The First Month
Si sfiorò il ventre,
mentre le acque calde lambivano il suo corpo, lasciando fuori solo le spalle.
Rivoli di vapore si sollevavano dalla superficie increspata dai suoi lievi,
quanto lenti, movimenti. I lunghi capelli corvini erano raccolti sulla sommità
del capo, e le ricadevano in armoniose ciocche sulle scapole candide.
Fissava l’acqua trasparente aspettando di vedervi comparire qualche rigagnolo
sanguigno, qualcosa che avrebbe potuto mettere fine ai suoi dubbi. Ma l’acqua
continuava ad essere limpida.
Ormai ne aveva quasi la certezza ed era solo questione di
settimane prima che cominciassero a vedersi i segni della sua gravidanza.
Si nascose il viso tra le mani.
- Oh, Yumiko. Yumiko. – sussurrò scuotendo la testa.
- Mia signora…
Yumiko le appoggiò le mani sulle spalle, cercando di fermare
i sussulti involontari che scuotevano il suo corpo.
Era vecchia Yumiko, aveva più di cinquant’anni e un fisico contadino sotto il
kimono chiaro. Teneva i capelli candidi acconciati in uno chignon dietro il capo
e chiusi da un fermaglio a forma di farfalla: un vezzo fanciullesco che non
aveva mai abbandonato.
La ragazza sollevò il capo. Aveva gli occhi colmi di lacrime
e un debole rossore sulle guance neviche.
- Sono incinta, Yumiko. Sono passate quasi due settimane dal
giorno in cui dovevo avere le mestruazioni e guarda… - con sconforto indicò le
acque.
Yumiko, senza dire una parola, camminando a passi ravvicinati
sul tatami, andò a prendere un asciugamano e, ritornata nei pressi della vasca,
aiutò Izayoi ad alzarsi.
Tremava, Izayoi. Aveva freddo, Izayoi. Il tempo le era
nemico. Nove mesi e poi avrebbe stretto quella creatura tra le braccia.
Pianse, Izayoi. Pianse appoggiando il suo capo sulla solida spalla della sua
serva.
- Non preoccupatevi, principessa – le disse Yumiko,
carezzandole amorevolmente il capo – sistemeremo tutto. Vedrete che il principe
Takemaru non lascerà che uno scandalo simile colpisca la madre di suo figlio.
Izayoi si allontanò in fretta. Gli occhi spalancati, le
labbra tremanti. Scosse la testa disperata, come se la donna le avesse rivolto
una gravissima accusa. Come avrebbe potuto dirle la verità? Come avrebbe potuto
affrontare questi nove mesi e tutto il terribile bagaglio di sciagura che
sentiva legato a sé, ovunque fosse andata?
- Yumiko.
La sua voce era tremante. Pronunciava il nome con
disperazione, celando dietro ad esso un fiume di parole che premevano per essere
dette. Chiamava, con voce flebile. Una tonalità satura di dolore e paura.
Yumiko la guardò. Era immobile la sua principessa. Aveva gli
occhi che tremavano di terrore e il volto così pallido da farle temere un
mancamento.
- Non è Sestuna no Takemaru il padre di vostro figlio? –
chiese.
Izayoi scosse la testa, nascondendosi il viso tra le mani.
- No. Non è lui. Non è lui, Yumiko.
La donna l’abbracciò. La sua bambina, la sua perfetta,
bellissima bambina. Chi aveva osato sporcare la sua virtù? Avrebbe parlato con
Hiroshi, il capo delle guardie, e avrebbero dato una bella lezione a quella
canaglia, chiunque fosse.
Si sedettero sull’agariba accanto alla vasca. Izayoi, chiusa
nell’abbraccio della donna, non sussultava più. Aveva l’impressione di essere
tornata indietro agli anni della sua infanzia, quando per risolvere ogni
problema bastava un niente.
- Principessa. – la chiamò ad un tratto l’anziana signora.
Izayoi sollevò un poco il capo.
- Chi è stato? Ditemi il suo nome, e dove possa trovarlo. –
sussurrò la donna.
Izayoi si alzò di scatto. Il suo volto era incandescente e i
suoi occhi inviavano zampilli di terrore e vergogna che non sfuggirono
all’anziana donna.
- Che dite, Yumiko? No, voi non potete chiedermi questo… io…
io…
- Principessa, so che vi fa male, ma dovete dirmi il suo
nome. Vedrete… lo troveremo e gli daremo la giusta punizione per quanto vi ha
fatto.
Izayoi scosse la testa con forza, mordendosi le labbra.
- No, Yumiko. No. Voi non capite! Lui… lui…
- Parlate principessa. Lui… cosa?
Izayoi camminava tenendosi l’asciugamano ben stretto attorno
al corpo. I suoi piedi nudi lasciavano piccole ombre sul tatami. Yumiko la seguì
per qualche istante con lo sguardo, poi si alzò a sua volta e andò a prendere il
kimono dai colori pastello che la principessa avrebbe indossato.
- Io non posso dirvi il suo nome.
La sua voce s’era fatta improvvisamente calma, quasi
rassegnata.
- Perché non volete dirmelo, principessa? Egli deve pagare.
Vi ha… violentata.
Disse l’ultima parola a bassa voce, come se la sua semplice
emissione sporcasse le sue labbra, la sua anima.
Izayoi spalancò gli occhi.
- Lui… lui… non mi ha violentata. – disse tremante.
- Non vi ha violentata? Quindi, è un uomo che voi amate… E’
un uomo del popolo? Per questo siete così spaventata?
Izayoi scosse la testa, ancora una volta.
- Vi ha forse detto che non riconoscerà il bambino? E’ per
questo che avete paura? – l’incalzò la donna.
- Lui non sa che io aspetto un bambino.
- Dovreste dirglielo e dovreste obbligarlo ad adempiere ai
suoi doveri di padre. Il vostro onore…
- Il mio onore? Il mio onore è infangato! – urlò Izayoi.
Yumiko sgranò gli occhi. Cosa poteva sconvolgerla in quel
modo? La sua bambina era lì, davanti a lei. Bellissima e spaventata come un
cucciolo abbandonato nel bosco. Quale pensiero deturpava quella bellezza così
rara e delicata, quella bellezza conosciuta persino al di fuori dei confini del
loro regno?
- Principessa, - cominciò con dolcezza – non abbiate paura a
confidarmi con me. Ditemi cosa vi affligge… vi prego. Altrimenti, come potrò
aiutarvi?
- Nessuno può aiutarmi. Non più!
Izayoi uscì dalla stanza, il lungo kimono accarezzava
rabbioso il tatami, mentre lei attraversava i vuoti corridoi.
