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Autore: irene862    15/06/2013    0 recensioni
Prince of Persia...
Dastan e Tamina. I loro pensieri, i loro ricordi.
Le loro baruffe litigiose, vecchie e nuove, i loro sentimenti e le loro emozioni. Presente, passato e futuro si fondono tra le sabbie del tempo!
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Light

  

 

LIGHT

 

Vederla immobile, pallida e sofferente era per me una pena incredibile. Stesa al centro del nostro letto, sudata e febbricitante. Una stoffa leggera, quasi impalpabile era drappeggiata attorno al suo corpo, nient’altro la sparava dalla nudità.

Un leggero bussare e poi la porta si aprì velocemente. Due ancelle, entrambe anziane e a servizio della mia regina da molto prima che ci conoscessimo, entrarono nella nostra camera e cominciarono velocemente ad affaccendarsi per alleviare le pene della mia amata Tamina.

Uscì dalla stanza, allontanandomi da lei, non per pudicizia ma perché non ero di alcuna utilità. Non riuscivo a muovermi o ad aiutarla e stare a guardare era diventato troppo penoso, insopportabile.

Percorsi, lentamente, diversi corridoi e arrivato alle scalinata principale del palazzo la scesi quasi senza vederla davvero. La mia mente era altrove, forse prigioniera assieme al corpo della mia amata, e solo l’abitudine mi permetteva di continuare a camminare.

Alzai la testa, guardando davanti a me, solo perché una mano grande e forte si posò sul mio petto, spingendomi e fermando la mia avanzata.

“Padre” il mio risuonò esser solo un lieve sussurro

I suoi occhi scuri affondarono nei miei e, forse leggendovi la tristezza che teneva incatenato il mio cuore, con un sorriso colmo di consapevole serenità mi abbracciò stretto. Naufragai in quelle braccia sicure e rassicuranti, mi inabissai in quella tenerezza, in quel sereno e amorevole abbraccio incurante di quanto debole mi sarei dimostrato ad occhi estranei.

 

 

“E’ colpa mia”

Sapevo che la colpa era mia, della mia debolezza, della mia arroganza, della mia inadeguatezza. Le avevo messo fretta, l’avevo costretta a rivivere quei sogni che faceva nell’assurda speranza che riuscisse a ricordare.

A ricordarsi di noi, di me e di lei. A ricordarsi di come eravamo, di come e cosa era stato prima di tutto. Volevo con tutto me stesso che la sua mente rimembrasse noi, noi due insieme e tutto quello che avevamo vissuto.

Le avevo fatto fretta e la sua mente, così come il suo fisico già provato dalla gravidanza, non aveva retto. Ed ora risultava esser incosciente da qualche giorno.

Cosa avevo fatto?

Sedevo seduto su di un comodo divano con accanto mio padre, silenzioso spettatore della mia pena e del mio silenzio. Di fronte a noi stavano entrambi i miei fratelli e sui loro volti potevo leggervi la stessa pena, la stessa tristezza che aleggiava su quello di mio padre.

Che quell’espressione fosse lo specchio di quella che loro leggevano sul mio?

“Cosa dicono i dottori?”

Scossi la testa e un lungo sospiro uscì dalle mie labbra.

“Il suo fisico è affaticato, porta in grembo nostro figlio” risposi con voce incolore  “Non dovrebbe mancare molto ormai … l’unica cosa che sembra preoccuparli davvero è il suo stato d’incoscienza.”

“In che senso?” domandò mio fratello Tus

Alzai gli occhi verso di lui  “E’ cosciente a tratti e lo rimane per molto poco. Sembra che la sua mente sia troppo affaticata. Sogna o meglio ha molti incubi e … non so… non capisco molto bene cosa diavolo c’è che non va!” esclamai innervosito ed alzandomi in fretta

Mi allontanai da loro, dai miei famigliari, di qualche passo e presi a camminare avanti e indietro, testa bassa e mugugnando di quando in quando.

