Anime & Manga > Inuyasha
Segui la storia  |      
Autore: Deliquium    01/01/2008    6 recensioni
Nove Capitoli, uno per ogni mese della gravidanza di Izayoi.
Genere: Generale, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Sesshoumaru
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

The First Month

    Si sfiorò il ventre, mentre le acque calde lambivano il suo corpo, lasciando fuori solo le spalle. Rivoli di vapore si sollevavano dalla superficie increspata dai suoi lievi, quanto lenti, movimenti. I lunghi capelli corvini erano raccolti sulla sommità del capo, e le ricadevano in armoniose ciocche sulle scapole candide.
Fissava l’acqua trasparente aspettando di vedervi comparire qualche rigagnolo sanguigno, qualcosa che avrebbe potuto mettere fine ai suoi dubbi. Ma l’acqua continuava ad essere limpida.
    Ormai ne aveva quasi la certezza ed era solo questione di settimane prima che cominciassero a vedersi i segni della sua gravidanza.
Si nascose il viso tra le mani.
    - Oh, Yumiko. Yumiko. – sussurrò scuotendo la testa.
    - Mia signora…
    Yumiko le appoggiò le mani sulle spalle, cercando di fermare i sussulti involontari che scuotevano il suo corpo.
Era vecchia Yumiko, aveva più di cinquant’anni e un fisico contadino sotto il kimono chiaro. Teneva i capelli candidi acconciati in uno chignon dietro il capo e chiusi da un fermaglio a forma di farfalla: un vezzo fanciullesco che non aveva mai abbandonato.
    La ragazza sollevò il capo. Aveva gli occhi colmi di lacrime e un debole rossore sulle guance neviche.
    - Sono incinta, Yumiko. Sono passate quasi due settimane dal giorno in cui dovevo avere le mestruazioni e guarda… - con sconforto indicò le acque.
    Yumiko, senza dire una parola, camminando a passi ravvicinati sul tatami, andò a prendere un asciugamano e, ritornata nei pressi della vasca, aiutò Izayoi ad alzarsi.
    Tremava, Izayoi. Aveva freddo, Izayoi. Il tempo le era nemico. Nove mesi e poi avrebbe stretto quella creatura tra le braccia.
Pianse, Izayoi. Pianse appoggiando il suo capo sulla solida spalla della sua serva.
    - Non preoccupatevi, principessa – le disse Yumiko, carezzandole amorevolmente il capo – sistemeremo tutto. Vedrete che il principe Takemaru non lascerà che uno scandalo simile colpisca la madre di suo figlio.
    Izayoi si allontanò in fretta. Gli occhi spalancati, le labbra tremanti. Scosse la testa disperata, come se la donna le avesse rivolto una gravissima accusa. Come avrebbe potuto dirle la verità? Come avrebbe potuto affrontare questi nove mesi e tutto il terribile bagaglio di sciagura che sentiva legato a sé, ovunque fosse andata?
    - Yumiko.
    La sua voce era tremante. Pronunciava il nome con disperazione, celando dietro ad esso un fiume di parole che premevano per essere dette. Chiamava, con voce flebile. Una tonalità satura di dolore e paura.
    Yumiko la guardò. Era immobile la sua principessa. Aveva gli occhi che tremavano di terrore e il volto così pallido da farle temere un mancamento.
    - Non è Sestuna no Takemaru il padre di vostro figlio? – chiese.
    Izayoi scosse la testa, nascondendosi il viso tra le mani.
    - No. Non è lui. Non è lui, Yumiko.
    La donna l’abbracciò. La sua bambina, la sua perfetta, bellissima bambina. Chi aveva osato sporcare la sua virtù? Avrebbe parlato con Hiroshi, il capo delle guardie, e avrebbero dato una bella lezione a quella canaglia, chiunque fosse.
    Si sedettero sull’agariba accanto alla vasca. Izayoi, chiusa nell’abbraccio della donna, non sussultava più. Aveva l’impressione di essere tornata indietro agli anni della sua infanzia, quando per risolvere ogni problema bastava un niente.
    - Principessa. – la chiamò ad un tratto l’anziana signora.
    Izayoi sollevò un poco il capo.
    - Chi è stato? Ditemi il suo nome, e dove possa trovarlo. – sussurrò la donna.
    Izayoi si alzò di scatto. Il suo volto era incandescente e i suoi occhi inviavano zampilli di terrore e vergogna che non sfuggirono all’anziana donna.
    - Che dite, Yumiko? No, voi non potete chiedermi questo… io… io…
    - Principessa, so che vi fa male, ma dovete dirmi il suo nome. Vedrete… lo troveremo e gli daremo la giusta punizione per quanto vi ha fatto.
    Izayoi scosse la testa con forza, mordendosi le labbra.
    - No, Yumiko. No. Voi non capite! Lui… lui…
    - Parlate principessa. Lui… cosa?
    Izayoi camminava tenendosi l’asciugamano ben stretto attorno al corpo. I suoi piedi nudi lasciavano piccole ombre sul tatami. Yumiko la seguì per qualche istante con lo sguardo, poi si alzò a sua volta e andò a prendere il kimono dai colori pastello che la principessa avrebbe indossato.
    - Io non posso dirvi il suo nome.
    La sua voce s’era fatta improvvisamente calma, quasi rassegnata.
    - Perché non volete dirmelo, principessa? Egli deve pagare. Vi ha… violentata.
    Disse l’ultima parola a bassa voce, come se la sua semplice emissione sporcasse le sue labbra, la sua anima.
    Izayoi spalancò gli occhi.
    - Lui… lui… non mi ha violentata. – disse tremante.
    - Non vi ha violentata? Quindi, è un uomo che voi amate… E’ un uomo del popolo? Per questo siete così spaventata?
    Izayoi scosse la testa, ancora una volta.
    - Vi ha forse detto che non riconoscerà il bambino? E’ per questo che avete paura? – l’incalzò la donna.
    - Lui non sa che io aspetto un bambino.
    - Dovreste dirglielo e dovreste obbligarlo ad adempiere ai suoi doveri di padre. Il vostro onore…
    - Il mio onore? Il mio onore è infangato! – urlò Izayoi.
    Yumiko sgranò gli occhi. Cosa poteva sconvolgerla in quel modo? La sua bambina era lì, davanti a lei. Bellissima e spaventata come un cucciolo abbandonato nel bosco. Quale pensiero deturpava quella bellezza così rara e delicata, quella bellezza conosciuta persino al di fuori dei confini del loro regno?
