~
L'anima dell'oceano ~
Capitolo
1.
One
more night
to
bear this nightmare.
What
more do I have to say?
Crying
for me was never worth a tear,
my
lonely soul is only filled with fear.
Notte.
Un'altra dannata notte, un altro nido di incubi pronti a balzarle
addosso, era appena arrivata.
Da
quanti anni ormai era stata rinchiusa lì? Da quanti anni si
ritrovava ad affrontare i suoi fantasmi ogni singola notte della sua
vita?
Cheryl aveva perso il conto, anzi, non si era mai neanche degnata di iniziarlo.
Cheryl aveva perso il conto, anzi, non si era mai neanche degnata di iniziarlo.
Sapeva
solo che, quando era entrata in quel manicomio, era una giovane donna
dal viso roseo e una delicata pelle di porcellana, mentre ora i suoi
capelli s'erano fatti bianchi, le fragili mani erano solcate da rughe
e lo sguardo aveva perso la sua luce.
Non
parlava, Cheryl. Le sue labbra potevano rimanere sigillate per giorni
o per settimane intere. Ma c'era una parola, sempre la stessa parola,
che talvolta i dottori o gli altri pazienti del manicomio potevano
udirle.
Con
l'espressione remota e smarrita di chi si è completamente
rinchiuso
nel proprio mondo, Cheryl sospirava e pronunciava un nome.
Marianne.
Non
diceva mai altro, mai. Nessuno poteva saperlo, ma quello era il nome
che accompagnava quasi tutti i suoi pensieri, ogni giorno. Era il
nome che l'accoglieva al mattino e che popolava i suoi sogni, quei
sogni che potevano farla svegliare con un dolce sorriso malinconico
sulle labbra o con un grido di terrore.
La
ragione non l'aveva completamente abbandonata, nonostante tutti i
dottori che l'avevano visitata sostenessero il contrario. C'erano
spesso momenti o giornate in cui Cheryl riusciva a pensare
lucidamente, a ricordare i dettagli più significativi della
sua vita
come fanno tutte le persone normali, a formulare i suoi giudizi.
Ma
più frequente era che la sua mente si abbandonasse del tutto
alla
disperazione, l'unico sentimento che lei aveva conosciuto da quando
era entrata nel manicomio.
Occhi
persi e indifferenti che non vedevano nulla. Silenzi dai quali
nessuno poteva smuoverla. Attacchi inspiegabili di panico che la
portavano a sussultare per qualsiasi rumore, a stringere
convulsamente le mani intorno ai lembi della sua coperta, a
seppellire la testa nel cuscino con il fiato rotto.
E quel nome, sempre quello stesso nome che risuonava nella sua testa, anche ora, mentre sedeva sul letto con lo sguardo perso in un punto indefinito della stanza.
E quel nome, sempre quello stesso nome che risuonava nella sua testa, anche ora, mentre sedeva sul letto con lo sguardo perso in un punto indefinito della stanza.
Marianne,
Marianne, Marianne.
Ma
in quel momento Cheryl non provava neanche una traccia della paura
che solitamente l'attanagliava durante la notte, anzi. Si sentiva
pervasa da una fredda determinazione; era assolutamente sicura di
quel che stava per fare.
Ed
era ancora abbastanza lucida da poter pensare. Chiuse gli occhi e
sospirò, lasciando che i ricordi affiorassero alla sua
mente. In
seguito, non avrebbe più avuto tempo per ricordare.
*
2
maggio 1845.
Un'ultima
nota di pianoforte risuonò nel salotto. Le dita di Cheryl
esitarono
per qualche istante sui tasti, prima che la giovane donna posasse le
mani sulle ginocchia e sollevasse lo sguardo.
Sorrisi,
sguardi ammirati, uno scroscio di applausi da parte degli ospiti che
quella sera avevano preso parte alla cena in casa sua; Cheryl si
sentì arrossire un po', nonostante fosse lusingata da quella
reazione.
-Che
tocco incantevole!- squittì Jacqueline Marple, una donna di
mezz'età
dai biondi capelli ingrigiti. -Ho raramente ascoltato delle signorine
suonare in modo così... insomma...
-Oh,
nostra figlia ha un talento naturale.- intervenne Brandon Browning.
-È da quando aveva sei anni che non stacca le dita dal
pianoforte.
Siamo così abituati a sentirla ogni giorno che
sarà dura separarci
dalla sua musica quando si sposerà... ormai manca meno di
una
settimana al giorno del suo matrimonio.
La
signora Marple si voltò verso Cheryl e le rivolse uno di
quei
sorrisi che facevano assomigliare la sua larga faccia a quella di un
rospo.
-Come
si chiama il fortunato, cara?
-Fabian
Holmis.- fu la timida risposta di Cheryl.
-E
il nome della splendida opera che ci hai fatto ascoltare
stasera?
Cheryl stava per rispondere, quando venne interrotta da una voce femminile: -Dovrebbe trattarsi dell'Andante Grazioso di Mozart, l'undicesima sonata in La maggiore, vero?
A parlare era stata una giovane ragazza bionda, che la guardava con due occhi azzurri gentili e splendenti di ammirazione. Doveva chiamarsi Marianne Watmore, così le sembrava di aver udito durante la cena di quella sera.
Cheryl stava per rispondere, quando venne interrotta da una voce femminile: -Dovrebbe trattarsi dell'Andante Grazioso di Mozart, l'undicesima sonata in La maggiore, vero?
A parlare era stata una giovane ragazza bionda, che la guardava con due occhi azzurri gentili e splendenti di ammirazione. Doveva chiamarsi Marianne Watmore, così le sembrava di aver udito durante la cena di quella sera.
-Esatto.-
rispose Cheryl, alzandosi dallo sgabello del pianoforte.
Stava
per andare a riprendere posto accanto ai suoi genitori, quando
notò
che Marianne era l'unica in quella stanza che sedeva completamente
sola sul suo divanetto.
Beh,
sarò gentile., decise
Cheryl e, mentre tutti i presenti tornavano a immergersi nelle loro
conversazioni, le si avvicinò per sedersi accanto a lei.
-Marianne
Watmore, giusto?- le domandò nel suo tono più
cortese.
Le
sarebbe piaciuto conoscerla un po': non poteva fare a meno di
sentirsi incuriosita nei confronti di una ragazza che aveva
riconosciuto a primo colpo una sonata di Mozart.
-Sì.-
rispose lei, annuendo. -Sono la figlia di Ylenia e Leonard Watmore.
Dopo
qualche istante di silenzio, Marianne continuò: -Lei suona
davvero
benissimo, sa? Sono rimasta assolutamente incantata. Io adoro la
musica, in particolar modo quella di Mozart. Purtroppo non sono
un'intenditrice e non ho mai avuto occasione di suonare uno strumento
musicale...
-La
ringrazio.- sorrise Cheryl, e si sentì arrossire un altro
po'. -Mi
ha piacevolmente sorpresa sentirla riconoscere il pezzo, al di
là
del titolo. Purtroppo non capita spesso. La maggior parte della gente
si sarebbe limitata a dire “Questo è l'Andante
Grazioso di
Mozart”...
-Beh,
tendo sempre ad approfondire ciò che mi interessa.- rispose
Marianne
con un'alzata di spalle, ma sembrava compiaciuta da quel complimento.
-Che si tratti di musica o di arte in generale...
Arte.
Cheryl
sentì il suo cuore fare un balzo.
In
tutta la sua vita, non aveva mai
incontrato
una donna a cui piacesse anche solo minimamente l'arte. Certo, ne
conosceva di ragazze che come lei suonavano il pianoforte, ma nessuna
di loro amava veramente la musica, nessuna era interessata a
conoscere davvero gli artisti di cui ricreava le splendide sinfonie o
aveva iniziato a mettere le mani sui tasti per passione, non
perché
suonare uno strumento era un piacevole passatempo e una
possibilità
in più di apparire interessanti agli occhi della
società.
Chissà,
forse aveva trovato una ragazza con cui non si sarebbe limitata a
parlare di quanto fossero incantevoli le nuove tende del salotto,
deliziosi i pasticcini che aveva preparato e attraenti gli scapoli
più noti di Burford.
-Che
tipo di arte?- domandò Cheryl.
-Le
arti figurative, prima di tutto. Provo un assoluto amore per i quadri
di Rembrandt, anche se preferisco i pittori settecenteschi e lo stile
neoclassico. Ho in casa una collezione di libri a tema, ho passato la
mia adolescenza studiandoli e ascoltando mia madre che mi diceva di
smetterla di perdere tempo e ammuffire sulle pagine perché
era più
importante che mi trovassi un buon partito. Beh, non che ora le cose
siano cambiate molto.
Marianne
sorrise, e Cheryl la ricambiò. Non riusciva a credere di
aver appena
conosciuto una donna che aveva trascorso anni a studiare
libri
di pittura.
-E
che mi dice della poesia?- chiese.
-Preferisco
i romanzi in prosa, ma quando una poesia parla della natura mi
conquista del tutto. Specialmente quando si tratta del mare, che per
me è una delle massime espressioni artistiche dell'essere
umano.
Immagino che lei conosca la ballata del vecchio marinaio... oh,
quanto l'ho adorata!
Cheryl
sentiva il cuore batterle forte, ed era come se quei battiti
pompassero felicità nelle sue vene al posto del sangue.
-Io
amo il mare.- disse, con un sorriso che le illuminava il volto minuto
e gli occhi verdi. -E amo la poesia. Anche io ho letto libri per
tutta l'adolescenza, ma i miei genitori non mi hanno mai detto nulla
a riguardo. Sanno che ho sempre pensato che mi sarei sposata quando
sarebbe arrivato il momento...
-E
il momento è arrivato? A quanto pare lei si
mariterà tra una
settimana.- la interruppe Marianne.
-Oh,
sì. Se devo essere sincera, sono stati i miei genitori a
proporre
Fabian Holmis come mio possibile marito. Io l'ho frequentato un po' e
credo che sia la persona giusta per me. Insomma, a ventitré
anni,
ancora non sposata...
Quel che Cheryl non disse in quel momento fu che i suoi genitori non avevano solo proposto Fabian come suo marito. L'avevano scelto, perché non volevano che la loro figlia sprecasse ancora molti anni della sua vita in casa, a suonare il pianoforte e sfogliare libri inutili.
Quel che Cheryl non disse in quel momento fu che i suoi genitori non avevano solo proposto Fabian come suo marito. L'avevano scelto, perché non volevano che la loro figlia sprecasse ancora molti anni della sua vita in casa, a suonare il pianoforte e sfogliare libri inutili.
“Hai
bisogno di mettere la testa a posto, e quell'Holmis può
farlo.”
era stata la decisa affermazione di suo padre. E Cheryl, dopo le
deboli proteste iniziali, non aveva avuto la forza di opporsi.
Perché
Cheryl era sempre stata troppo terrorizzata anche solo per ammettere
a se stessa, figuriamoci poi alla sua famiglia, i veri sentimenti che
nutriva nei confronti degli uomini. O meglio, che non
nutriva.
“Mi
metterà la testa a posto.” aveva pensato per
convincersi ad
affrontare quel matrimonio di convenzione. “E poi
è un bell'uomo,
ha un carattere piacevole. Starò bene con lui.”
-Sono felice per lei.- stava dicendo Marianne, e la sua voce la strappò da quei pensieri.
-Sono felice per lei.- stava dicendo Marianne, e la sua voce la strappò da quei pensieri.
-E
lei, signorina Watmore? Mi pare di aver capito che non è
sposata.