“La gravidanza è un momento molto difficile per il corpo di una donna. E’ naturale che sia affaticata” chiarì mio padre rivolto a tutti

“E’ colpa mia” sussurrai più a me stesso che a loro

Ma forse non abbastanza piano perché tutti e tre si voltarono verso di me domandando “Perché? Che intendi con colpa tua?”

“L’ho costretta a ricordare, a sforzare la sua mente. L’ho costretta a rivivere quei suoi spaventosi e terribili incubi che la tormentato da qualche settimana solo per poter … solo per me, per il mio egoismo! E’ colpa mia!”

 

 

 

Ero da sola, il solo silenzio mi avvolgeva. Avanzai piano, di qualche passo, per ritrovarmi davanti ad un’altra me stessa.

Era chinata a terra.

Pregava?

Del fumo, impalpabile e del colore dell’aria, iniziò ad uscire dalle grate del piccolo tempio dove era custodito il pugnale.

Era forse in pericolo?

 

Ero stranita e confusa. Perché vedevo tutto ciò? Erano sogni? Ricordi? Cosa?

Dei rumori soffusi, alle mie spalle. Trambusto, passi veloci. Molte persone. Dei lamenti mistici accompagnavano le mie preghiere. La porta si spalancò con forza ed un’orda di uomini, armati e dai volti minacciosi, irruppe all’interno di quel luogo mistico.

Trattenni il fiato, portandomi una mano alla bocca. I loro volti così come i loro occhi sembrarono non vedermi. I loro corpi sudati ed impolverati passarono indifferenti attraverso il mio.

Ero fumo? Aria? Chi o cosa ero? E perché nessuno mi vedeva?

 

“Sciocchi canti e fumi speziati ti serviranno a poco ormai”

Vidi me stessa, ricolma di rabbia, impugnare una lama ed attaccare. Il mio intento non andò a buon fine e, poco dopo, una proposta ripugnante mi arrivò alle orecchie.

“Concedete la mano al futuro re di Persia”

“Piuttosto la morte” lingua tagliente, tono di voce sicuro.

Nessuna esitazione, nessun’incertezza. Avrei davvero preferito morire piuttosto che concedere la mia mano, il mio corpo e naturalmente il mio regno a quell’uomo.

 

Scossi la testa e mi allontanai da quello spettacolo, da quella stanza e da tutti quei volti. Correvo in fretta, senza guardarmi alle spalle. Correvo veloce per paura o timore. Correvo in cerca di qualcosa o qualcuno che rischiarasse la mia confusione.

Entrai in una stanza colma di persone. Ancora immagini, ancora volti. Mi nascosi in un angolo ad osservare.

 

Camminavo impettita, sicura di me e sprezzante di tutto ciò che mi stava attorno. La mia rabbia così come la mia impazienza crescevano di minuto in minuto.

“Ti presento la principessa Tamina. Tus vuole stabilire un’unione con il suo popolo sposandola ed è mio desiderio avere la tua approvazione”

La voce di quell’uomo sembrava sincera, calma quasi distaccata. Non mi voltai a guardarlo e rimasi con lo sguardo fisso davanti a me.

“In tutti i miei viaggi non ho mai posato gli occhi su una più incantevole città, altezza”

La mia lingua non si trattenne “Lo era prima che la vostra orda di cammellieri illetterati la occupasse!”

“Sarete davvero un’ottima regina”

Risi, dentro di me, di quell’affermazione. Lo sguardo di quell’uomo sembrava aperto, rispettoso e curioso. Compiaciuto dopo le mie parole.

“Si ma Tus ha già una gran quantità di mogli. Tu, Danstan, penso che correresti meno rischi se questo gioiello aspettasse nelle tue camere. La principessa di Alamut diverrà la tua prima moglie!”

Come osavano?

Cedermi, vendermi come il più insignificante degli oggetti al mercato.