    - Principessa, - cominciò con dolcezza – non abbiate paura a confidarmi con me. Ditemi cosa vi affligge… vi prego. Altrimenti, come potrò aiutarvi?
    - Nessuno può aiutarmi. Non più!
    Izayoi uscì dalla stanza, il lungo kimono accarezzava rabbioso il tatami, mentre lei attraversava i vuoti corridoi.
    Yumiko le corse dietro ed osando un po’ troppo rispetto al suo ruolo di semplice serva, ebbe l’ardire di afferrarle un braccio.
    - Perdonatemi principessa, ma non posso permettervi di affrontare questo dolore da sola. Vi voglio bene, siete la mia bambina e non dovete aver paura a confidarvi con me.
    Izayoi si gettò tra le braccia della donna. Piangeva. Un pianto sommesso, profondo, disperato.
    - Yumiko… Yumiko… - sussurrava tra le lacrime.
    La donna la stringeva forte, attendendo pazientemente che Izayoi si calmasse. Erano inginocchiate nel mezzo del lungo corridoio. Le torce le illuminavano debolmente, lasciando che le loro ombre si allungassero sotto di loro.
    Dopo molti istanti, trascorsi senza proferire parola, Izayoi si staccò da quell’abbraccio. Aveva smesso di piangere e nei suoi occhi c’era solo una profonda commiserazione.
    - Questo bambino, che io porto in grembo, è figlio… - s’interruppe, incapace di proseguire.
Yumiko la guardò con insistenza, attendendo che la principessa trovasse il coraggio di terminare la frase.
    - … di un demone – disse lieve come il sussurro della brezza marina.
    - Un demone?
    - Shhh… vi prego, Yumiko. Non gridate. – si affrettò ad ammonirla la principessa, appoggiando la sua bianca mano sulla bocca della donna quale esortazione a non far rumore.
    Yumiko chinò il capo in segno di scuse, e continuò a bassa voce. – Pagherà per quello che ha fatto. Approfittare di una povera fanciulla…
    - Yumiko, vi ho detto che non sono stata vittima di violenza.
    - Ma vi ha plagiata. – continuò imperterrita la donna.
    Izayoi scosse la testa.
    - Non mi ha plagiata. Io e lui… ci amiamo.
    - Che cosa?
    Yumiko si era alzata in piedi di scatto, facendo quasi cadere la principessa. La guardava dall’alto, attonita, come se Izayoi avesse appena pronunciato una grave blasfemia.
    - Yumiko, non gridate. Vi prego!
    - Ma principessa, vi rendete conto di quello che avete detto? – continuò la donna, inginocchiandosi nuovamente sul tatami.
    - Me ne rendo conto, Yumiko, ma è la verità. Io lo amo e non potrei vivere senza di lui.
    - Oh, kami del cielo, cosa devono sentire le mie orecchie?! Un demone… ?! Vi siete innamorata di un demone?! E cosa ancor peggiore… siete incinta?!
    - Non infierite, vi prego. Conosco già da me la sorte a cui andrò incontro.
    - Metterete al mondo un mezzo demone.
    - Lo so.
    - La sua vita sarà segnata dalla sofferenza e dalla sfortuna. Condannato sia dagli uomini, sia dai demoni, non avrà pace.
    - Basta. Basta. Yumiko vi prego. Lo so… So già che metterò al mondo una creatura infelice. Come credete che debba sentirmi?
    Izayoi conosceva molto bene il destino riservato ai mezzi-demoni, la loro vita contrassegnata dalla mancanza di una vera identità: rifiutati dagli uomini e dai demoni, spesso vivevano isolati, nell’estremo tentativo di proteggersi dalla crudeltà delle due razze, entrambe incapaci di accettare un essere ibrido. Se erano fortunati, morivano in giovane età, liberati dall’atroce tormento della vita.
Abbassò le mani che avevano stretto con rabbia i suoi capelli: l’ira verso sé stessa, non avrebbe cambiato le cose. Quella creatura esisteva già dentro di lei e avrebbe passato gli ultimi nove mesi a crescere nel suo ventre, a nutrirsi di ciò che lei gli avrebbe dato.

    Al mattino la svegliò il canto del gallo. Lui non era venuto. Lo aspettava, ma ringraziò Amaterasu per non averlo condotto a lei quella notte. Era troppo scossa e sicuramente avrebbe commesso un’imprudenza. Yumiko l’aiutò a lavarsi e a vestirsi e la condusse nella sala principale dove suo padre l’attendeva per la prima colazione.
    La stanza era molto ampia, dai colori caldi, legnosi, illuminati dalla raggiante luce che filtrava dagli shoji appena dischiusi sul cortile interno. L’arredamento era ridotto al minimo, solo qualche kakemono a ravvivare la severità dell’ambiente.
L’uomo era seduto compostamente davanti al piccolo tavolo di legno di faggio, già apparecchiato di tutte le pietanze previste per quella mattina.
Izayoi prese posto al suo fianco, riservando al padre un impercettibile saluto.
Prese la piccola ciotola ricolma di riso, sollevandola all’altezza del petto e iniziò ad attingervi tramite le bacchette. Era già trascorso un po’ di tempo da quando avevano incominciato a consumare il cibo, ma Izayoi ne aveva mangiato solo qualche boccone.
    Atasuke appoggiò le bacchette e voltandosi verso la figlia chiese:
    - Figlia mia, va tutto bene?
    Izayoi annuì.
    - Sì padre. Solo che ho poco appetito. – spiegò, appoggiando sul tavolo la ciotola ancora piena di riso.
    - Stai male, bambina mia? Dirò a Yumiko di far venire il medico. Ma tu mangia qualcosa, almeno. Hai toccato appena il cibo.
    - Lo so, padre, perdonatemi. – rispose la ragazza, distogliendo lo sguardo.
    La sensazione che gli stesse nascondendo qualcosa era assai forte, tuttavia, non poteva ignorare i propri doveri e seppure a malincuore dovette recarsi immediatamente presso le sue stanze per terminare l’organizzazione del viaggio.
    Attraversò meditabondo il corridoio ed entrò nella sua stanza. La luce del sole illuminava l’intera camera, immergendola in un antro di luce. I suoi bagagli erano quasi pronti. Sistemò le ultime cose e sbirciò fuori dalla finestra. Nel cortile, come da lui ordinato poco prima, il gruppo di soldati, scelto per costituire la sua guardia, era già pronto.
Si lasciò la finestra alle spalle, compiendo lunghi passi silenziosi. Il futon era ancora in mezzo alla stanza, disfatto. Attraversò tutta la camera, combattuto dal desiderio paterno di restare e il dovere politico di partire. In qualità di shugo di quella provincia aveva dei compiti ben precisi ai quali non poteva sottrarsi, neppure per questioni familiari.
