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Autore: CathLan    15/06/2013    6 recensioni
[Teen Wolf (serie televisiva)]
Dylan O'Brien e Tyler Hoechlin. Un bagno e qualche bicchierino di troppo.
-Dylan rise e strinse le ginocchia contro i suoi fianchi. Seduto sul lavandino com’era doveva avere non poco fastidio, eppure non si lamentava. «Cioè devi contare i miei nei altrimenti non riuscirai a prendere sonno?»
«Sì».
«Allora puoi farlo, non mi perdonerei mai se domani all’intervista arrivassi con delle occhiaie da film horror».
Tyler annuì e ricominciò a far passare i polpastrelli sul viso dell’altro, tracciando disegnini immaginari sulle guance, sul mento, il collo, ovunque. Non stava contando proprio niente, non ce l’avrebbe nemmeno fatta. [...]
Genere: Erotico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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 I'm in love with all your little things
 

Prompt: Beauty spot
Fandom: cast Teen Wolf
Rating: arancione scuro (?)
Genere: sentimentale, erotico
Pairing: Tyler Hoechlin/Dylan O’Brien
Avvertimenti: probabile PWP, slash, nonsense
Beta: FINNtastic, as usual
Note: one shot nonsense. Io dovrei studiare per l’imminente maturità continuare le mie cavolo di long e invece sono qui a pubblicare queste cose che boh, è che Teen Wolf mi annienta. Essere una multi-shipper è doloroso, davvero.
Per scrivere ciò mi sono ispirata a:
Questo video.
Questa fan fiction sul Cast di Supernatural (Jensen/Misha).
E, tanto per precisare, non ho la più pallida idea se Dylan è davvero fidanzato o meno, ma mi esaltava l’idea di fargli tradire la squinzy #lol
Ora vi lascio a questa sbobba.

DISCLAIMER: io queste cose me le invento, non so proprio se le fanno davvero o se le hanno mai fatte (i hope so) e loro, naturalmente, non sono miei. Altrimenti sarei molto gelosa e non scriverei nulla èwé


Durante le premier era difficile non far notare all’universo quanto i suoi occhi fossero calamitati dalla figura di Dylan, ma ancora più complicato era non fare trasparire niente nel bel mezzo di un’intervista.
Era assurdo, davvero. Non gli era mai capitato prima -o forse sì, ma solo qualche rara e innocua volta che non aveva minimamente preso in considerazione- di essere attratto in quel modo dal fisico di un uomo e non poteva fare a meno di farsi prendere dal panico. Non era normale, okay?
Rimanere minuti interi a fissare trasognante i nei sulle guance del suo collega, a bramare le sue labbra sempre spalancate per sparare fuori qualche discorso assurdo, a rimirare le deliziose sfumature d’ambra in quegli occhi veramente troppo grandi e luminosi non era normale.
Qualche volta lo odiava, doveva ammetterlo, quando quello si voltava dalla sua parte e si metteva ad osservarlo allo stesso modo. Lo odiava e la tentazione di afferrargli il volto con le mani e spremerlo contro il suo si faceva un po’ troppo spazio dentro di lui, era preoccupante e destabilizzante. Lo faceva sentire frustrato e insoddisfatto, anche maniaco, se doveva essere completamente sincero.
E il fatto che entrambi fossero attratti l’uno dall’altro con la stessa intensità era alquanto doloroso. Non solo perché erano due uomini, due attori famosi e Dylan fosse fidanzato.. no, okay era solo per quello. Perché altre ragioni non c’erano. Se solo fossero stati di sesso opposto, entrambi single e non famosi sarebbe stato tutto sicuramente più semplice. Ma la realtà era tutt’altra e farci i conti, qualche volta, faceva veramente male. Soprattutto quando, dopo un’intervista in cui avevano faticato entrambi a tenersi gli occhi non incollati addosso, dovevano pure subirsi una rimpatriata al bar con tutti gli altri. E bere, bere e stare seduti vicini. Troppo vicini.