Yumiko le corse dietro ed osando un po’ troppo rispetto al
suo ruolo di semplice serva, ebbe l’ardire di afferrarle un braccio.
- Perdonatemi principessa, ma non posso permettervi di
affrontare questo dolore da sola. Vi voglio bene, siete la mia bambina e non
dovete aver paura a confidarvi con me.
Izayoi si gettò tra le braccia della donna. Piangeva. Un
pianto sommesso, profondo, disperato.
- Yumiko… Yumiko… - sussurrava tra le lacrime.
La donna la stringeva forte, attendendo pazientemente che
Izayoi si calmasse. Erano inginocchiate nel mezzo del lungo corridoio. Le torce
le illuminavano debolmente, lasciando che le loro ombre si allungassero sotto di
loro.
Dopo molti istanti, trascorsi senza proferire parola, Izayoi
si staccò da quell’abbraccio. Aveva smesso di piangere e nei suoi occhi c’era
solo una profonda commiserazione.
- Questo bambino, che io porto in grembo, è figlio… -
s’interruppe, incapace di proseguire.
Yumiko la guardò con insistenza, attendendo che la principessa trovasse il
coraggio di terminare la frase.
- … di un demone – disse lieve come il sussurro della brezza
marina.
- Un demone?
- Shhh… vi prego, Yumiko. Non gridate. – si affrettò ad
ammonirla la principessa, appoggiando la sua bianca mano sulla bocca della donna
quale esortazione a non far rumore.
Yumiko chinò il capo in segno di scuse, e continuò a bassa
voce. – Pagherà per quello che ha fatto. Approfittare di una povera fanciulla…
- Yumiko, vi ho detto che non sono stata vittima di violenza.
- Ma vi ha plagiata. – continuò imperterrita la donna.
Izayoi scosse la testa.
- Non mi ha plagiata. Io e lui… ci amiamo.
- Che cosa?
Yumiko si era alzata in piedi di scatto, facendo quasi cadere
la principessa. La guardava dall’alto, attonita, come se Izayoi avesse appena
pronunciato una grave blasfemia.
- Yumiko, non gridate. Vi prego!
- Ma principessa, vi rendete conto di quello che avete detto?
– continuò la donna, inginocchiandosi nuovamente sul tatami.
- Me ne rendo conto, Yumiko, ma è la verità. Io lo amo e non
potrei vivere senza di lui.
- Oh, kami del cielo, cosa devono sentire le mie orecchie?!
Un demone… ?! Vi siete innamorata di un demone?! E cosa ancor peggiore… siete
incinta?!
- Non infierite, vi prego. Conosco già da me la sorte a cui
andrò incontro.
- Metterete al mondo un mezzo demone.
- Lo so.
- La sua vita sarà segnata dalla sofferenza e dalla sfortuna.
Condannato sia dagli uomini, sia dai demoni, non avrà pace.
- Basta. Basta. Yumiko vi prego. Lo so… So già che metterò al
mondo una creatura infelice. Come credete che debba sentirmi?
Izayoi conosceva molto bene il destino riservato ai
mezzi-demoni, la loro vita contrassegnata dalla mancanza di una vera identità:
rifiutati dagli uomini e dai demoni, spesso vivevano isolati, nell’estremo
tentativo di proteggersi dalla crudeltà delle due razze, entrambe incapaci di
accettare un essere ibrido. Se erano fortunati, morivano in giovane età,
liberati dall’atroce tormento della vita.
Abbassò le mani che avevano stretto con rabbia i suoi capelli: l’ira verso sé
stessa, non avrebbe cambiato le cose. Quella creatura esisteva già dentro di lei
e avrebbe passato gli ultimi nove mesi a crescere nel suo ventre, a nutrirsi di
ciò che lei gli avrebbe dato.
Al mattino la svegliò il canto del gallo. Lui non era venuto.
Lo aspettava, ma ringraziò Amaterasu per non averlo condotto a lei quella notte.
Era troppo scossa e sicuramente avrebbe commesso un’imprudenza. Yumiko l’aiutò a
lavarsi e a vestirsi e la condusse nella sala principale dove suo padre
l’attendeva per la prima colazione.
La stanza era molto ampia, dai colori caldi, legnosi,
illuminati dalla raggiante luce che filtrava dagli shoji appena dischiusi sul
cortile interno. L’arredamento era ridotto al minimo, solo qualche kakemono a
ravvivare la severità dell’ambiente.
L’uomo era seduto compostamente davanti al piccolo tavolo di legno di faggio,
già apparecchiato di tutte le pietanze previste per quella mattina.
Izayoi prese posto al suo fianco, riservando al padre un impercettibile saluto.
Prese la piccola ciotola ricolma di riso, sollevandola all’altezza del petto e
iniziò ad attingervi tramite le bacchette. Era già trascorso un po’ di tempo da
quando avevano incominciato a consumare il cibo, ma Izayoi ne aveva mangiato
solo qualche boccone.
Atasuke appoggiò le bacchette e voltandosi verso la figlia
chiese:
- Figlia mia, va tutto bene?
Izayoi annuì.
- Sì padre. Solo che ho poco appetito. – spiegò, appoggiando
sul tavolo la ciotola ancora piena di riso.
- Stai male, bambina mia? Dirò a Yumiko di far venire il
medico. Ma tu mangia qualcosa, almeno. Hai toccato appena il cibo.
- Lo so, padre, perdonatemi. – rispose la ragazza,
distogliendo lo sguardo.
La sensazione che gli stesse nascondendo qualcosa era assai
forte, tuttavia, non poteva ignorare i propri doveri e seppure a malincuore
dovette recarsi immediatamente presso le sue stanze per terminare
l’organizzazione del viaggio.
Attraversò meditabondo il corridoio ed entrò nella sua
stanza. La luce del sole illuminava l’intera camera, immergendola in un antro di
luce. I suoi bagagli erano quasi pronti. Sistemò le ultime cose e sbirciò fuori
dalla finestra. Nel cortile, come da lui ordinato poco prima, il gruppo di
soldati, scelto per costituire la sua guardia, era già pronto.
Si lasciò la finestra alle spalle, compiendo lunghi passi silenziosi. Il futon
era ancora in mezzo alla stanza, disfatto. Attraversò tutta la camera,
combattuto dal desiderio paterno di restare e il dovere politico di partire. In
qualità di shugo di quella provincia aveva dei compiti ben precisi ai quali non
poteva sottrarsi, neppure per questioni familiari.
Del resto, il suo amore di padre gli impediva di partire a cuor leggero, senza
far nulla per la sua principessa.