Del resto, il suo amore di padre gli impediva di partire a cuor leggero, senza far nulla per la sua principessa.
    Peratanto prese una carta e scrisse due colonne di kanji. Arrotolò la lettera, la chiuse con un nastro rosso scuro e chiamò uno dei servitori che stazionavano perennemente fuori dalle sue stanze.
    - Porta questa lettera al palazzo del principe Takemaru. E fai in modo che venga consegnata a lui di persona.
    Il servitore s’inchinò e corse via.
    Atasuke rientrò nella stanza e attese che venissero a prendere i suoi bagagli. Ora che aveva affidato sua figlia nelle mani di Takemaru, si sentiva molto meglio e sarebbe partito con il cuore libero da preoccupazioni. Qualsiasi cosa sarebbe capitata alla principessa, Takemaru l’avrebbe protetta, anche a costo della vita.
    Partì con tranquillità, salutando Izayoi un’ultima volta, sul cancello d’ingresso al palazzo. La principessa era corsa verso di lui, mentre la delegazione si muoveva e gli si era gettata tra le braccia, con la forza e la disperazione di chi sta dando un addio.
    - Tornerò presto. – la rassicurò, stringendola a sé ed accarezzandole il capo.
    Izayoi annuì e si ritrasse. La sua figura, nell’ampio kimono, appariva ancora più minuta di quella che era. Cercò di abbozzare un sorriso, nonostante il suo viso fosse contrito dall’ansia. Sapeva che suo padre era partito con il cuore saturo di preoccupazione e sapeva che egli non aveva creduto alle sue parole.
    Quando anche l’ultimo soldato sparì dalla sua vista, Izayoi rientrò nel palazzo.

    Il pomeriggio giunse rapidamente. Izayoi non aveva pranzato e non era ancora uscita dalla sua stanza. Yumiko le aveva portato invano del riso e del pesce, e l’aveva pregata di raggiungerla in giardino, ma nulla, Izayoi preferiva restare in solitudine.
    Srotolò l’emakimono adagiandolo sul grembo. Era una vecchia storia, risalente a quasi due secoli fa, e ormai aveva perso il conto del numero di volte che si era appassionata alla vita del Principe Genji. Sorrise tristemente, lasciando che i suoi occhi scorressero orizzontalmente sui disegni dal tratto sottile e dai delicati colori.
Trascorse minuti, forse ore, con il capo chino sul vecchio rotolo. Le ombre si allungavano sul tatami, mentre gli ultimi raggi imprimevano al giardino un effetto irreale. Molto presto, al completo calar del sole l’usignolo che lui le aveva regalato avrebbe cominciato a cantare. Non se l’aspettava da lui, un regalo del genere e per giunta, vivo. Si alzò, riponendo l’emakimono nel basso mobile accanto allo shoji aperto ed uscì sull’engawa. Vi discese e attraversò il breve spazio che la separava dal giardino.
    L’inverno era solo un tenue ricordo e la primavera aveva tinto di colori floreali il verde della vegetazione. Camminò, guardandosi attorno, estasiata dalla bellezza di quelle piante: così forti e vive. Sollevò il capo, cercando uno sprazzo di cielo. Aveva preso sfumature blu cobalto e un tenue chiarore, ancora timido, ma destinato a rafforzarsi, era il preannuncio della splendente luna che ci sarebbe stata quella notte.
    Restò lì, a contemplare la bellezza del giardino, per un tempo che non le fu facile stabilire. S’accorse che il sole era quasi completamente tramontato, solo quando Yumiko la raggiunse.
    L’anziana donna camminava verso di lei, mantenendosi una mano sul petto. Aveva corso e aveva il respiro affannoso. Izayoi attese che la donna riprendesse fiato.
    - Principessa – cominciò Yumiko con la voce ancora frammentata – il principe Takemaru chiede di potervi vedere.
    - Takemaru? – domandò Izayoi avvicinandosi alla donna.
    Non attendeva Takemaru per quella sera, e non era solito venire a palazzo così di frequente. Inoltre, recentemente le avevano detto che era lontano. Rientrò nella stanza, seguita da Yumiko.
    - Forse è solo una visita di cortesia. – ipotizzò la donna.
    - Sì, sicuramente sarà così.

    Le due donne lasciarono la stanza della principessa e si avviarono nel salone dove il principe Takemaru era stato fatto accomodare.
Indossava un kimono scuro e attendeva rivolto verso lo shoji che dava sul cortile interno.
Quando Izayoi entrò si voltò di scatto, precipitandosi al cospetto della principessa e inginocchiandosi ai suoi piedi.
    - Principessa Izayoi, sono lieto che voi mi abbiate ricevuto così celermente, nonostante la tarda ora.
    Izayoi lo invitò ad alzarsi. Dietro di lui, lo shoji aperto mostrava una luna che splendeva pallida sul mondo degli uomini, contrassegnando i contorni con ombreggiature rimescenti.
    - Mio buon Takemaru, a cosa devo la tua visita? – chiese la principessa, conducendolo presso il basso tavolo posto in un angolo della stanza.
    Takemaru si sedette sul tatami insieme alla principessa. Nella lettera che aveva ricevuto dopo pranzo, Atasuke lo pregava di vegliare su Izayoi in sua assenza. Non gli scrisse nient’altro e Takemaru pensò che fosse la semplice volontà di un padre che desiderava proteggere sua figlia da immaginari e probabili pericoli, mentre lui era lontano.
Il principe fu ben lieto di adempiere alla richiesta dell’uomo, tanto più che non era ormai un mistero il profondo sentimento che lo legava ad Izayoi.
    Yumiko entrò nella stanza recando un vassoio. Si avvicinò silenziosamente al basso tavolino, appoggiando su di esso due ciotole basse e tonde.
    Takemaru osservava con discreta attenzione il profilo della principessa, alla ricerca di qualcosa che potesse confermare il presunto timore di suo padre e con suo sommo dispiacere lo trovò. C’era un’ombra di mestizia sul volto della ragazza. Una luce oscura che ne annebbiava la giovialità. Non voleva apparire invadente, ma era suo dovere scoprire cosa rattristasse così tanto la sua amata Izayoi.
Attese pazientemente che Yumiko finisse di versare il te nelle ciotole, poi quando la donna si chiuse il fusuma alle spalle, iniziò:
    - So che vostro padre è partito.