-Oh,
per favore, mi chiami Marianne, va bene? È così
strano sentirsi
chiamare “signorina Watmore”, non mi è
mai piaciuto.- ridacchiò
lei. -Comunque no, ha ragione. È il motivo della maggior
parte degli
scontri tra me e la mia famiglia. Purtroppo credo di non aver ancora
trovato... la persona giusta.
Qualcosa
nel suo tono di voce sembrò calcare sulla parola
“persona”, e
per un attimo i suoi occhi sembrarono oscurarsi di una sorta di...
tristezza, rassegnazione?
Cheryl
sbatté le palpebre e osservò meglio Marianne, ma
quell'ombra
sembrava essere già sparita. La giovane la fissava con uno
sguardo
così intenso e brillante di intelligenza che la metteva
quasi a
disagio.
È
bella, è davvero bella., si
ritrovò a pensare Cheryl.
I
suoi occhi scorsero sul viso dal profilo delicato di Marianne,
circondato dai folti boccoli di un biondo dorato. Le sue guance erano
deliziosamente rosate, le ciglia chiare e lunghe, la bocca piccola e
all'apparenza meravigliosamente morbida.
Nel
momento in cui il suo sguardo fu tentato di scendere oltre il collo
snello della ragazza, Cheryl si sentì cogliere da una punta
di
orrore.
No,
no, no. Non ancora. Non ancora.
Quando
tornò a guardarla negli occhi, Marianne le stava sorridendo.
E, a
dispetto di tutti i suoi sforzi, Cheryl non poté fare a meno
di
chiedersi quanto le sue labbra potessero essere davvero
morbide.
-È
molto piacevole parlare con lei, signorina Brow... Cheryl. Crede che
potremmo rincontrarci, uno di questi giorni? La mia casa è
appena a
due strade di distanza da qui, sarebbe un piacere ricevere una sua
visita.
-Sicuramente.
Cheryl
non poté fare a meno di sentirsi imbarazzata. Era una cosa
che le
capitava abbastanza spesso quando aveva a che fare con le persone in
generale; lei era sempre stata timida, fin da bambina. Quella donna,
poi, aveva qualcosa di diverso dagli altri: la guardava come se le
stesse scavando dentro, come se cercasse di cogliere qualcosa al di
là delle sue parole.
Per
scacciare quella sensazione, Cheryl guardò il tavolino
davanti al
loro divanetto, dove capeggiava un piatto ricolmo di pasticcini e
biscotti farciti di crema e cioccolato.
-Le
andrebbe uno?- disse, afferrati un paio di biscotti. Marianne rispose
con un altro sorriso che la rendeva bellissima, perché lei era
bellissima, come poteva negarlo?
-Certo,
adoro i dolci. E, Cheryl...
Pronunciava
il suo nome in tono disinvolto, confidenziale, come se la conoscesse
da tempo.
-Sì?
-Possiamo
anche darci del tu.
*
I suoi passi risuonavano nella piccola stanza silenziosa.
I suoi passi risuonavano nella piccola stanza silenziosa.
Quando
Cheryl arrivò davanti alla porta, poggiò la mano
sulla maniglia e
si voltò per guardare la finestra all'altro capo della
stanza.
In
quel momento era chiusa, ma le tende erano tirate e si poteva
scorgere il cielo nero come inchiostro, puntellato da poche deboli
stelle. E Cheryl sapeva che, se si fosse affacciata, avrebbe visto il
mare.
Poteva
dire di aver trascorso la sua vita affacciata a quella finestra, a
godere della brezza che le scompigliava delicatamente i capelli, ad
ascoltare i fischi dei gabbiani e il fragore delle onde che
s'infrangevano sugli scogli, mentre il profumo salmastro la inebriava
e i suoi occhi scorrevano sullo spettacolo dell'acqua che brillava
sotto la luce del sole o della luna.
Non
le era mai importato che il mare fosse placido o in tempesta. Lei lo
amava ugualmente, e l'avrebbe amato fino al suo ultimo respiro.
Quanto
aveva desiderato poter sparire lei stessa in quell'acqua, divenire un
tutt'uno con le onde, affondare il dolore in abissi inesplorati,
finché la sua anima non si sarebbe persa
nell'infinità dell'oceano.
“Un
giorno lo saremo, Cheryl. Solo noi e il mare, proprio come abbiamo
sempre desiderato. Te lo prometto.”
La
voce di Marianne le parlava ancora attraverso gli anni, dolce e
carezzevole. Nella sua mente, quelle delicate mani bianche le
sfioravano ancora il viso, le sue labbra lambivano ancora le sue.
Ma
lei e Marianne il mare non l'avrebbero mai vissuto, almeno non come
avevano sempre desiderato negli splendidi e fervidi anni della loro
giovinezza.
Un ultimo sospiro. L'anziana donna si voltò e abbassò la maniglia della porta, spalancandola sul buio fondo del corridoio.
Un ultimo sospiro. L'anziana donna si voltò e abbassò la maniglia della porta, spalancandola sul buio fondo del corridoio.
*
6
giugno 1845.
-Quindi
lei non è ancora sposata, signorina Watmore?
Lady Anne assaggiò un sorso di tè dalla sua tazzina, gli occhi fissi su Marianne. Cheryl, dalla sua poltroncina in velluto rosso, la osservava sbocconcellando senza interesse un pasticcino alla crema.
Lady Anne assaggiò un sorso di tè dalla sua tazzina, gli occhi fissi su Marianne. Cheryl, dalla sua poltroncina in velluto rosso, la osservava sbocconcellando senza interesse un pasticcino alla crema.
-Oh,
no. E credo che rimarrò così ancora a lungo.-
rispose Marianne in
un tono assolutamente tranquillo e indifferente, come se stessero
discutendo del tempo atmosferico.
-Ma
come può parlare così?- pigolò Kate
Hernest, scostandosi un
ricciolo ribelle dalla fronte. -Essere sposate è una cosa
meravigliosa. Avere finalmente un uomo al tuo fianco che si prende
cura di te... scommetto che Cheryl potrà confermarlo, lei
che ormai
è diventata Cheryl Holmis. Non è vero, cara?
Cheryl
non aveva mai sopportato Kate Hernest, da quando l'aveva conosciuta
tre anni prima. Odiava la sua voce stridula, i suoi tondi occhi
vuoti, la falsa gentilezza con cui si rivolgeva agli altri. Ma
sfortunatamente Kate e la sua amica Anne Charlest avevano insistito
per un appuntamento di cortesia a casa Watmore quel pomeriggio, dopo
aver conosciuto Marianne a un ballo.
E
Marianne, che per loro non provava neanche un briciolo di simpatia,
aveva invitato anche Cheryl sperando che la sua presenza potesse
alleviare un po' il pomeriggio noioso che le si prospettava.
“Avanti,
lo faresti per me? Ho paura di non poter reggere neanche un quarto
d'ora con quelle due.” le aveva detto sorridendo, e Cheryl
aveva
sentito il viso andare in fiamme mentre il suo cuore perdeva un
battito.
Così
il pomeriggio stava trascorrendo, come previsto, tra pasticcini,
pettegolezzi e chiacchiere futili su chi aveva tradito chi e quali
colori andassero più di moda nell'ultima stagione.
In
quel momento, Cheryl avrebbe voluto zittire quell'oca di Kate
dicendole che per lei essere sposata non era affatto meraviglioso.
Fabian
era un bell'uomo, certo, dal sorriso ammaliante e i lucidi capelli
neri. Ma era anche freddo. Era freddo quando la baciava e faceva
scorrere le mani sul suo corpo, perché nel suo tocco non
c'era alcun
sentimento. Era freddo quando cenavano insieme e quando la sera si
ritrovavano, lui seduto sul divano a sfogliare libri e lei a suonare
un po' il pianoforte.
Era
freddo quando la guardava con una smorfia, perché Cheryl
aveva detto
o fatto qualcosa che a lui non andava bene, e le stringeva il polso
in una breve stretta dolorosa o le dava ordini in tono secco.
Ciononostante,
Cheryl si sforzò di disegnarsi un debole sorriso sulle
labbra mentre
sollevava la sua tazzina di tè, ormai quasi vuota.
-Oh,
sì. Sono d'accordo.- ridacchiò, sentendosi una
totale stupida.
Marianne
aveva ascoltato indifferente quello scambio di battute. Con una
scrollata di spalle, disse: -Io sono convinta che per noi donne ci
siano cose ben più importanti del trovarci un uomo che si
prenda
cura di noi. Insomma, non potremmo tranquillamente badare a noi
stesse? Il matrimonio, i figli... nulla di tutto questo ci
può
soddisfare da un punto di vista personale. Io desidero qualcosa di
ben diverso.
Silenzio.
Cheryl osservò Marianne con un crescente sentimento di
stupore e
ammirazione, mentre Anne e Kate s'accigliavano.
-Lei
dice?- fece infine Anne. -Si vede che non ha ancora trovato l'uomo
giusto. Io sono così impaziente di incontrare la persona che
mi
amerà davvero...
Forse
perché nessuno ti ha ancora voluta., pensò
Cheryl con una punta di rabbia.
-Il
matrimonio è il giorno più importante della vita
di ogni donna...
secondo solo a quando nascono i suoi figli, è ovvio. Tutte
lo
sognano. Se lei non desidera avere una famiglia, allora
cos'è a cui
aspira?
-Una
realizzazione. Qualcosa di diverso dal passare le giornate in casa a
cucire aspettando il ritorno di mio marito. Mi sono sempre chiesta
perché noi donne non dovremmo avere le stesse occasioni
degli uomini
di studiare e conoscere il mondo. Non vi piacerebbe conoscere il
mondo al di là di un ricevimento nella villa più
sontuosa di
Burford?
Anne
e Kate erano rimaste in silenzio, con le guance che s'arrossavano
sempre di più. Balbettarono confusamente in risposta,
finché Kate
non sembrò aver preso coraggio.
-Trovo
questi discorsi piuttosto fuori luogo. Non dico che noi donne non
possiamo imparare a leggere e a scrivere, e se proprio vogliamo anche
studiare un po'. Ma arriva un momento in cui dobbiamo farci da parte
e capire che ci sono cose che semplicemente non fanno per noi.
È la
natura che ci ha fatti così, gli uomini da una parte e noi
dall'altra.
Le
mani di Marianne sembrarono tremare leggermente, e per un attimo a
Cheryl parve di vedere un lampo di rabbia nei suoi occhi. Ma
scomparve subito.
-Capisco
il suo punto di vista.- disse Marianne, gentile. -Ma io
continuerò a
sostenere che ogni differenza tra donne e uomini sia solo apparente e
frutto di un condizionamento sociale e mentale. E che, se ne avessimo
l'occasione, noi potremmo rivelarci molto più intelligenti e
talentuose di quanto non sembri.
Anne
e Kate avevano sempre mostrato una composta per quanto falsa cortesia
nei confronti delle persone che non giudicavano al loro livello. Ma
ora, quando Cheryl guardò nei loro occhi, vi lesse uno
sguardo che
esprimeva insieme odio e derisione. Scandalo, confusione, disgusto.
-E
lei che ne pensa, Cheryl?- disse improvvisamente Anne, voltandosi
verso di lei. -Non è d'accordo con quel che ha detto Kate?
Cheryl abbassò la tazzina per poggiarla sul tavolino e si preparò a ricevere quello stesso sguardo su di sé.
Cheryl abbassò la tazzina per poggiarla sul tavolino e si preparò a ricevere quello stesso sguardo su di sé.