Peratanto prese una carta e scrisse due colonne di kanji.
Arrotolò la lettera, la chiuse con un nastro rosso scuro e chiamò uno dei
servitori che stazionavano perennemente fuori dalle sue stanze.
- Porta questa lettera al palazzo del principe Takemaru. E
fai in modo che venga consegnata a lui di persona.
Il servitore s’inchinò e corse via.
Atasuke rientrò nella stanza e attese che venissero a
prendere i suoi bagagli. Ora che aveva affidato sua figlia nelle mani di
Takemaru, si sentiva molto meglio e sarebbe partito con il cuore libero da
preoccupazioni. Qualsiasi cosa sarebbe capitata alla principessa, Takemaru
l’avrebbe protetta, anche a costo della vita.
Partì con tranquillità, salutando Izayoi un’ultima volta, sul
cancello d’ingresso al palazzo. La principessa era corsa verso di lui, mentre la
delegazione si muoveva e gli si era gettata tra le braccia, con la forza e la
disperazione di chi sta dando un addio.
- Tornerò presto. – la rassicurò, stringendola a sé ed
accarezzandole il capo.
Izayoi annuì e si ritrasse. La sua figura, nell’ampio kimono,
appariva ancora più minuta di quella che era. Cercò di abbozzare un sorriso,
nonostante il suo viso fosse contrito dall’ansia. Sapeva che suo padre era
partito con il cuore saturo di preoccupazione e sapeva che egli non aveva
creduto alle sue parole.
Quando anche l’ultimo soldato sparì dalla sua vista, Izayoi
rientrò nel palazzo.
Il pomeriggio giunse rapidamente. Izayoi non aveva pranzato e
non era ancora uscita dalla sua stanza. Yumiko le aveva portato invano del riso
e del pesce, e l’aveva pregata di raggiungerla in giardino, ma nulla, Izayoi
preferiva restare in solitudine.
Srotolò l’emakimono adagiandolo sul grembo. Era una vecchia
storia, risalente a quasi due secoli fa, e ormai aveva perso il conto del numero
di volte che si era appassionata alla vita del Principe Genji. Sorrise
tristemente, lasciando che i suoi occhi scorressero orizzontalmente sui disegni
dal tratto sottile e dai delicati colori.
Trascorse minuti, forse ore, con il capo chino sul vecchio rotolo. Le ombre si
allungavano sul tatami, mentre gli ultimi raggi imprimevano al giardino un
effetto irreale. Molto presto, al completo calar del sole l’usignolo che lui le
aveva regalato avrebbe cominciato a cantare. Non se l’aspettava da lui, un
regalo del genere e per giunta, vivo. Si alzò, riponendo l’emakimono nel basso
mobile accanto allo shoji aperto ed uscì sull’engawa. Vi discese e attraversò il
breve spazio che la separava dal giardino.
L’inverno era solo un tenue ricordo e la primavera aveva
tinto di colori floreali il verde della vegetazione. Camminò, guardandosi
attorno, estasiata dalla bellezza di quelle piante: così forti e vive. Sollevò
il capo, cercando uno sprazzo di cielo. Aveva preso sfumature blu cobalto e un
tenue chiarore, ancora timido, ma destinato a rafforzarsi, era il preannuncio
della splendente luna che ci sarebbe stata quella notte.
Restò lì, a contemplare la bellezza del giardino, per un
tempo che non le fu facile stabilire. S’accorse che il sole era quasi
completamente tramontato, solo quando Yumiko la raggiunse.
L’anziana donna camminava verso di lei, mantenendosi una mano
sul petto. Aveva corso e aveva il respiro affannoso. Izayoi attese che la donna
riprendesse fiato.
- Principessa – cominciò Yumiko con la voce ancora
frammentata – il principe Takemaru chiede di potervi vedere.
- Takemaru? – domandò Izayoi avvicinandosi alla donna.
Non attendeva Takemaru per quella sera, e non era solito
venire a palazzo così di frequente. Inoltre, recentemente le avevano detto che
era lontano. Rientrò nella stanza, seguita da Yumiko.
- Forse è solo una visita di cortesia. – ipotizzò la donna.
- Sì, sicuramente sarà così.
Le due donne lasciarono la stanza della principessa e si
avviarono nel salone dove il principe Takemaru era stato fatto accomodare.
Indossava un kimono scuro e attendeva rivolto verso lo shoji che dava sul
cortile interno.
Quando Izayoi entrò si voltò di scatto, precipitandosi al cospetto della
principessa e inginocchiandosi ai suoi piedi.
- Principessa Izayoi, sono lieto che voi mi abbiate ricevuto
così celermente, nonostante la tarda ora.
Izayoi lo invitò ad alzarsi. Dietro di lui, lo shoji aperto
mostrava una luna che splendeva pallida sul mondo degli uomini, contrassegnando
i contorni con ombreggiature rimescenti.
- Mio buon Takemaru, a cosa devo la tua visita? – chiese la
principessa, conducendolo presso il basso tavolo posto in un angolo della
stanza.
Takemaru si sedette sul tatami insieme alla principessa.
Nella lettera che aveva ricevuto dopo pranzo, Atasuke lo pregava di vegliare su
Izayoi in sua assenza. Non gli scrisse nient’altro e Takemaru pensò che fosse la
semplice volontà di un padre che desiderava proteggere sua figlia da immaginari
e probabili pericoli, mentre lui era lontano.
Il principe fu ben lieto di adempiere alla richiesta dell’uomo, tanto più che
non era ormai un mistero il profondo sentimento che lo legava ad Izayoi.
Yumiko entrò nella stanza recando un vassoio. Si avvicinò
silenziosamente al basso tavolino, appoggiando su di esso due ciotole basse e
tonde.
Takemaru osservava con discreta attenzione il profilo della
principessa, alla ricerca di qualcosa che potesse confermare il presunto timore
di suo padre e con suo sommo dispiacere lo trovò. C’era un’ombra di mestizia sul
volto della ragazza. Una luce oscura che ne annebbiava la giovialità. Non voleva
apparire invadente, ma era suo dovere scoprire cosa rattristasse così tanto la
sua amata Izayoi.
Attese pazientemente che Yumiko finisse di versare il te nelle ciotole, poi
quando la donna si chiuse il fusuma alle spalle, iniziò:
- So che vostro padre è partito.
- Sì. – rispose pacatamente la principessa. – Stamattina. Ma
voi, come fate a saperlo?
- Mi ha inviato una missiva oggi stesso, chiedendomi di …
prendermi cura di voi. – spiegò Takemaru.