    - Sì. – rispose pacatamente la principessa. – Stamattina. Ma voi, come fate a saperlo?
    - Mi ha inviato una missiva oggi stesso, chiedendomi di … prendermi cura di voi. – spiegò Takemaru.
    - Cura di me? Ma io sto bene, Takemaru.
    - Sì, lo so. Tuttavia… vostro padre è molto preoccupato per voi…
    Izayoi non gli fece finire la frase e prendendogli le mani gli sussurrò: - Takemaru. Io sto bene. Non c’è nulla che mi preoccupi.
    - Sì, principessa, tuttavia, permettetemi di adempiere al mio dovere. Vostro padre mi ha chiesto di prendermi cura di voi…
    - Ma io so badare a me stessa. – rispose lei.
Takemaru rimase sorpreso dalla punta di stizza che trapelò dalla sua voce. Fu un’inclinazione impercettibile, ma in un animo dolce e premuroso come quello di Izayoi era un qualcosa che spiccava come una macchia nera su un tatami bianco.
    - Principessa, non volevo assolutamente dire che voi non siete in grado di badare a voi stessa. Tuttavia, consentitemi di potervi proteggere… Stiamo attraversando un periodo molto pericoloso… e vostro padre è in una posizione alquanto… complicata.
    - Lo so molto bene Takemaru, mio padre non ha mai visto di buon occhio l’azione di forza perpetrata da Takauji e sono molto preoccupata per lui.
    - Condivido la vostra preoccupazione principessa. Lo scisma che si è verificato non porterà a nulla di buono, ma io ho fiducia in vostro padre e so che saprà gestire magnificamente la situazione.
    Izayoi annuì poco convinta. Sapeva che suo padre era un uomo in gamba, uno che avrebbe sempre valutato molto attentamente la situazione, prima di prendere una decisione. Tuttavia, non poteva impedire al suo animo di provare una forte apprensione. Era così, tutte le volte che lui partiva.
    Takemaru sorseggiò il te preparato da Yumiko e restò qualche momento in silenzio, con lo sguardo fisso davanti a sé. Izayoi non aggiunse altro alle sue parole. Era una serata tiepida e un lieve venticello portava dentro la stanza gli effluvi odorosi dei fiori del giardino.
    - Vorrei che veniste a palazzo con me. – disse all’improvviso il principe, cogliendola di sorpresa.
    Izayoi per poco non lasciò cadere la tazza e si riservò alcuni attimi per elaborare bene le parole di Takemaru. Vivere a palazzo con lui?
Con la mano leggermente tremante appoggiò la tazza sul tavolino, poi sollevò il volto verso il principe.
    - Principe Takemaru, ma cosa…
    - Principessa, ho promesso a vostro padre di proteggervi e l’unico modo per farlo è ospitarvi a palazzo. – Vedendola titubante aggiunse – Sarà solo per il tempo in cui vostro padre sarà via. Poi, tornerete qui.
    Izayoi non rispose. Il suo sguardo scorreva rapidamente da Takemaru, alla finestra aperta. La luna piena illuminava il cielo di una luce nivea e soffusa.
    - Io… non credo…
    - Principessa, vi prego! Voi sapete l’immensa devozione che ho nei vostri confronti. Consentitemi di proteggere la vostra persona, che mi è così cara.
    Izayoi cercò di mantenersi il più tranquilla possibile, mentre Takemaru le parlava. Non avrebbe avuto alcun problema ad accettare la richiesta del principe se non fosse stata in quelle condizioni. Non sapeva quanto tempo suo padre sarebbe stato via, e se Takemaru si fosse accorto della sua gravidanza, kami sa cosa avrebbe fatto.
Doveva assolutamente rifiutare l’invito e farlo senza destare sospetti. Forse sarebbe riuscita a prendere tempo…
    - Mio buon Takemaru – iniziò cercando di modulare la sua voce in modo da sembrare calma e contemporaneamente sicura – Vi ringrazio per il vostro buon cuore, e per la preoccupazione che nutrite nei miei confronti, ma preferirei restare nel mio palazzo.
    - Ma principessa…
    - Takemaru. – lo interruppe Izayoi - Vi prego. Mio padre tornerà presto, abbiate fede. Inoltre, qualora dovessi sentirmi minacciata sareste il primo a saperlo.
    - Sì, ma sarei sempre troppo lontano per aiutarvi.
    - Oh, Takemaru. Non vedere il male dappertutto. Io sto bene, e il mio palazzo non corre alcun pericolo. Vi prego, abbiate fiducia in me.
    Takemaru avrebbe voluto ribattere, dire che sì si fidava di lei, ma era degli altri che non si fidava, ma si limitò ad annuire. Non poteva venire meno alle richieste della principessa e se lei voleva restare nel suo palazzo era suo dovere rispettare la sua richiesta.
    - D’accordo principessa – disse dopo un po’ – Ma permettetemi di venire ogni giorno a farvi visita, affinché io possa sincerarmi delle vostre condizioni e mantenere fede alla promessa fatta a vostro padre.
    Izayoi ringraziò mentalmente i kami, ma contemporaneamente fu turbata dalla richiesta di Takemaru. Se sarebbe venuto da lei ogni giorno, prima o poi, l’avrebbe incontrato. Ma non poteva rifiutare anche questa richiesta, altrimenti avrebbe destato dei sospetti nel principe. Pertanto, acconsentì.
Takemaru restò ancora un po’ di tempo in sua compagnia, prima di congedarsi, accompagnato da un servitore. Izayoi si alzò ed usci in giardino. Nemmeno quella notte lui era venuto.

    Erano trascorse due settimane dalla sera in cui aveva raccontato a Yumiko il suo segreto. Il suo ventre era ancora piatto, e anche nei mesi successivi, grazie all’ampio kimono che indossava, nessuno si sarebbe accorto di nulla. Almeno per qualche tempo, non avrebbe avuto l’onere di fornire spiegazioni.
Si svegliò di buonora quel mattino. Le temperature si stavano facendo sempre più miti e le gemme avevano tempestato tutti i rami del giardino.
Yumiko le aveva preparato la colazione, ma lei non l’aveva toccata ed era uscita all'aperto. Le nausee mattutine erano di quanto più fastidioso poteva esserci, e la vista del cibo bastava per farla stare male.