Questo ero per loro? Un oggetto? Un qualcosa di inanimato da poter scambiare, cedere o acquistare senza alcun impegno? Senza interesse?

E poi grida, urla. Confusione. Sgomento e dolore.

Ancora confusione. Accuse. Incredulità e rabbia.

Fuggimmo. Fuggimmo insieme.

 

Corsi via. Ancora una volta mi allontanai di corsa. Nessuno mi vedeva o mi sentiva eppure la situazione si era fatta talmente confusa e rabbiosa che la mia paura ebbe la meglio sulla ragione.

Corsi via, allontana domi da quei luoghi, da quei volti che sembravano appartenere al mio passato ma che per qualche ragione non ricordavo chiaramente.

Ormai non vi erano dubbi: stavo vedendo, con i miei stessi occhi, ricordi del mio passato. Un passato che non ricordavo e che mi faceva anche un poco di paura. Immagini sfuggenti e fumose continuavano a vorticarmi nella mente. Le mie gambe non cedettero campo, non si fermarono e continuarono a muoversi velocemente per molto tempo.

 

Sabbia. Vento. La notte sopra di noi.

Eravamo usciti da palazzo? Una infinita ed enorme distesa di sabbia si stendeva a partire dai nostri piedi continuando per migli e miglia. Nient’altro che sabbia, dune e stelle.

“Non ho ucciso mio padre. Quella veste me l’ha data mio fratello. E’ stato Tus!”

“E adesso sarà incoronato re”

Un piano. Un piano prendeva forma nella mia mente. Riprendere il pugnale e scappare. Distrarlo e metterlo fuori gioco. Prendere il pugnale e scappare lontano.

E’ quello che farò.

 

“Hai il coraggio di lasciarmi qui, nel bel mezzo del nulla?!? Il nobile Danstan abbandona una donna indifesa nella terra di nessuna! La voce del tuo prezioso onore non ha da dire niente?!?”

“Mhm. Dammi la forza di non ucciderla!”

 

 

 

“Vostra altezza correte. Vostra moglie sta per dare alla luce il vostro erede!”

La voce concitata ed emozionata di una serva mi riportò alla realtà. Smisi di pensare, smisi di parlare o di lambiccarmi il cervello. Corsi da lei, corsi velocemente dalla mia Tamina.

Ha bisogno di me!

Arrivai nella nostra camera. Il dottore era già chino su di lei mentre ancelle e qualche serva si affaccendava con panni catini d’acqua e panni intrisi del suo sangue.

Mi avvicinai a lei e la sentì rantolare. Era sveglia, cosciente con gli occhi spalancati e le labbra strette in una linea dura.

Le presi una mano, sedendomi sul letto accanto al suo corpo steso. Le baciai la fronte.

La sentì stringermi una mano, con forza, e poi voltarsi a guardarmi. Sorrideva, a stento e a fatica,ma mi stava sorridendo.

Era felice? In quel momento era felice? Anche se soffriva, lo vedevo bene, lei in quel momento era contenta?

Ed io? Io come mi sentivo? Ero felice?

No, non lo ero. Ero preoccupato e confuso. Ero sommerso di pensieri e voci che si sovrapponevano l’una sull’altra. Ordini del dottore, indicazioni da parte delle altre donne. Sussurri miei al suo orecchio. Dovevo calmarla, rassicurarla.

“La testa!” gridò il dottore “Vedo la testa!”

Respirare. Spingere. Contare: uno, due, tre, quattro e cinque. Respirare e spingere. E poi ancora. Di nuovo tutto da capo.

Persi il conto, la nozione del tempo e il controllo dei miei pensieri. Non chiusi gli occhi, rimasi a guardare tentando di fare il mio dovere. Supportare le sue fatiche, incoraggiarla e sostenerla. Nient’altro aveva importanza. Solo lei e il suo compito.