- Cura di me? Ma io sto bene, Takemaru.
- Sì, lo so. Tuttavia… vostro padre è molto preoccupato per
voi…
Izayoi non gli fece finire la frase e prendendogli le mani
gli sussurrò: - Takemaru. Io sto bene. Non c’è nulla che mi preoccupi.
- Sì, principessa, tuttavia, permettetemi di adempiere al mio
dovere. Vostro padre mi ha chiesto di prendermi cura di voi…
- Ma io so badare a me stessa. – rispose lei.
Takemaru rimase sorpreso dalla punta di stizza che trapelò dalla sua voce. Fu
un’inclinazione impercettibile, ma in un animo dolce e premuroso come quello di
Izayoi era un qualcosa che spiccava come una macchia nera su un tatami bianco.
- Principessa, non volevo assolutamente dire che voi non
siete in grado di badare a voi stessa. Tuttavia, consentitemi di potervi
proteggere… Stiamo attraversando un periodo molto pericoloso… e vostro padre è
in una posizione alquanto… complicata.
- Lo so molto bene Takemaru, mio padre non ha mai visto di
buon occhio l’azione di forza perpetrata da Takauji e sono molto preoccupata per
lui.
- Condivido la vostra preoccupazione principessa. Lo scisma
che si è verificato non porterà a nulla di buono, ma io ho fiducia in vostro
padre e so che saprà gestire magnificamente la situazione.
Izayoi annuì poco convinta. Sapeva che suo padre era un uomo
in gamba, uno che avrebbe sempre valutato molto attentamente la situazione,
prima di prendere una decisione. Tuttavia, non poteva impedire al suo animo di
provare una forte apprensione. Era così, tutte le volte che lui partiva.
Takemaru sorseggiò il te preparato da Yumiko e restò qualche
momento in silenzio, con lo sguardo fisso davanti a sé. Izayoi non aggiunse
altro alle sue parole. Era una serata tiepida e un lieve venticello portava
dentro la stanza gli effluvi odorosi dei fiori del giardino.
- Vorrei che veniste a palazzo con me. – disse all’improvviso
il principe, cogliendola di sorpresa.
Izayoi per poco non lasciò cadere la tazza e si riservò
alcuni attimi per elaborare bene le parole di Takemaru. Vivere a palazzo con
lui?
Con la mano leggermente tremante appoggiò la tazza sul tavolino, poi sollevò il
volto verso il principe.
- Principe Takemaru, ma cosa…
- Principessa, ho promesso a vostro padre di proteggervi e
l’unico modo per farlo è ospitarvi a palazzo. – Vedendola titubante aggiunse –
Sarà solo per il tempo in cui vostro padre sarà via. Poi, tornerete qui.
Izayoi non rispose. Il suo sguardo scorreva rapidamente da
Takemaru, alla finestra aperta. La luna piena illuminava il cielo di una luce
nivea e soffusa.
- Io… non credo…
- Principessa, vi prego! Voi sapete l’immensa devozione che
ho nei vostri confronti. Consentitemi di proteggere la vostra persona, che mi è
così cara.
Izayoi cercò di mantenersi il più tranquilla possibile,
mentre Takemaru le parlava. Non avrebbe avuto alcun problema ad accettare la
richiesta del principe se non fosse stata in quelle condizioni. Non sapeva
quanto tempo suo padre sarebbe stato via, e se Takemaru si fosse accorto della
sua gravidanza, kami sa cosa avrebbe fatto.
Doveva assolutamente rifiutare l’invito e farlo senza destare sospetti. Forse
sarebbe riuscita a prendere tempo…
- Mio buon Takemaru – iniziò cercando di modulare la sua voce
in modo da sembrare calma e contemporaneamente sicura – Vi ringrazio per il
vostro buon cuore, e per la preoccupazione che nutrite nei miei confronti, ma
preferirei restare nel mio palazzo.
- Ma principessa…
- Takemaru. – lo interruppe Izayoi - Vi prego. Mio padre
tornerà presto, abbiate fede. Inoltre, qualora dovessi sentirmi minacciata
sareste il primo a saperlo.
- Sì, ma sarei sempre troppo lontano per aiutarvi.
- Oh, Takemaru. Non vedere il male dappertutto. Io sto bene,
e il mio palazzo non corre alcun pericolo. Vi prego, abbiate fiducia in me.
Takemaru avrebbe voluto ribattere, dire che sì si fidava di
lei, ma era degli altri che non si fidava, ma si limitò ad annuire. Non poteva
venire meno alle richieste della principessa e se lei voleva restare nel suo
palazzo era suo dovere rispettare la sua richiesta.
- D’accordo principessa – disse dopo un po’ – Ma permettetemi
di venire ogni giorno a farvi visita, affinché io possa sincerarmi delle vostre
condizioni e mantenere fede alla promessa fatta a vostro padre.
Izayoi ringraziò mentalmente i kami, ma contemporaneamente fu
turbata dalla richiesta di Takemaru. Se sarebbe venuto da lei ogni giorno, prima
o poi, l’avrebbe incontrato. Ma non poteva rifiutare anche questa richiesta,
altrimenti avrebbe destato dei sospetti nel principe. Pertanto, acconsentì.
Takemaru restò ancora un po’ di tempo in sua compagnia, prima di congedarsi,
accompagnato da un servitore. Izayoi si alzò ed usci in giardino. Nemmeno quella
notte lui era venuto.
Erano trascorse due settimane dalla sera in cui aveva
raccontato a Yumiko il suo segreto. Il suo ventre era ancora piatto, e anche nei
mesi successivi, grazie all’ampio kimono che indossava, nessuno si sarebbe
accorto di nulla. Almeno per qualche tempo, non avrebbe avuto l’onere di fornire
spiegazioni.
Si svegliò di buonora quel mattino. Le temperature si stavano facendo sempre più
miti e le gemme avevano tempestato tutti i rami del giardino.
Yumiko le aveva preparato la colazione, ma lei non l’aveva toccata ed era uscita
all'aperto. Le nausee mattutine erano di quanto più fastidioso poteva esserci, e
la vista del cibo bastava per farla stare male.
Izayoi attraversò lo stretto viale che conduceva al piccolo
stagno dove suo padre allevava le carpe. Era uno specchio d’acqua del diametro
di circa dieci saku, circondato da ciottoli piatti di medie dimensioni e immerso
nella parte più fitta della selva. Izayoi vi si recava spesso, soprattutto
quando desiderava stare in tranquillità. Nelle ultime settimane, le continue
visite di Takemaru, l’apprensione di Yumiko e l’assenza di lui, l’avevano
gettata nello sconforto più amaro. Per non parlare delle preoccupazioni intorno
al bambino che portava in grembo. Un tormento che non le dava pace, nemmeno di
notte.