    Izayoi attraversò lo stretto viale che conduceva al piccolo stagno dove suo padre allevava le carpe. Era uno specchio d’acqua del diametro di circa dieci saku, circondato da ciottoli piatti di medie dimensioni e immerso nella parte più fitta della selva. Izayoi vi si recava spesso, soprattutto quando desiderava stare in tranquillità. Nelle ultime settimane, le continue visite di Takemaru, l’apprensione di Yumiko e l’assenza di lui, l’avevano gettata nello sconforto più amaro. Per non parlare delle preoccupazioni intorno al bambino che portava in grembo. Un tormento che non le dava pace, nemmeno di notte.
    Si sedette ai bordi dello stagno, e restò lì, semplicemente, con la bianca mano immersa nell’acqua gelida, mentre le carpe le nuotavano vicino e la sfioravano per poi allontanarsi repentinamente. Chiuse gli occhi, lasciandosi cullare dal lieve vento che smuoveva le fronde degli alberi, dai lenti e armoniosi movimenti dei pesci che increspavano le acque, da quel profumo di fiori, e vita che la circondava.
    Aveva imparato a riconoscere i segni in ogni cosa che le stava attorno, e sapeva sempre quando lui sarebbe arrivato e quel momento era ormai vicino. Tra di loro s’era creato un legame che era impossibile da comprendere. Lei viveva per lui, e niente avrebbe potuto cambiare le cose. Perché quando si commette l’imprudenza d’innamorarsi di un demone, niente potrà più essere come prima. La normalità sarà bandita per sempre della tua vita, e per ogni frammento di gioia verrà domandato il pagamento di un prezzo assai alto. Izayoi ormai portava il marchio e anche se per ora l’unica a conoscerlo era Yumiko, presto per tutti sarebbe stata solamente “l’amante di un demone”, un titolo ben più grave e infamante di quello che si da alle donne di piacere.

    Yumiko chiamò Izayoi ancora una volta, al di là del fusuma, prima di afferrare l’hikite e farlo scorrere. La stanza della principessa era vuota, e il basso tavolino sul quale aveva apparecchiato le ciotole per la colazione, intatto. Anche quella mattina, la principessa non aveva toccato cibo.
Appoggiò a terra il vassoio che portava con sé e iniziò a riempirlo con le ciotole. Era normale nelle sue condizioni, e sicuramente la creatura che portava in grembo le stava dando molti più problemi del previsto. Del resto era uno sporco mezzo-demone. E qualsiasi cosa ne dicesse la principessa, non ci si poteva aspettare niente di buono da una creatura metà demoniaca. Yumiko pensava a quelle cose con rabbia, una rabbia che l’era montata nelle ultime settimane alla vista del deperimento della sua bambina.
    E lui? Dov’era lui? Non era ancora venuto … Sapeva che Izayoi soffriva per questo, che lo attendeva ogni notte e lei non osava dirle come stavano le cose.         Povera piccola, ancora s’illude che quell’infame torni. Quello sarà già a concupire qualcun’altra, altrochè. E noi dovremmo sorbirci il suo bastardo!
    Yumiko attraversò il corridoio di gran carriera, e per poco non travolse uno dei servitori. Gli riservò qualche parola di scusa frettolosa e sparì nelle cucine.
    - Yumiko, ti stavo cercando. – disse una delle donne presenti non appena la vide.
    - Cercavi me? – chiese l’anziana donna, appoggiando un vassoio sul tavolo.
    - Sì. Abbiamo finito il pesce fresco e ci sarebbe da andare a prenderlo al villaggio… E noi dobbiamo…
    - Va bene! Ho capito. Andrò io.
    Era sempre la solita storia. In qualche modo, riuscivano sempre a far ricadere su di lei l’onere delle provviste. Bah… le giovani d’oggi. Solo perché avevano sentito quelle storie di giovani ragazze rapite dai demoni sul sentiero che conduceva al villaggio si guardavano bene dall’uscire dalle mura delle case. Come se un palazzo fosse stato al sicuro da un demone, se questi avesse voluto attaccarlo.
    Salì sul carretto insieme a Kazu, un servetto di nove anni con gli occhi grandi e i corti capelli neri, e s’avviarono verso il villaggio.
    Durante il viaggio, Yumiko fu molto silenziosa e il giovane Kazu che nutriva una sorta di timore reverenziale per l’anziana donna, non osava aprire bocca e con il capo chino imprimeva i comandi ai cavalli muovendo le redini.
    Era giorno di mercato, e i commercianti avevano imbastito bancarelle su cui mettere in bella mostra la loro merce. Si erano disposti su entrambi i lati della via principale, snodandosi per tutta la sua lunghezza. Un’accozzaglia indescrivibile di suoni, odori, colori. Le voci dei mercanti si innalzavano le une sugli altri, ognuno deciso a richiamare a sé più acquirenti possibili. C’era chi prometteva cose impossibili tenendo in mano ampolle dai colori sgargianti, chi declamava le proprietà curative dei propri decotti, chi sottolineava la preziosità e la lontana provenienza delle proprie stoffe, chi decantava la freschezza del proprio pesce e chi mostrava radioso i propri ortaggi, definendoli come i più buoni di tutta la regione.
Yumiko non ascoltava nessuna di quelle false promesse e rigava dritta attraverso la folla, muovendosi a fatica ma senza mai rallentare. Dietro di lei, Kazu si guardava attorno ammaliato da quella festosa babilonia, ma quando Yumiko cominciò a caricarlo con le provviste, il sorriso estasiato sparì del tutto. Il ragazzo camminava a fatica, sorreggendo le varie ceste e ad ogni passo pregava i kami del cielo che niente di ciò che portava finisse per terra. L’anziana Yumiko si sarebbe arrabbiata a morte, e non sarebbe stata affatto clemente, in particolare, in questi giorni che la vedeva sempre di pessimo umore. Meglio rigar dritti…
I kami si mostrarono clementi con la sua misera persona, e Kazu riuscì a raggiungere il carretto senza intoppi. Sistemò le ceste facendo molta attenzione ad affrancarle bene, affinché non si rovesciassero durante il viaggio di ritorno.
    Quando ebbe finito, si voltò ma di Yumiko non c’era traccia. Si guardò attorno con crescente disperazione, ma la donna non c’era. Cos’era potuto accadere?
    Iniziò a chiamarla, senza ottenere risposta. Non poteva lasciare il carretto e mettersi a cercarla, così decise di restare ad aspettarla lì. Probabilmente, s’era ricordata di qualcosa all’ultimo momento ed era tornata indietro.

