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Autore: Roxanne Potter    16/06/2013    3 recensioni
Cheryl Browning è una donna di ventitré anni, appassionata di poesia e pianoforte, in procinto di sposare un uomo che non ama per volere della famiglia.
Marianne Watmore ha la sua stessa età, non è sposata e appare eccentrica agli occhi di tutti per i suoi interessi artistici e le idee femministe.
Iniziano a innamorarsi dopo essersi conosciute ad una cena; Cheryl cerca di reprimere il suo sentimento finché Marianne non la bacia, donandole il coraggio di vivere una relazione che entrambe tengono nascosta. Una relazione che va avanti per due anni, tra risate e sogni condivisi, finché non arriva la cruda realtà a spezzarla.
La prima volta che aveva suonato un pianoforte, i fiori allineati sul balcone dell'appartamento condiviso con Fabian, i pomeriggi passati con Marianne davanti a una tazza di té a discutere di tutto ciò che veniva loro in mente, e poi Marianne che rideva, Marianne che la ascoltava incantata quando suonava un pezzo di Mozart, Marianne con le dita macchiate di colori che sbuffava sopra un dipinto ancora a metà, Marianne che la baciava e le faceva scorrere una mano lungo la schiena...
1° classificata al 2° girone del contest "Pop Vs Metal"
Genere: Angst, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Storico
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~ L'anima dell'oceano ~


Capitolo 1.

One more night
to bear this nightmare.
What more do I have to say?
Crying for me was never worth a tear,
my lonely soul is only filled with fear.

Notte. Un'altra dannata notte, un altro nido di incubi pronti a balzarle addosso, era appena arrivata.
Da quanti anni ormai era stata rinchiusa lì? Da quanti anni si ritrovava ad affrontare i suoi fantasmi ogni singola notte della sua vita?
Cheryl aveva perso il conto, anzi, non si era mai neanche degnata di iniziarlo.
Sapeva solo che, quando era entrata in quel manicomio, era una giovane donna dal viso roseo e una delicata pelle di porcellana, mentre ora i suoi capelli s'erano fatti bianchi, le fragili mani erano solcate da rughe e lo sguardo aveva perso la sua luce.
Non parlava, Cheryl. Le sue labbra potevano rimanere sigillate per giorni o per settimane intere. Ma c'era una parola, sempre la stessa parola, che talvolta i dottori o gli altri pazienti del manicomio potevano udirle.
Con l'espressione remota e smarrita di chi si è completamente rinchiuso nel proprio mondo, Cheryl sospirava e pronunciava un nome.
Marianne.
Non diceva mai altro, mai. Nessuno poteva saperlo, ma quello era il nome che accompagnava quasi tutti i suoi pensieri, ogni giorno. Era il nome che l'accoglieva al mattino e che popolava i suoi sogni, quei sogni che potevano farla svegliare con un dolce sorriso malinconico sulle labbra o con un grido di terrore.
La ragione non l'aveva completamente abbandonata, nonostante tutti i dottori che l'avevano visitata sostenessero il contrario. C'erano spesso momenti o giornate in cui Cheryl riusciva a pensare lucidamente, a ricordare i dettagli più significativi della sua vita come fanno tutte le persone normali, a formulare i suoi giudizi.
Ma più frequente era che la sua mente si abbandonasse del tutto alla disperazione, l'unico sentimento che lei aveva conosciuto da quando era entrata nel manicomio.
Occhi persi e indifferenti che non vedevano nulla. Silenzi dai quali nessuno poteva smuoverla. Attacchi inspiegabili di panico che la portavano a sussultare per qualsiasi rumore, a stringere convulsamente le mani intorno ai lembi della sua coperta, a seppellire la testa nel cuscino con il fiato rotto.
E quel nome, sempre quello stesso nome che risuonava nella sua testa, anche ora, mentre sedeva sul letto con lo sguardo perso in un punto indefinito della stanza.
Marianne, Marianne, Marianne.
Ma in quel momento Cheryl non provava neanche una traccia della paura che solitamente l'attanagliava durante la notte, anzi. Si sentiva pervasa da una fredda determinazione; era assolutamente sicura di quel che stava per fare.
Ed era ancora abbastanza lucida da poter pensare. Chiuse gli occhi e sospirò, lasciando che i ricordi affiorassero alla sua mente. In seguito, non avrebbe più avuto tempo per ricordare.

*

2 maggio 1845.

Un'ultima nota di pianoforte risuonò nel salotto. Le dita di Cheryl esitarono per qualche istante sui tasti, prima che la giovane donna posasse le mani sulle ginocchia e sollevasse lo sguardo.
Sorrisi, sguardi ammirati, uno scroscio di applausi da parte degli ospiti che quella sera avevano preso parte alla cena in casa sua; Cheryl si sentì arrossire un po', nonostante fosse lusingata da quella reazione.
-Che tocco incantevole!- squittì Jacqueline Marple, una donna di mezz'età dai biondi capelli ingrigiti. -Ho raramente ascoltato delle signorine suonare in modo così... insomma...
-Oh, nostra figlia ha un talento naturale.- intervenne Brandon Browning. -È da quando aveva sei anni che non stacca le dita dal pianoforte. Siamo così abituati a sentirla ogni giorno che sarà dura separarci dalla sua musica quando si sposerà... ormai manca meno di una settimana al giorno del suo matrimonio.
La signora Marple si voltò verso Cheryl e le rivolse uno di quei sorrisi che facevano assomigliare la sua larga faccia a quella di un rospo.
-Come si chiama il fortunato, cara?
-Fabian Holmis.- fu la timida risposta di Cheryl.
-E il nome della splendida opera che ci hai fatto ascoltare stasera?
Cheryl stava per rispondere, quando venne interrotta da una voce femminile: -Dovrebbe trattarsi dell'Andante Grazioso di Mozart, l'undicesima sonata in La maggiore, vero?
A parlare era stata una giovane ragazza bionda, che la guardava con due occhi azzurri gentili e splendenti di ammirazione. Doveva chiamarsi Marianne Watmore, così le sembrava di aver udito durante la cena di quella sera.
-Esatto.- rispose Cheryl, alzandosi dallo sgabello del pianoforte.
Stava per andare a riprendere posto accanto ai suoi genitori, quando notò che Marianne era l'unica in quella stanza che sedeva completamente sola sul suo divanetto.
Beh, sarò gentile., decise Cheryl e, mentre tutti i presenti tornavano a immergersi nelle loro conversazioni, le si avvicinò per sedersi accanto a lei.
-Marianne Watmore, giusto?- le domandò nel suo tono più cortese.
Le sarebbe piaciuto conoscerla un po': non poteva fare a meno di sentirsi incuriosita nei confronti di una ragazza che aveva riconosciuto a primo colpo una sonata di Mozart.
-Sì.- rispose lei, annuendo. -Sono la figlia di Ylenia e Leonard Watmore.
Dopo qualche istante di silenzio, Marianne continuò: -Lei suona davvero benissimo, sa? Sono rimasta assolutamente incantata. Io adoro la musica, in particolar modo quella di Mozart. Purtroppo non sono un'intenditrice e non ho mai avuto occasione di suonare uno strumento musicale...
-La ringrazio.- sorrise Cheryl, e si sentì arrossire un altro po'. -Mi ha piacevolmente sorpresa sentirla riconoscere il pezzo, al di là del titolo. Purtroppo non capita spesso. La maggior parte della gente si sarebbe limitata a dire “Questo è l'Andante Grazioso di Mozart”...
-Beh, tendo sempre ad approfondire ciò che mi interessa.- rispose Marianne con un'alzata di spalle, ma sembrava compiaciuta da quel complimento. -Che si tratti di musica o di arte in generale...
Arte. Cheryl sentì il suo cuore fare un balzo.
In tutta la sua vita, non aveva mai incontrato una donna a cui piacesse anche solo minimamente l'arte. Certo, ne conosceva di ragazze che come lei suonavano il pianoforte, ma nessuna di loro amava veramente la musica, nessuna era interessata a conoscere davvero gli artisti di cui ricreava le splendide sinfonie o aveva iniziato a mettere le mani sui tasti per passione, non perché suonare uno strumento era un piacevole passatempo e una possibilità in più di apparire interessanti agli occhi della società.
Chissà, forse aveva trovato una ragazza con cui non si sarebbe limitata a parlare di quanto fossero incantevoli le nuove tende del salotto, deliziosi i pasticcini che aveva preparato e attraenti gli scapoli più noti di Burford.
-Che tipo di arte?- domandò Cheryl.
-Le arti figurative, prima di tutto. Provo un assoluto amore per i quadri di Rembrandt, anche se preferisco i pittori settecenteschi e lo stile neoclassico. Ho in casa una collezione di libri a tema, ho passato la mia adolescenza studiandoli e ascoltando mia madre che mi diceva di smetterla di perdere tempo e ammuffire sulle pagine perché era più importante che mi trovassi un buon partito. Beh, non che ora le cose siano cambiate molto.
Marianne sorrise, e Cheryl la ricambiò. Non riusciva a credere di aver appena conosciuto una donna che aveva trascorso anni a studiare libri di pittura.
-E che mi dice della poesia?- chiese.
-Preferisco i romanzi in prosa, ma quando una poesia parla della natura mi conquista del tutto. Specialmente quando si tratta del mare, che per me è una delle massime espressioni artistiche dell'essere umano. Immagino che lei conosca la ballata del vecchio marinaio... oh, quanto l'ho adorata!
Cheryl sentiva il cuore batterle forte, ed era come se quei battiti pompassero felicità nelle sue vene al posto del sangue.
-Io amo il mare.- disse, con un sorriso che le illuminava il volto minuto e gli occhi verdi. -E amo la poesia. Anche io ho letto libri per tutta l'adolescenza, ma i miei genitori non mi hanno mai detto nulla a riguardo. Sanno che ho sempre pensato che mi sarei sposata quando sarebbe arrivato il momento...
-E il momento è arrivato? A quanto pare lei si mariterà tra una settimana.- la interruppe Marianne.
-Oh, sì. Se devo essere sincera, sono stati i miei genitori a proporre Fabian Holmis come mio possibile marito. Io l'ho frequentato un po' e credo che sia la persona giusta per me. Insomma, a ventitré anni, ancora non sposata...
Quel che Cheryl non disse in quel momento fu che i suoi genitori non avevano solo proposto Fabian come suo marito. L'avevano
scelto, perché non volevano che la loro figlia sprecasse ancora molti anni della sua vita in casa, a suonare il pianoforte e sfogliare libri inutili.
Hai bisogno di mettere la testa a posto, e quell'Holmis può farlo.” era stata la decisa affermazione di suo padre. E Cheryl, dopo le deboli proteste iniziali, non aveva avuto la forza di opporsi.
Perché Cheryl era sempre stata troppo terrorizzata anche solo per ammettere a se stessa, figuriamoci poi alla sua famiglia, i veri sentimenti che nutriva nei confronti degli uomini. O meglio, che non nutriva.
Mi metterà la testa a posto.” aveva pensato per convincersi ad affrontare quel matrimonio di convenzione. “E poi è un bell'uomo, ha un carattere piacevole. Starò bene con lui.”
-Sono felice per lei.- stava dicendo Marianne, e la sua voce la strappò da quei pensieri.
-E lei, signorina Watmore? Mi pare di aver capito che non è sposata.
-Oh, per favore, mi chiami Marianne, va bene? È così strano sentirsi chiamare “signorina Watmore”, non mi è mai piaciuto.- ridacchiò lei. -Comunque no, ha ragione. È il motivo della maggior parte degli scontri tra me e la mia famiglia. Purtroppo credo di non aver ancora trovato... la persona giusta.
Qualcosa nel suo tono di voce sembrò calcare sulla parola “persona”, e per un attimo i suoi occhi sembrarono oscurarsi di una sorta di... tristezza, rassegnazione?
Cheryl sbatté le palpebre e osservò meglio Marianne, ma quell'ombra sembrava essere già sparita. La giovane la fissava con uno sguardo così intenso e brillante di intelligenza che la metteva quasi a disagio.
È bella, è davvero bella., si ritrovò a pensare Cheryl.
I suoi occhi scorsero sul viso dal profilo delicato di Marianne, circondato dai folti boccoli di un biondo dorato. Le sue guance erano deliziosamente rosate, le ciglia chiare e lunghe, la bocca piccola e all'apparenza meravigliosamente morbida.
Nel momento in cui il suo sguardo fu tentato di scendere oltre il collo snello della ragazza, Cheryl si sentì cogliere da una punta di orrore.
No, no, no. Non ancora. Non ancora.
Quando tornò a guardarla negli occhi, Marianne le stava sorridendo. E, a dispetto di tutti i suoi sforzi, Cheryl non poté fare a meno di chiedersi quanto le sue labbra potessero essere davvero morbide.
-È molto piacevole parlare con lei, signorina Brow... Cheryl. Crede che potremmo rincontrarci, uno di questi giorni? La mia casa è appena a due strade di distanza da qui, sarebbe un piacere ricevere una sua visita.
-Sicuramente.
Cheryl non poté fare a meno di sentirsi imbarazzata. Era una cosa che le capitava abbastanza spesso quando aveva a che fare con le persone in generale; lei era sempre stata timida, fin da bambina. Quella donna, poi, aveva qualcosa di diverso dagli altri: la guardava come se le stesse scavando dentro, come se cercasse di cogliere qualcosa al di là delle sue parole.
Per scacciare quella sensazione, Cheryl guardò il tavolino davanti al loro divanetto, dove capeggiava un piatto ricolmo di pasticcini e biscotti farciti di crema e cioccolato.
-Le andrebbe uno?- disse, afferrati un paio di biscotti. Marianne rispose con un altro sorriso che la rendeva bellissima, perché lei era bellissima, come poteva negarlo?
-Certo, adoro i dolci. E, Cheryl...
Pronunciava il suo nome in tono disinvolto, confidenziale, come se la conoscesse da tempo.
-Sì?
-Possiamo anche darci del tu.

