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Autore: potters_continuous    15/06/2013    2 recensioni
Domenica mattina in casa Puckerman-Fabray.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beth Corcoran | Coppie: Puck/Quinn
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Quinn aprì pigramente un occhio, spostandolo sulla radio sveglia alla sua destra e tentando di mettere a fuoco i numeri rossi che brillavano sul piccolo schermo: 10:27. Sorrise, ricordandosi improvvisamente che l’orario quel giorno non aveva alcuna importanza: era domenica.
Il suo unico impegno si concretizzava nella solita visita della signora Puckermann e di Alice, ma non sarebbero arrivate prima dell’ora di pranzo, c’era ancora tempo. Tempo. Ecco perché amava così tanto la domenica, perché c’era tempo, sempre.
Si voltò verso sinistra e rimase per qualche secondo a fissare il tessuto scuro che copriva le spalle di Puck, più che altro perché era ancora troppo stanca per riuscire a muoversi, poi si avvicinò e gli passò un braccio intorno al petto, poggiando la fronte nell’avvallamento tra le sue scapole.
“Quinn…” si lamentò lui, affondando, con aria decisamente poco propensa al risveglio, il viso nel cuscino.
“Sì?” sorrise.
“Che giorno è…?” biascicò, strofinandosi un occhio con la mano.
“Domenica.”
“Allora perché diavolo mi hai svegliato?” sbadigliò.
“Non volevo svegliarti, volevo soltanto abbracciarti…” si scusò, stringendolo più forte e posandogli un bacio sul collo, esibendosi in una smorfia infastidita quando i capelli rasati del fidanzato le solleticarono il naso.
“Non ci crederò mai. Ed è inutile che lo ripeti con quell’aria innocente, continuerò a non crederci…” mormorò, poi si tirò il lenzuolo fino al collo nel tentativo di riprendere sonno o soffocare la fidanzata.
Pochi secondi dopo l’amabile coppietta sentì un leggero rumore provenire dal corridoio, un rumorino fin troppo familiare per essere ignorato: i passettini di Beth.
“Fingi di dormire.” sussurrò Noah.
La bambina aprì piano la porta, nel tentativo di non farla cigolare, poi si avvicinò ancora più lentamente al lettone, studiò per un secondo la situazione e salì sul letto dal lato del padre. Puck si alzò all’improvviso, la immobilizzò sul materasso e iniziò a farle il solletico.
“P-papà, smettila!” urlò la piccola, scalciando e ridendo.
Quinn scattò in piedi spaventata dall’idea che quei due decidessero di coinvolgere anche lei in quel gioco, fissò per un secondo sua figlia: i capelli biondi che sfuggivano dalle ordinate treccine che le aveva fatto la sera prima, la camicina da notte blu un po’ troppo corta e le unghie dei piedi smaltate con un orrendo fucsia durante una serata con zia Britt.
Sorrise soddisfatta: ce l’avevano fatta.
Non era stato affatto semplice, proprio no. Erano stati sette anni quasi infernali, ma alla fine aveva sempre ringraziato se stessa e Puck per non aver firmato quei maledetti documenti per l’adozione, tre giorni dopo la nascita di Beth.
I primi tre anni li avevano passati in casa Puckerman, in quella casa piccola, afosa, con la madre di Noah che non le permetteva nulla, con la scuola e i sei lavori diversi che era riuscita a trovare in giro, durati sì e no un semestre l’uno, -baby-sitter; dog-sitter; cameriera in un pub; lezioni private di inglese; bibliotecaria e gelataia- che non le avevano lasciato neppure il tempo per respirare. Puck era miracolosamente riuscito ad ampliare la sua impresa di pulizia per piscine, sebbene dovesse portare la figlia con sé due o tre volte a settimana.
Poi ci fu la svolta, Quinn vinse, non sapeva ancora in virtù di che cosa, un concorso per diventare maestra d’asilo, il che era praticamente perfetto: uno stipendio fisso, un’assicurazione sanitaria e, ovviamente, poteva portare Beth a lavoro. E così erano fuggiti dalle oppressive cure della signora Puckerman, riuscendo ad affittare un microscopico monolocale nella periferia di Lima, conosciuta anche come il centro del nulla .
Soltanto un anno prima di quella pigra domenica mattina, l’agenzia di Noah si era notevolmente ingrandita, permettendo alla strana combriccola di trasferirsi in una casa degna di questo nome. Due camere da letto, un salottino con angolo cottura e un bagno.
Quinn andò in cucina e pensò che forse la sua famiglia non poteva essere considerata perfetta, sicuramente non lo era nel senso canonico del termine, ma senza alcun dubbio la rendeva felice. 
   
 
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