    Quando si sentì afferrare alle spalle, Yumiko tentò di urlare ma l’aggressore fu più veloce e le chiuse subito una mano sulla bocca. Aveva una presa assai forte e non ebbe difficoltà a portarla via. La donna tentò di dibattersi per quanto possibile, ma era vecchia e non aveva la forza necessaria per opporsi. Ad essere sinceri, vista la presa che la tratteneva, non ce l’avrebbe fatta neppure nel fior della giovinezza. E dire che riusciva a tener testa a quasi tutti quei palloni gonfiati che si spacciavano per grandi e invincibili samurai. Gente che neppure conosceva la parola bushido.
    Lasciarono il villaggio per una via secondaria e poco battuta, e rapidamente raggiunsero una radura lì vicino. Yumiko non aveva paura, o almeno, cercava di farsi coraggio. La sua età la teneva fortunatamente al sicuro da certe attenzioni, ma non si sa mai, al giorno d’oggi, il mondo è pieno di depravati. Aveva ancora del denaro nelle tasche e gli avrebbe dato quello.
    - Non voglio farti del male, Yumiko. Voglio solo parlarti.
    La sua voce le giunse all’improvviso all’orecchio. Una voce bassa, calda, profonda. Una voce che l’entrava dentro facendole vibrare ogni corda dell’anima.
    Come faceva a conoscere il suo nome?
    Quando la depose a terra, si voltò di scatto verso di lui. Era piuttosto alto, e riusciva ad intravedere un’armatura sotto l’ampio mantello che indossava e che gli celava parte del viso.
    - Chi sei? Come fai a sapere il mio nome? Chi ti ha mandato? Cosa vuoi? – chiese a raffica, senza togliergli gli occhi di dosso e aumentando la distanza che li separava.
    Lo sconosciuto si tolse il mantello, rivelandosi per quello che era. Ovvero, un demone. Yumiko non poteva sbagliarsi: i capelli d’argento raccolti in una coda alta, i vistosi segni violacei sulle guance, e quella specie di pelliccia bianca che aveva sulle spalle… cos’era? Una coda... ?
    - Che cosa vuoi da me, demone? – domandò sprezzante.
    Era diverso dagli altri demoni che aveva incontrato: pronti a sbranarla, appena la vedevano. Mostruosi e terribili come i peggiori incubi. Ma lei sapeva molto bene, la vecchia storia sui demoni: più un demone è spaventoso e meno è forte. “Guardati dai demoni che assomigliano agli esseri umani” le aveva detto un giorno un vecchio monaco.
    - So che tu servi la principessa Izayoi. Sono giunto dall’ovest qualche giorno fa, ma mi è impossibile avvicinarmi a …
    - Sei tu?! – lo interruppe l’anziana donna con il dito puntato. – Sei tu quell’inf… insomma… lui.
    Il demone la guardò sorpreso. Quella vecchia mostrava più ardire del previsto per rivolgersi a lui in quel modo. E poi cosa stava blaterando? Che Izayoi le avesse svelato ogni cosa? Non era completamente da scartare… Tanto meglio, se già conosceva tutta la faccenda. Gli sarebbe stato più semplice ottenere ciò che voleva.
    Yumiko s’era morsa la lingua appena in tempo. Sarebbe stato un grande guaio se avesse detto “Sei tu quell’infame che ha messo incinta la mia bambina”. Izayoi non gliel’avrebbe mai perdonato e finché le intenzioni della principessa non erano ben chiare in riguardo, era meglio tenere la cosa segreta. Anzi, a dirla tutta, ci avrebbe pensato lei a mostrare la giusta via ad Izayoi. Quell’essere era maledetto e con esso tutti coloro che lo circondavano. Sarebbe stato meglio per tutti se non avesse mai visto la luce.
    - Quindi, deduco che Izayoi vi abbia raccontato di noi due…
    - Sì. Mi ha detto abbastanza. Cosa volete?
    - Vederla.
    - Vederla?
    - Sì, ed ho bisogno del vostro aiuto.
    Yumiko era sorpresa dall’ardire del demone. Come poteva pensare che lei, un essere umano, acconsentisse ad aiutare un demone. Assurdo!
    - Il mio aiuto? E a cosa vi serve? Non siete forse un demone? Non vi prendete tutto quello che vi aggrada senza chiedere?
    - Non desidero crearle problemi.
    L’anziana donna lo guardò senza comprendere. A cosa si riferiva?
    - Ho visto che il palazzo è circondato tutta notte da soldati. E temo che possano vedermi… Non desidero crearle problemi con la mia presenza. E non conosco il palazzo molto bene, quindi rischierei di trovarmi nel posto sbagliato al momento sbagliato… Capite cosa intendo?
    Capisco benissimo, capisco benissimo. Ma purtroppo gliene avete già creati troppi di problemi.
    - Forse sarebbe meglio che non la incontriate mai più. – disse dopo un po’ la donna.
    Il demone la guardò tra l’allibito e lo sconcertato. Era strano come quella vecchia non avesse timore di lui. Che avesse perso il proprio fascino spaventoso? O forse, più semplicemente, gli stava di fronte una donna molto coraggiosa. Sorrise, in fondo la vecchia gli piaceva ed era ben lieto a saperla accanto alla sua amata Izayoi.
Sarebbe stato un osso duro, ma se riusciva a guadagnarsi la sua benevolenza, il più era fatto. Non chiedeva nient’altro di vederla, ancora una volta. Una volta soltanto, e poi sarebbe partito per l’Ovest, insieme a suo figlio. Sì, una volta soltanto… ma a chi voleva raccontare fandonie! Aveva detto “ancora una volta” chissà quante volte…
    Fortunatamente, Myoga s’era addormentato nel mezzo della sua pelliccia e aveva smesso di tempestarlo di ammonizioni continue sul fatto che un demone e un essere umano non avrebbero mai potuto essere felici, sul destino contro cui sarebbe andata Izayoi, sull’umiliazione che avrebbe attirato sul suo clan se avesse generato un mezzodemone, sull’ira di Sesshomaru nel sapere suo padre insieme a un’umana e via dicendo…
Il demone-pulce non si risparmiava su nulla e descriveva tutte le possibili conseguenze di questo amore, con una precisione insopportabile. Suo malgrado, Inu No Taisho dovette costatare che non aveva tutti i torti. Il quadro che Myoga gli aveva predetto era fin troppo veritiero.
    - Impossibile. – rispose, abbandonando le proprie speculazioni mentali.
    Yumiko sgranò gli occhi. Quel stramaledetto demone non intendeva lasciar perdere Izayoi. Voleva la sua rovina! Ecco cosa voleva! Trascinarla nel fango, ancora più in profondità.
    - Tu, esecrabile essere! Come osi!? – urlò l’anziana donna.