Alla terza birra Tyler si sentiva leggermente offuscato e eccitato. Offuscato dall’alcool, eccitato dalla coscia di Dylan incollata alla sua sotto al tavolo. C’era troppo poco spazio, non potevano scegliere un altro diavolo di tavolo? No, e va bene.
Strinse tra le dita l’ennesima bottiglia ghiacciata che Daniel gli passò e ne ingollò un lungo sorso. Gli rinfrescava la gola. Sì, okay, non solo quella.
«Ragazzi, che cosa ne pensate della nuova stagione?» chiese Posey, grattandosi la mascella storta. Sembrava lievemente brillo. «Dite che riceverà molti ascolti la puntata?»
Tutto il tavolo lo guardò stralunato. Okay, era completamente andato.  
«Tyler, c’è stata due giorni fa. Siamo a mercoledì» trillò Holland, con la bocca rossa stretta attorno ad una cannuccia. Anche lei non molto sobria.
Il protagonista della serie sembrò sconvolto dalla notizia e ci mise un po’ per rielaborarla e comprenderla davvero. «E com’è andata?»
«Bene, è andata bene. La serie sta riscuotendo una buona popolarità» rispose Crystal mostrando tutta la dentatura con un sorriso.
Posey annuì e lasciò perdere, certamente più contento di seguire le bollicine nel suo cocktail che stare a sentire discorsi troppo difficili per i sue ultimi due neuroni sani.
Il resto del gruppo riprese a dialogare e ridere come se niente fosse, mentre Tyler, il licantropo alpha, si riportò la canna della bottiglia alle labbra sorseggiando quanto più birra gli riuscisse in poco meno di due minuti.
Il ginocchio di Dylan si scontrò con il suo e allora si diede il permesso di lanciargli una brevissima occhiatina di traverso. Inutile dire che se ne pentì subito. Gli occhi del più piccolo lo stavano osservando attentamente mezzi nascosti dalle ciglia folte e lunghe, mentre la lingua passava di traverso sulle labbra secche. Che visione, signori.
Rimasero a crogiolarsi l’uno nelle iridi dell’altro finché Dylan, sbattendo malamente un gomito contro il legno scuro del tavolo -ed aver imprecato a mezza voce-, si alzò e se ne andò rapidamente, dirigendosi a grandi falcate verso il bagno. L’aveva visto davvero il rigonfiamento sotto la patta o l’alcool gli stava facendo brutti scherzi?
E Tyler davvero lo sapeva che tutto ciò che poteva -doveva- fare in quel momento era starsene seduto buono buono e attendere che la serata finisse, per poi far tornare il più piccolo a casa dalla sua ragazza, ma le gambe agirono da sole. Lo alzarono dalla sedia e gli fecero seguire la scia lasciata dal profumo del dopobarba del ragazzino.


