezzarla, a lasciar perdere le parole, perché loro non ne avevano bisogno. Non avevano bisogno dei ti amo. A loro bastavano gli sguardi, le mani, le labbra. Bastavano loro. E si sarebbero cercati per sempre, sarebbero nati altre mille volte l’uno per l’altra.
Ma sarebbe bastato? Sarebbe bastato, a loro, così incapaci di amare? Forse no, ma andava bene così, per il momento. C’erano troppo dentro, ormai, per uscirne.
E rimarranno l’uno dentro l’altra per sempre. Indelebili sulle loro pelli. Sono un capolavoro, loro.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lee Ryan, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Questa non è una Fan Fiction a scopo di lucro. I Blue non mi appartengono in nessun modo e i fatti narrati sono inventati e puramente casuali.
Note: piccolo prologo per introdurre la nostra protagonista. So che è ancora un po' lento, ma dal prossimo capitolo inizierà la vera storia. Stay tuned! :3



Prologo - Black Star


Fotografi. Flash. Luci. Pausa. Truccatrici. Stylist. Pose e ancora flash. La solita routine.
Capelli lunghi biondo cenere, snella, slanciata, occhi chiari e magnetici, camminata elegante. La solita bellissima modella.
« Constantine, ascoltami. » un uomo basso e sulla quarantina le si avvicinò « ad un mio amico una modella ha dato buca all’ultimo minuto, gliene serve un’altra per domani. Tu non hai impegni, gli ho detto che saresti andata.» il suo solito manager, con la sua solita richiesta.
« Certo. Dove e a che ora? » Solito sorriso, solita gentilezza.
« Oh, ti ci accompagno io. Ti passo a prendere alle nove domattina.» se ne andò.
Aveva deciso tutto lui. “Gli ho detto che saresti andata”, senza dirle niente. Non sapeva. Non sapeva se avrebbe avuto degli impegni che non poteva rimandare, non sapeva se avesse voluto una pausa – e sì, la vorrebbe ogni giorno una pausa -, se non si sentiva bene. Aveva deciso per lei così e basta. Con tutta la freddezza che aveva, con tutta la freddezza che quel lavoro poteva darle. Era stanca.
“Sei così bella, potresti fare la modella.”, le dicevano sempre. E, allora, perché no? Constantine era una che prendeva la vita come veniva. Se aveva un’opportunità davanti, lei c’era. Era lì, in prima fila, pronta a prenderla al volo. Non sempre, però, si dimostrava un pregio. Aveva cominciato a partecipare a vari concorsi, a fare qualche servizio, qualche sfilata, fino a farsi spazio in quel mondo. Fino a diventare la modella che era. Ogni giorno foto su foto, prove vestiti per la sfilata della settimana successiva, lavorare ogni giorno per tutto il giorno. E tutta questa fatica, per cosa? Zero soddisfazione. L’unica cosa che la teneva ancorata lì era la paga. Ormai, a venticinque anni, era rischioso lasciare un lavoro sicuro e che fruttava non pochi soldi, per cercarne un altro. Per fare cosa, poi? Da quando era diventata una modella aveva finito il liceo e non aveva avuto tempo per andare all’università o specializzarsi in nulla. Solo quello le rimaneva.