*

I suoi passi risuonavano nella piccola stanza silenziosa.
Quando Cheryl arrivò davanti alla porta, poggiò la mano sulla maniglia e si voltò per guardare la finestra all'altro capo della stanza.
In quel momento era chiusa, ma le tende erano tirate e si poteva scorgere il cielo nero come inchiostro, puntellato da poche deboli stelle. E Cheryl sapeva che, se si fosse affacciata, avrebbe visto il mare.
Poteva dire di aver trascorso la sua vita affacciata a quella finestra, a godere della brezza che le scompigliava delicatamente i capelli, ad ascoltare i fischi dei gabbiani e il fragore delle onde che s'infrangevano sugli scogli, mentre il profumo salmastro la inebriava e i suoi occhi scorrevano sullo spettacolo dell'acqua che brillava sotto la luce del sole o della luna.
Non le era mai importato che il mare fosse placido o in tempesta. Lei lo amava ugualmente, e l'avrebbe amato fino al suo ultimo respiro.
Quanto aveva desiderato poter sparire lei stessa in quell'acqua, divenire un tutt'uno con le onde, affondare il dolore in abissi inesplorati, finché la sua anima non si sarebbe persa nell'infinità dell'oceano.
Un giorno lo saremo, Cheryl. Solo noi e il mare, proprio come abbiamo sempre desiderato. Te lo prometto.”
La voce di Marianne le parlava ancora attraverso gli anni, dolce e carezzevole. Nella sua mente, quelle delicate mani bianche le sfioravano ancora il viso, le sue labbra lambivano ancora le sue.
Ma lei e Marianne il mare non l'avrebbero mai vissuto, almeno non come avevano sempre desiderato negli splendidi e fervidi anni della loro giovinezza.
Un ultimo sospiro. L'anziana donna si voltò e abbassò la maniglia della porta, spalancandola sul buio fondo del corridoio.

*

6 giugno 1845.

-Quindi lei non è ancora sposata, signorina Watmore?
Lady Anne assaggiò un sorso di tè dalla sua tazzina, gli occhi fissi su Marianne. Cheryl, dalla sua poltroncina in velluto rosso, la osservava sbocconcellando senza interesse un pasticcino alla crema.
-Oh, no. E credo che rimarrò così ancora a lungo.- rispose Marianne in un tono assolutamente tranquillo e indifferente, come se stessero discutendo del tempo atmosferico.
-Ma come può parlare così?- pigolò Kate Hernest, scostandosi un ricciolo ribelle dalla fronte. -Essere sposate è una cosa meravigliosa. Avere finalmente un uomo al tuo fianco che si prende cura di te... scommetto che Cheryl potrà confermarlo, lei che ormai è diventata Cheryl Holmis. Non è vero, cara?
Cheryl non aveva mai sopportato Kate Hernest, da quando l'aveva conosciuta tre anni prima. Odiava la sua voce stridula, i suoi tondi occhi vuoti, la falsa gentilezza con cui si rivolgeva agli altri. Ma sfortunatamente Kate e la sua amica Anne Charlest avevano insistito per un appuntamento di cortesia a casa Watmore quel pomeriggio, dopo aver conosciuto Marianne a un ballo.
E Marianne, che per loro non provava neanche un briciolo di simpatia, aveva invitato anche Cheryl sperando che la sua presenza potesse alleviare un po' il pomeriggio noioso che le si prospettava.
Avanti, lo faresti per me? Ho paura di non poter reggere neanche un quarto d'ora con quelle due.” le aveva detto sorridendo, e Cheryl aveva sentito il viso andare in fiamme mentre il suo cuore perdeva un battito.
Così il pomeriggio stava trascorrendo, come previsto, tra pasticcini, pettegolezzi e chiacchiere futili su chi aveva tradito chi e quali colori andassero più di moda nell'ultima stagione.
In quel momento, Cheryl avrebbe voluto zittire quell'oca di Kate dicendole che per lei essere sposata non era affatto meraviglioso.
Fabian era un bell'uomo, certo, dal sorriso ammaliante e i lucidi capelli neri. Ma era anche freddo. Era freddo quando la baciava e faceva scorrere le mani sul suo corpo, perché nel suo tocco non c'era alcun sentimento. Era freddo quando cenavano insieme e quando la sera si ritrovavano, lui seduto sul divano a sfogliare libri e lei a suonare un po' il pianoforte.
Era freddo quando la guardava con una smorfia, perché Cheryl aveva detto o fatto qualcosa che a lui non andava bene, e le stringeva il polso in una breve stretta dolorosa o le dava ordini in tono secco.
Ciononostante, Cheryl si sforzò di disegnarsi un debole sorriso sulle labbra mentre sollevava la sua tazzina di tè, ormai quasi vuota.
-Oh, sì. Sono d'accordo.- ridacchiò, sentendosi una totale stupida.
Marianne aveva ascoltato indifferente quello scambio di battute. Con una scrollata di spalle, disse: -Io sono convinta che per noi donne ci siano cose ben più importanti del trovarci un uomo che si prenda cura di noi. Insomma, non potremmo tranquillamente badare a noi stesse? Il matrimonio, i figli... nulla di tutto questo ci può soddisfare da un punto di vista personale. Io desidero qualcosa di ben diverso.
Silenzio. Cheryl osservò Marianne con un crescente sentimento di stupore e ammirazione, mentre Anne e Kate s'accigliavano.
-Lei dice?- fece infine Anne. -Si vede che non ha ancora trovato l'uomo giusto. Io sono così impaziente di incontrare la persona che mi amerà davvero...
Forse perché nessuno ti ha ancora voluta., pensò Cheryl con una punta di rabbia.
-Il matrimonio è il giorno più importante della vita di ogni donna... secondo solo a quando nascono i suoi figli, è ovvio. Tutte lo sognano. Se lei non desidera avere una famiglia, allora cos'è a cui aspira?
-Una realizzazione. Qualcosa di diverso dal passare le giornate in casa a cucire aspettando il ritorno di mio marito. Mi sono sempre chiesta perché noi donne non dovremmo avere le stesse occasioni degli uomini di studiare e conoscere il mondo. Non vi piacerebbe conoscere il mondo al di là di un ricevimento nella villa più sontuosa di Burford?
Anne e Kate erano rimaste in silenzio, con le guance che s'arrossavano sempre di più. Balbettarono confusamente in risposta, finché Kate non sembrò aver preso coraggio.
-Trovo questi discorsi piuttosto fuori luogo. Non dico che noi donne non possiamo imparare a leggere e a scrivere, e se proprio vogliamo anche studiare un po'. Ma arriva un momento in cui dobbiamo farci da parte e capire che ci sono cose che semplicemente non fanno per noi. È la natura che ci ha fatti così, gli uomini da una parte e noi dall'altra.
Le mani di Marianne sembrarono tremare leggermente, e per un attimo a Cheryl parve di vedere un lampo di rabbia nei suoi occhi. Ma scomparve subito.
-Capisco il suo punto di vista.- disse Marianne, gentile. -Ma io continuerò a sostenere che ogni differenza tra donne e uomini sia solo apparente e frutto di un condizionamento sociale e mentale. E che, se ne avessimo l'occasione, noi potremmo rivelarci molto più intelligenti e talentuose di quanto non sembri.
Anne e Kate avevano sempre mostrato una composta per quanto falsa cortesia nei confronti delle persone che non giudicavano al loro livello. Ma ora, quando Cheryl guardò nei loro occhi, vi lesse uno sguardo che esprimeva insieme odio e derisione. Scandalo, confusione, disgusto.
-E lei che ne pensa, Cheryl?- disse improvvisamente Anne, voltandosi verso di lei. -Non è d'accordo con quel che ha detto Kate?
Cheryl abbassò la tazzina per poggiarla sul tavolino e si preparò a ricevere quello stesso sguardo su di sé.
-A dire il vero no.- disse, pensando alla piccola raccolta di libri che tre settimane prima aveva sistemato nella sua nuova camera da letto matrimoniale e a tutte le volte che aveva desiderato poter suonare il pianoforte davanti alla folla di un teatro. -Mi trovo più d'accordo con Marianne. Siamo donne, sì, ma siamo anche esseri umani. Cos'è che alla fine ci differenzia dagli uomini? La forma di un corpo? Non conta molto di più quel che abbiamo dentro? Essere sposate è bello, certo, ma... forse non è tutto.
Non era poi così brutto essere guardata come se i suoi capelli fossero appena diventati verdi. Cheryl controllò l'impercettibile tremito delle mani e spostò lo sguardo su Marianne, incontrando il suo sorriso raggiante.
“Grazie.” sembrava dire quel sorriso, e Cheryl non poté fare a meno di ricambiarlo.