-A
dire il vero no.- disse, pensando alla piccola raccolta di libri che
tre settimane prima aveva sistemato nella sua nuova camera da letto
matrimoniale e a tutte le volte che aveva desiderato poter suonare il
pianoforte davanti alla folla di un teatro. -Mi trovo più
d'accordo
con Marianne. Siamo donne, sì, ma siamo anche esseri umani.
Cos'è
che alla fine ci differenzia dagli uomini? La forma di un corpo? Non
conta molto di più quel che abbiamo dentro? Essere sposate
è bello,
certo, ma... forse non è tutto.
Non
era poi così brutto essere guardata come se i suoi capelli
fossero
appena diventati verdi. Cheryl controllò l'impercettibile
tremito
delle mani e spostò lo sguardo su Marianne, incontrando il
suo
sorriso raggiante.
“Grazie.” sembrava dire quel sorriso, e Cheryl non poté fare a meno di ricambiarlo.
“Grazie.” sembrava dire quel sorriso, e Cheryl non poté fare a meno di ricambiarlo.
-Scusa?
Non ti disturbo, vero?
La
mano di Marianne lasciò cadere la spazzola sul letto. Cheryl
inspirò
a fondo quando gli occhi azzurri della donna si puntarono su di lei,
ferma sulla soglia della camera.
-Oh,
no, figurati. Puoi entrare, se vuoi. Mi stavo solo dando
un'aggiustata ai capelli.
Anne
Charlest e Kate Hernest se n'erano andate circa venti minuti prima,
quando la loro carrozza era giunta sotto casa a prenderle. Marianne
le aveva accompagnate alla porta e le aveva salutate, sapendo
benissimo che da quel giorno non le avrebbe mai più riviste
in casa
sua, poi aveva chiesto a Cheryl se poteva aspettarla per qualche
minuto perché doveva controllare qualcosa in camera.
Così
Cheryl aveva passato quasi un quarto d'ora a tormentarsi nervosamente
un ricciolo, osservando i quadri che adornavano le pareti del
salotto.
“Vai
a cercarla. Trova la sua camera, entra e parlale.” gridava
una voce
dentro di lei.
Perché
farlo, si chiedeva Cheryl? Presto Marianne sarebbe tornata in salotto
e avrebbero ripreso a parlare, stavolta da sole... ma alla fine si
era stancata di aspettare. Un istinto a cui non sapeva dare un nome
l'aveva spinta ad alzarsi e a percorrere il corridoio
dell'appartamento dei Watmore, finché non era arrivata
davanti alla
porta semiaperta che si affacciava sulla camera di Marianne.
-Puoi
sederti sul letto accanto a me, se vuoi.- stava dicendo Marianne,
mentre recuperava la spazzola.
Cheryl
annuì; lanciò una rapida occhiata intorno a
sé, ammirando
l'eleganza delle pareti rosso vinaccia e i mobili in legno di
ciliegio, poi si sedette accanto alla ragazza.
C'era
un grosso specchio sulla parete all'altro capo della stanza, che
permetteva ad entrambe di specchiarsi tranquillamente fino alla vita.
Marianne, con lo sguardo fisso sul riflesso, sollevò il
braccio per
prendere a spazzolarsi i capelli.
Cheryl
ne approfittò per guardarla bene, sperando che lei non si
accorgesse
delle sue occhiate di troppo: i capelli di Marianne, al naturale,
senza quei nastri che li fissavano in onde mosse intorno al capo,
erano splendidamente lisci, una vera e propria cascata d'oro che le
ricadeva sulla schiena.
È
bella, va bene. È normale pensare che le proprie amiche
siano delle
belle ragazze. Ma basta, tutto qui.
-Grazie
per prima.- disse improvvisamente Marianne, distogliendola dai suoi
pensieri.
-Per
il discorso sulle donne?- fece Cheryl, alzando lo sguardo. -Figurati.
Ho solo detto la mia.
-Beh,
mi hai sostenuta. È una cosa rara, non conosco persone che
la
pensino come me... come noi. Almeno saremo in due ad apparire delle
matte agli occhi della società.
Marianne
ridacchiò, posandosi la spazzola sulle ginocchia.
-Già.
Credo di aver sempre pensato quelle cose che hai detto tu. Solo...
non ho il coraggio di esprimerle in quel modo.
-Posso
capirti. Anche a me serve coraggio per dire quel che penso. Vedrai
che lo troverai anche tu.
Rimasero
in silenzio per alcuni secondi, semplicemente guardandosi negli
occhi. Cheryl si sentì arrossire e cercò
disperatamente qualcosa di
cui parlare.
-Così...
non vuoi proprio sposarti, eh?
-Oh,
non dico questo. Solo che non ho ancora trovato la persona giusta, e
temo che probabilmente non la troverò mai.
-Perché
mai, scusa?- domandò Cheryl, sconcertata. -Non dovresti
essere così
pessimista. Andiamo, dimmi... come dovrebbe essere la tua persona
giusta?
-Lasciamo
stare.- rispose Marianne, scuotendo piano la testa. -Magari un giorno
te lo dirò.
La
giovane riprese a spazzolarsi i capelli, tra l'altro già
perfetti.
Cheryl si morse il labbro, incerta su cosa dire. Perché
Marianne era
così misteriosa e reticente a parlare di un argomento
talmente
semplice?
Decise di distrarsi osservando la stanza intorno a lei: il tavolino da toeletta con tutte quelle confezioni colorate di profumi era delizioso. Come nel salotto, anche lì le pareti erano ricolme di quadri...
Decise di distrarsi osservando la stanza intorno a lei: il tavolino da toeletta con tutte quelle confezioni colorate di profumi era delizioso. Come nel salotto, anche lì le pareti erano ricolme di quadri...
Il
suo sguardo venne catturato dal comò in legno accanto al
letto. Lì
sopra, davanti a una piccola lampada, c'era un disegno. O meglio, una
pila di disegni.
Cheryl
si alzò per avvicinarsi al cassetto e osservare i fogli
impilati. Il
disegno in cima a tutti era stupendo; ritraeva una lunga distesa di
spiaggia bianca che si univa alla volta scura del mare, le onde
appena accennate puntellate dei riflessi cristallini della luna.
Quei
riflessi erano talmente dettagliati e precisi da darle l'impressione
che l'immagine fosse stata strappata dalla realtà per essere
impressa lì, sul foglio.
-È
bellissimo.- disse, voltandosi verso Marianne: la stupì
vederla con
la mano ferma a mezz'aria che stringeva la spazzola, le guance rosse
e gli occhi colmi di quello che sembrava... imbarazzo?
-Dici
davvero?- chiese Marianne, alzandosi a sua volta.
-Sì...
perché questa reazione? Per caso l'hai disegnato tu?
Marianne
lasciò cadere senza riguardi la spazzola sul letto e
annuì.
-Sì.
Quelli che vedi sono tutti miei disegni. Ho iniziato quando avevo
undici anni, disegnando il giardino della casa dove vivevo prima,
e... da allora non ho più smesso. È un altro dei
motivi per cui i
miei genitori mi considerano una stupida sognatrice.
-Mi
dispiace...- mormorò Cheryl. -Per me hai davvero talento...
mi piace
il modo in cui hai ricreato i dettagli della luce della luna riflessa
sull'acqua. Posso vedere gli altri?
Marianne
annuì; cercava di sembrare indifferente, ma non riusciva a
trattenere un sorriso compiaciuto a quelle parole.
Cheryl
afferrò la pila di fogli e iniziò ad esaminarli,
uno per uno. Erano
sicuramente alcuni tra i disegni più stupefacenti che avesse
mai
visto: prati sommersi da neve scintillante, alberi che svettavano
contro cieli luminosi e appena coperti da nuvole che sembravano
morbide come panna, cespugli in fiore, cervi che correvano nel folto
di un bosco.
Ma soprattutto il mare: Marianne ne sembrava ossessionata, per tutte le volte che l'aveva fatto oggetto dei suoi disegni.
Ma soprattutto il mare: Marianne ne sembrava ossessionata, per tutte le volte che l'aveva fatto oggetto dei suoi disegni.
Barche
di pescatori che ne solcavano la placida distesa scintillante. Onde
che s'infrangevano sulla spiaggia in un gran gonfiarsi di acque
azzurre e schiuma spumosa. Una tempesta che si abbatteva sugli
scogli. Villaggi di pescatori, gabbiani che si posavano sulla sabbia
dispiegando elegantemente le ali, conchiglie e sassi colorati che
giacevano sul lungomare.
Quando
Cheryl alzò lo sguardo, i suoi occhi brillavano
letteralmente.
-Credo
di non aver mai visto qualcosa di più bello.- disse, e il
suo tono
era così sincero da non lasciare spazio a dubbi. Marianne
sorrise
ancora, arrossendo vistosamente, e si sedette nuovamente sul letto.
-Davvero
lo pensi?
-Certo.
I colori... e i dettagli, soprattutto. Sei bravissima nel riprodurre
i dettagli. Ci conosciamo da un mese, ormai, perché non mi
hai mai
detto che disegni tanto?
Marianne
si lasciò andare a un sospiro.
-Tendo
a non dirlo quasi a nessuno. Sai... i miei genitori mi hanno sempre
scoraggiata, pur riconoscendo che “ho un certo talento che
potrebbe
andar bene ad una signorina che non sa come impiegare il suo tempo
libero, ma non ad una donna adulta.” Tutte le persone a cui
ho
detto che amo disegnare mi ripetono sempre la stessa cosa. Non ne
posso più. Quindi non ne parlo quasi mai, a meno che non mi
fidi di
qualcuno... il che non succede spesso.
-Quindi
ti fidi di me?- disse Cheryl, in tono divertito, mentre riordinava i
fogli per sistemarli sul comodino.
-Sì.
Sai, sei una di quelle persone per cui si prova una fiducia
istintiva. Le conosci da poco ma nonostante questo senti di poter
parlare con loro di cose che non diresti neanche ai tuoi amici
più
stretti... non che io abbia amici stretti. Sono troppo strana per
quasi tutti quelli che mi conoscono.
-Beh,
mi fa piacere sapere che ti sto così simpatica.-
ridacchiò Cheryl,
girandosi verso di lei.
-Mi
stai più che simpatica, Cheryl.
Cosa?
Stavolta era Marianne ad essere arrossita, per la seconda volta; le sue mani tormentavano nervosamente i lembi dell'ampia gonna azzurra, mentre il suo sguardo evitava in ogni modo quello di Cheryl.
Lei, d'altro canto, si sentiva il cuore battere a mille. Più che simpatica. Quante implicazioni poteva avere quell'espressione? Soprattutto quando veniva pronunciata da una voce così carezzevole, la voce di una ragazza che si rivolge al suo innamorato...
Stavolta era Marianne ad essere arrossita, per la seconda volta; le sue mani tormentavano nervosamente i lembi dell'ampia gonna azzurra, mentre il suo sguardo evitava in ogni modo quello di Cheryl.
Lei, d'altro canto, si sentiva il cuore battere a mille. Più che simpatica. Quante implicazioni poteva avere quell'espressione? Soprattutto quando veniva pronunciata da una voce così carezzevole, la voce di una ragazza che si rivolge al suo innamorato...
-Io...
scusa. Dimentica quello che ti ho detto, va bene? Non volevo.-
mormorò Marianne. -Sei un'amica per me, certo. Non
intendevo... non
intendevo niente altro.
Cheryl
annuì lentamente, senza sapere cosa dire.
Perché
Marianne aveva avuto quella reazione impacciata nel dirle
semplicemente che la considerava un'amica? Più
che
simpatica. Forse con quelle parole intendeva qualcos'altro. Forse...