 

 

 

 

“Danstan ascoltami.” Un invocazione “Danstan, lo so, non sono stata tanto sincera con te ma…”

“Oh, ma sentirti mentire è un piacere” la sua voce era colma di derisione. Poca attenzione verso di me e nulla per il mio messaggio

“Io sono la guardiana di una divina alleanza. Quel pugnale è sacro. L’uomo a cui l’hai rubato lo stava portando al sicuro. Se dovesse cadere in cattive mani…”

“Ci penso io al tuo pugnale!” sfrontatezza e arroganza in quella risposta

“Non ti rendi conto di cosa c’è in gioco!” un lamento. La mia insicurezza e il mio timore. “Devono occuparsene gli dei non gli uomini!”

“I tuoi dei non i miei!”

Sparito. E con lui la mia speranza di riottenere il mio prezioso pugnale.

 

….

Deserto. Dune e sabbia ancora una volta.

Rabbia. Sguardo rabbioso, il suo. Spaventato e infastidito il mio. Mi aveva trovato ancora una volta.

“Cos’è che non vuoi dirmi?”

Vicinanza. Il suo respiro si scontrò con il mio. I suoi occhi nei miei. La sua attenzione, finelamnete rivolta solo a me. Ed ora?

Arrendersi? Confessare? Fuggire? Sviare? Confondere?

“Se vuoi il pugnale dimmi tutto. Senza bugie e senza inganni”

No, forse solo fidarsi.

“Ad Alamut c’è il cuore pulsante della vita sulla terra. La clessidra degli dei.

Gli dei, un giorno, guardarono l’essere umano e non videro altro che avidità e tradimento. Inviarono una tempesta di sabbia per spazzare e distruggere la faccia della terra. Ma una bambina supplicò gli dei di dare all’umanità un’altra possibilità, offrendo in cambio la sua vita. Davanti a quella purezza di spirito, gli dei rividero la parte migliore dell’uomo e così raccolsero le sabbie dentro la clessidra. Il pugnale fu affidato alla ragazza che salvò l’umanità; facendo di lei la prima guardiana.

La lama del pugnale è la sola cosa che possa perforare la clessidra e rimuovere le sabbie del tempo, ma il manico ne contiene solo un minuto.”

“E se introducessi il pugnale nella clessidra e premessi il gioiello che fa da pulsante?”

“La sabbia scorrerebbe all’infinito” la mia voce era quasi un sussurro proprio come la sua

“E riavvolgeresti fino a quando vuoi”

Sorrisi della sua logica incosciente. “Si ma è una cosa proibita”

Doveva sapere. Vi erano dei limiti a ciò che era permesso e ciò che non lo era.

Lo vidi guardare il pugnale, accarezzarlo quasi distrattamente.

Mi aveva creduto? Aveva capito l’importanza del mio compito, della mia missione?

“Nisam vuole riavvolgere il tempo e disfare ciò che ha fatto. Non salvare mio padre e lasciarlo morire. Allora sarebbe re per tutta la vita e i miei fratelli non verrebbero mai al mondo”

Consapevolezza. Sincerità e fiducia. Quella breve e segreta confessione era servita ad entrambi. Da quel momento iniziammo a fidarci l’uno dell’altro.

“Ho memorizzato questo sentiero da bambina, come fa ogni principessa. E’ sacro”

Ero così contenta che fossimo arrivati. Eravamo vicini. Finalmente avremmo messo il pugnale al sicuro.

“Il santuario, l’unico posto dove il pugnale è al sicuro.”

Sorrisi soddisfatta e mi voltai a guardarlo. I suoi occhi sembravano unirsi e partecipare alla mia contentezza.

“Rendimi il pugnale… che io possa finalmente nasconderlo”

Ma una grave sorpresa attendeva il nostro arrivo. Un qualcosa che ci avrebbe sconvolto e avrebbe messo a repentaglio la nostra missione.