-Scusa? Non ti disturbo, vero?
La mano di Marianne lasciò cadere la spazzola sul letto. Cheryl inspirò a fondo quando gli occhi azzurri della donna si puntarono su di lei, ferma sulla soglia della camera.
-Oh, no, figurati. Puoi entrare, se vuoi. Mi stavo solo dando un'aggiustata ai capelli.
Anne Charlest e Kate Hernest se n'erano andate circa venti minuti prima, quando la loro carrozza era giunta sotto casa a prenderle. Marianne le aveva accompagnate alla porta e le aveva salutate, sapendo benissimo che da quel giorno non le avrebbe mai più riviste in casa sua, poi aveva chiesto a Cheryl se poteva aspettarla per qualche minuto perché doveva controllare qualcosa in camera.
Così Cheryl aveva passato quasi un quarto d'ora a tormentarsi nervosamente un ricciolo, osservando i quadri che adornavano le pareti del salotto.
Vai a cercarla. Trova la sua camera, entra e parlale.” gridava una voce dentro di lei.
Perché farlo, si chiedeva Cheryl? Presto Marianne sarebbe tornata in salotto e avrebbero ripreso a parlare, stavolta da sole... ma alla fine si era stancata di aspettare. Un istinto a cui non sapeva dare un nome l'aveva spinta ad alzarsi e a percorrere il corridoio dell'appartamento dei Watmore, finché non era arrivata davanti alla porta semiaperta che si affacciava sulla camera di Marianne.
-Puoi sederti sul letto accanto a me, se vuoi.- stava dicendo Marianne, mentre recuperava la spazzola.
Cheryl annuì; lanciò una rapida occhiata intorno a sé, ammirando l'eleganza delle pareti rosso vinaccia e i mobili in legno di ciliegio, poi si sedette accanto alla ragazza.
C'era un grosso specchio sulla parete all'altro capo della stanza, che permetteva ad entrambe di specchiarsi tranquillamente fino alla vita. Marianne, con lo sguardo fisso sul riflesso, sollevò il braccio per prendere a spazzolarsi i capelli.
Cheryl ne approfittò per guardarla bene, sperando che lei non si accorgesse delle sue occhiate di troppo: i capelli di Marianne, al naturale, senza quei nastri che li fissavano in onde mosse intorno al capo, erano splendidamente lisci, una vera e propria cascata d'oro che le ricadeva sulla schiena.
È bella, va bene. È normale pensare che le proprie amiche siano delle belle ragazze. Ma basta, tutto qui.
-Grazie per prima.- disse improvvisamente Marianne, distogliendola dai suoi pensieri.
-Per il discorso sulle donne?- fece Cheryl, alzando lo sguardo. -Figurati. Ho solo detto la mia.
-Beh, mi hai sostenuta. È una cosa rara, non conosco persone che la pensino come me... come noi. Almeno saremo in due ad apparire delle matte agli occhi della società.
Marianne ridacchiò, posandosi la spazzola sulle ginocchia.
-Già. Credo di aver sempre pensato quelle cose che hai detto tu. Solo... non ho il coraggio di esprimerle in quel modo.
-Posso capirti. Anche a me serve coraggio per dire quel che penso. Vedrai che lo troverai anche tu.
Rimasero in silenzio per alcuni secondi, semplicemente guardandosi negli occhi. Cheryl si sentì arrossire e cercò disperatamente qualcosa di cui parlare.
-Così... non vuoi proprio sposarti, eh?
-Oh, non dico questo. Solo che non ho ancora trovato la persona giusta, e temo che probabilmente non la troverò mai.
-Perché mai, scusa?- domandò Cheryl, sconcertata. -Non dovresti essere così pessimista. Andiamo, dimmi... come dovrebbe essere la tua persona giusta?
-Lasciamo stare.- rispose Marianne, scuotendo piano la testa. -Magari un giorno te lo dirò.
La giovane riprese a spazzolarsi i capelli, tra l'altro già perfetti. Cheryl si morse il labbro, incerta su cosa dire. Perché Marianne era così misteriosa e reticente a parlare di un argomento talmente semplice?
Decise di distrarsi osservando la stanza intorno a lei: il tavolino da toeletta con tutte quelle confezioni colorate di profumi era delizioso. Come nel salotto, anche lì le pareti erano ricolme di quadri...
Il suo sguardo venne catturato dal comò in legno accanto al letto. Lì sopra, davanti a una piccola lampada, c'era un disegno. O meglio, una pila di disegni.
Cheryl si alzò per avvicinarsi al cassetto e osservare i fogli impilati. Il disegno in cima a tutti era stupendo; ritraeva una lunga distesa di spiaggia bianca che si univa alla volta scura del mare, le onde appena accennate puntellate dei riflessi cristallini della luna.
Quei riflessi erano talmente dettagliati e precisi da darle l'impressione che l'immagine fosse stata strappata dalla realtà per essere impressa lì, sul foglio.
-È bellissimo.- disse, voltandosi verso Marianne: la stupì vederla con la mano ferma a mezz'aria che stringeva la spazzola, le guance rosse e gli occhi colmi di quello che sembrava... imbarazzo?
-Dici davvero?- chiese Marianne, alzandosi a sua volta.
-Sì... perché questa reazione? Per caso l'hai disegnato tu?
Marianne lasciò cadere senza riguardi la spazzola sul letto e annuì.
-Sì. Quelli che vedi sono tutti miei disegni. Ho iniziato quando avevo undici anni, disegnando il giardino della casa dove vivevo prima, e... da allora non ho più smesso. È un altro dei motivi per cui i miei genitori mi considerano una stupida sognatrice.
-Mi dispiace...- mormorò Cheryl. -Per me hai davvero talento... mi piace il modo in cui hai ricreato i dettagli della luce della luna riflessa sull'acqua. Posso vedere gli altri?
Marianne annuì; cercava di sembrare indifferente, ma non riusciva a trattenere un sorriso compiaciuto a quelle parole.
Cheryl afferrò la pila di fogli e iniziò ad esaminarli, uno per uno. Erano sicuramente alcuni tra i disegni più stupefacenti che avesse mai visto: prati sommersi da neve scintillante, alberi che svettavano contro cieli luminosi e appena coperti da nuvole che sembravano morbide come panna, cespugli in fiore, cervi che correvano nel folto di un bosco.
Ma soprattutto il mare: Marianne ne sembrava ossessionata, per tutte le volte che l'aveva fatto oggetto dei suoi disegni.
Barche di pescatori che ne solcavano la placida distesa scintillante. Onde che s'infrangevano sulla spiaggia in un gran gonfiarsi di acque azzurre e schiuma spumosa. Una tempesta che si abbatteva sugli scogli. Villaggi di pescatori, gabbiani che si posavano sulla sabbia dispiegando elegantemente le ali, conchiglie e sassi colorati che giacevano sul lungomare.
Quando Cheryl alzò lo sguardo, i suoi occhi brillavano letteralmente.
-Credo di non aver mai visto qualcosa di più bello.- disse, e il suo tono era così sincero da non lasciare spazio a dubbi. Marianne sorrise ancora, arrossendo vistosamente, e si sedette nuovamente sul letto.
-Davvero lo pensi?
-Certo. I colori... e i dettagli, soprattutto. Sei bravissima nel riprodurre i dettagli. Ci conosciamo da un mese, ormai, perché non mi hai mai detto che disegni tanto?
Marianne si lasciò andare a un sospiro.
-Tendo a non dirlo quasi a nessuno. Sai... i miei genitori mi hanno sempre scoraggiata, pur riconoscendo che “ho un certo talento che potrebbe andar bene ad una signorina che non sa come impiegare il suo tempo libero, ma non ad una donna adulta.” Tutte le persone a cui ho detto che amo disegnare mi ripetono sempre la stessa cosa. Non ne posso più. Quindi non ne parlo quasi mai, a meno che non mi fidi di qualcuno... il che non succede spesso.
-Quindi ti fidi di me?- disse Cheryl, in tono divertito, mentre riordinava i fogli per sistemarli sul comodino.
-Sì. Sai, sei una di quelle persone per cui si prova una fiducia istintiva. Le conosci da poco ma nonostante questo senti di poter parlare con loro di cose che non diresti neanche ai tuoi amici più stretti... non che io abbia amici stretti. Sono troppo strana per quasi tutti quelli che mi conoscono.
-Beh, mi fa piacere sapere che ti sto così simpatica.- ridacchiò Cheryl, girandosi verso di lei.
-Mi stai più che simpatica, Cheryl.
Cosa?
Stavolta era Marianne ad essere arrossita, per la seconda volta; le sue mani tormentavano nervosamente i lembi dell'ampia gonna azzurra, mentre il suo sguardo evitava in ogni modo quello di Cheryl.
Lei, d'altro canto, si sentiva il cuore battere a mille.
Più che simpatica. Quante implicazioni poteva avere quell'espressione? Soprattutto quando veniva pronunciata da una voce così carezzevole, la voce di una ragazza che si rivolge al suo innamorato...
-Io... scusa. Dimentica quello che ti ho detto, va bene? Non volevo.- mormorò Marianne. -Sei un'amica per me, certo. Non intendevo... non intendevo niente altro.
Cheryl annuì lentamente, senza sapere cosa dire.
Perché Marianne aveva avuto quella reazione impacciata nel dirle semplicemente che la considerava un'amica? Più che simpatica. Forse con quelle parole intendeva qualcos'altro. Forse...
-Ehi. Che ne dici se torniamo in salotto a finire quei dolci?
Marianne si era alzata dal letto e aveva recuperato l'espressione allegra e sicura di sé che non l'abbandonava mai. Come se l'ultima parte della loro conversazione non si fosse mai svolta.
E l'unica cosa che Cheryl poté fare in risposta fu annuire.
-Certo. Mi stava venendo fame proprio in questo momento.