-Ehi.
Che ne dici se torniamo in salotto a finire quei dolci?
Marianne
si era alzata dal letto e aveva recuperato l'espressione allegra e
sicura di sé che non l'abbandonava mai. Come se l'ultima
parte della
loro conversazione non si fosse mai svolta.
E
l'unica cosa che Cheryl poté fare in risposta fu annuire.
-Certo.
Mi stava venendo fame proprio in questo momento.
I
only wished to become something beautiful
through
my music,
through
my silent devotion.
Lì
fuori nel corridoio, a soli pochi passi dalla sua stanza, c'era una
finestra dalle tende tirate: la luce della luna filtrava, andando a
infrangersi sulle pareti e sul pavimento di legno polveroso.
Cheryl
si avvicinò lentamente a quella finestra e
sollevò le mani, così
da poterle guardare per bene: erano piccole e avvizzite, le mani di
una vecchia, e quelle dita rugose che si ritrovavano non sfioravano
un pianoforte da tempo immemore.
Ma
Cheryl ricordava ancora di quando le sue mani danzavano con
disinvoltura sui tasti, intrecciando nell'aria sinfonie vivaci
così
come musiche di una dolcezza struggente.
Se
solo fosse stata libera di vivere la sua vita, forse sarebbe riuscita
a diventare famosa come uno di quei musicisti che aveva sempre
ammirato.
Se
fosse stata libera...
*
11
settembre 1845.
Il
suo indice andò a premere per errore il tasto del Re invece
del Mi,
e la nota stonata risuonò nel salotto vuoto.
Cheryl
abbassò le mani sulle ginocchia e chiuse gli occhi,
lasciandosi
andare a un sospiro.
Non
è un pezzo semplice, è normale che sbagli.
Riprova, forza.
Riprese
a suonare, ma i suoi occhi non guardavano davvero i tasti del
pianoforte: la sua mente era lontana, persa nei ricordi di quel che
era successo nel corso di quell'estate.
Marianne.
Quelle
note delicate e cristalline non potevano fare a meno di ricordarle
lei.
Era
dolce, Marianne. Ben poche persone avrebbero detto lo stesso: tutti
la vedevano come una donna ironica, sicura di sé,
praticamente
indifferente a cose che avrebbero offeso e fatto scandalizzare altre
persone.
Ma
Cheryl sapeva che c'era altro dietro la sua facciata. Sapeva che
Marianne aveva semplicemente paura di mostrare agli altri quanto
potesse essere sensibile, a volte quasi fragile, perché non
voleva
essere considerata uguale a tutte le brave e gentili ragazze d'alta
società.
Marianne
era una sognatrice. Una fata dai capelli biondi e l'anima che
risplendeva di mille colori, così come i soggetti dei suoi
bellissimi disegni.
I
suoi occhi azzurri per qualcuno potevano essere gelidi come ghiaccio,
ma per Cheryl erano specchi che s'affacciavano sul mare.
Il
mare. Lo
amavano entrambe, ed era stata una delle cose che avevano contribuito
ad unirle così in fretta. Marianne se n'era innamorata da
piccola,
osservando le illustrazioni dei suoi libri, e non si sarebbe mai
stancata di disegnarlo e di dipingerlo.
Cheryl
non avrebbe saputo spiegare perché il mare le piaceva tanto:
vederlo, dal vivo o da un disegno che fosse, le procurava un
indefinibile senso di pace, di felicità, smuoveva la sua
sensibilità
come solo la musica era riuscita a fare. Se solo avesse potuto
lasciare Burford e la sua vita noiosa per essere libera, andare a
vivere su una spiaggia, ammirare il mare ogni giorno al suo
risveglio...
Marianne
era stata la prima persona con cui Cheryl aveva parlato di quel
sogno. Ed era stata anche la prima a cui era riuscita a confessare
che il suo più grande desiderio era poter suonare il
pianoforte a
livello professionale: cosa avrebbe dato per non ammuffire in quel
dannato appartamento che da qualche mese condivideva con suo marito,
per smuovere un po' la sua vita da donna di casa.
Vedere il mondo, respirare della sua stessa musica, suonare in un teatro traboccante di persone che avrebbero trattenuto il fiato fin dalla prima nota... perché Cheryl amava suonare.
Vedere il mondo, respirare della sua stessa musica, suonare in un teatro traboccante di persone che avrebbero trattenuto il fiato fin dalla prima nota... perché Cheryl amava suonare.
Cheryl
dimenticava ogni cosa quando chiudeva gli occhi e le sembrava che le
sue mani si muovessero automaticamente sui tasti del pianoforte, come
mosse da un'ispirazione, una volontà superiore.
Marianne
non era solo un'amica per lei. Cheryl aveva fatto fatica a
realizzarlo e infine ad accettarlo, ma era così. Era
arrivata al
punto in cui non aveva potuto più negare quel che provava
nel
sfiorare le sue mani, nel vederla sorridere, nel sentirla parlare con
quella voce carezzevole che rivolgeva solo a lei.
Non
è giusto, non è normale, non può
esistere. Siamo donne. Io non
posso...
Aveva
trascorso giorni a tormentarsi con quei pensieri, ma alla fine aveva
ceduto.
Io
sono innamorata di Marianne Watmore.
Cheryl
si bloccò nel bel mezzo della sinfonia che stava suonando.
Fissò i
tasti lucidi del pianoforte, le mani tremanti che si chiudevano a
pugno e le lacrime che lottavano per scivolarle dagli occhi.
Marianne era stata la prima persona della sua vita ad averla accettata e compresa per davvero. Più dei suoi genitori, più di suo marito Fabian.
E c'era qualcosa nei suoi occhi, nella sua voce, che a volte le faceva credere che forse anche lei provava le stesse cose, forse anche lei era innamorata...
Marianne era stata la prima persona della sua vita ad averla accettata e compresa per davvero. Più dei suoi genitori, più di suo marito Fabian.
E c'era qualcosa nei suoi occhi, nella sua voce, che a volte le faceva credere che forse anche lei provava le stesse cose, forse anche lei era innamorata...
Mi
sei più che simpatica, Cheryl.
Quando
gliel'aveva detto, era arrossita e si era scusata, chiedendole di
dimenticare tutto. Non era il comportamento di una ragazza che
esprime semplicemente il suo affetto per un'amica, o no?
Forse
non sono sbagliata. Forse non siamo sbagliate.
15
settembre 1845.
La
prima volta che si erano baciate era stata Marianne a prendere
l'iniziativa.
Le aveva preso il viso tra le mani, senza alcun preavviso, e Cheryl era rimasta immobile col cuore che batteva a mille e gli occhi chiusi, ad accogliere quelle labbra che premevano sulle sue e la baciavano con delicatezza.
In quel preciso istante, Cheryl aveva compreso cos'era l'amore.
Le aveva preso il viso tra le mani, senza alcun preavviso, e Cheryl era rimasta immobile col cuore che batteva a mille e gli occhi chiusi, ad accogliere quelle labbra che premevano sulle sue e la baciavano con delicatezza.
In quel preciso istante, Cheryl aveva compreso cos'era l'amore.
Quando
Fabian la baciava, la invadeva con la lingua come se volesse
affondare nella sua bocca e assaggiarne ogni parte. Era solo la sua
voglia di soddisfare i suoi
impulsi
fisici, senza reale interesse per quel che Cheryl poteva provare o
desiderare.
L'amore
era ben altro: l'amore poteva esprimersi anche nel lasso di pochi
secondi, in un paio di mani che le accarezzavano dolcemente le
guance, nelle labbra morbide assaggiavano le sue con gentilezza, nel
respiro in sincronia con il suo.
Cheryl
aveva riaperto gli occhi e si era allontanata leggermente: gli occhi
di Marianne la fissavano angosciati.
-Dio,
cosa
ho fatto? Scusa...- mormorò la ragazza, il volto che
sbiancava
lentamente.
Sembrava
essere sul punto di alzarsi e uscire di corsa dalla piccola
biblioteca di casa Watmore, dove lei e Cheryl si erano appartate per
passare il pomeriggio sfogliando alcuni volumi di poesia.
-No,
aspetta.
Cheryl
le afferrò di scatto una mano e la strinse forte: poteva
avvertirne
il tremito leggero.
-Non
ti faccio schifo?- disse Marianne con un sorriso debole e amaro, ma
le sue guance avevano ripreso colore.
-In
caso dovrei farmi schifo da sola, non credi? Non c'è nulla
di male
in quello che abbiamo appena fatto. È inutile cercare di
nasconderci, dobbiamo avere coraggio, è quello che dici
sempre.
Io... io ti amo, Marianne.
Silenzio.
Per i secondi più lunghi e tormentati della sua vita, Cheryl
temette
irrazionalmente che la ragazza scostasse la mano dalla sua e le
dicesse che un sentimento tra di loro non sarebbe mai potuto
esistere, che avevano entrambe bisogno di allontanarsi l'una
dall'altra e tornare normali.
Invece
Marianne si aprì nel sorriso più sincero, dolce e
splendente che
Cheryl le avesse mai visto.
-Ti
amo anche io.
*
Le labbra che una volta avevano ricambiato con tanto ardore i baci di Marianne erano ora secche e screpolate sul viso della donna che avanzava spedita nel corridoio.
*
Le labbra che una volta avevano ricambiato con tanto ardore i baci di Marianne erano ora secche e screpolate sul viso della donna che avanzava spedita nel corridoio.
Lo
sguardo di Cheryl si perdeva senza paura nel buio davanti a lei:
arrivata a quel punto, non c'era più alcun motivo
ragionevole per
avere paura di qualcosa di stupido e fuggevole come il buio, no?
Da
bambina Cheryl aveva sempre temuto quelle ombre confuse che la notte
assumevano i mobili della sua stanza: si rannicchiava tra le coperte
con gli occhi il più possibile serrati, e rimaneva ferma
sperando
che il sonno arrivasse presto a coglierla.
Quando
era entrata in quel manicomio, aveva scoperto che c'erano cose
più
orrende e consistenti del buio di cui avere paura.
Gli
sguardi freddi e taglienti dei dottori che l'avevano visitata, le
loro parole secche e indifferenti, le mani che le serravano le
braccia, le coprivano la bocca, la tenevano ferma contro la sua
volontà mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime di
rabbia e
impotenza.
Il
buio non aveva significato, non nascondeva niente. Erano gli uomini
che andavano temuti: erano gli uomini i veri mostri da cui il mondo
doveva stare in guardia.
Ma
Cheryl sapeva che il mondo non era solo un covo di ipocrisia, orrore
e freddezza. Sapeva che, nel mezzo delle ingiustizie, delle lacrime e
delle paure di tutti i giorni, si nascondeva una perla chiamata
amore.
Nulla
più dell'amore era capace di riportare un sorriso su labbra
spezzate, di donare calore a un paio di occhi spenti. L'amore avrebbe
potuto salvare il mondo, se solo l'intera umanità l'avesse
capito.
E
lei era stata abbastanza fortunata da capirlo e viverlo.
*
5
ottobre 1845.
Era
passato un poco di tempo prima che Cheryl trovasse il coraggio di
accettare, ma infine era successo: avevano fatto l'amore, chiuse
nella stanza di Marianne, in un nuvoloso pomeriggio di ottobre.
I
rapporti con Fabian non avevano mai posseduto quel dolce trasporto:
lui si limitava a prenderla quando ne aveva voglia, senza emozione,
senza sentimento nelle carezze e nei baci che le elargiva. Si
muovevano nel letto per non più di un quarto d'ora, poi
Fabian
usciva lentamente da lei e si distendeva tra le coperte, ignorandola
come se fosse solo uno dei tanti mobili della stanza, un giocattolo
messo da parte non appena l'aveva stancato.