Si sedette ai bordi dello stagno, e restò lì, semplicemente,
con la bianca mano immersa nell’acqua gelida, mentre le carpe le nuotavano
vicino e la sfioravano per poi allontanarsi repentinamente. Chiuse gli occhi,
lasciandosi cullare dal lieve vento che smuoveva le fronde degli alberi, dai
lenti e armoniosi movimenti dei pesci che increspavano le acque, da quel profumo
di fiori, e vita che la circondava.
Aveva imparato a riconoscere i segni in ogni cosa che le
stava attorno, e sapeva sempre quando lui sarebbe arrivato e quel momento era
ormai vicino. Tra di loro s’era creato un legame che era impossibile da
comprendere. Lei viveva per lui, e niente avrebbe potuto cambiare le cose.
Perché quando si commette l’imprudenza d’innamorarsi di un demone, niente potrà
più essere come prima. La normalità sarà bandita per sempre della tua vita, e
per ogni frammento di gioia verrà domandato il pagamento di un prezzo assai
alto. Izayoi ormai portava il marchio e anche se per ora l’unica a conoscerlo
era Yumiko, presto per tutti sarebbe stata solamente “l’amante di un demone”, un
titolo ben più grave e infamante di quello che si da alle donne di piacere.
Yumiko chiamò Izayoi ancora una volta, al di là del fusuma,
prima di afferrare l’hikite e farlo scorrere. La stanza della principessa era
vuota, e il basso tavolino sul quale aveva apparecchiato le ciotole per la
colazione, intatto. Anche quella mattina, la principessa non aveva toccato cibo.
Appoggiò a terra il vassoio che portava con sé e iniziò a riempirlo con le
ciotole. Era normale nelle sue condizioni, e sicuramente la creatura che portava
in grembo le stava dando molti più problemi del previsto. Del resto era uno
sporco mezzo-demone. E qualsiasi cosa ne dicesse la principessa, non ci si
poteva aspettare niente di buono da una creatura metà demoniaca. Yumiko pensava
a quelle cose con rabbia, una rabbia che l’era montata nelle ultime settimane
alla vista del deperimento della sua bambina.
E lui? Dov’era lui? Non era ancora venuto … Sapeva che Izayoi
soffriva per questo, che lo attendeva ogni notte e lei non osava dirle come
stavano le cose. Povera piccola,
ancora s’illude che quell’infame torni. Quello sarà già a concupire
qualcun’altra, altrochè. E noi dovremmo sorbirci il suo bastardo!
Yumiko attraversò il corridoio di gran carriera, e per poco
non travolse uno dei servitori. Gli riservò qualche parola di scusa frettolosa e
sparì nelle cucine.
- Yumiko, ti stavo cercando. – disse una delle donne presenti
non appena la vide.
- Cercavi me? – chiese l’anziana donna, appoggiando un
vassoio sul tavolo.
- Sì. Abbiamo finito il pesce fresco e ci sarebbe da andare a
prenderlo al villaggio… E noi dobbiamo…
- Va bene! Ho capito. Andrò io.
Era sempre la solita storia. In qualche modo, riuscivano
sempre a far ricadere su di lei l’onere delle provviste. Bah… le giovani d’oggi.
Solo perché avevano sentito quelle storie di giovani ragazze rapite dai demoni
sul sentiero che conduceva al villaggio si guardavano bene dall’uscire dalle
mura delle case. Come se un palazzo fosse stato al sicuro da un demone, se
questi avesse voluto attaccarlo.
Salì sul carretto insieme a Kazu, un servetto di nove anni
con gli occhi grandi e i corti capelli neri, e s’avviarono verso il villaggio.
Durante il viaggio, Yumiko fu molto silenziosa e il giovane
Kazu che nutriva una sorta di timore reverenziale per l’anziana donna, non osava
aprire bocca e con il capo chino imprimeva i comandi ai cavalli muovendo le
redini.
Era giorno di mercato, e i commercianti avevano imbastito
bancarelle su cui mettere in bella mostra la loro merce. Si erano disposti su
entrambi i lati della via principale, snodandosi per tutta la sua lunghezza.
Un’accozzaglia indescrivibile di suoni, odori, colori. Le voci dei mercanti si
innalzavano le une sugli altri, ognuno deciso a richiamare a sé più acquirenti
possibili. C’era chi prometteva cose impossibili tenendo in mano ampolle dai
colori sgargianti, chi declamava le proprietà curative dei propri decotti, chi
sottolineava la preziosità e la lontana provenienza delle proprie stoffe, chi
decantava la freschezza del proprio pesce e chi mostrava radioso i propri
ortaggi, definendoli come i più buoni di tutta la regione.
Yumiko non ascoltava nessuna di quelle false promesse e rigava dritta attraverso
la folla, muovendosi a fatica ma senza mai rallentare. Dietro di lei, Kazu si
guardava attorno ammaliato da quella festosa babilonia, ma quando Yumiko
cominciò a caricarlo con le provviste, il sorriso estasiato sparì del tutto. Il
ragazzo camminava a fatica, sorreggendo le varie ceste e ad ogni passo pregava i
kami del cielo che niente di ciò che portava finisse per terra. L’anziana Yumiko
si sarebbe arrabbiata a morte, e non sarebbe stata affatto clemente, in
particolare, in questi giorni che la vedeva sempre di pessimo umore. Meglio
rigar dritti…
I kami si mostrarono clementi con la sua misera persona, e Kazu riuscì a
raggiungere il carretto senza intoppi. Sistemò le ceste facendo molta attenzione
ad affrancarle bene, affinché non si rovesciassero durante il viaggio di
ritorno.
Quando ebbe finito, si voltò ma di Yumiko non c’era traccia.
Si guardò attorno con crescente disperazione, ma la donna non c’era. Cos’era
potuto accadere?
Iniziò a chiamarla, senza ottenere risposta. Non poteva
lasciare il carretto e mettersi a cercarla, così decise di restare ad aspettarla
lì. Probabilmente, s’era ricordata di qualcosa all’ultimo momento ed era tornata
indietro.
Quando si sentì afferrare alle spalle, Yumiko tentò di urlare
ma l’aggressore fu più veloce e le chiuse subito una mano sulla bocca. Aveva una
presa assai forte e non ebbe difficoltà a portarla via. La donna tentò di
dibattersi per quanto possibile, ma era vecchia e non aveva la forza necessaria
per opporsi. Ad essere sinceri, vista la presa che la tratteneva, non ce
l’avrebbe fatta neppure nel fior della giovinezza. E dire che riusciva a tener
testa a quasi tutti quei palloni gonfiati che si spacciavano per grandi e
invincibili samurai. Gente che neppure conosceva la parola bushido.