I only wished to become something beautiful
through my music,
through my silent devotion.

Lì fuori nel corridoio, a soli pochi passi dalla sua stanza, c'era una finestra dalle tende tirate: la luce della luna filtrava, andando a infrangersi sulle pareti e sul pavimento di legno polveroso.
Cheryl si avvicinò lentamente a quella finestra e sollevò le mani, così da poterle guardare per bene: erano piccole e avvizzite, le mani di una vecchia, e quelle dita rugose che si ritrovavano non sfioravano un pianoforte da tempo immemore.
Ma Cheryl ricordava ancora di quando le sue mani danzavano con disinvoltura sui tasti, intrecciando nell'aria sinfonie vivaci così come musiche di una dolcezza struggente.
Se solo fosse stata libera di vivere la sua vita, forse sarebbe riuscita a diventare famosa come uno di quei musicisti che aveva sempre ammirato.
Se fosse stata libera...

*

11 settembre 1845.

Il suo indice andò a premere per errore il tasto del Re invece del Mi, e la nota stonata risuonò nel salotto vuoto.
Cheryl abbassò le mani sulle ginocchia e chiuse gli occhi, lasciandosi andare a un sospiro.
Non è un pezzo semplice, è normale che sbagli. Riprova, forza.
Riprese a suonare, ma i suoi occhi non guardavano davvero i tasti del pianoforte: la sua mente era lontana, persa nei ricordi di quel che era successo nel corso di quell'estate.
Marianne. Quelle note delicate e cristalline non potevano fare a meno di ricordarle lei.
Era dolce, Marianne. Ben poche persone avrebbero detto lo stesso: tutti la vedevano come una donna ironica, sicura di sé, praticamente indifferente a cose che avrebbero offeso e fatto scandalizzare altre persone.
Ma Cheryl sapeva che c'era altro dietro la sua facciata. Sapeva che Marianne aveva semplicemente paura di mostrare agli altri quanto potesse essere sensibile, a volte quasi fragile, perché non voleva essere considerata uguale a tutte le brave e gentili ragazze d'alta società.
Marianne era una sognatrice. Una fata dai capelli biondi e l'anima che risplendeva di mille colori, così come i soggetti dei suoi bellissimi disegni.
I suoi occhi azzurri per qualcuno potevano essere gelidi come ghiaccio, ma per Cheryl erano specchi che s'affacciavano sul mare.
Il mare. Lo amavano entrambe, ed era stata una delle cose che avevano contribuito ad unirle così in fretta. Marianne se n'era innamorata da piccola, osservando le illustrazioni dei suoi libri, e non si sarebbe mai stancata di disegnarlo e di dipingerlo.
Cheryl non avrebbe saputo spiegare perché il mare le piaceva tanto: vederlo, dal vivo o da un disegno che fosse, le procurava un indefinibile senso di pace, di felicità, smuoveva la sua sensibilità come solo la musica era riuscita a fare. Se solo avesse potuto lasciare Burford e la sua vita noiosa per essere libera, andare a vivere su una spiaggia, ammirare il mare ogni giorno al suo risveglio...
Marianne era stata la prima persona con cui Cheryl aveva parlato di quel sogno. Ed era stata anche la prima a cui era riuscita a confessare che il suo più grande desiderio era poter suonare il pianoforte a livello professionale: cosa avrebbe dato per non ammuffire in quel dannato appartamento che da qualche mese condivideva con suo marito, per smuovere un po' la sua vita da donna di casa.
Vedere il mondo, respirare della sua stessa musica, suonare in un teatro traboccante di persone che avrebbero trattenuto il fiato fin dalla prima nota... perché Cheryl amava suonare.
Cheryl dimenticava ogni cosa quando chiudeva gli occhi e le sembrava che le sue mani si muovessero automaticamente sui tasti del pianoforte, come mosse da un'ispirazione, una volontà superiore.
Marianne non era solo un'amica per lei. Cheryl aveva fatto fatica a realizzarlo e infine ad accettarlo, ma era così. Era arrivata al punto in cui non aveva potuto più negare quel che provava nel sfiorare le sue mani, nel vederla sorridere, nel sentirla parlare con quella voce carezzevole che rivolgeva solo a lei.
Non è giusto, non è normale, non può esistere. Siamo donne. Io non posso...
Aveva trascorso giorni a tormentarsi con quei pensieri, ma alla fine aveva ceduto.
Io sono innamorata di Marianne Watmore.
Cheryl si bloccò nel bel mezzo della sinfonia che stava suonando. Fissò i tasti lucidi del pianoforte, le mani tremanti che si chiudevano a pugno e le lacrime che lottavano per scivolarle dagli occhi.
Marianne era stata la prima persona della sua vita ad averla accettata e compresa per davvero. Più dei suoi genitori, più di suo marito Fabian.
E c'era qualcosa nei suoi occhi, nella sua voce, che a volte le faceva credere che forse anche lei provava le stesse cose, forse anche lei era innamorata...
Mi sei più che simpatica, Cheryl.
Quando gliel'aveva detto, era arrossita e si era scusata, chiedendole di dimenticare tutto. Non era il comportamento di una ragazza che esprime semplicemente il suo affetto per un'amica, o no?
Forse non sono sbagliata. Forse non siamo sbagliate.

15 settembre 1845.

La prima volta che si erano baciate era stata Marianne a prendere l'iniziativa.
Le aveva preso il viso tra le mani, senza alcun preavviso, e Cheryl era rimasta immobile col cuore che batteva a mille e gli occhi chiusi, ad accogliere quelle labbra che premevano sulle sue e la baciavano con delicatezza.
In quel preciso istante, Cheryl aveva compreso cos'era l'amore.
Quando Fabian la baciava, la invadeva con la lingua come se volesse affondare nella sua bocca e assaggiarne ogni parte. Era solo la sua voglia di soddisfare i suoi impulsi fisici, senza reale interesse per quel che Cheryl poteva provare o desiderare.
L'amore era ben altro: l'amore poteva esprimersi anche nel lasso di pochi secondi, in un paio di mani che le accarezzavano dolcemente le guance, nelle labbra morbide assaggiavano le sue con gentilezza, nel respiro in sincronia con il suo.
Cheryl aveva riaperto gli occhi e si era allontanata leggermente: gli occhi di Marianne la fissavano angosciati.
-Dio, cosa ho fatto? Scusa...- mormorò la ragazza, il volto che sbiancava lentamente.
Sembrava essere sul punto di alzarsi e uscire di corsa dalla piccola biblioteca di casa Watmore, dove lei e Cheryl si erano appartate per passare il pomeriggio sfogliando alcuni volumi di poesia.
-No, aspetta.
Cheryl le afferrò di scatto una mano e la strinse forte: poteva avvertirne il tremito leggero.
-Non ti faccio schifo?- disse Marianne con un sorriso debole e amaro, ma le sue guance avevano ripreso colore.
-In caso dovrei farmi schifo da sola, non credi? Non c'è nulla di male in quello che abbiamo appena fatto. È inutile cercare di nasconderci, dobbiamo avere coraggio, è quello che dici sempre. Io... io ti amo, Marianne.
Silenzio. Per i secondi più lunghi e tormentati della sua vita, Cheryl temette irrazionalmente che la ragazza scostasse la mano dalla sua e le dicesse che un sentimento tra di loro non sarebbe mai potuto esistere, che avevano entrambe bisogno di allontanarsi l'una dall'altra e tornare normali.
Invece Marianne si aprì nel sorriso più sincero, dolce e splendente che Cheryl le avesse mai visto.
-Ti amo anche io.

*

Le labbra che una volta avevano ricambiato con tanto ardore i baci di Marianne erano ora secche e screpolate sul viso della donna che avanzava spedita nel corridoio.
Lo sguardo di Cheryl si perdeva senza paura nel buio davanti a lei: arrivata a quel punto, non c'era più alcun motivo ragionevole per avere paura di qualcosa di stupido e fuggevole come il buio, no?
Da bambina Cheryl aveva sempre temuto quelle ombre confuse che la notte assumevano i mobili della sua stanza: si rannicchiava tra le coperte con gli occhi il più possibile serrati, e rimaneva ferma sperando che il sonno arrivasse presto a coglierla.
Quando era entrata in quel manicomio, aveva scoperto che c'erano cose più orrende e consistenti del buio di cui avere paura.
Gli sguardi freddi e taglienti dei dottori che l'avevano visitata, le loro parole secche e indifferenti, le mani che le serravano le braccia, le coprivano la bocca, la tenevano ferma contro la sua volontà mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime di rabbia e impotenza.
Il buio non aveva significato, non nascondeva niente. Erano gli uomini che andavano temuti: erano gli uomini i veri mostri da cui il mondo doveva stare in guardia.
Ma Cheryl sapeva che il mondo non era solo un covo di ipocrisia, orrore e freddezza. Sapeva che, nel mezzo delle ingiustizie, delle lacrime e delle paure di tutti i giorni, si nascondeva una perla chiamata amore.
Nulla più dell'amore era capace di riportare un sorriso su labbra spezzate, di donare calore a un paio di occhi spenti. L'amore avrebbe potuto salvare il mondo, se solo l'intera umanità l'avesse capito.
E lei era stata abbastanza fortunata da capirlo e viverlo.

*

5 ottobre 1845.