Ma con Marianne era stata tutt'altra cosa.
Ma con Marianne era stata tutt'altra cosa.
Cheryl
aveva provato veri brividi di piacere quando le mani della ragazza le
avevano sfilato l'abito rosa e le sue labbra erano corse sul suo
seno, chiudendosi intorno a un capezzolo e succhiandolo
delicatamente.
Quando
aveva sentito le dita di Marianne farsi strada tra l'apertura nelle
sue gambe, ogni traccia di paura era scomparsa in lei, sostituita da
un'eccitazione pulsante che l'aveva scossa in tutto il corpo.
Erano
crollate sul letto, in un intrecciarsi di gemiti soffocati e
ansimanti, guance arrossate, capelli sparsi e labbra che si cercavano
disperatamente.
Era il paradiso. A differenza di quel che il mondo credeva, non c'era alcun bisogno del completamento di un uomo per una vera unione tra due persone che semplicemente s'amavano.
Era il paradiso. A differenza di quel che il mondo credeva, non c'era alcun bisogno del completamento di un uomo per una vera unione tra due persone che semplicemente s'amavano.
Perché
l'amore non era un corpo, l'amore non era una legge, l'amore non era
una regola e non poteva prestarsi a una qualsiasi apparente
logica.
L'amore era amore quando esisteva, e basta.
L'amore era amore quando esisteva, e basta.
I
lunghi capelli scuri di Cheryl erano disordinatamente sparsi sul
cuscino. Marianne, poggiata accanto a lei su un gomito, li
accarezzava leggermente.
La
stanza dove avevano appena finito di fare l'amore era immersa nella
calda luce dorata di alcune lampade. Cheryl teneva gli occhi fissi su
un quadro raffigurante una dama imbellettata e sorridente, godendosi
il tocco semplice quanto inebriante della sua
ragazza.
-Ehi...
questo cos'è? Come te lo sei fatta?
Al suono della voce preoccupata di Marianne, Cheryl si rigirò di scatto su un fianco, sentendo il cuore balzarle nel petto. Ecco, era successo quel che aveva temuto per tutto il giorno: Marianne si era accorta del piccolo livido violaceo impresso sul suo braccio.
Al suono della voce preoccupata di Marianne, Cheryl si rigirò di scatto su un fianco, sentendo il cuore balzarle nel petto. Ecco, era successo quel che aveva temuto per tutto il giorno: Marianne si era accorta del piccolo livido violaceo impresso sul suo braccio.
-Io...
ieri ho sbattuto contro lo spigolo del tavolo. Nulla di grave.
La
scusa era buona, ma il suo tono era stato incerto e balbettante.
Marianne fissò accigliata il livido e mormorò:
-Sembra che qualcuno
te l'abbia fatto. Fabian... è stato lui, vero?
Cheryl non era mai stata capace di occultare la verità nei suoi occhi. Perciò non le servì a niente scuotere la testa e rispondere: -No, affatto. Che stai dicendo?
Cheryl non era mai stata capace di occultare la verità nei suoi occhi. Perciò non le servì a niente scuotere la testa e rispondere: -No, affatto. Che stai dicendo?
-Smettila
di mentirmi. Credi che io non mi accorga di cosa provi davvero quando
ti vedo insieme a lui? Credi che io mi beva quei discorsi che propini
alle altre su quanto Fabian sia un buon marito?
Cheryl
era rimasta in silenzio, con un nodo che le cresceva in gola. Infine
sospirò, cedendo allo sguardo severo di Marianne.
-È
successo ieri. Stavamo litigando per una sciocchezza, qualcosa
riguardante le compagnie che frequenta, non ricordo neanche bene. A
un certo punto ho fatto un commento critico riguardo un suo amico, e
lui... non l'ha presa bene. Mi ha afferrato il braccio e me l'ha
tenuto piegato dietro la schiena, dicendomi che essendo solo una
donna non dovrei permettermi di dire certe cose...
-Ma
lui
non dovrebbe permettersi di trattarti così!
Gli
occhi di Marianne si erano infiammati di sdegno. Cheryl
arrossì
violentemente e aggiunse: -Ma non si comporta sempre in questo modo.
Solo che ieri...
-Non
è questo il punto. Sei un essere umano, Cheryl. Una donna, e
allora?
Tu puoi fare quello che vuoi, puoi dire
quello
che vuoi.
-Lo
so, ma... non posso farci nulla, capisci? Non posso.
Rimasero
in silenzio per alcuni istanti: l'espressione furente e indignata di
Marianne non era ancora sparita. Cheryl sospirò e
affondò il viso
sulla sua spalla.
-Sono
sposata con lui, non posso lasciarlo. Non avrei neanche una
motivazione valida. È così e basta.
-Non
ti piacerebbe vivere in un mondo dove potresti essere libera di fare
tutto quello che vuoi?- disse Marianne, tornando ad accarezzarle
piano i capelli. -Un mondo dove puoi separarti senza problemi da tuo
marito semplicemente perché non lo ami più, o
perché non lo hai
mai amato, e nessuno ti guarderebbe male per la sua scelta, nessuno
sparlerebbe di te...
-Certo
che mi piacerebbe. Ma non è possibile. Magari lo
sarà in futuro,
chi lo sa.
Cheryl
alzò lo sguardo verso di lei: ora Marianne sembrava essersi
tranquillizzata e i suoi occhi avevano ripreso quello sguardo dolce e
attento che avevano sempre per lei.
-Riesci
a immaginare – continuò Cheryl – un
mondo dove potremmo essere
libere di camminare per strada tenendoci la mano, baciarci davanti ad
altre persone, dire alle nostre famiglie “Mi sono innamorata
di una
ragazza” con la stessa facilità con cui
annunceremmo il nostro
matrimonio con un uomo?”
-Sì. E magari anche di sposarci e adottare dei bambini a cui faremo da genitori.
-Sì. E magari anche di sposarci e adottare dei bambini a cui faremo da genitori.
Marianne
era sempre stata fervidamente attiva nel sostenere i diritti delle
donne e la libertà dell'essere umano, ma quell'idea doveva
sembrare
talmente complicata e remota persino a lei tanto da averle disegnato
un sorriso triste e amaro sulle labbra: era ovvio che la desiderava
davvero, la possibilità di due donne o due uomini di
diventare
genitori, in un modo o nell'altro, magari ricevendo un bambino orfano
in affidamento da qualche struttura apposita. Ma si vedeva che non lo
riteneva possibile.
-Perché
la vita deve essere così?- disse Cheryl, avvicinando un po'
il suo
volto a quello di Marianne. -Così... rigida, a senso unico.
Come una
gabbia da cui non puoi scappare. Nasci e gli altri si aspettano che
tu sia qualcuno. Cresci e ti insegnano come comportati, come parlare,
chi
essere. Devi legarti fino alla morte, almeno nel mio caso, a una
persona che per te non significa nulla. Ogni cosa che dovrebbe
rimanere personale e riguardare solo noi stessi è sulla
bocca di
tutti, viene giudicata da tutti. Perché una donna non
dovrebbe poter
studiare economia? Dov'è la legge scritta che dice che solo
un uomo
e una donna possono amarsi? Per cosa facciamo tutto questo, per cosa
ci preoccupiamo tanto di un mondo che in fin dei conti non ci
appartiene davvero? È tutto in nome di un Dio che potrebbe
benissimo
non esistere?
Marianne
era rimasta in silenzio ad ascoltarla, gli occhi fissi nei suoi. Non
appena Cheryl smise di parlare, annuì lentamente.
-Hai
ragione. Condivido ogni tua parola, lo sai. Purtroppo... il mondo
è
così, un giorno sicuramente cambierà, e nella
nostra posizione noi
possiamo fare ben poco. Ma vedila così...
Un
piccolo sorriso si illuminò sulle sue labbra.
-Ti
amo. Io ho te e tu hai me. Perciò pensiamo a goderci ogni
istante
del presente, prima che fugga via. Vuoi?
E
Cheryl non poté fare altro se non ricambiare quel bellissimo
sorriso
e poggiare una mano sul fianco della ragazza.
-Sì.-
rispose semplicemente, e il tempo sembrò dilatarsi e
scomparire nel
momento in cui le labbra di Marianne lambirono le sue.
*
Era
finalmente arrivata. Il corridoio si interrompeva lì, sul
ciglio di
una scala che portava ai piani inferiori.
Ma quel che a Cheryl interessava era la finestra accanto alle scale. Si fermò lì davanti e poggiò la fronte sul vetro gelido, osservando lo scenario che le si apriva davanti: mare.
Ma quel che a Cheryl interessava era la finestra accanto alle scale. Si fermò lì davanti e poggiò la fronte sul vetro gelido, osservando lo scenario che le si apriva davanti: mare.
Il
manicomio dov'era rinchiusa era stato costruito accanto ad una
spiaggia, e quel lato in particolare si affacciava direttamente sulle
acque del Devon, uno specchio scuro su cui si rifletteva la luce
lunare, proprio come in quel disegno di Marianne che lei aveva
ammirato tanto tempo prima.
Il
mare non era molto tempestoso, in quel momento: le onde si gonfiavano
leggermente e andavano a infrangersi piano contro gli scogli in
lontananza.
È
meraviglioso.
Le
mani di Cheryl corsero alla maniglia della finestra e la
spalancarono. La donna poggiò i gomiti sul davanzale,
affacciandosi,
e godette della brezza fresca di vento che s'infranse sul suo viso.
Era
così amaramente ironico che lei e Marianne avessero tanto
amato il
mare: Cheryl aveva trascorso decenni chiusa in quel luogo, con una
spiaggia a pochi passi, una spiaggia dove lei non aveva mai messo
piede, ad ammirare quelle acque che non aveva mai neanche sfiorato.
Una
gabbia d'inferno nel mezzo del paradiso.
Ora
fallo. Coraggio. Non hai più motivo di rimanere qui.
Ma,
prima di agire, Cheryl decise di abbandonarsi ai suoi ultimi ricordi
concreti.
*
16
giugno 1847.
-Scappiamo,
Cheryl.
-Cosa?
Marianne
aveva le guance arrossate e gli occhi risplendenti di entusiasmo,
mentre si sedeva su una panchina del parco dispiegandosi la gonna.
Sembravano specchi della sua anima, quegli occhi: un concentrato di
felicità, follia, voglia di vivere.
-Scappiamo
da Burford.- ripeté Marianne, alzando lo sguardo su di lei.
-È da
un po' che ci riflettevo su, non c'è motivo per non
proportelo.
Andiamocene da qui, dimentichiamo le nostre vite. Potremo
ricominciare tutto daccapo.
Cheryl
aveva già sentito il cuore iniziare a batterle furiosamente,
ma a
quelle parole un vero e proprio brivido le corse lungo la schiena.
-Dici
sul serio?- mormorò, e si gettò un'occhiata
intorno per sincerarsi
che nessuno le udisse: fortunatamente, in quel momento i vialetti di
quell'aera del parco erano deserti.
-Certo
che dico sul serio. Pensaci. Ricominciare una vita del tutto
diversa... non vedere mai più questo posto...
-Sì,
ma come? In che modo possiamo allontanarci dalla città?- la
interruppe Cheryl. -E come sopravvivremo?
Tutto
il suo animo le gridava di rispondere di sì, di accettare
quella
folle e bellissima proposta. Ma una parte razionale e lucida di lei
le diceva di ponderare per bene la decisione e riflettere su cosa
avrebbe comportato.