Lasciarono il villaggio per una via secondaria e poco
battuta, e rapidamente raggiunsero una radura lì vicino. Yumiko non aveva paura,
o almeno, cercava di farsi coraggio. La sua età la teneva fortunatamente al
sicuro da certe attenzioni, ma non si sa mai, al giorno d’oggi, il mondo è pieno
di depravati. Aveva ancora del denaro nelle tasche e gli avrebbe dato quello.
- Non voglio farti del male, Yumiko. Voglio solo parlarti.
La sua voce le giunse all’improvviso all’orecchio. Una voce
bassa, calda, profonda. Una voce che l’entrava dentro facendole vibrare ogni
corda dell’anima.
Come faceva a conoscere il suo nome?
Quando la depose a terra, si voltò di scatto verso di lui.
Era piuttosto alto, e riusciva ad intravedere un’armatura sotto l’ampio mantello
che indossava e che gli celava parte del viso.
- Chi sei? Come fai a sapere il mio nome? Chi ti ha mandato?
Cosa vuoi? – chiese a raffica, senza togliergli gli occhi di dosso e aumentando
la distanza che li separava.
Lo sconosciuto si tolse il mantello, rivelandosi per quello
che era. Ovvero, un demone. Yumiko non poteva sbagliarsi: i capelli d’argento
raccolti in una coda alta, i vistosi segni violacei sulle guance, e quella
specie di pelliccia bianca che aveva sulle spalle… cos’era? Una coda... ?
- Che cosa vuoi da me, demone? – domandò sprezzante.
Era diverso dagli altri demoni che aveva incontrato: pronti a
sbranarla, appena la vedevano. Mostruosi e terribili come i peggiori incubi. Ma
lei sapeva molto bene, la vecchia storia sui demoni: più un demone è spaventoso
e meno è forte. “Guardati dai demoni che assomigliano agli esseri umani” le
aveva detto un giorno un vecchio monaco.
- So che tu servi la principessa Izayoi. Sono giunto
dall’ovest qualche giorno fa, ma mi è impossibile avvicinarmi a …
- Sei tu?! – lo interruppe l’anziana donna con il dito
puntato. – Sei tu quell’inf… insomma… lui.
Il demone la guardò sorpreso. Quella vecchia mostrava più
ardire del previsto per rivolgersi a lui in quel modo. E poi cosa stava
blaterando? Che Izayoi le avesse svelato ogni cosa? Non era completamente da
scartare… Tanto meglio, se già conosceva tutta la faccenda. Gli sarebbe stato
più semplice ottenere ciò che voleva.
Yumiko s’era morsa la lingua appena in tempo. Sarebbe stato
un grande guaio se avesse detto “Sei tu quell’infame che ha messo incinta la mia
bambina”. Izayoi non gliel’avrebbe mai perdonato e finché le intenzioni della
principessa non erano ben chiare in riguardo, era meglio tenere la cosa segreta.
Anzi, a dirla tutta, ci avrebbe pensato lei a mostrare la giusta via ad Izayoi.
Quell’essere era maledetto e con esso tutti coloro che lo circondavano. Sarebbe
stato meglio per tutti se non avesse mai visto la luce.
- Quindi, deduco che Izayoi vi abbia raccontato di noi due…
- Sì. Mi ha detto abbastanza. Cosa volete?
- Vederla.
- Vederla?
- Sì, ed ho bisogno del vostro aiuto.
Yumiko era sorpresa dall’ardire del demone. Come poteva
pensare che lei, un essere umano, acconsentisse ad aiutare un demone. Assurdo!
- Il mio aiuto? E a cosa vi serve? Non siete forse un demone?
Non vi prendete tutto quello che vi aggrada senza chiedere?
- Non desidero crearle problemi.
L’anziana donna lo guardò senza comprendere. A cosa si
riferiva?
- Ho visto che il palazzo è circondato tutta notte da
soldati. E temo che possano vedermi… Non desidero crearle problemi con la mia
presenza. E non conosco il palazzo molto bene, quindi rischierei di trovarmi nel
posto sbagliato al momento sbagliato… Capite cosa intendo?
Capisco benissimo, capisco benissimo. Ma purtroppo gliene
avete già creati troppi di problemi.
- Forse sarebbe meglio che non la incontriate mai più. –
disse dopo un po’ la donna.
Il demone la guardò tra l’allibito e lo sconcertato. Era
strano come quella vecchia non avesse timore di lui. Che avesse perso il proprio
fascino spaventoso? O forse, più semplicemente, gli stava di fronte una donna
molto coraggiosa. Sorrise, in fondo la vecchia gli piaceva ed era ben lieto a
saperla accanto alla sua amata Izayoi.
Sarebbe stato un osso duro, ma se riusciva a guadagnarsi la sua benevolenza, il
più era fatto. Non chiedeva nient’altro di vederla, ancora una volta. Una volta
soltanto, e poi sarebbe partito per l’Ovest, insieme a suo figlio. Sì, una volta
soltanto… ma a chi voleva raccontare fandonie! Aveva detto “ancora una volta”
chissà quante volte…
Fortunatamente, Myoga s’era addormentato nel mezzo della sua
pelliccia e aveva smesso di tempestarlo di ammonizioni continue sul fatto che un
demone e un essere umano non avrebbero mai potuto essere felici, sul destino
contro cui sarebbe andata Izayoi, sull’umiliazione che avrebbe attirato sul suo
clan se avesse generato un mezzodemone, sull’ira di Sesshomaru nel sapere suo
padre insieme a un’umana e via dicendo…
Il demone-pulce non si risparmiava su nulla e descriveva tutte le possibili
conseguenze di questo amore, con una precisione insopportabile. Suo malgrado,
Inu No Taisho dovette costatare che non aveva tutti i torti. Il quadro che Myoga
gli aveva predetto era fin troppo veritiero.
- Impossibile. – rispose, abbandonando le proprie
speculazioni mentali.
Yumiko sgranò gli occhi. Quel stramaledetto demone non
intendeva lasciar perdere Izayoi. Voleva la sua rovina! Ecco cosa voleva!
Trascinarla nel fango, ancora più in profondità.
- Tu, esecrabile essere! Come osi!? – urlò l’anziana donna.