Che poi chiudersi la porta alle spalle, afferrare di peso Dylan e sbatterlo contro la scritta “rispetta la tua intelligenza e il mio lavoro, fai centro[i]” fosse stata un’idea sua o delle sue mani non lo avrebbe capito mai.
«Dai, Tyler smettila, sei ubriaco» protestò il più piccolo, posando i palmi contro i suoi pettorali non tanto per allontanarlo, quanto per farlo restare lì. Era un paradosso vivente, quel ragazzino.
«Anche tu lo sei e poi te l’ho detto, devo farlo».
Dylan rise e strinse le ginocchia contro i suoi fianchi. Seduto sul lavandino com’era doveva avere non poco fastidio, eppure non si lamentava. «Cioè devi contare i miei nei altrimenti non riuscirai a prendere sonno?»
«Sì».
«Allora puoi farlo, non mi perdonerei mai se domani all’intervista arrivassi con delle occhiaie da film horror».
Tyler annuì e ricominciò a far passare i polpastrelli sul viso dell’altro, tracciando disegnini immaginari sulle guance, sul mento, il collo, ovunque. Non stava contando proprio niente, non ce l’avrebbe nemmeno fatta. «Non li hai solo qui, vero?»
Le pupille di Dylan si dilatarono, mentre un colorito adorabile gli scottò le gote. «No» soffiò, giocherellando con la maglietta del più grande.
«Dove?» gli mancava il respiro, e anche la voce. E anche la ragionevolezza.
«Ovunque».
E okay, magari se non fosse stato ubriaco sarebbe riuscito a fermarsi, ma in quel momento la tentazione fu molto più forte e accecante della poca razionalità che gli era rimasta.
Baciare le labbra screpolate e strappare le pellicine con i suoi stessi denti, infilare le dita tra quei capelli ora fin troppo lunghi e spingere il bacino contro quello stretto del collega divenne una questione di vita o di morte.
Dylan aveva un sapore che mai, sul serio mai, si sarebbe immaginato e che mai e poi mai avrebbe scordato. Sapeva di fragola -dovuto a tutti quei superalcolici che si era scolato come se non ci fosse un domani-, birra -il suo sapore trasferito dall’incontro di salive- e menta. La menta di tutte quelle cicche che masticava sempre, con foga.
Dylan ricambiò il bacio spalancando la bocca e, senza preoccuparsi, gli infilò le mani sotto la t-shirt. Tracciò con dita tremanti le linee degli addominali e poi quelle delle ossa iliache, strappandogli un gemito soffocato. Tutto ciò che riuscì a combinare Tyler, invece, fu leccargli il palato e massaggiare quella schiena che non si aspettava di trovare così ampia.
«Io devo ancora finire di contare» riuscì ad ansare, dopo parecchi istanti. Stava impazzendo e non riusciva ad afferrare l’aria come avrebbe dovuto. «Non posso se tu mi distrai».
«Io non ti distraggo, sei tu che mi sei saltato addosso» miagolò il più piccolo, senza fermare un attimo l’andirivieni delle unghie sul suo torace. Il lato positivo era che non sembrava affatto dispiaciuto dell’attacco.
«Credo di averne contati sei».
Dylan scrollò la testa sorridendo sornione. «Ti assicuro che da altre parti ne ho molti di più».
Tyler lo guardò male. «Vedi che mi deconcentri?»
«Ho solo detto la verità».
«Beh, smettila».
Un sopracciglio del ragazzo si sollevò verso il ciuffo castano. «La vuoi sapere un’altra cosa?»
L’attore alpha avrebbe voluto rispondere che no, non gli interessava affatto, ma non sarebbe mai stato in grado di mentire così spudoratamente. «Sì».
«Ho un’erezione da quando siamo entrati» ammise Dylan, mordicchiandogli la mandibola barbuta. «In realtà ho un’erezione ogni volta che ci sei tu».
Un incendio gli esplose tra le gambe, facendogli venire un capogiro. Si aggrappò al lavandino e si lasciò esplorare la mandibola dalla bocca del ragazzo più giovane. Gli era impossibile fare altro, quando era a tanto così dall’avere l’orgasmo più intenso della sua vita. Ed era assurdo, perché non si erano nemmeno toccati davvero.
«Quindi ci speravi che ti seguissi in bagno» disse ironico, quando di ironico, in quella faccenda, non c’era niente.
Dylan smise di morderlo e indietreggiò un po’ con la testa, incontrando il suo sguardo. «Te l’ho mai detto che hai degli occhi bellissimi?» fece, sbattendo le ciglia come un’adolescente innamorata.
Tyler rise. «Sei ubriaco».
«Ti assicuro che lo penso anche quando sono sobrio».
«Allora grazie e no, comunque. Non me l’avevi mai detto prima».
Dylan corrucciò le labbra. «Ora lo sai».
«Bene, fammi finire di contare».
Il ragazzino annuì e si fece tutto serio. Smise persino di toccarlo o assaggiarlo. Si raddrizzò per bene e attese, mentre lui faceva scorrere lo sguardo su quei piccoli puntini color caffè-latte che gli ricoprivano la pelle diafana.
«A quanto sei arrivato?» chiese d’un tratto Dylan, inclinando di lato il capo. «Sono stanco di stare immobile».
«A sei, non riesco ad andare avanti».
La risata del minore sbocciò come musica. «Sei senza speranze, vorrà dire che stanotte non dormirai perché sarai troppo preso a pensare a me».
«Non sarebbe la prima volta» gli scappò. O meglio, lui voleva dirlo, perché sapeva che la reazione di Dylan sarebbe stata imperdibile. E infatti, quello arrossì e si grattò la punta del naso alla francese tutto imbarazzato.
«E cosa fai, a letto da solo, mentre pensi a me?»
Oh, quindi il ragazzino voleva giocare a quel gioco. Tyler si sbilanciò verso il corpo dell’altro e gli posò le labbra nella conchiglia dell’orecchio. «Mi tocco e chiudo gli occhi» rispose, a bassa voce. «Mi piace immaginare che ci sia la tua mano a toccarmi».
Dylan lasciò andare un mugolio indistinto e strinse le cosce intorno a lui. Gli afferrò i lati del viso barbuto e lo portò di fronte al suo, avvicinandoselo fino a che tra l’uno e l’altro non ci fu che qualche centimetro. Potevano sfiorarsi con le ciglia, respirarsi addosso e sentirsi partecipi di un’esistenza diversa.
«Ehi, io devo pisciare!» gridò Posey con la voce deformata dall’alcool. Sbatté più volte il pugno contro il legno della porta e urlò qualcos’altro che non aveva senso.
I due si divisero controvoglia e Tyler aiutò il minore a scendere dal lavandino, stringendogli i fianchi. «Vieni a casa mia, così potrò finire di contare i tuoi nei e riuscirò a dormire sonni tranquilli» quasi pregò, baciando la tempia di Dylan con fare da sentimentale.
Il ragazzo, a differenza di quanto Tyler si sarebbe immaginato, sorrise e gli accarezzò la guancia. «Ora andiamo di là, così dico a Crystal che ho alzato un po’ troppo il gomito e che tu ti sei offerto di accompagnarmi a casa».
Se Tyler non avesse posseduto le orecchie gli si sarebbe aperta la faccia in due da quanto grande era il suo sorriso. «Basta che imiti le condizioni pietose di Posey e non desteremo dubbi».
Un Posey che, proprio in quel momento, era mezzo spalmato sul pavimento con la fronte appoggiata alle mattonelle e le mani tra le gambe.
«O magari inventerò semplicemente che ho un fastidiosissimo mal di testa».
«Devo fare la pipì ragazzi, aiutatemi» piagnucolò il ragazzo completamente andato, allungando le braccia verso di loro. «Credo di stare per farla qui, proprio qui! La sento che vuole uscire».
Tyler rise e agguantò Posey per la manica. «Sì, Dylan, forse è meglio l’emicrania».


 


[i] “rispetta la tua intelligenza e il mio lavoro, fai centro” l’hanno messo il personale ATA nel bagno dei maschi, nella mia scuola. L’ho sempre trovato particolarmente esilarante.

  
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