Salutò e ringraziò distrattamente tutti, prese il suo zaino nero, lo skate ed uscì da quel’edificio. Fuori di lì le strade e la gente di Londra le si pararono davanti. Poggiò lo skateboard sul marciapiede, vi salì e si diresse verso casa.
L’inverno incombeva e le giornate cominciavano a farsi sempre più corte. Erano appena le sei ed un timido sole rosso cominciava a nascondersi dietro l’orizzonte, riscaldando ed illuminando quel poco che poteva, ma comunque donando uno spettacolo mozzafiato. Di lì a poco avrebbe fatto buio ma, come di rito, Constantine fece la strada più lunga possibile per tornare a casa. Le piaceva girare col suo skate e la sua musica nelle orecchie. Un leggero venticello che le solleticava il viso, poter osservare i passanti che camminavano distratti per dì là, la riproduzione casuale del suo ipod col volume talmente alto che qualche giorno avrebbe perso un timpano, la sensazione delle ruote che scorrono libere sotto i suoi piedi, erano tutte cose che le trasmettevano tranquillità. Le sue giornate erano sempre uguali, ma l’unica cosa che era felice non cambiasse era proprio quel suo ritorno a casa dopo il lavoro.  Era un momento solo per lei, per respirare un po’. Ci sono persone che ripensano alla loro giornata e si fanno viaggi quando sono sul loro letto, prima di dormire. Lei i viaggi se li fa sul suo skate, prima di tornare a casa. E sia chiaro, i viaggi non sono solo mentali. Grazie a queste sere, lei conosce tutti gli angoli di Londra, ogni sera passa per una strada nuova. Ad ogni strada è collegato un ricordo, una giornata. Nella strada proprio dietro casa sua, per esempio, ci passa ogni volta che è veramente felice. C’è così tanta gente e così tanta vita che, passando di là, sente di poter condividere la sua gioia un po’con tutti. In silenzio, senza farsi notare, lei passa tra la gente e spera che capisca quanto lei sia felice quel giorno. C’è un parco, invece, in cui va quando è preoccupata o qualcosa è andato storto. C’era andata, per esempio, quando aveva avuto quella brutta litigata col suo ex, che fu il motivo per cui ora lo chiama ex. In quel parco ci sono genitori e nonni che portano i bambini a giocare, chi fa jogging, chi porta il cane a fare una passeggiata. Quel parco è così semplice che le mette spensieratezza e, passando tra le persone, spera che siano loro -in quei momenti- a trasmettere tranquillità a lei.
Un’ora dopo era ancora per i marciapiedi della città, ma ormai s’era fatto buio e -oltretutto- il suo ipod s’era scaricato, questo significava che era ora di tornare a casa. Davanti al portone di casa sua, tirò fuori le chiavi dallo zaino ed entrò. Un profumo di lavanda la invase: i vasi con i fiori viola erano proprio nel’angolo alla sua destra. Chiuse la porta alle sue spalle. La casa era come l’aveva lasciata. Era tutto nel suo immacolato ordine. Stava per andarsi a fare una doccia, quando qualcosa di morbido le solleticò le caviglie. Reila, la sua gatta nera, le stava dando il benvenuto.
« Lo so che non lo fai perché sei contenta di vedermi, ma perché hai fame. » una risata leggera mentre accarezzava l’animale, poi le andò a preparare la ciotola con il cibo. Un brontolio sommesso provenne dallo stomaco della ragazza. Anche la padrona aveva bisogno di cibo, ma la sua pancia avrebbe aspettato ancora un po’. Un bel bagno caldo ha sempre la precedenza.
Entrò in bagno ed aprì l’acqua calda, aspettando che la vasca si riempisse. Si spogliò velocemente ed entrò in acqua, cominciando a versare quantità industriali di sapone nella vasca, fino a coprire di schiuma la superficie dell’acqua. Nel giro di pochissimi minuti si addormentò, poggiando la testa sul bordo della vasca.
Quando si risvegliò, era passata ormai un’ora. Si lavò e si asciugò i capelli, ancora un po’insonnolita. Era stanca morta, ma non poteva andare a dormire senza cena. Aprì il frigorifero e prese la prima scatola di surgelati che le capitò a tiro. Tanto, difficilmente avrebbe trovato qualcosa di diverso nella sua cucina. Pessima cuoca. Andava avanti a surgelati, pre-cotti e insalate da anni, ormai. Menomale che esistevano i ristoranti e le pizzerie... E le palestre!
Mangiò sul divano, con la gatta che le faceva compagnia affianco e guardando distrattamente un programma alla tv. Quando finì di mangiare, non si curò di lavare i piatti, era troppo stanca. Se ne sarebbe occupata il giorno dopo. Si andò a riparare sotto il piumone e si addormentò immediatamente. Aveva bisogno di riposo, l’aspettava una lunga giornata.
  
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