Era passato un poco di tempo prima che Cheryl trovasse il coraggio di accettare, ma infine era successo: avevano fatto l'amore, chiuse nella stanza di Marianne, in un nuvoloso pomeriggio di ottobre.
I rapporti con Fabian non avevano mai posseduto quel dolce trasporto: lui si limitava a prenderla quando ne aveva voglia, senza emozione, senza sentimento nelle carezze e nei baci che le elargiva. Si muovevano nel letto per non più di un quarto d'ora, poi Fabian usciva lentamente da lei e si distendeva tra le coperte, ignorandola come se fosse solo uno dei tanti mobili della stanza, un giocattolo messo da parte non appena l'aveva stancato.
Ma con Marianne era stata tutt'altra cosa.
Cheryl aveva provato veri brividi di piacere quando le mani della ragazza le avevano sfilato l'abito rosa e le sue labbra erano corse sul suo seno, chiudendosi intorno a un capezzolo e succhiandolo delicatamente.
Quando aveva sentito le dita di Marianne farsi strada tra l'apertura nelle sue gambe, ogni traccia di paura era scomparsa in lei, sostituita da un'eccitazione pulsante che l'aveva scossa in tutto il corpo.
Erano crollate sul letto, in un intrecciarsi di gemiti soffocati e ansimanti, guance arrossate, capelli sparsi e labbra che si cercavano disperatamente.
Era il
paradiso. A differenza di quel che il mondo credeva, non c'era alcun bisogno del completamento di un uomo per una vera unione tra due persone che semplicemente s'amavano.
Perché l'amore non era un corpo, l'amore non era una legge, l'amore non era una regola e non poteva prestarsi a una qualsiasi apparente logica.
L'amore era
amore quando esisteva, e basta.

I lunghi capelli scuri di Cheryl erano disordinatamente sparsi sul cuscino. Marianne, poggiata accanto a lei su un gomito, li accarezzava leggermente.
La stanza dove avevano appena finito di fare l'amore era immersa nella calda luce dorata di alcune lampade. Cheryl teneva gli occhi fissi su un quadro raffigurante una dama imbellettata e sorridente, godendosi il tocco semplice quanto inebriante della sua ragazza.
-Ehi... questo cos'è? Come te lo sei fatta?
Al suono della voce preoccupata di Marianne, Cheryl si rigirò di scatto su un fianco, sentendo il cuore balzarle nel petto. Ecco, era successo quel che aveva temuto per tutto il giorno: Marianne si era accorta del piccolo livido violaceo impresso sul suo braccio.
-Io... ieri ho sbattuto contro lo spigolo del tavolo. Nulla di grave.
La scusa era buona, ma il suo tono era stato incerto e balbettante. Marianne fissò accigliata il livido e mormorò: -Sembra che qualcuno te l'abbia fatto. Fabian... è stato lui, vero?
Cheryl non era mai stata capace di occultare la verità nei suoi occhi. Perciò non le servì a niente scuotere la testa e rispondere: -No, affatto. Che stai dicendo?
-Smettila di mentirmi. Credi che io non mi accorga di cosa provi davvero quando ti vedo insieme a lui? Credi che io mi beva quei discorsi che propini alle altre su quanto Fabian sia un buon marito?
Cheryl era rimasta in silenzio, con un nodo che le cresceva in gola. Infine sospirò, cedendo allo sguardo severo di Marianne.
-È successo ieri. Stavamo litigando per una sciocchezza, qualcosa riguardante le compagnie che frequenta, non ricordo neanche bene. A un certo punto ho fatto un commento critico riguardo un suo amico, e lui... non l'ha presa bene. Mi ha afferrato il braccio e me l'ha tenuto piegato dietro la schiena, dicendomi che essendo solo una donna non dovrei permettermi di dire certe cose...
-Ma lui non dovrebbe permettersi di trattarti così!
Gli occhi di Marianne si erano infiammati di sdegno. Cheryl arrossì violentemente e aggiunse: -Ma non si comporta sempre in questo modo. Solo che ieri...
-Non è questo il punto. Sei un essere umano, Cheryl. Una donna, e allora? Tu puoi fare quello che vuoi, puoi dire quello che vuoi.
-Lo so, ma... non posso farci nulla, capisci? Non posso.
Rimasero in silenzio per alcuni istanti: l'espressione furente e indignata di Marianne non era ancora sparita. Cheryl sospirò e affondò il viso sulla sua spalla.
-Sono sposata con lui, non posso lasciarlo. Non avrei neanche una motivazione valida. È così e basta.
-Non ti piacerebbe vivere in un mondo dove potresti essere libera di fare tutto quello che vuoi?- disse Marianne, tornando ad accarezzarle piano i capelli. -Un mondo dove puoi separarti senza problemi da tuo marito semplicemente perché non lo ami più, o perché non lo hai mai amato, e nessuno ti guarderebbe male per la sua scelta, nessuno sparlerebbe di te...
-Certo che mi piacerebbe. Ma non è possibile. Magari lo sarà in futuro, chi lo sa.
Cheryl alzò lo sguardo verso di lei: ora Marianne sembrava essersi tranquillizzata e i suoi occhi avevano ripreso quello sguardo dolce e attento che avevano sempre per lei.
-Riesci a immaginare – continuò Cheryl – un mondo dove potremmo essere libere di camminare per strada tenendoci la mano, baciarci davanti ad altre persone, dire alle nostre famiglie “Mi sono innamorata di una ragazza” con la stessa facilità con cui annunceremmo il nostro matrimonio con un uomo?”
-Sì. E magari anche di sposarci e adottare dei bambini a cui faremo da genitori.
Marianne era sempre stata fervidamente attiva nel sostenere i diritti delle donne e la libertà dell'essere umano, ma quell'idea doveva sembrare talmente complicata e remota persino a lei tanto da averle disegnato un sorriso triste e amaro sulle labbra: era ovvio che la desiderava davvero, la possibilità di due donne o due uomini di diventare genitori, in un modo o nell'altro, magari ricevendo un bambino orfano in affidamento da qualche struttura apposita. Ma si vedeva che non lo riteneva possibile.
-Perché la vita deve essere così?- disse Cheryl, avvicinando un po' il suo volto a quello di Marianne. -Così... rigida, a senso unico. Come una gabbia da cui non puoi scappare. Nasci e gli altri si aspettano che tu sia qualcuno. Cresci e ti insegnano come comportati, come parlare, chi essere. Devi legarti fino alla morte, almeno nel mio caso, a una persona che per te non significa nulla. Ogni cosa che dovrebbe rimanere personale e riguardare solo noi stessi è sulla bocca di tutti, viene giudicata da tutti. Perché una donna non dovrebbe poter studiare economia? Dov'è la legge scritta che dice che solo un uomo e una donna possono amarsi? Per cosa facciamo tutto questo, per cosa ci preoccupiamo tanto di un mondo che in fin dei conti non ci appartiene davvero? È tutto in nome di un Dio che potrebbe benissimo non esistere?
Marianne era rimasta in silenzio ad ascoltarla, gli occhi fissi nei suoi. Non appena Cheryl smise di parlare, annuì lentamente.
-Hai ragione. Condivido ogni tua parola, lo sai. Purtroppo... il mondo è così, un giorno sicuramente cambierà, e nella nostra posizione noi possiamo fare ben poco. Ma vedila così...
Un piccolo sorriso si illuminò sulle sue labbra.
-Ti amo. Io ho te e tu hai me. Perciò pensiamo a goderci ogni istante del presente, prima che fugga via. Vuoi?
E Cheryl non poté fare altro se non ricambiare quel bellissimo sorriso e poggiare una mano sul fianco della ragazza.
-Sì.- rispose semplicemente, e il tempo sembrò dilatarsi e scomparire nel momento in cui le labbra di Marianne lambirono le sue.

*

Era finalmente arrivata. Il corridoio si interrompeva lì, sul ciglio di una scala che portava ai piani inferiori.
Ma quel che a Cheryl interessava era la
finestra accanto alle scale. Si fermò lì davanti e poggiò la fronte sul vetro gelido, osservando lo scenario che le si apriva davanti: mare.
Il manicomio dov'era rinchiusa era stato costruito accanto ad una spiaggia, e quel lato in particolare si affacciava direttamente sulle acque del Devon, uno specchio scuro su cui si rifletteva la luce lunare, proprio come in quel disegno di Marianne che lei aveva ammirato tanto tempo prima.
Il mare non era molto tempestoso, in quel momento: le onde si gonfiavano leggermente e andavano a infrangersi piano contro gli scogli in lontananza.
È meraviglioso.
Le mani di Cheryl corsero alla maniglia della finestra e la spalancarono. La donna poggiò i gomiti sul davanzale, affacciandosi, e godette della brezza fresca di vento che s'infranse sul suo viso.
Era così amaramente ironico che lei e Marianne avessero tanto amato il mare: Cheryl aveva trascorso decenni chiusa in quel luogo, con una spiaggia a pochi passi, una spiaggia dove lei non aveva mai messo piede, ad ammirare quelle acque che non aveva mai neanche sfiorato.
Una gabbia d'inferno nel mezzo del paradiso.
Ora fallo. Coraggio. Non hai più motivo di rimanere qui.
Ma, prima di agire, Cheryl decise di abbandonarsi ai suoi ultimi ricordi concreti.

*

16 giugno 1847.