I custodi erano morti. Tutti, senza possibilità alcuna. Torturati e uccisi. I loro corpi giacevano inermi, ricoperti da un velo sottile di neve fresca. Quei luoghi erano stati profanati, messi a soqquadro e dissacrati. Non era rimasto nulla e nessuno. I custodi erano morti. Tutti morti.

“C’è un solo modo per fermare ciò che sta accadendo. Portare il pugnale al sicuro. Nel tempio c’è la pietra da cui viene il pugnale.”

“Quale tempio?!? Questo è solo un ammasso di pietre e rocce!”

“Primo insegnamento: se tutto fallisce, rimetti il pugnale nella pietra e la pietra lo avvolgerà. Portalo alla montagna restituendolo agli dei. L’originaria promessa deve essere pagata”

 

 

 

 

“Danstan!”

Le sue grida soffocate nel dolore erano qualcosa che non avrei mai dimenticato. Era passato molto tempo, da quando ero entrato in quella maledetta stanza, e ancora il bambino non era nato. La stanza era satura di puzza. Puzzava di sangue e di sudore. Qualcosa di nauseante che mi avrebbe spinto ad allontanarmi velocemente se non fosse stato per lei.

Soffriva e il suo dolore aumentava sempre più. Era sfinita, esausta eppure continuava a lottare. Un paio di volte era anche svenuta, per pochi secondi certo, tuttavia il suo corpo era ormai al limite. Non avrebbe resistito ancora a lungo.

“Quanto manca?” ringhiai rabbioso rivolto al dottore

“Non molto, mio signore. Non molto”

Era già la seconda volta che mi rispondeva con quelle parole e la mia rabbia stava lievitando pericolosamente.

“Farai bene a fare in fretta. In caso contrario mi assicurerò che tu non esca di qui vivo”

Ero infuriato. Arrabbiato con lui ma non solo. Ero furioso con quella maledetta situazione, con il tempo che correva come un forsennato senza tener conto di ciò che si lasciava alle spalle. Ero furioso con me stesso e pure con nostro figlio.

Come osava, ancor prima di nascere, fare del male a sua madre? Come si permetteva di esser così incurante di ciò che stava provocando? Come poteva spingermi ad esser arrabbiato con lui?

Strinsi i denti e aiutato da una giovane schiava mi abbassai velocemente sulla mia bellissima sposa tentando di arrecarle un po’ di sollievo. Le bagnai la fronte con una pezza di lino, le rinfrescai il viso e le braccia. Immersi la pezza in acqua, immergendola nella bacinella, la strizzai. Inumidì la gola e poi il collo.

“Altra acqua. Che sia fresca. Ed altre pezze” ordinai ad un’ancella ferma sulla porta.

La vidi annuire, correre verso di me e prendere il tutto dalle mie mani. Si voltò verso la porta fiondandosi ad eseguire la mia richiesta.

 

 

 

 

 

Altre immagini. Un altro luogo, un altro tempo.

Polvere e mura diroccate mi circondavano. Urla e colpi di spade si espandevano non so bene da quale luogo. Mi avvicinai e rimasi ad osservare, o forse a ricordare, ciò che avevo già vissuto. Vidi la mia figura, me stessa, e poi lui, il mio Danstan. Avevamo percorso quel viaggio assieme e, lo sapevo, lo avremmo concluso assieme. Ci saremmo rincontrati, di questo ne ero assolutamente certa.

“Nisam! Hai ucciso la tua famiglia! Sharaman era tuo fratello!” gridò Dastan

“E la mia condanna”

“Io ti ammiravo”

Continuano a lottare, ferocemente e senza esclusione di colpi. Lottano non lontani dal precipizio, un buco senza fine che li porterà alla fine del mondo, al centro della terra.

“Dastan!” il mio urlo risuonò acuto e terrorizzato

“Non ho mai capito perché mio fratello abbia portato questa feccia nel palazzo. Vai nelle fogne Dastan… perché è lì che rimarrai sotto il mio regno!”