-Hai
ragione, non sarà affatto semplice. Ma non impossibile. Io
potrei
procurarci un po' di denaro vendendo i miei disegni, e poi... che ne
dici se ci vestissimo da uomini? Sarebbe tutto più semplice.
Non è
assurdo come sembra, ci sono state donne che l'hanno fatto. Vuol dire
che possiamo farcela anche noi.
Alla
fine di quel breve discorso, Cheryl annuì, con un groppo in
gola.
Nella sua mente iniziavano a dispiegarsi fantasie di lei e Marianne,
in calzoni maschili e cappello calato sui capelli tagliati, che
camminavano sole lungo una strada circondata da prati sconfinati.
Lei
e Marianne su una carrozza che si allontanava da Burford, lei e
Marianne stese su una spiaggia ad osservare le stelle sulla volta
scura del cielo, lei e Marianne sedute sulla riva di un fiume a
mangiare delle mele rubate da una bancarella.
Semplicemente
lei e Marianne.
Non
avrebbe mai più rivisto Burford, né suo marito,
né quelle sciocche
donne che si consideravano sue amiche ma che lei vedeva solo come
marionette ridacchianti e superficiali.
L'idea
di vestire come un uomo, di potersi muovere liberamente, di essere
libera
e
basta, la riempiva di un'eccitazione che sembrava farle tremare il
cuore.
Voglio
farlo, voglio farlo. Andiamocene ora, ti prego. Mettiamo un paio di
vestiti, un po' di cibo e soldi in una sacca e scappiamo via;
era un grido che erompeva da ogni suo senso.
-Però
dobbiamo organizzarci per bene, se vogliamo farlo davvero.- disse
Marianne, lo sguardo ora pensoso. -Dobbiamo decidere con precisione
come lasciare Burford, come
farlo,
dove andremo poi. Inizierò procurandomi un po' di cartine
della
zona, te le porterò uno di questi giorni e faremo il punto
della
situazione. Tutto quel che devi dirmi, alla fine, è se vuoi
davvero
fuggire con me.
Marianne
tornò a guardarla, e Cheryl si sentì invadere
dalla felicità più
grande che avesse mai provato in tutta la sua vita.
-Sì.-
rispose semplicemente, e il suo sorriso valeva più di mille
parole.
Marianne
si alzò dalla panchina e le prese la mano. In quel momento,
col sole
che si riversava sui suoi capelli dorati e sulla sua figura alta e
slanciata, sembrava più bella e luminosa di una dea.
-Ti
prometto che vedremo il mare. Ci procureremo in qualche modo dei
fogli e delle matite, e quando l'avremo raggiunto ci stenderemo sulla
sabbia, e tu lo ammirerai traendone ispirazione per una poesia mentre
io disegnerò ogni dettaglio di quello che vedo. Te
lo prometto.
Il
suo tono deciso e convincente, ma al tempo stesso venato di dolcezza,
le aveva fatto correre i brividi. Cheryl sorrise ancora, trattenendo
le lacrime di felicità che cercavano di affiorare ai suoi
occhi, e
si avvicinò a Marianne per posarle un bacio sulle labbra.
Sarebbe
andato tutto bene. Sarebbero fuggite. La loro vita sarebbe cambiata
per sempre, si diceva mentre lasciava scorrere le mani lungo il petto
della ragazza.
Ma
non sapeva che, terminato quel pomeriggio al parco, lei e Marianne
non si sarebbero viste mai più.
Quando
Cheryl udì il cigolio della porta di casa che si apriva,
smise di
muovere le mani sui tasti del pianoforte e la vivace melodia che
stava suonando si interruppe di botto.
È
Fabian. È tornato.,
pensò tra sé e sé, lanciando
un'occhiata alla finestra del
salotto: lì fuori il cielo si era fatto scuro. La riunione
al
circolo serale che suo marito frequentava doveva essersi conclusa da
un po'.
Fabian
non apprezzava particolarmente la passione di Cheryl per il
pianoforte: quando si erano sposati, aveva accettato di averne uno in
casa per assecondare quello che credeva essere un passatempo
qualunque. Si era contrariato nel notare che sua moglie a volte
sembrava dedicare molta più attenzione alla musica che a
lui. Cheryl
aveva compreso quel fastidio inespresso, e da allora evitava di
suonare per più di una decina di minuti quando Fabian era in
casa.
La
donna si alzò dallo sgabello, mentre la porta del salotto si
spalancava. Ed ecco Fabian che varcava la soglia per avviarsi
direttamente verso di lei: riccioli neri intorno a un viso spigoloso,
sopracciglia un po' folte, il corpo alto fasciato in un elegante
completo rosso.
Solo
quando fu abbastanza vicino, Cheryl poté notare
l'espressione nei
suoi occhi scuri, e si preoccupò: la guardava con una sorta
di
rabbia a stento trattenuta.
Ma
è davvero arrabbiato? Per cosa? Non può avercela
con me... forse ha
discusso con qualcuno al circolo.
Fabian
poteva benissimo essere arrabbiato per motivazioni che non la
riguardavano affatto. Ma in quel caso c'era il rischio che decidesse
di sfogarsi rispondendo alle sue domande con freddezza e
scontrosità,
o che addirittura la insultasse, se la situazione era proprio grave.
-Bentornato.-
disse Cheryl, sforzandosi di sorridere. -Come è andata
stasera?
Fece
un passo per posargli sulle labbra il solito bacio di convenzione, ma
Fabian reagì indietreggiando, e sul suo viso si dipinse
un'inequivocabile smorfia di disgusto.
Dio.
Cheryl
sentì un nodo stringerle lo stomaco. Cosa diamine poteva
essere
successo?
Nonostante
il
loro matrimonio fosse assolutamente privo di amore, nonostante le
occasioni in cui lui si arrabbiava, il loro poteva essere definito un
rapporto di complessiva, fredda tranquillità.
Solo
quella mattina, prima di uscire di casa, lui era sembrato di
buonumore e quasi gentile. Ora non aveva motivo di evitarla
guardandola in quel modo. A meno che...
No.
Non può saperlo. Non può e basta.
-Per
prima cosa, stammi lontana.- disse Fabian. Aveva parlato con quel
tono duro e lento che le rivolgeva solo quando era davvero furioso.
-Fabian,
cosa...
-Non
parlare se non te lo dico. Adesso rimani ferma. Io ti farò
delle
domande e tu risponderai, è chiaro?
Cheryl
annuì. L'espressione negli occhi di suo marito la
terrorizzava
letteralmente, la teneva inchiodata lì, sul posto.
Cosa
può essere successo? E se avesse saputo... no, non
è possibile,
siamo state attente a nasconderlo, non...
Tutte
le sue speranze vennero infrante nel momento in cui Fabian chiese:
-Stai intrattenendo una relazione con Marianne Watmore?
Per
un attimo le mancò il respiro. Le sembrò di
sprofondare. E una
paura totalizzante si impossessò di ogni suo senso, di ogni
parte
del suo corpo.
Non
era possibile. Quella non poteva essere la realtà. Stava
solo
sognando, presto si sarebbe risvegliata nel suo letto e avrebbe
sospirato, ridacchiando, dicendosi che era stato solo un incubo
particolarmente realistico...
-Se
non mi rispondi per la seconda volta ti picchio come non ho mai
fatto. Hai
una relazione con quella donna?
Cheryl
sussultò e pronunciò le prime parole che le
passavano per la testa.
-No,
assolutamente no! È... è fuori dal mondo, Fabian.
Come ti è venuto
in mente? Cosa ti fa pensare una cosa del genere?
Stava
per emettere un risolino scandalizzato, giusto per far risultare
quella risposta affrettata più convincente, quando uno
schiaffo le
sferzò la guancia, facendole scattare la testa di lato.
Cheryl
rimase immobile, con la testa girata e le braccia abbandonate lungo i
fianchi, per un attimo talmente sorpresa da quel gesto da non provare
nulla.
Fabian
non l'aveva mai schiaffeggiata. Si era sempre limitato a stringerle
il polso o il braccio, e le faceva male quel che bastava per
convincerla a scusarsi per qualcosa che aveva detto o a seguire
quegli ordini a cui aveva tentato debolmente di opporsi.
Cheryl
aveva paura di lui, in quei momenti, e non gli aveva mai dato motivo
per picchiarla. Il bruciore di quello schiaffo era qualcosa di nuovo
e fastidioso. La fece sentire più debole e scoperta che mai.
-Mi
hai mentito. Per due volte.- ringhiò Fabian. -Prima peccando
di
adulterio, e ora cercando di negare quel che hai fatto. Neanche si
trattasse di un adulterio “normale”.
-No,
te lo giuro.- disse Cheryl, e si odiò nel rendersi conto di
quanto
il suo tono suonasse implorante. -Marianne è solo una mia
amica,
dovresti saperlo! Non so come una cosa del genere ti è
venuta in
mente, ma ti giuro...
-Lo
so per certo. Il mio amico, Richard Edmund, mi ha rivelato di avervi
spesso viste baciarvi
come
una coppia normale quando credevate che non ci fosse nessuno, quando
vi appartavate ai balli e alle feste. Abbiamo avuto conferma da due
vostre amiche e da una cameriera di casa Watmore, che una settimana
fa ha sentito dei rumori provenire da una stanza e quando ha
sbirciato...
Odio
e disgusto puro si accesero negli occhi di Fabian. Cheryl ora tremava
violentemente davanti a lui, le lacrime che scendevano rigandole il
viso sbiancato.
-Osi
negarlo?- sibilò Fabian.
Avrebbe
potuto negare, certo. Ma era una domanda retorica: lui non le avrebbe
creduto, mai.
Sarebbe
stato inutile dire che Richard e quelle donne avevano mentito
inventando quell'assurda storia, forse Fabian l'avrebbe anche
picchiata per la sua audacia e mancanza di rispetto nei confronti del
suo amico.
Lo
sapeva. E, ora che lo sapeva, cosa le avrebbe fatto? Solo quel
pomeriggio lei e Marianne avevano riso spensierate alla magnifica
idea di scappare insieme, e ora...
Scosse
piano la testa, lo sguardo puntato sul pavimento, sentendosi invadere
da una cocente vergogna. In quel modo stava tradendo anche Marianne:
ma conosceva Fabian, e sapeva che in quel caso una risposta valeva
l'altra.
-Cosa?
Scuoti la testa per dire cosa? Che non è vero o che non vuoi
negarlo?
-È...
è vero.- disse, spinta da un moto di paura. -Io...
Un
pugno la raggiunse, colpendola in pieno viso. Cheryl
barcollò,
emettendo un breve grido di dolore e sorpresa, e si portò
una mano
sul naso schizzato di sangue.
Sangue.
Mi esce sangue dal naso...
-Siete
degli schifosi scherzi della natura.
La
voce di Fabian era bassa, ringhiante, rabbiosa. La spaventava
più
del suo sguardo, più del dolore fisico.
-Due
donne... non so cosa può averti traumatizzata tanto da
portarti a
fare qualcosa del genere. O forse è semplicemente qualcosa
che non
va in te. Sai di cosa hai bisogno, dopo che ti avrò
sistemata per
bene? Di un prete. Più di una confessione, forse di una
messa
apposita...
-No!-
esclamò Cheryl, spalancando gli occhi in un'espressione di
orrore.
-No?
Hai anche il coraggio di contraddire quello che dico?
Fabian
le si avvicinò per afferrarle i capelli e piegarle la testa
all'indietro. Faceva male, soprattutto per la solidità della
sua
presa, ma Cheryl si sforzò di non emettere neanche un gemito
di
dolore. Non gli avrebbe dato quella soddisfazione.