Il vento aveva ripreso a soffiare, e le fronde degli alberi
testimoniavano quell’incontro rumoreggiando sommessamente. Rimasero così,
immobili, uno di fronte a all’altra, senza proferire più alcuna parola.
Lo yokai tutto si sarebbe aspettato, fuorché quell’umana
dalla pelle raggrinzita e la ferma volontà di impedirgli ogni avvicinamento ad
Izayoi. Che stupido era stato… Cercare l’aiuto in un essere umano…
Ma un alleato all’interno del palazzo, in quel frangente, sarebbe stato di
grande aiuto. La vecchia voleva solo proteggere Izayoi, e condannarla per
questo, o peggio, ucciderla, avrebbe attirato su di lui il biasimo di colei che
tanto amava.
Tentò l’ultima carta che gli restava da giocare, quella della compassione. Gli
esseri umani erano creature che possedevano un gran cuore e che venivano spesso
turbati dai sentimenti sinceri. Il cuore era la loro debolezza, e la loro forza.
Chi penetrava il loro cuore, possedeva la loro anima.
Parlarono, mantenendosi sempre debitamente a distanza. Yumiko
si era ripromessa di non dare adito ad alcuna delle parole del demone, ma a poco
a poco, le sue convinzioni iniziarono a disintegrarsi. E se lui l’amasse
davvero? E se questo sentimento… così maledetto, così improponibile, così
sporco, condannabile, terribile… fosse reale?
Il dubbio le rodeva la mente. Poteva lei, in qualità di umile serva, decidere le
sorti della sua signora? E se Izayoi, l’avesse scoperto… se avesse scoperto che
lei, Yumiko, aveva ostacolato il demone di cui era innamorata, come l’avrebbe
presa?
Non fu ben chiaro se a muoverla fu la paura del giudizio di
Izayoi, o la consapevolezza di avere di fronte un demone, molto più umano e
sincero di quello che si sarebbe aspettata, ma poco prima di congedarsi, disse:
- Ti aiuterò demone! Ma solo per questa volta, e solo per
dirle addio. Tu lo sai a cosa andrebbe incontro, se tu continuassi a starle
attorno…
Inu No Taisho annuì. Nonostante cercasse in tutti i modi di trovare una
scappatoia, le strade portavano sempre in un’unica terribile direzione: dolore,
condanna, morte…
Riuscì a raggiungere il palazzo la notte stessa. Seguendo le
indicazioni dell’anziana donna gli fu facile penetrare al suo interno. Yumiko
gli aveva spiegato che esisteva un punto del palazzo che non veniva mai
controllato, perché era umanamente impossibile riuscire a far breccia da lì. Era
una parte del lato ovest, che dava direttamente su un baratro assai profondo. La
parete liscia impediva ogni scalata, ed esisteva un'unica finestra posta nel
punto più alto, dalla quale era possibile introdursi nell'edificio.
Taisho tutte le volte che aveva visitato la principessa, lo
aveva fatto altrove, in luoghi che lei stessa gli indicava. Ma da quando lui era
tornato dall’ovest, lei era sempre stata all’interno del palazzo, e cosa ancor
peggiore, non aveva ancora comunicato con lui. Urgeva una mossa repentina, se
voleva sincerarsi delle condizioni di Izayoi.
Come programmato, la vecchia lo attendeva nel corridoio del lato ovest. Non
appena lo vide, cominciò a gesticolare e a fargli segno di sbrigarsi. La sua
figura era debolmente illuminata dalla fiamma di un lume che teneva nella
destra.
- Sbrigatevi! Non c’è tempo da perdere!
Taisho seguì l’anziana donna, attraverso le sale del palazzo.
- Le avete detto del mio arrivo?
- Che domande? Certo che gliel’ho detto… non voglio certo
prendermi simili responsabilità.
Izayoi lo attendeva, in piedi, accanto allo shoji. La debole
luce lunare, rischiarava il giardino che s’intravedeva dietro di lei. Yumiko
fece per chiudersi la porta alle spalle, poi ci ripensò ed uscì dalla stanza. Se
quello doveva essere un addio, che fosse fatto in piena regola, e senza inutili
testimoni. Lei avrebbe atteso fuori, e contemporaneamente avrebbe controllato
che nessuno si avvicinasse.
- Izayoi – chiamò il signore dei demoni.
La principessa non si mosse, con lo sguardo fisso sulle scure
fronde degli alberi. Il dolce suono degli uccelli notturni che intonavano i loro
cupi versi all’astro divino, lusingava le sue orecchie, come la nenia di una
nutrice. Cullata, protetta, chiusa all’interno di un immaginario cerchio sacro.
Se mi volto… Se mi volto… continuava a ripetersi, mentre
udiva i passi di lui farsi sempre più vicini.
- Izayoi, ti vedo triste. Cosa ti turba?
Quella voce… Ancora, una volta! Perché sei venuto? Perché hai
dato ascolto alle mie preghiere che bramavano la tua persona. Ah, che io sia
maledetta, per quest’amore così empio e corrotto.
- Izayoi, avvicinati.
Le sue mani, così letali, così ferme, così calde, si posarono
sulle sue spalle attirandola a sé. Un fremito le attraversò la schiena.
Lontano! Lontano! Va via… allontanati da me! Urlava muta la
sua mente. Mentre il suo corpo, mite s’abbandonava al suo abbraccio e la sua
schiena s’appoggiava a quel petto possente.
- E’ tutto sbagliato. – disse in un sussurro, mentre le sue
fragili mani stringevano con forza le braccia del demone, cinte intorno alla sua
persona.
Un dubbio improvviso le attraversò la mente. E se lui fosse
in grado di accorgersene?
Si liberò rapidamente da quell’abbraccio e si voltò verso
lui, che era della sua vita, la sciagura e la gioia.
- Izayoi? – chiamò sorpreso.
Perché si scostava? Perché lo guardava con quegli occhi colmi
di timore?
Sollevò la mano, cercando il suo viso, ma vi trovò solo aria.
Izayoi si era allontanata maggiormente, e non sembrava intenzionata ad
accorciare le distanze. Era venuto per dirle addio, e mai avrebbe pensato che
sarebbe stata lei a farlo.
Così volubili sono gli esseri umani? Guardala, ora, come non riesce neppure a
guardarti in viso! Ha gli occhi bassi, gli occhi della colpa!
- E così, dunque, vuoi dirmi addio?
Quella domanda le penetrò nell’animo come una scheggia di
vetro. Dirti addio? Cosa impossibile per il mio cuore… ma non per la mia mente!
Sì, ti dirò addio questa notte…. perché non si è mai sentito, nella storia del
Giappone, di un demone che avesse amato una donna, senza sventura. Ed io quella
sventura la porto già in grembo!