-Scappiamo, Cheryl.
-Cosa?
Marianne aveva le guance arrossate e gli occhi risplendenti di entusiasmo, mentre si sedeva su una panchina del parco dispiegandosi la gonna. Sembravano specchi della sua anima, quegli occhi: un concentrato di felicità, follia, voglia di vivere.
-Scappiamo da Burford.- ripeté Marianne, alzando lo sguardo su di lei. -È da un po' che ci riflettevo su, non c'è motivo per non proportelo. Andiamocene da qui, dimentichiamo le nostre vite. Potremo ricominciare tutto daccapo.
Cheryl aveva già sentito il cuore iniziare a batterle furiosamente, ma a quelle parole un vero e proprio brivido le corse lungo la schiena.
-Dici sul serio?- mormorò, e si gettò un'occhiata intorno per sincerarsi che nessuno le udisse: fortunatamente, in quel momento i vialetti di quell'aera del parco erano deserti.
-Certo che dico sul serio. Pensaci. Ricominciare una vita del tutto diversa... non vedere mai più questo posto...
-Sì, ma come? In che modo possiamo allontanarci dalla città?- la interruppe Cheryl. -E come sopravvivremo?
Tutto il suo animo le gridava di rispondere di sì, di accettare quella folle e bellissima proposta. Ma una parte razionale e lucida di lei le diceva di ponderare per bene la decisione e riflettere su cosa avrebbe comportato.
-Hai ragione, non sarà affatto semplice. Ma non impossibile. Io potrei procurarci un po' di denaro vendendo i miei disegni, e poi... che ne dici se ci vestissimo da uomini? Sarebbe tutto più semplice. Non è assurdo come sembra, ci sono state donne che l'hanno fatto. Vuol dire che possiamo farcela anche noi.
Alla fine di quel breve discorso, Cheryl annuì, con un groppo in gola. Nella sua mente iniziavano a dispiegarsi fantasie di lei e Marianne, in calzoni maschili e cappello calato sui capelli tagliati, che camminavano sole lungo una strada circondata da prati sconfinati.
Lei e Marianne su una carrozza che si allontanava da Burford, lei e Marianne stese su una spiaggia ad osservare le stelle sulla volta scura del cielo, lei e Marianne sedute sulla riva di un fiume a mangiare delle mele rubate da una bancarella.
Semplicemente lei e Marianne.
Non avrebbe mai più rivisto Burford, né suo marito, né quelle sciocche donne che si consideravano sue amiche ma che lei vedeva solo come marionette ridacchianti e superficiali.
L'idea di vestire come un uomo, di potersi muovere liberamente, di essere libera e basta, la riempiva di un'eccitazione che sembrava farle tremare il cuore.
Voglio farlo, voglio farlo. Andiamocene ora, ti prego. Mettiamo un paio di vestiti, un po' di cibo e soldi in una sacca e scappiamo via; era un grido che erompeva da ogni suo senso.
-Però dobbiamo organizzarci per bene, se vogliamo farlo davvero.- disse Marianne, lo sguardo ora pensoso. -Dobbiamo decidere con precisione come lasciare Burford, come farlo, dove andremo poi. Inizierò procurandomi un po' di cartine della zona, te le porterò uno di questi giorni e faremo il punto della situazione. Tutto quel che devi dirmi, alla fine, è se vuoi davvero fuggire con me.
Marianne tornò a guardarla, e Cheryl si sentì invadere dalla felicità più grande che avesse mai provato in tutta la sua vita.
-Sì.- rispose semplicemente, e il suo sorriso valeva più di mille parole.
Marianne si alzò dalla panchina e le prese la mano. In quel momento, col sole che si riversava sui suoi capelli dorati e sulla sua figura alta e slanciata, sembrava più bella e luminosa di una dea.
-Ti prometto che vedremo il mare. Ci procureremo in qualche modo dei fogli e delle matite, e quando l'avremo raggiunto ci stenderemo sulla sabbia, e tu lo ammirerai traendone ispirazione per una poesia mentre io disegnerò ogni dettaglio di quello che vedo. Te lo prometto.
Il suo tono deciso e convincente, ma al tempo stesso venato di dolcezza, le aveva fatto correre i brividi. Cheryl sorrise ancora, trattenendo le lacrime di felicità che cercavano di affiorare ai suoi occhi, e si avvicinò a Marianne per posarle un bacio sulle labbra.
Sarebbe andato tutto bene. Sarebbero fuggite. La loro vita sarebbe cambiata per sempre, si diceva mentre lasciava scorrere le mani lungo il petto della ragazza.
Ma non sapeva che, terminato quel pomeriggio al parco, lei e Marianne non si sarebbero viste mai più.

Quando Cheryl udì il cigolio della porta di casa che si apriva, smise di muovere le mani sui tasti del pianoforte e la vivace melodia che stava suonando si interruppe di botto.
È Fabian. È tornato., pensò tra sé e sé, lanciando un'occhiata alla finestra del salotto: lì fuori il cielo si era fatto scuro. La riunione al circolo serale che suo marito frequentava doveva essersi conclusa da un po'.
Fabian non apprezzava particolarmente la passione di Cheryl per il pianoforte: quando si erano sposati, aveva accettato di averne uno in casa per assecondare quello che credeva essere un passatempo qualunque. Si era contrariato nel notare che sua moglie a volte sembrava dedicare molta più attenzione alla musica che a lui. Cheryl aveva compreso quel fastidio inespresso, e da allora evitava di suonare per più di una decina di minuti quando Fabian era in casa.
La donna si alzò dallo sgabello, mentre la porta del salotto si spalancava. Ed ecco Fabian che varcava la soglia per avviarsi direttamente verso di lei: riccioli neri intorno a un viso spigoloso, sopracciglia un po' folte, il corpo alto fasciato in un elegante completo rosso.
Solo quando fu abbastanza vicino, Cheryl poté notare l'espressione nei suoi occhi scuri, e si preoccupò: la guardava con una sorta di rabbia a stento trattenuta.
Ma è davvero arrabbiato? Per cosa? Non può avercela con me... forse ha discusso con qualcuno al circolo.
Fabian poteva benissimo essere arrabbiato per motivazioni che non la riguardavano affatto. Ma in quel caso c'era il rischio che decidesse di sfogarsi rispondendo alle sue domande con freddezza e scontrosità, o che addirittura la insultasse, se la situazione era proprio grave.
-Bentornato.- disse Cheryl, sforzandosi di sorridere. -Come è andata stasera?
Fece un passo per posargli sulle labbra il solito bacio di convenzione, ma Fabian reagì indietreggiando, e sul suo viso si dipinse un'inequivocabile smorfia di disgusto.
Dio. Cheryl sentì un nodo stringerle lo stomaco. Cosa diamine poteva essere successo?
Nonostante il loro matrimonio fosse assolutamente privo di amore, nonostante le occasioni in cui lui si arrabbiava, il loro poteva essere definito un rapporto di complessiva, fredda tranquillità.
Solo quella mattina, prima di uscire di casa, lui era sembrato di buonumore e quasi gentile. Ora non aveva motivo di evitarla guardandola in quel modo. A meno che...
No. Non può saperlo. Non può e basta.
-Per prima cosa, stammi lontana.- disse Fabian. Aveva parlato con quel tono duro e lento che le rivolgeva solo quando era davvero furioso.
-Fabian, cosa...
-Non parlare se non te lo dico. Adesso rimani ferma. Io ti farò delle domande e tu risponderai, è chiaro?
Cheryl annuì. L'espressione negli occhi di suo marito la terrorizzava letteralmente, la teneva inchiodata lì, sul posto.
Cosa può essere successo? E se avesse saputo... no, non è possibile, siamo state attente a nasconderlo, non...
Tutte le sue speranze vennero infrante nel momento in cui Fabian chiese: -Stai intrattenendo una relazione con Marianne Watmore?
Per un attimo le mancò il respiro. Le sembrò di sprofondare. E una paura totalizzante si impossessò di ogni suo senso, di ogni parte del suo corpo.
Non era possibile. Quella non poteva essere la realtà. Stava solo sognando, presto si sarebbe risvegliata nel suo letto e avrebbe sospirato, ridacchiando, dicendosi che era stato solo un incubo particolarmente realistico...
-Se non mi rispondi per la seconda volta ti picchio come non ho mai fatto. Hai una relazione con quella donna?
Cheryl sussultò e pronunciò le prime parole che le passavano per la testa.
-No, assolutamente no! È... è fuori dal mondo, Fabian. Come ti è venuto in mente? Cosa ti fa pensare una cosa del genere?
Stava per emettere un risolino scandalizzato, giusto per far risultare quella risposta affrettata più convincente, quando uno schiaffo le sferzò la guancia, facendole scattare la testa di lato.
Cheryl rimase immobile, con la testa girata e le braccia abbandonate lungo i fianchi, per un attimo talmente sorpresa da quel gesto da non provare nulla.
Fabian non l'aveva mai schiaffeggiata. Si era sempre limitato a stringerle il polso o il braccio, e le faceva male quel che bastava per convincerla a scusarsi per qualcosa che aveva detto o a seguire quegli ordini a cui aveva tentato debolmente di opporsi.
Cheryl aveva paura di lui, in quei momenti, e non gli aveva mai dato motivo per picchiarla. Il bruciore di quello schiaffo era qualcosa di nuovo e fastidioso. La fece sentire più debole e scoperta che mai.
-Mi hai mentito. Per due volte.- ringhiò Fabian. -Prima peccando di adulterio, e ora cercando di negare quel che hai fatto. Neanche si trattasse di un adulterio “normale”.
-No, te lo giuro.- disse Cheryl, e si odiò nel rendersi conto di quanto il suo tono suonasse implorante. -Marianne è solo una mia amica, dovresti saperlo! Non so come una cosa del genere ti è venuta in mente, ma ti giuro...
-Lo so per certo. Il mio amico, Richard Edmund, mi ha rivelato di avervi spesso viste baciarvi come una coppia normale quando credevate che non ci fosse nessuno, quando vi appartavate ai balli e alle feste. Abbiamo avuto conferma da due vostre amiche e da una cameriera di casa Watmore, che una settimana fa ha sentito dei rumori provenire da una stanza e quando ha sbirciato...
Odio e disgusto puro si accesero negli occhi di Fabian. Cheryl ora tremava violentemente davanti a lui, le lacrime che scendevano rigandole il viso sbiancato.
-Osi negarlo?- sibilò Fabian.
Avrebbe potuto negare, certo. Ma era una domanda retorica: lui non le avrebbe creduto, mai. Sarebbe stato inutile dire che Richard e quelle donne avevano mentito inventando quell'assurda storia, forse Fabian l'avrebbe anche picchiata per la sua audacia e mancanza di rispetto nei confronti del suo amico.
Lo sapeva. E, ora che lo sapeva, cosa le avrebbe fatto? Solo quel pomeriggio lei e Marianne avevano riso spensierate alla magnifica idea di scappare insieme, e ora...
Scosse piano la testa, lo sguardo puntato sul pavimento, sentendosi invadere da una cocente vergogna. In quel modo stava tradendo anche Marianne: ma conosceva Fabian, e sapeva che in quel caso una risposta valeva l'altra.
-Cosa? Scuoti la testa per dire cosa? Che non è vero o che non vuoi negarlo?
-È... è vero.- disse, spinta da un moto di paura. -Io...
Un pugno la raggiunse, colpendola in pieno viso. Cheryl barcollò, emettendo un breve grido di dolore e sorpresa, e si portò una mano sul naso schizzato di sangue.
Sangue. Mi esce sangue dal naso...
-Siete degli schifosi scherzi della natura.
La voce di Fabian era bassa, ringhiante, rabbiosa. La spaventava più del suo sguardo, più del dolore fisico.
-Due donne... non so cosa può averti traumatizzata tanto da portarti a fare qualcosa del genere. O forse è semplicemente qualcosa che non va in te. Sai di cosa hai bisogno, dopo che ti avrò sistemata per bene? Di un prete. Più di una confessione, forse di una messa apposita...
-No!- esclamò Cheryl, spalancando gli occhi in un'espressione di orrore.
-No? Hai anche il coraggio di contraddire quello che dico?
Fabian le si avvicinò per afferrarle i capelli e piegarle la testa all'indietro. Faceva male, soprattutto per la solidità della sua presa, ma Cheryl si sforzò di non emettere neanche un gemito di dolore. Non gli avrebbe dato quella soddisfazione.
-Forse questo potrebbe metterti un po' la testa a posto.- disse Fabian, e la colpì allo stomaco con un pugno che le mozzò quasi il respiro.
Cheryl boccheggiò, sentendo il suo corpo piegarsi sempre di più all'indietro. Fabian le lasciò i capelli e lei cadde a terra; l'urto del gomito contro il pavimento le mandò una scarica di dolore lungo il braccio.
-Rinnega quello che hai fatto, giura che ti confesserai e che cercherai di cancellare questa infamia, e ti lascerò andare. Forse ti permetterò persino di rimanere in questa casa, ma non rivedrai più quella dannata puttana, è chiaro?
Nonostante il dolore e la vergogna che le pulsavano dentro, quelle ultime parole risvegliarono qualcosa nel profondo di Cheryl, qualcosa che neanche la paura poteva farle dimenticare. Un coraggio sconosciuto le infiammò l'intero corpo, mentre si sollevava lentamente e piantava su Fabian uno sguardo duro e impenetrabile.
-No. Io non rinnegherò mai quello che ho fatto. Io amo Marianne, hai capito? La amo. Amo una donna e ne vado fiera. Scordati che andrò a confessarmi per questo, scordati che...
Venne interrotta da un calcio al petto che la mandò nuovamente lunga distesa sul pavimento.
-Bene. Se la metti così, non avrò più alcun riguardo per te.
Ogni traccia di coraggio svanì quando Fabian la sollevò tirandola per i capelli e riprese a colpirla. Quando Cheryl cadde sul pavimento, iniziò con i calci, e andò avanti per quelle che a lei sembrarono ore.
Ogni tentativo di muoversi era inutile, perché un nuovo colpo la mandava a terra: Cheryl non poteva fare niente, se non starsene con il viso premuto contro il pavimento, scossa dai singhiozzi, il dolore che le esplodeva sui fianchi e sulla schiena.
Finalmente finì. I colpi cessarono improvvisamente. Cheryl sentì i passi di Fabian che si muoveva nervosamente per la stanza, e poi la sua voce indifferente.
-Hai avuto quel che ti meriti, per ora. Dovrei farti arrestare, sai? Ma affronterò il problema in modo diverso. Contatterò i tuoi genitori, li informerò di quel che ho scoperto e decideremo insieme se mandarti in qualche manicomio che possa curare la tua devianza.
No.
-Non puoi farlo. Non puoi.- singhiozzò Cheryl, e si tirò lentamente su, accovacciandosi sul pavimento, rivolgendo a Fabian uno sguardo che esprimeva tutto il suo odio per lui.
-Non sarai certo tu a dirmi cosa fare. Decideremo tuo padre e io.
Cheryl tremava, non solo di dolore ma anche della rabbia più intensa che avesse mai provato.
Non era possibile, non poteva finire rinchiusa in un manicomio per il resto dei suoi giorni. Non poteva non rivedere più Marianne. Non poteva essere finito tutto così, non...
Un piccolo briciolo di speranza le riscaldò improvvisamente il cuore; forse c'era ancora qualcosa che poteva fare.
Quella notte, mentre Fabian dormiva, sarebbe uscita stando attenta a non farsi udire e avrebbe raggiunto la casa di Marianne. L'avrebbe svegliata, le avrebbe spiegato quel che era successo e sarebbero fuggite insieme, subito. Sole, insicure e spaventate, ma insieme.
Sì, avrebbe fatto così. Non c'era altra possibilità, quel piano non poteva fallire. Entro quella notte sarebbe stata finalmente lontana da Fabian...
-Alzati. Ti chiudo nello stanzino. Stanotte dormirai lì.
Cheryl sgranò gli occhi, paralizzata dall'orrore. Quando non si mosse, Fabian la tirò bruscamente in piedi per un braccio.
-Non posso dormire con te. E voglio evitare che ti vengano strane idee stanotte.- disse, e iniziò a trascinarla verso la porta che dava sul corridoio.
L'avrebbe chiusa a chiave nel minuscolo stanzino privo di finestre dove tenevano scope, scatoloni e vecchi oggetti inutilizzati. Sarebbe rimasta lì per tutta la notte, senza alcuna possibilità di fuga. E l'avrebbero tirata fuori solo per condurla in una casa di cura o sbatterla in prigione per adulterio e sodomia.
Per alcuni istanti Cheryl si sentì troppo attonita per riuscire a realizzare quell'idea. Ma infine un misto di rabbia e paura si impossessò totalmente di lei, di tutti i suoi sensi, di ogni brandello di razionalità.
-No! Lasciami, lasciami andare!- urlò con quanto fiato aveva in gola, dimenandosi nel tentativo di svincolarsi dalla sua presa, i capelli che le scivolavano davanti al viso e gli occhi accesi di quella che sembrava follia.
-Taci.
Fabian la tenne immobile, stringendole la vita con un solo braccio, mentre con l'altro spalancava la porta dello stanzino per poi spingerla oltre la soglia, facendola barcollare.
Cheryl si girò di scatto, ma Fabian aveva già richiuso la porta. Si udì lo scatto della chiave che girava, poi i suoi passi che si allontanavano lungo il corridoio, infine silenzio.
Se il suo cuore avesse potuto realmente andare in mille pezzi, l'avrebbe fatto in quel momento. Cheryl si lasciò cadere a terra, avvolgendo le braccia intorno alle gambe, lo sguardo atono fisso sulle ombre confuse che la circondavano. Sapeva che urlare ancora o prendere a pugni la porta sarebbe stato inutile, quindi perché farlo?
Il cuore le martellava nel petto, il suo intero corpo tremava, le lacrime lottavano per scivolarle dagli occhi. Dovette usare tutta la sua forza di volontà per evitare di abbandonarsi a un pianto di rabbia, disperazione e paura; sapeva che non avrebbe mai più rivisto Marianne.