    Il vento aveva ripreso a soffiare, e le fronde degli alberi testimoniavano quell’incontro rumoreggiando sommessamente. Rimasero così, immobili, uno di fronte a all’altra, senza proferire più alcuna parola.
    Lo yokai tutto si sarebbe aspettato, fuorché quell’umana dalla pelle raggrinzita e la ferma volontà di impedirgli ogni avvicinamento ad Izayoi. Che stupido era stato… Cercare l’aiuto in un essere umano…
Ma un alleato all’interno del palazzo, in quel frangente, sarebbe stato di grande aiuto. La vecchia voleva solo proteggere Izayoi, e condannarla per questo, o peggio, ucciderla, avrebbe attirato su di lui il biasimo di colei che tanto amava.
Tentò l’ultima carta che gli restava da giocare, quella della compassione. Gli esseri umani erano creature che possedevano un gran cuore e che venivano spesso turbati dai sentimenti sinceri. Il cuore era la loro debolezza, e la loro forza. Chi penetrava il loro cuore, possedeva la loro anima.
    Parlarono, mantenendosi sempre debitamente a distanza. Yumiko si era ripromessa di non dare adito ad alcuna delle parole del demone, ma a poco a poco, le sue convinzioni iniziarono a disintegrarsi. E se lui l’amasse davvero? E se questo sentimento… così maledetto, così improponibile, così sporco, condannabile, terribile… fosse reale?
Il dubbio le rodeva la mente. Poteva lei, in qualità di umile serva, decidere le sorti della sua signora? E se Izayoi, l’avesse scoperto… se avesse scoperto che lei, Yumiko, aveva ostacolato il demone di cui era innamorata, come l’avrebbe presa?
    Non fu ben chiaro se a muoverla fu la paura del giudizio di Izayoi, o la consapevolezza di avere di fronte un demone, molto più umano e sincero di quello che si sarebbe aspettata, ma poco prima di congedarsi, disse:
    - Ti aiuterò demone! Ma solo per questa volta, e solo per dirle addio. Tu lo sai a cosa andrebbe incontro, se tu continuassi a starle attorno…
Inu No Taisho annuì. Nonostante cercasse in tutti i modi di trovare una scappatoia, le strade portavano sempre in un’unica terribile direzione: dolore, condanna, morte…

    Riuscì a raggiungere il palazzo la notte stessa. Seguendo le indicazioni dell’anziana donna gli fu facile penetrare al suo interno. Yumiko gli aveva spiegato che esisteva un punto del palazzo che non veniva mai controllato, perché era umanamente impossibile riuscire a far breccia da lì. Era una parte del lato ovest, che dava direttamente su un baratro assai profondo. La parete liscia impediva ogni scalata, ed esisteva un'unica finestra posta nel punto più alto, dalla quale era possibile introdursi nell'edificio.
    Taisho tutte le volte che aveva visitato la principessa, lo aveva fatto altrove, in luoghi che lei stessa gli indicava. Ma da quando lui era tornato dall’ovest, lei era sempre stata all’interno del palazzo, e cosa ancor peggiore, non aveva ancora comunicato con lui. Urgeva una mossa repentina, se voleva sincerarsi delle condizioni di Izayoi.
Come programmato, la vecchia lo attendeva nel corridoio del lato ovest. Non appena lo vide, cominciò a gesticolare e a fargli segno di sbrigarsi. La sua figura era debolmente illuminata dalla fiamma di un lume che teneva nella destra.
    - Sbrigatevi! Non c’è tempo da perdere!
    Taisho seguì l’anziana donna, attraverso le sale del palazzo.
    - Le avete detto del mio arrivo?
    - Che domande? Certo che gliel’ho detto… non voglio certo prendermi simili responsabilità.

    Izayoi lo attendeva, in piedi, accanto allo shoji. La debole luce lunare, rischiarava il giardino che s’intravedeva dietro di lei. Yumiko fece per chiudersi la porta alle spalle, poi ci ripensò ed uscì dalla stanza. Se quello doveva essere un addio, che fosse fatto in piena regola, e senza inutili testimoni. Lei avrebbe atteso fuori, e contemporaneamente avrebbe controllato che nessuno si avvicinasse.
    - Izayoi – chiamò il signore dei demoni.
    La principessa non si mosse, con lo sguardo fisso sulle scure fronde degli alberi. Il dolce suono degli uccelli notturni che intonavano i loro cupi versi all’astro divino, lusingava le sue orecchie, come la nenia di una nutrice. Cullata, protetta, chiusa all’interno di un immaginario cerchio sacro.
    Se mi volto… Se mi volto… continuava a ripetersi, mentre udiva i passi di lui farsi sempre più vicini.
    - Izayoi, ti vedo triste. Cosa ti turba?
    Quella voce… Ancora, una volta! Perché sei venuto? Perché hai dato ascolto alle mie preghiere che bramavano la tua persona. Ah, che io sia maledetta, per quest’amore così empio e corrotto.
    - Izayoi, avvicinati.
    Le sue mani, così letali, così ferme, così calde, si posarono sulle sue spalle attirandola a sé. Un fremito le attraversò la schiena.
    Lontano! Lontano! Va via… allontanati da me! Urlava muta la sua mente. Mentre il suo corpo, mite s’abbandonava al suo abbraccio e la sua schiena s’appoggiava a quel petto possente.
    - E’ tutto sbagliato. – disse in un sussurro, mentre le sue fragili mani stringevano con forza le braccia del demone, cinte intorno alla sua persona.
    Un dubbio improvviso le attraversò la mente. E se lui fosse in grado di accorgersene?
    Si liberò rapidamente da quell’abbraccio e si voltò verso lui, che era della sua vita, la sciagura e la gioia.
    - Izayoi? – chiamò sorpreso.
    Perché si scostava? Perché lo guardava con quegli occhi colmi di timore?
    Sollevò la mano, cercando il suo viso, ma vi trovò solo aria. Izayoi si era allontanata maggiormente, e non sembrava intenzionata ad accorciare le distanze. Era venuto per dirle addio, e mai avrebbe pensato che sarebbe stata lei a farlo.
Così volubili sono gli esseri umani? Guardala, ora, come non riesce neppure a guardarti in viso! Ha gli occhi bassi, gli occhi della colpa!
    - E così, dunque, vuoi dirmi addio?
    Quella domanda le penetrò nell’animo come una scheggia di vetro. Dirti addio? Cosa impossibile per il mio cuore… ma non per la mia mente! Sì, ti dirò addio questa notte…. perché non si è mai sentito, nella storia del Giappone, di un demone che avesse amato una donna, senza sventura. Ed io quella sventura la porto già in grembo!