- Sì. Io credo che … sia giunto il momento di separarci.
Yumiko camminava avanti e indietro lungo lo spazio
antiastante il fusuma. Quanto tempo ci mettevano? Sarebbe stato un bel guaio se
fossero comparsi i soldati. Muoviti maledetto demone?! E’ un addio quello che
devi dare… e gli addii si danno rapidamente, senza inutili tormenti della voce.
All’improvviso, dietro di lei, il fusuma venne aperto con
violenza. Il demone comparve alla sua vista. L’anziana donna fece qualche passo
indietro, perché l’aura che percepiva da quel demone, era satura di negatività.
Lo yokai la guardò con occhi di fuoco. Non era negativo, era furioso! Non avrà
messo le mani addosso alla principessa! Pensò con rabbia, fissando sbigottita la
stanza attraverso il fusuma aperto.
- La tua principessa sta bene! – disse freddamente, prima
d’incamminarsi verso l’uscita.
Yumiko fece per muovere qualche passo verso di lui, ma la
voce del demone l’arrestò: - Non datevi pena! Conosco la strada!
Yumiko lo lasciò andare, non ci teneva a stare in compagnia di quel demone, e se
si era offerta di accompagnarlo all’uscita, era solo per evitare che finisse per
sbaglio in “bocca” ai soldati. Ma… a quanto sembrava, era ben deciso a lasciare
il palazzo al più presto e … insomma… che se la vedesse da solo.
Entrò nella stanza, Izayoi era seduta sul futon. Le ginocchia
strette al petto, il mento appoggiato su di esse. Yumiko avanzò lentamente, con
apprensione. Si inginocchiò accanto a lei e attese che la principessa rompesse
il silenzio.
- Se n’è andato? – chiese con un filo di voce.
- Sì, mia signora.
- Capisco.
Yumiko sollevò la mano per accarezzarle il capo, ma ci
ripensò: era come se Izayoi fosse circondata da un aurea che nessuno avrebbe mai
potuto attraversare: l’aurea della profonda mestizia, della solitudine e
dell’angoscia.
Debolmente la luce della luna filtrava dalla finestra aperta, confondendo le
loro ombre insieme alle altre. La brezza smuoveva le fronde degli alberi, e in
lontananza il sofferente grido di un lupo squarciava il tenue silenzio della
notte. O forse era un cane… chi poteva dirlo.
- Avete fatto ciò che vi avevo suggerito? – chiese Yumiko.
Izayoi annuì.
- E’ stata la scelta migliore, principessa.
Izayoi si limitò ad annuire nuovamente. Sapeva che se avesse parlato, le sarebbe
stato impossibile fermare il fiotto di lacrime che premevano dietro le sue iridi
ossidiane.
Trascorsero alcuni giorni dalla notte in cui il demone fece
visita alla principessa.
Izayoi dopo quell’incontro si era chiusa in un profondo
silenzio. Aveva seguito il consiglio di Yumiko e aveva chiesto a Taisho di non
cercarla più. Ogni parola che era uscita dalla sua bocca era stata così amara e
pungente che lei stessa aveva compiuto un enorme sforzo per pronunciarla, ma
Yumiko aveva ragione, si erano spinti troppo oltre ed era necessario porre fine
a questa follia, prima che le cose precipitassero.
Ripose l’emakimono e attraversando lo shoji aperto uscì sull’engawa. L’aria era
tiepida e grondante di profumi floreali. Si passò una mano sul ventre,
chiedendosi quando avrebbe sentito al tatto la vita che pulsava in lei.
Takemaru le avrebbe fatto visita anche questa sera e anche
questa sera avrebbe inventato una nuova scusa per non vederlo. Il principe non
le aveva mai fatto domande e non aveva mai protestato, ma lei immaginava che
dentro di sé, Takemaru, si poneva delle domande. Presto o tardi, avrebbe dovuto
cominciare a comportarsi come sempre, fingere che niente di ciò che l’affliggeva
era reale.
Un rumore alle sue spalle la fece, improvvisamente,
trasalire. Izayoi si voltò di scatto, stringendo con la mano la stoffa del
kimono, all’altezza del cuore.
- Oh, Yumiko, siete voi… - sospirò – Mi avete spaventata!
- Perdonatemi principessa, non era mia intenzione.
Izayoi sorrise tristemente.
- Avete riflettuto su ciò che vi ho detto, principessa?
Il volto di Izayoi s’incupì tutto ad un tratto, anzi sembrava
quasi indignato. Coprì rapidamente la distanza che ancora la separava dalla
donna.
- Yumiko. – disse satura di rabbia.
- Principessa Izayoi, so che la mia proposta è contro ogni
principio morale, ma questa situazione…
Izayoi sollevò una mano per interromperla.
- Vi ho detto che non farò mai una cosa del genere. Questo –
disse premendosi una mano sul ventre – è mio figlio!
- Lo so principessa, ma cercate di riflettere. Il bambino è
un mezzo demone, una creatura destinata alla sofferenza perpetua. E cosa ne sarà
del buon nome della vostra famiglia, di vostro padre… Pensate a vostro padre,
morirebbe di crepacuore nell’apprendere la notizia. Oh, vi prego principessa…
non si tratta di un atto d’ingiustizia nei confronti di questa creatura, ma di
un sommo atto d’amore. Se l’amate, liberatela dal futuro infausto che l’attende.
- Come puoi chiedermi questo, Yumiko? Come puoi suggerirmi di
liberarmi del bambino che porto in grembo?
- Lo so che siete sconvolta, e che per voi è inconcepibile,
ma vi prego, cercate di riflettere… sarebbe meglio per tutti, soprattutto per
voi e per il bambino.
Izayoi abbassò lo sguardo. Nonostante aborrisse il
suggerimento di Yumiko, non poteva negare che gli scenari descritti dalla donna
erano fin troppo veritieri. La nascita di quel mezzodemone avrebbe portato
sventura a tutti, anche a sé stesso. Che madre sarebbe stata, se lo avesse
condannato a una simile vita?
Yumiko intuendo la titubanza della principessa incalzò
ancora: - Non ci vorrà molto, vedrete. Siete quasi al secondo mese di
gravidanza, e l’aborto è più facile e sicuro se praticato ora. Non potete
attendere ulteriormente.
- Yumiko… - mormorò quasi in lacrime Izayoi.
- Prendete tutto il tempo di cui avete bisogno per
riflettere. Ma vi prego… pensate alle conseguenze delle vostre decisioni. Questo
bambino non sarà mai felice. Mai.