Long hours of loneliness
between me and the sea.
Losing emotion
finding devotion.
Should I dress in white and search the sea
as I always wished to be
- one thing with the wawes
Ocean soul.

La prima volta che aveva varcato la soglia di quel manicomio, Cheryl era stata colta dal suo primo attacco isterico. Ricordava vagamente di aver iniziato a urlare più forte che poteva, dimenandosi per sottrarsi alla presa degli inservienti, e di essere stata trascinata e rinchiusa in una stanza buia.
Era successo quasi ogni volta che veniva condotta ad una seduta con quei dottori che cercavano di parlarle, le facevano domande sulla sua infanzia, sui rapporti tra lei e suo padre, su possibili ricordi di traumi che l'avessero portata a rifiutare la figura maschile per intrecciare una relazione con una donna.
Quando non rimaneva immobile come una statua, con lo sguardo perso nel vuoto, come se non avesse sentito nulla, Cheryl si abbandonava ad attacchi di isterismo: si alzava di scatto dalla sedia, urlava che lei non aveva nulla che non andava, rovesciava gli oggetti sulla scrivania, scalciava e si divincolava con le lacrime agli occhi quando veniva presa per le braccia per essere trascinata nuovamente nella sua camera.
-Io non sono malata! Non ho bisogno di cure, non avete motivo di tenermi qui! Siete dei ciechi, come fate a non capirlo? Io ero innamorata di quella donna esattamente come avrei potuto esserla di un uomo, è stato naturale, è stato...
Urlava e urlava, fino a sputare in faccia agli inservienti che la trascinavano tenendola per le braccia.
Non era stata una devianza, la sua relazione con Marianne. Era stato amore, di questo non avrebbe mai dubitato. Non s'erano amate perché avevano subito traumi nella loro infanzia, per una qualche malattia o problema psicologico, ma perché insieme erano due persone, non due donne, ma due persone l'una giusta per l'altra.
Ma i mostri intorno a lei sembravano incapaci di comprenderlo.
Ogni notte, durante i suoi primi anni nel manicomio, Cheryl piangeva e si chiedeva cosa fosse successo a Marianne.
Era diventata oggetto di scandalo? Sicuramente. La sua famiglia l'aveva costretta a confessarsi? Era stata arrestata per reato di sodomia con una donna sposata, o forse era riuscita a fuggire?
Lei poteva anche rimanere lì ad appassire in un stanza. Ma almeno Marianne
doveva stare bene.
Il manicomio era un incubo. Aveva prosciugato tutte le sue energie, ogni traccia di giovinezza sul suo viso. Cheryl non viveva davvero, perché non era vita quella sfilza di giornate spente e ingrigite ognuna identica all'altra: non aveva davvero bisogno dell'acqua che mandava giù, non sentiva il sapore del cibo che ingeriva.
Il pensiero di Marianne era il suo sole, la sua aria, il suo nutrimento, capace di risollevarla dallo stato mentale in cui era lentamente scivolata in tutti quegli anni.
Forse è riuscita a scappare., pensava a volte, con un sorriso amaro ma speranzoso. Se n'è andata da Burford, si è fatta in qualche modo una vita. E forse ha trovato qualcuno da amare. Un'altra donna che le ricorderà me.
Per anni e anni, lì fuori dalla sua finestra il sole aveva brillato, il vento aveva fatto sbattere le imposte, la pioggia era venuta giù in grandi masse d'acqua fragorose, il mare s'era agitato per tornare infine a distendersi placido sotto il cielo azzurro.
Altra gente viveva, rideva e amava come un tempo aveva fatto anche lei, mentre i suoi capelli si ingrigivano e poi diventavano bianchi, le rughe le affioravano sul volto, il suo corpo si indeboliva.
Che senso aveva un'esistenza del genere? Non era neanche un'esistenza.
Per questo ora Cheryl si stava lentamente arrampicando sul davanzale di quella finestra, la lunga vestaglia bianca che le si gonfiava intorno.
La sua mente elaborava freneticamente gli ultimi ricordi: la prima volta che aveva suonato un pianoforte, i fiori dai colori sgargianti che teneva allineati sul balcone dell'appartamento condiviso con Fabian, i pomeriggi passati con Marianne davanti a una tazza di tè a discutere di tutto ciò che veniva loro in mente, e poi Marianne che rideva, Marianne che la ascoltava incantata quando suonava un pezzo di Mozart, Marianne con le dita macchiate di colori che sbuffava sopra un dipinto ancora a metà, Marianne che la baciava e le faceva scorrere una mano lungo la schiena...
Saltò. Non pensò a nulla, mentre il vento le fischiava nelle orecchie e il respiro le moriva in gola. Non pensò a nulla, mentre precipitava con un tonfo nell'acqua gelida che paralizzò tutti i suoi sensi. Non pensò a nulla, mentre quel poco che rimaneva della sua percezione le diceva che il suo corpo stava galleggiando lentamente e i suoi occhi brucianti si chiudevano per sempre.
Appena prima di perdere conoscenza, Cheryl ebbe solo il tempo di realizzare che, nonostante tutto, alla fine la sua anima si era davvero ricongiunta all'oceano come aveva sempre desiderato.