-Forse
questo potrebbe metterti un po' la testa a posto.- disse Fabian, e la
colpì allo stomaco con un pugno che le mozzò
quasi il respiro.
Cheryl
boccheggiò, sentendo il suo corpo piegarsi sempre di
più
all'indietro. Fabian le lasciò i capelli e lei cadde a
terra; l'urto
del gomito contro il pavimento le mandò una scarica di
dolore lungo
il braccio.
-Rinnega
quello che hai fatto, giura che ti confesserai e che cercherai di
cancellare questa infamia, e ti lascerò andare. Forse ti
permetterò
persino di rimanere in questa casa, ma non rivedrai più
quella
dannata puttana, è chiaro?
Nonostante
il dolore e la vergogna che le pulsavano dentro, quelle ultime parole
risvegliarono qualcosa nel profondo di Cheryl, qualcosa che neanche
la paura poteva farle dimenticare. Un coraggio sconosciuto le
infiammò l'intero corpo, mentre si sollevava lentamente e
piantava
su Fabian uno sguardo duro e impenetrabile.
-No.
Io
non rinnegherò mai quello che ho fatto. Io amo Marianne, hai
capito?
La amo.
Amo
una donna e ne vado fiera. Scordati che andrò a confessarmi
per
questo, scordati che...
Venne
interrotta da un calcio al petto che la mandò nuovamente
lunga
distesa sul pavimento.
-Bene.
Se la metti così, non avrò più alcun
riguardo per te.
Ogni
traccia di coraggio svanì quando Fabian la
sollevò tirandola per i
capelli e riprese a colpirla. Quando Cheryl cadde sul pavimento,
iniziò con i calci, e andò avanti per quelle che
a lei sembrarono
ore.
Ogni
tentativo di muoversi era inutile, perché un nuovo colpo la
mandava
a terra: Cheryl non poteva fare niente, se non starsene con il viso
premuto contro il pavimento, scossa dai singhiozzi, il dolore che le
esplodeva sui fianchi e sulla schiena.
Finalmente
finì. I colpi cessarono improvvisamente. Cheryl
sentì i passi di
Fabian che si muoveva nervosamente per la stanza, e poi la sua voce
indifferente.
-Hai
avuto quel che ti meriti, per ora. Dovrei farti arrestare, sai? Ma
affronterò il problema in modo diverso.
Contatterò i tuoi genitori,
li informerò di quel che ho scoperto e decideremo insieme se
mandarti in qualche manicomio che possa curare la tua devianza.
No.
-Non
puoi farlo. Non puoi.- singhiozzò Cheryl, e si
tirò lentamente su,
accovacciandosi sul pavimento, rivolgendo a Fabian uno sguardo che
esprimeva tutto il suo odio per lui.
-Non
sarai certo tu a dirmi cosa fare. Decideremo tuo padre e io.
Cheryl
tremava, non solo di dolore ma anche della rabbia più
intensa che
avesse mai provato.
Non
era possibile, non poteva finire rinchiusa in un manicomio per il
resto dei suoi giorni. Non poteva non rivedere più Marianne.
Non
poteva essere finito tutto così, non...
Un
piccolo briciolo di speranza le riscaldò improvvisamente il
cuore;
forse c'era ancora qualcosa che poteva fare.
Quella
notte, mentre Fabian dormiva, sarebbe uscita stando attenta a non
farsi udire e avrebbe raggiunto la casa di Marianne. L'avrebbe
svegliata, le avrebbe spiegato quel che era successo e sarebbero
fuggite insieme, subito. Sole, insicure e spaventate, ma insieme.
Sì,
avrebbe fatto così. Non c'era altra possibilità,
quel piano non
poteva fallire. Entro quella notte sarebbe stata finalmente lontana
da Fabian...
-Alzati.
Ti chiudo nello stanzino. Stanotte dormirai lì.
Cheryl
sgranò gli occhi, paralizzata dall'orrore. Quando non si
mosse,
Fabian la tirò bruscamente in piedi per un braccio.
-Non
posso dormire con te. E voglio evitare che ti vengano strane idee
stanotte.- disse, e iniziò a trascinarla verso la porta che
dava sul
corridoio.
L'avrebbe
chiusa a chiave nel minuscolo stanzino privo di finestre dove
tenevano scope, scatoloni e vecchi oggetti inutilizzati. Sarebbe
rimasta lì per tutta la notte, senza alcuna
possibilità di fuga. E
l'avrebbero tirata fuori solo per condurla in una casa di cura o
sbatterla in prigione per adulterio e sodomia.
Per
alcuni istanti Cheryl si sentì troppo attonita per riuscire
a
realizzare quell'idea. Ma infine un misto di rabbia e paura si
impossessò totalmente di lei, di tutti i suoi sensi, di ogni
brandello di razionalità.
-No!
Lasciami, lasciami andare!- urlò con quanto fiato aveva in
gola,
dimenandosi nel tentativo di svincolarsi dalla sua presa, i capelli
che le scivolavano davanti al viso e gli occhi accesi di quella che
sembrava follia.
-Taci.
Fabian
la tenne immobile, stringendole la vita con un solo braccio, mentre
con l'altro spalancava la porta dello stanzino per poi spingerla
oltre la soglia, facendola barcollare.
Cheryl
si girò di scatto, ma Fabian aveva già richiuso
la porta. Si udì
lo scatto della chiave che girava, poi i suoi passi che si
allontanavano lungo il corridoio, infine silenzio.
Se
il suo cuore avesse potuto realmente andare in mille pezzi, l'avrebbe
fatto in quel momento. Cheryl si lasciò cadere a terra,
avvolgendo
le braccia intorno alle gambe, lo sguardo atono fisso sulle ombre
confuse che la circondavano. Sapeva che urlare ancora o prendere a
pugni la porta sarebbe stato inutile, quindi perché farlo?
Il
cuore le martellava nel petto, il suo intero corpo tremava, le
lacrime lottavano per scivolarle dagli occhi. Dovette usare tutta la
sua forza di volontà per evitare di abbandonarsi a un pianto
di
rabbia, disperazione e paura; sapeva che non avrebbe mai più
rivisto
Marianne.
Long
hours of loneliness
between
me and the sea.
Losing emotion
Losing emotion
finding
devotion.
Should
I dress in white and search the sea
as
I always wished to be
-
one thing with the wawes
Ocean soul.
Ocean soul.
La
prima volta che aveva varcato la soglia di quel manicomio, Cheryl era
stata colta dal suo primo attacco isterico. Ricordava vagamente di
aver iniziato a urlare più forte che poteva, dimenandosi per
sottrarsi alla presa degli inservienti, e di essere stata trascinata
e rinchiusa in una stanza buia.
Era
successo quasi ogni volta che veniva condotta ad una seduta con quei
dottori che cercavano di parlarle, le facevano domande sulla sua
infanzia, sui rapporti tra lei e suo padre, su possibili ricordi di
traumi che l'avessero portata a rifiutare la figura maschile per
intrecciare una relazione con una donna.
Quando
non rimaneva immobile come una statua, con lo sguardo perso nel
vuoto, come se non avesse sentito nulla, Cheryl si abbandonava ad
attacchi di isterismo: si alzava di scatto dalla sedia, urlava che
lei non aveva nulla che non andava, rovesciava gli oggetti sulla
scrivania, scalciava e si divincolava con le lacrime agli occhi
quando veniva presa per le braccia per essere trascinata nuovamente
nella sua camera.
-Io
non sono malata! Non ho bisogno di cure, non avete motivo di tenermi
qui! Siete dei ciechi, come fate a non capirlo? Io ero innamorata
di
quella donna esattamente come avrei potuto esserla di un uomo,
è
stato naturale, è stato...
Urlava
e urlava, fino a sputare in faccia agli inservienti che la
trascinavano tenendola per le braccia.
Non
era stata una devianza, la sua relazione con Marianne. Era stato
amore, di questo non avrebbe mai
dubitato. Non s'erano amate perché avevano subito traumi
nella loro
infanzia, per una qualche malattia o problema psicologico, ma
perché
insieme erano due persone,
non
due donne, ma due persone l'una giusta per l'altra.
Ma
i mostri intorno a lei sembravano incapaci di comprenderlo.
Ogni
notte, durante i suoi primi anni nel manicomio, Cheryl piangeva e si
chiedeva cosa fosse successo a Marianne.
Era
diventata oggetto di scandalo? Sicuramente. La sua famiglia l'aveva
costretta a confessarsi? Era stata arrestata per reato di sodomia con
una donna sposata, o forse era riuscita a fuggire?
Lei poteva anche rimanere lì ad appassire in un stanza. Ma almeno Marianne doveva stare bene.
Lei poteva anche rimanere lì ad appassire in un stanza. Ma almeno Marianne doveva stare bene.
Il
manicomio era un incubo. Aveva prosciugato tutte le sue energie, ogni
traccia di giovinezza sul suo viso. Cheryl non viveva davvero,
perché
non era vita quella sfilza di giornate spente e ingrigite ognuna
identica all'altra: non aveva davvero bisogno dell'acqua che mandava
giù, non sentiva il sapore del cibo che ingeriva.
Il
pensiero di Marianne era il suo sole, la sua aria, il suo nutrimento,
capace di risollevarla dallo stato mentale in cui era lentamente
scivolata in tutti quegli anni.
Forse
è riuscita a scappare., pensava
a volte, con un sorriso amaro ma speranzoso.
Se n'è andata da Burford, si è fatta in qualche
modo una vita. E
forse ha trovato qualcuno da amare. Un'altra donna che le
ricorderà
me.
Per anni e anni, lì fuori dalla sua finestra il sole aveva brillato, il vento aveva fatto sbattere le imposte, la pioggia era venuta giù in grandi masse d'acqua fragorose, il mare s'era agitato per tornare infine a distendersi placido sotto il cielo azzurro.
Altra gente viveva, rideva e amava come un tempo aveva fatto anche lei, mentre i suoi capelli si ingrigivano e poi diventavano bianchi, le rughe le affioravano sul volto, il suo corpo si indeboliva.
Per anni e anni, lì fuori dalla sua finestra il sole aveva brillato, il vento aveva fatto sbattere le imposte, la pioggia era venuta giù in grandi masse d'acqua fragorose, il mare s'era agitato per tornare infine a distendersi placido sotto il cielo azzurro.
Altra gente viveva, rideva e amava come un tempo aveva fatto anche lei, mentre i suoi capelli si ingrigivano e poi diventavano bianchi, le rughe le affioravano sul volto, il suo corpo si indeboliva.
Che
senso aveva un'esistenza del genere? Non era neanche un'esistenza.
Per
questo ora Cheryl si stava lentamente arrampicando sul davanzale di
quella finestra, la lunga vestaglia bianca che le si gonfiava
intorno.
La
sua mente elaborava freneticamente gli ultimi ricordi: la prima volta
che aveva suonato un pianoforte, i fiori dai colori sgargianti che
teneva allineati sul balcone dell'appartamento condiviso con Fabian,
i pomeriggi passati con Marianne davanti a una tazza di tè a
discutere di tutto ciò che veniva loro in mente, e poi
Marianne che
rideva, Marianne che la ascoltava incantata quando suonava un pezzo
di Mozart, Marianne con le dita macchiate di colori che sbuffava
sopra un dipinto ancora a metà, Marianne che la baciava e le
faceva
scorrere una mano lungo la schiena...
Saltò.