    - Sì. Io credo che … sia giunto il momento di separarci.

    Yumiko camminava avanti e indietro lungo lo spazio antiastante il fusuma. Quanto tempo ci mettevano? Sarebbe stato un bel guaio se fossero comparsi i soldati. Muoviti maledetto demone?! E’ un addio quello che devi dare… e gli addii si danno rapidamente, senza inutili tormenti della voce.
    All’improvviso, dietro di lei, il fusuma venne aperto con violenza. Il demone comparve alla sua vista. L’anziana donna fece qualche passo indietro, perché l’aura che percepiva da quel demone, era satura di negatività.
Lo yokai la guardò con occhi di fuoco. Non era negativo, era furioso! Non avrà messo le mani addosso alla principessa! Pensò con rabbia, fissando sbigottita la stanza attraverso il fusuma aperto.
    - La tua principessa sta bene! – disse freddamente, prima d’incamminarsi verso l’uscita.
    Yumiko fece per muovere qualche passo verso di lui, ma la voce del demone l’arrestò: - Non datevi pena! Conosco la strada!
Yumiko lo lasciò andare, non ci teneva a stare in compagnia di quel demone, e se si era offerta di accompagnarlo all’uscita, era solo per evitare che finisse per sbaglio in “bocca” ai soldati. Ma… a quanto sembrava, era ben deciso a lasciare il palazzo al più presto e … insomma… che se la vedesse da solo.
    Entrò nella stanza, Izayoi era seduta sul futon. Le ginocchia strette al petto, il mento appoggiato su di esse. Yumiko avanzò lentamente, con apprensione. Si inginocchiò accanto a lei e attese che la principessa rompesse il silenzio.
    - Se n’è andato? – chiese con un filo di voce.
    - Sì, mia signora.
    - Capisco.
    Yumiko sollevò la mano per accarezzarle il capo, ma ci ripensò: era come se Izayoi fosse circondata da un aurea che nessuno avrebbe mai potuto attraversare: l’aurea della profonda mestizia, della solitudine e dell’angoscia.
Debolmente la luce della luna filtrava dalla finestra aperta, confondendo le loro ombre insieme alle altre. La brezza smuoveva le fronde degli alberi, e in lontananza il sofferente grido di un lupo squarciava il tenue silenzio della notte. O forse era un cane… chi poteva dirlo.
    - Avete fatto ciò che vi avevo suggerito? – chiese Yumiko.
    Izayoi annuì.
    - E’ stata la scelta migliore, principessa.
Izayoi si limitò ad annuire nuovamente. Sapeva che se avesse parlato, le sarebbe stato impossibile fermare il fiotto di lacrime che premevano dietro le sue iridi ossidiane.

    Trascorsero alcuni giorni dalla notte in cui il demone fece visita alla principessa.
    Izayoi dopo quell’incontro si era chiusa in un profondo silenzio. Aveva seguito il consiglio di Yumiko e aveva chiesto a Taisho di non cercarla più. Ogni parola che era uscita dalla sua bocca era stata così amara e pungente che lei stessa aveva compiuto un enorme sforzo per pronunciarla, ma Yumiko aveva ragione, si erano spinti troppo oltre ed era necessario porre fine a questa follia, prima che le cose precipitassero.
Ripose l’emakimono e attraversando lo shoji aperto uscì sull’engawa. L’aria era tiepida e grondante di profumi floreali. Si passò una mano sul ventre, chiedendosi quando avrebbe sentito al tatto la vita che pulsava in lei.
    Takemaru le avrebbe fatto visita anche questa sera e anche questa sera avrebbe inventato una nuova scusa per non vederlo. Il principe non le aveva mai fatto domande e non aveva mai protestato, ma lei immaginava che dentro di sé, Takemaru, si poneva delle domande. Presto o tardi, avrebbe dovuto cominciare a comportarsi come sempre, fingere che niente di ciò che l’affliggeva era reale.
    Un rumore alle sue spalle la fece, improvvisamente, trasalire. Izayoi si voltò di scatto, stringendo con la mano la stoffa del kimono, all’altezza del cuore.
    - Oh, Yumiko, siete voi… - sospirò – Mi avete spaventata!
    - Perdonatemi principessa, non era mia intenzione.
    Izayoi sorrise tristemente.
    - Avete riflettuto su ciò che vi ho detto, principessa?
    Il volto di Izayoi s’incupì tutto ad un tratto, anzi sembrava quasi indignato. Coprì rapidamente la distanza che ancora la separava dalla donna.
    - Yumiko. – disse satura di rabbia.
    - Principessa Izayoi, so che la mia proposta è contro ogni principio morale, ma questa situazione…
    Izayoi sollevò una mano per interromperla.
    - Vi ho detto che non farò mai una cosa del genere. Questo – disse premendosi una mano sul ventre – è mio figlio!
    - Lo so principessa, ma cercate di riflettere. Il bambino è un mezzo demone, una creatura destinata alla sofferenza perpetua. E cosa ne sarà del buon nome della vostra famiglia, di vostro padre… Pensate a vostro padre, morirebbe di crepacuore nell’apprendere la notizia. Oh, vi prego principessa… non si tratta di un atto d’ingiustizia nei confronti di questa creatura, ma di un sommo atto d’amore. Se l’amate, liberatela dal futuro infausto che l’attende.
    - Come puoi chiedermi questo, Yumiko? Come puoi suggerirmi di liberarmi del bambino che porto in grembo?
    - Lo so che siete sconvolta, e che per voi è inconcepibile, ma vi prego, cercate di riflettere… sarebbe meglio per tutti, soprattutto per voi e per il bambino.
    Izayoi abbassò lo sguardo. Nonostante aborrisse il suggerimento di Yumiko, non poteva negare che gli scenari descritti dalla donna erano fin troppo veritieri. La nascita di quel mezzodemone avrebbe portato sventura a tutti, anche a sé stesso. Che madre sarebbe stata, se lo avesse condannato a una simile vita?
    Yumiko intuendo la titubanza della principessa incalzò ancora: - Non ci vorrà molto, vedrete. Siete quasi al secondo mese di gravidanza, e l’aborto è più facile e sicuro se praticato ora. Non potete attendere ulteriormente.
    - Yumiko… - mormorò quasi in lacrime Izayoi.
    - Prendete tutto il tempo di cui avete bisogno per riflettere. Ma vi prego… pensate alle conseguenze delle vostre decisioni. Questo bambino non sarà mai felice. Mai.


 

   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Inuyasha / Vai alla pagina dell'autore: Deliquium