“Tamina!”

Accorsi in aiuto del mio amato.

Supplicai suo zio, quel grottesco personaggio che stavamo combattendo, tentando di portarlo verso la ragione  “Non lo fare!”

Ma lui sorrise indifferente. La rabbia sul volto freddo e distaccato, la brama di potere negli occhi.

Mi gettò verso il precipizio, incurante delle conseguenze.

Dastan venne in mio soccorso, mi afferrò al volo tentando di salvare entrambi da morte certa. Ero aggrappata a lui, al suo braccio e mi tenevo stretta.

Guardai verso il basso, verso l’oscurità che mi attendeva se fossi caduta, poi di nuovo verso Nisam che velocemente si avvicinava alla clessidra con il pugnale stretto in mano.

“Fermalo!” avevo capito “Se la clessidra va in pezzi il mondo finirà con esso!”

Avevo capito quale fosse il mio destino. La salvezza mia e del mondo intero erano nelle mani del mio amato Dastan. Era lui, e solo lui, che doveva giungere alla fine. Vittorioso.

“Non è il mio destino. E’ il tuo! Lo è sempre stato” avevo le lacrime agli occhi eppure la mia voce risuonava sicura quasi dura  “Lasciami andare!”

“Non voglio!”

“Lasciami andare!”

“Non voglio! Non ti lascio!” continuava a resistere, a farsi forza e negare la realtà

“Saremmo stati bene insieme” ormai le lacrime mi inondavano il viso.

Capì che lui non lo avrebbe mai fatto. Non mi avrebbe mai lasciato andare, così lo feci io stessa. Molla la presa sul suo braccio e un attimo dopo stavo precipitando in quel buco oscuro e senza fine. Gridai e sentì il grido di disperazione di Dastan.

Il mio viaggio finiva lì.

 

Me lo ritrovai davanti all’improvviso. Sorrideva e mi guardava con quei suoi occhi magnetici. Si era inchinato ai miei piedi ed ora mi porgeva il mio pugnale.

Sorrisi divertita ma anche felice come non mai. Vedere la mia immagine, lì di fronte a me, faceva uno strano effetto.

Scoppiai a ridere quando iniziò a parlare. Le sue parole e il suo tono sembravano esitanti ed insicure. Che fosse in difficoltà?

Ora ricordavo. Ricordavo di nuovo. Ricordavo tutto.

Sorridevo, anzi ridevo, felice. Ora non vi erano più ostacoli tra me e il mio futuro.

Il mio passato era finalmente ritornato a me, alla mia mente. Ora mi aspettava solo un radioso e felice avvenire.

 

 

 

 

“Eccolo!” esclamò il dottore quasi gridando “E’ nato. E’ un maschio!”

Sorrisi felice e senza più trattenere le lacrime mi accasciai sul corpo di Tamina.

Le accarezzai il viso, con mani tremanti, le baciai le guance e poi la bocca. Sorridevamo felici, entrambi esausti. Lei più sfinita del sottoscritto.

La sentì sussurrare al mio orecchio, guardarmi e sorridere.

“Ora ricordo tutto” ripetè a voce un poco più alta  “Mi ricordo tutto, Dastan. Mi ricordo di te e di me. Ricordo il nostro viaggio e le discussioni, i luoghi e il bacio … ricordo di essere caduta e poi di averti visto di nuovo. Mi ricordo tutto!”

Non smisi nemmeno per un secondo di accarezzarla, i suoi occhi dolci mi guardavano in attesa di una risposta

“Ti amo, Tamina” risposi con un sorriso raggiante “Ti amo da morire. Vi amo da morire.” Rettificai ancora parzialmente confuso  “Ed ora so che passato o presente non contano nulla se non ho te accanto. Voglio solo amarti fino alla fine dei miei giorni. Solo te.”

 

  
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