Non pensò a nulla, mentre il vento le fischiava nelle
orecchie e il
respiro le moriva in gola. Non pensò a nulla, mentre
precipitava con
un tonfo nell'acqua gelida che paralizzò tutti i suoi sensi.
Non
pensò a nulla, mentre quel poco che rimaneva della sua
percezione le
diceva che il suo corpo stava galleggiando lentamente e i suoi occhi
brucianti si chiudevano per sempre.
Appena
prima di perdere conoscenza, Cheryl ebbe solo il tempo di realizzare
che, nonostante tutto, alla fine la sua anima si era davvero
ricongiunta all'oceano come aveva sempre desiderato.
Walking
the tideline
I hear your name
I hear your name
Is
angels wispering
Something
so beautiful it hurts.
17
ottobre 1891.
Marianne
aprì di scatto gli occhi, sussultando.
Fece
scorrere lo sguardo sul cielo scuro che la sovrastava e sullo
specchio del mare davanti a lei, cercando di capire cosa fosse quella
sensazione di vuoto che, per un paio di istanti, l'aveva colta
strappandole il respiro.
Ma
adesso era passato. Forse si era trattato semplicemente di un colpo
della vecchiaia, come quegli occasionali dolori alle gambe la
costringevano a fermarsi quando camminava.
Fa
freddo., pensò,
affondando le mani nella sabbia fine che la circondava. Dovrei
rientrare subito.
Ma
c'era stato qualcosa che l'aveva spinta ad uscire dalla piccola casa
sulla spiaggia dove viveva da circa vent'anni per passeggiare sul
lungomare. Non sapeva cosa: forse la bellezza della fulgida luna,
l'aria malinconica e fascinosa di quella notte d'autunno, o
semplicemente la voglia di chiudersi con i suoi pensieri nel luogo
che più amava al mondo.
Cheryl.
Un'ombra
di tristezza le oscurò lo sguardo quando quel nome le
balzò in
testa senza una ragione apparente.
Erano
passati quarantaquattro anni da quando lei e Cheryl erano state
separate, ma Marianne non l'aveva mai davvero dimenticata. Certo,
dopo tutto quel tempo il dolore per averla persa si era attenuato
fino a trasformarsi in uno sfumato ricordo; ma c'erano ancora momenti
in cui quel ricordo la invadeva e sembrava bruciarle il cuore in una
fiamma di tristezza e disperazione, sensazioni che lei avvertiva
più
presenti che mai.
Marianne
non aveva amato nessuno come aveva amato Cheryl. Neanche Nancy, la
graziosa ragazza che aveva conosciuto cinque anni dopo essere fuggita
di casa evitando un arresto per sodomia con una donna sposata.
È
inutile rimanere qui a pensarci. Devo rientrare e basta.
Marianne
si alzò con un'agilità abbastanza insolita per
una donna della sua
età e camminò a passo spedito lungo la spiaggia,
avvolgendosi nella
veste di lana che si era gettata addosso prima di uscire.
Eccola
là, la piccola casa di legno dove viveva sola da molti anni,
dopo
che Nancy era morta a causa di una malattia che l'aveva consumata
lentamente.
Si
fermò davanti alla porta socchiusa e si girò per
dare un ultimo
sguardo al mare. Non si sarebbe mai stancata di stupirsi della sua
bellezza, come se ogni volta che lo vedeva fosse la prima.
In
quel momento, somigliava al mare di quel disegno che Cheryl aveva
visto tanti anni fa, la prima volta che era entrata in camera sua.
Cheryl...
Marianne
scosse la testa per liberarsi di quei ricordi e si voltò per
varcare
la soglia di casa. Alle sue spalle, si distendeva lo stesso mare che,
a molte miglia di distanza, era appena diventato una cosa sola con
l'anima di Cheryl Browning.
Questa è probabilmente una delle cose più importanti che io abbia mai scritto, mi ci sono impegnata un sacco e ne sono davvero soddisfatta. Si è classificata prima al secondo girone del contest "Pop vs Metal", naturalmente io sono nella squadra Metal e la canzone che ho scelto è Ocean Soul dei Nightwish.
Vi lascio alla valutazione della giudicia. A presto.;)
Punteggio ottenuto: 4 punti.
*
Note.
Questa è probabilmente una delle cose più importanti che io abbia mai scritto, mi ci sono impegnata un sacco e ne sono davvero soddisfatta. Si è classificata prima al secondo girone del contest "Pop vs Metal", naturalmente io sono nella squadra Metal e la canzone che ho scelto è Ocean Soul dei Nightwish.
Vi lascio alla valutazione della giudicia. A presto.;)
Grammatica e lessico: 9.5/10.
Stile: 10/10.
Originalità: 14/15.
Caratterizzazione dei personaggi: 15/15.
Uso della canzone: 10/10.
Gradimento personale: 5/5.
Punteggio totale: 63.5/65.
Giudizio:
Pazzesco, non riesco a credere che per la seconda volta consecutiva tu sia riuscita a farmi piace un sacco una storia prettamente romantica. Non è affatto un traguardo da poco, affatto!
Bel lavoro il tuo, proprio un bel lavoro. Giusto perché nelle tue note avevi espresso qualche perplessità a riguardo, mi permetto di dirti che il rating arancione è sicuramente il più appropriato per la tua storia, sia per la Lemon accennata sia per le tematiche che affronti in maniera piuttosto esplicita. Detto questo, passo al giudizio vero e proprio. Ho tolto un mezzo punto alla grammatica per via di alcune imperfezioni nella “grafica” dei dialoghi: innanzitutto sarebbe corretto usare il trattino medio o lungo per indicarli, non quello corto che utilizzi tu; in secondo luogo è bene lasciare uno spazio tra la prima parola e il trattino che la precede, così come dopo l’ultima e il trattino che la segue. In questo modo la storia risulta anche molto più piacevole alla vista ;) infine, se il dialogo è retto esternamente (“– Ciao – disse Caio”, tanto per intenderci) non è necessario mettere il punto fermo alla fine della frase. A questo punto mi pare anche doveroso specificare che non ti ho segnalato tutto questo nel giudizio del primo girone perché “all’epoca” erano imperfezioni che lasciavo correre, almeno credo, non ricordo bene. Ho poi però partecipato ad un certo contest in cui a tali aspetti grafici si dava una importanza non indifferente e ho imparato la lezione, spero che tu non te la prenda. Abbiamo sempre tutti bisogno di crescere, io non sono affatto perfetta ^^’
Chiusa questa parentesi, ho trovato nel tuo racconto anche qualche errore di battitura per cui però non ti ho affatto penalizzata. La storia era lunga e sei già stata molto in gamba a lasciartene sfuggire così pochi, davvero! Dunque hanno pesato poco sul punteggio. Passo ad elencarteli.
- “e i suoi occhi scorrevano sullo spettacolo dell'acqua che brillava sotto la luce del solo o della luna.” – “del sole e della luna”, naturalmente ^^
- “C'era uno grosso specchio sulla parete all'altro capo della stanza, che permetteva ad entrambe di specchiarsi tranquillamente fino alla vita.” – Probabilmente avevi scritto “uno specchio” e aggiungendo l’aggettivo “grosso” ti sei dimenticata di cambiare l’articolo, che avrebbero dovuto essere “un”.
- “-Sì, ma come? In che modo possiamo allontanarci dalla città?- la interruppe Cheryl. -E come sopravviveremo?” – La forma corretta dell’ultimo verbo è “sopravvivremo”.
Ecco, non ho nient’altro da aggiungere a riguardo ^^’ commento quindi lo stile: beh, fantastico, scorreva che era una meraviglia. La storia era bella corposa, ma ci ho messo relativamente molto poco a leggerla: la forma era corretta, i periodi ben strutturati, la punteggiatura usata nella giusta maniera. Non ho trovato nessun passaggio pesante, sebbene tu non abbia risparmiato né descrizioni, né momenti di riflessione e introspezione: un esempio di ottima scrittura. Non ho altro da aggiungere, non mi sembra di dovermi giustificare oltre per quel punteggio pieno.
Sinceramente in te trovo qualcosa di inquietante, perché mi trovo di nuovo costretta a dirti: mi sono immedesimata da morire nelle tue protagoniste. Cos’è, mi studi? Entri nel mio cervello senza il mio consenso? Scherzi a parte, leggere di personaggi ben caratterizzati e sempre coerenti con se stessi è ogni volta un gran piacere, anche se qui c’è pure l’aggiunta della completa identificazione con loro. Francamente se mi innamorassi vorrei un amore del genere e mi trovo a condividere tanti ideali di Cheryl e Marianne, attualissimi anche se calati in un contesto ottocentesco. Perché no, i pregiudizi verso l’omosessualità e le donne non sono ancora estinti e la cosa mi disgusta. Ma non entro in merito, perché credo divagherei da quello che è il mio compito di giudicare la tua storia ^^ tornando sui giusti binari, sottolineo che ho apprezzato molto come sono stati resi i caratteri dei personaggi secondari, come Fabian o le “amiche” di Marianne e Cheryl. Li hai saputi tratteggiare in poche righe facendoli apparire verosimili e ben chiari: credo che questa sia un’ottima dote in uno scrittore. E poi, beh, ci sono le due protagoniste, sognatrici, innamorate, piene di interessi e di passione per l’arte: due figure che credo sia impossibile non ammirare, anche con le loro debolezze e momenti di incertezza. Splendido poi il mare che fa da sfondo a tutta la vicenda, specie perché francamente tutti i vari film e libri pirateschi che ho visto/letto durante la mia infanzia hanno lasciato in me un amore incomprensibile e assoluto verso quella distesa d’acqua senza confini che è l’oceano. Ho adorato il tuo modo poetico di descriverlo, il modo in cui anche Marianne e Cheryl lo desiderino e lo ritengano un simbolo di libertà, fino ad arrivare al finale: le onde sono una tomba più che degna per un’anima che ha vissuto una vita come quella di Cheryl. Complimenti per aver azzeccato la canzone perfetta per conquistarmi XD penso non ci sia bisogno che io mi dilunghi sul bellissimo uso che ne hai fatto, usandone le scene più evocative per costruirci sopra non solo passaggi della tua storia, ma anche parte della personalità dei tuoi personaggi e la conclusione della vicenda. Nei passaggi in manicomio sentivo l’atmosfera della canzone aleggiare, una sensazione bellissima.
Unico neo: l’omosessualità in epoca vittoriana e simili è un tema molto gettonato; avendo letto parecchio sull’argomento (ah, lo slash su Sherlock Holmes!) mi aspettavo qualcosa di più dalla trattazione della tematica, ma non me la sono sentita di penalizzarti troppo, anche perché ho trovato interessante l’idea del manicomio al posto dei consueti lavori forzati, del carcere o della morte prematura di una delle due amanti. Ho apprezzato anche molto il fatto che, per una volta, si siano visti due personaggi davvero intenzionati a scappare, ad andar via: di solito l’idea viene accantonata alla luce dei problemi razionali e oggettivi che potrebbero sorgere durante una fuga, qui invece finalmente abbiamo qualcuno disposto a correre il rischio. Poi tutto va come va, ma il proposito serio c’era e mi è piaciuto un sacco questo elemento.
Credo che le fan del fem-slash (tra cui non mi annovero, pur riuscendo tranquillamente ad apprezzare una bella storia per quello che è anche se tratta del genere, come puoi vedere) saranno molto contente di incappare in una storia simile, quando l’avrai pubblicata. Complimenti, è davvero bella e direi che ho già giustificato ampiamente il motivo per cui la penso così. ^^ Mi inchino.
Punteggio ottenuto: 4 punti.