Walking the tideline
I hear your name
Is angels wispering
Something so beautiful it hurts.

17 ottobre 1891.

Marianne aprì di scatto gli occhi, sussultando.
Fece scorrere lo sguardo sul cielo scuro che la sovrastava e sullo specchio del mare davanti a lei, cercando di capire cosa fosse quella sensazione di vuoto che, per un paio di istanti, l'aveva colta strappandole il respiro.
Ma adesso era passato. Forse si era trattato semplicemente di un colpo della vecchiaia, come quegli occasionali dolori alle gambe la costringevano a fermarsi quando camminava.
Fa freddo., pensò, affondando le mani nella sabbia fine che la circondava. Dovrei rientrare subito.
Ma c'era stato qualcosa che l'aveva spinta ad uscire dalla piccola casa sulla spiaggia dove viveva da circa vent'anni per passeggiare sul lungomare. Non sapeva cosa: forse la bellezza della fulgida luna, l'aria malinconica e fascinosa di quella notte d'autunno, o semplicemente la voglia di chiudersi con i suoi pensieri nel luogo che più amava al mondo.
Cheryl.
Un'ombra di tristezza le oscurò lo sguardo quando quel nome le balzò in testa senza una ragione apparente.
Erano passati quarantaquattro anni da quando lei e Cheryl erano state separate, ma Marianne non l'aveva mai davvero dimenticata. Certo, dopo tutto quel tempo il dolore per averla persa si era attenuato fino a trasformarsi in uno sfumato ricordo; ma c'erano ancora momenti in cui quel ricordo la invadeva e sembrava bruciarle il cuore in una fiamma di tristezza e disperazione, sensazioni che lei avvertiva più presenti che mai.
Marianne non aveva amato nessuno come aveva amato Cheryl. Neanche Nancy, la graziosa ragazza che aveva conosciuto cinque anni dopo essere fuggita di casa evitando un arresto per sodomia con una donna sposata.
È inutile rimanere qui a pensarci. Devo rientrare e basta.
Marianne si alzò con un'agilità abbastanza insolita per una donna della sua età e camminò a passo spedito lungo la spiaggia, avvolgendosi nella veste di lana che si era gettata addosso prima di uscire.
Eccola là, la piccola casa di legno dove viveva sola da molti anni, dopo che Nancy era morta a causa di una malattia che l'aveva consumata lentamente.
Si fermò davanti alla porta socchiusa e si girò per dare un ultimo sguardo al mare. Non si sarebbe mai stancata di stupirsi della sua bellezza, come se ogni volta che lo vedeva fosse la prima.
In quel momento, somigliava al mare di quel disegno che Cheryl aveva visto tanti anni fa, la prima volta che era entrata in camera sua.
Cheryl...
Marianne scosse la testa per liberarsi di quei ricordi e si voltò per varcare la soglia di casa. Alle sue spalle, si distendeva lo stesso mare che, a molte miglia di distanza, era appena diventato una cosa sola con l'anima di Cheryl Browning.

*

Note.

Questa è probabilmente una delle cose più importanti che io abbia mai scritto, mi ci sono impegnata un sacco e ne sono davvero soddisfatta. Si è classificata prima al secondo girone del contest "Pop vs Metal", naturalmente io sono nella squadra Metal e la canzone che ho scelto è Ocean Soul dei Nightwish.
Vi lascio alla valutazione della giudicia. A presto.;)

Grammatica e lessico: 9.5/10.
Stile: 10/10.
Originalità: 14/15.
Caratterizzazione dei personaggi: 15/15.
Uso della canzone: 10/10.
Gradimento personale: 5/5.
Punteggio totale: 63.5/65.
Giudizio:
Pazzesco, non riesco a credere che per la seconda volta consecutiva tu sia riuscita a farmi piace un sacco una storia prettamente romantica. Non è affatto un traguardo da poco, affatto!
Bel lavoro il tuo, proprio un bel lavoro. Giusto perché nelle tue note avevi espresso qualche perplessità a riguardo, mi permetto di dirti che il rating arancione è sicuramente il più appropriato per la tua storia, sia per la Lemon accennata sia per le tematiche che affronti in maniera piuttosto esplicita. Detto questo, passo al giudizio vero e proprio. Ho tolto un mezzo punto alla grammatica per via di alcune imperfezioni nella “grafica” dei dialoghi: innanzitutto sarebbe corretto usare il trattino medio o lungo per indicarli, non quello corto che utilizzi tu; in secondo luogo è bene lasciare uno spazio tra la prima parola e il trattino che la precede, così come dopo l’ultima e il trattino che la segue. In questo modo la storia risulta anche molto più piacevole alla vista ;) infine, se il dialogo è retto esternamente (“– Ciao – disse Caio”, tanto per intenderci) non è necessario mettere il punto fermo alla fine della frase. A questo punto mi pare anche doveroso specificare che non ti ho segnalato tutto questo nel giudizio del primo girone perché “all’epoca” erano imperfezioni che lasciavo correre, almeno credo, non ricordo bene. Ho poi però partecipato ad un certo contest in cui a tali aspetti grafici si dava una importanza non indifferente e ho imparato la lezione, spero che tu non te la prenda. Abbiamo sempre tutti bisogno di crescere, io non sono affatto perfetta ^^’
Chiusa questa parentesi, ho trovato nel tuo racconto anche qualche errore di battitura per cui però non ti ho affatto penalizzata. La storia era lunga e sei già stata molto in gamba a lasciartene sfuggire così pochi, davvero! Dunque hanno pesato poco sul punteggio. Passo ad elencarteli.
- “e i suoi occhi scorrevano sullo spettacolo dell'acqua che brillava sotto la luce del solo o della luna.” – “del sole e della luna”, naturalmente ^^
- “C'era uno grosso specchio sulla parete all'altro capo della stanza, che permetteva ad entrambe di specchiarsi tranquillamente fino alla vita.” – Probabilmente avevi scritto “uno specchio” e aggiungendo l’aggettivo “grosso” ti sei dimenticata di cambiare l’articolo, che avrebbero dovuto essere “un”.
- “-Sì, ma come? In che modo possiamo allontanarci dalla città?- la interruppe Cheryl. -E come sopravviveremo?” – La forma corretta dell’ultimo verbo è “sopravvivremo”.
Ecco, non ho nient’altro da aggiungere a riguardo ^^’ commento quindi lo stile: beh, fantastico, scorreva che era una meraviglia. La storia era bella corposa, ma ci ho messo relativamente molto poco a leggerla: la forma era corretta, i periodi ben strutturati, la punteggiatura usata nella giusta maniera. Non ho trovato nessun passaggio pesante, sebbene tu non abbia risparmiato né descrizioni, né momenti di riflessione e introspezione: un esempio di ottima scrittura. Non ho altro da aggiungere, non mi sembra di dovermi giustificare oltre per quel punteggio pieno.
Sinceramente in te trovo qualcosa di inquietante, perché mi trovo di nuovo costretta a dirti: mi sono immedesimata da morire nelle tue protagoniste. Cos’è, mi studi? Entri nel mio cervello senza il mio consenso? Scherzi a parte, leggere di personaggi ben caratterizzati e sempre coerenti con se stessi è ogni volta un gran piacere, anche se qui c’è pure l’aggiunta della completa identificazione con loro. Francamente se mi innamorassi vorrei un amore del genere e mi trovo a condividere tanti ideali di Cheryl e Marianne, attualissimi anche se calati in un contesto ottocentesco. Perché no, i pregiudizi verso l’omosessualità e le donne non sono ancora estinti e la cosa mi disgusta. Ma non entro in merito, perché credo divagherei da quello che è il mio compito di giudicare la tua storia ^^ tornando sui giusti binari, sottolineo che ho apprezzato molto come sono stati resi i caratteri dei personaggi secondari, come Fabian o le “amiche” di Marianne e Cheryl. Li hai saputi tratteggiare in poche righe facendoli apparire verosimili e ben chiari: credo che questa sia un’ottima dote in uno scrittore. E poi, beh, ci sono le due protagoniste, sognatrici, innamorate, piene di interessi e di passione per l’arte: due figure che credo sia impossibile non ammirare, anche con le loro debolezze e momenti di incertezza. Splendido poi il mare che fa da sfondo a tutta la vicenda, specie perché francamente tutti i vari film e libri pirateschi che ho visto/letto durante la mia infanzia hanno lasciato in me un amore incomprensibile e assoluto verso quella distesa d’acqua senza confini che è l’oceano. Ho adorato il tuo modo poetico di descriverlo, il modo in cui anche Marianne e Cheryl lo desiderino e lo ritengano un simbolo di libertà, fino ad arrivare al finale: le onde sono una tomba più che degna per un’anima che ha vissuto una vita come quella di Cheryl. Complimenti per aver azzeccato la canzone perfetta per conquistarmi XD penso non ci sia bisogno che io mi dilunghi sul bellissimo uso che ne hai fatto, usandone le scene più evocative per costruirci sopra non solo passaggi della tua storia, ma anche parte della personalità dei tuoi personaggi e la conclusione della vicenda. Nei passaggi in manicomio sentivo l’atmosfera della canzone aleggiare, una sensazione bellissima.
Unico neo: l’omosessualità in epoca vittoriana e simili è un tema molto gettonato; avendo letto parecchio sull’argomento (ah, lo slash su Sherlock Holmes!) mi aspettavo qualcosa di più dalla trattazione della tematica, ma non me la sono sentita di penalizzarti troppo, anche perché ho trovato interessante l’idea del manicomio al posto dei consueti lavori forzati, del carcere o della morte prematura di una delle due amanti. Ho apprezzato anche molto il fatto che, per una volta, si siano visti due personaggi davvero intenzionati a scappare, ad andar via: di solito l’idea viene accantonata alla luce dei problemi razionali e oggettivi che potrebbero sorgere durante una fuga, qui invece finalmente abbiamo qualcuno disposto a correre il rischio. Poi tutto va come va, ma il proposito serio c’era e mi è piaciuto un sacco questo elemento.
Credo che le fan del fem-slash (tra cui non mi annovero, pur riuscendo tranquillamente ad apprezzare una bella storia per quello che è anche se tratta del genere, come puoi vedere) saranno molto contente di incappare in una storia simile, quando l’avrai pubblicata. Complimenti, è davvero bella e direi che ho già giustificato ampiamente il motivo per cui la penso così. ^^ Mi inchino.

Punteggio ottenuto: 4 punti.
   
 
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