Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Shizue Asahi    17/06/2013    3 recensioni
Storia nata per l'iniziativa indetta dal forum Pseudopolis Yard per festeggiare la sua inaugurazione.
"Jean si strofinò il dorso della mano destra sul naso, digrignando i denti. Il caldo era opprimente e le zanzare non davano loro tregua; l’attrezzatura per gli spostamenti tridimensionali di Marco si era danneggiata, costringendolo a procedere a piedi e Jean non se l’era sentita di lasciarlo solo."
{Marco/Jean}
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jean Kirshtein, Marco Bodt
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Come un orsetto lavatore

 

Anno 848, Wall Rose, settore Nord

 
Jean si strofinò il dorso della mano destra sul naso, digrignando i denti. Il caldo era opprimente e le zanzare non davano loro tregua; l’attrezzatura per gli spostamenti tridimensionali di Marco si era danneggiata, costringendolo a procedere a piedi e Jean non se l’era sentita di lasciarlo solo.
La custodia delle lame tintinnava a ogni passo, mentre avanzavano tra la vegetazione e l’ennesimo moscerino molesto tentava di trovare riparo in una delle orecchie di Jean.
-L’istruttore si arrabbierà.- osservò Marco, con una vena di apprensione nella voce.
-Non è detto che arriviamo per ultimi. Scommetto che Armin è rimasto indietro.- rispose Jean, scacciando il moscerino e scavalcando un grosso cespuglio. 
-Mi dispiace.- mormorò Marco, immaginando lo sforzo che dovesse costare al compagno non risultare come il migliore nella prova. Per riuscire a entrare nella Gendarmeria bisognava essere tra i migliori dieci cadetti del corso a diplomarsi e non c’era niente che Jean desiderasse di più.
Erano sporchi e stanchi, reduci da una prova di sopravvivenza di sei giorni. Per portare a termine l’esercitazione dovevano solo raggiungere il campo base, dove li aspettava una doccia fredda, un consistente pasto e, soprattutto, un letto. E non vedevano l’ora.
Avevano gli abiti sbrindellati e gli stivali ricoperti da uno strato vischioso di fango. Tra i capelli di Marco si annidava ancora qualche foglia e qualche rametto secco, che Jean non era riuscito a togliere, dopo che la sua attrezzatura per gli spostamenti tridimensionali aveva cominciato a fare le bizze e Marco era caduto in un cespuglio.
Tra i rami filtrava il sole, si infilava tra le foglie e picchiava sulle loro teste. Una stilla di sudore percorse la guancia di Marco, scendendo nell’incavo del collo, tracciando una  linea rosea e umida tra la polvere e la terra che gli ricopriva la pelle. Jean la osservò per qualche secondo, finché non la vide sparire tra le pieghe della divisa di Marco, poi deglutì, sentendo la gola improvvisamente secca, e distolse lo sguardo.
Percorsero ancora una decina di metri, poi giunsero nei pressi di una pozza d’acqua e Jean si dette per vinto. Le gambe gli dolevano e la camicia della divisa era talmente pregna di sudore che gli si era attaccata addosso. Per di più, entrambi puzzavano, ne era certo, anche se ormai non riusciva più a distinguere l’odore del proprio sudore da quello dell’altro.
-Fermiamoci un attimo.- disse Marco, intuendo le intenzioni del compagno. Lasciò cadere la sacca che portava sulle spalle e si liberò delle custodie delle lame. Con cura minuziosa slacciò le cinghie dell’attrezzatura per gli spostamenti tridimensionali e si privò degli stivali. Jean lo guardava di sottecchi, mentre Marco si premurava di mettere in ordine l’attrezzatura da campo e si assicurava che gli stivale stessero perfettamente l’uno di fianco all’altro.
-Perfettino.- lo apostrofò Jean, ghignando.
Marco gli rivolse un’occhiata pacata e lo ignorò. Era un nomignolo che Jean usava spesso e col tempo Marco aveva iniziato a trovarlo quasi affettuoso, in un certo senso. Di solito lo chiamava così quando voleva attirare la sua attenzione o lo voleva distrarre a tavola, per rubargli l’ultimo panino dolce o l’ultimo sorso di sakè dal bicchiere. Alle volte, semplicemente, si divertiva a vederlo imbarazzarsi e accigliarsi.
Un grosso fagiano lanciò un grido stridulo, che li fece sobbalzare entrambi e, di riflesso, Marco si precipitò sulle lame, cercandone l’elsa. Sapevano che era una paura stupida e incondizionata, un’assurdità, ma, per un secondo, avevano pensato che si trattasse di un titano. Nessuno dei due ne aveva mai visto uno e, per quanto ne potevano sapere, un gigante poteva emettere lo stesso verso di un qualsiasi fagiano.
-Bestiaccia schifosa!- imprecò Jean, lanciando un sasso nel punto in cui l’uccello si era dileguato.
-Lascialo stare.- lo rimproverò Marco, con un mezzo sorriso, riponendo la lama nella custodia. -Probabilmente si è spaventato molto più di noi.-
Per tutta risposta, Jean lanciò un sassolino sulla pancia del compagno  –Smettila di essere così buono.- poi si grattò la nuca e si massaggiò la pancia. –Sicuramente sarebbe delizioso, arrostito.-
Marco sospirò e immerse i piedi nell’acqua, si lavò il viso e si passò le mani bagnate tra i capelli, che gli si rizzarono sulla testa. Jean lo imitò, si accucciò vicino a lui e si bagnò la faccia, strofinò le guance e cercò di portar via quanta più terra possibile, poi si arruffò i capelli, cercando di pulirli il più.
Marco non ci fece subito caso, impegnato com’era a osservare un grosso pesce che nuotava placidamente sotto il pelo dell’acqua, ma poi, tutto d’un tratto, spalancò la bocca e trattenne il respiro, colto da un momentaneo lampo di genio. Jean, intanto, era impegnato a slacciarsi gli stivali e, quando Marco iniziò a ridere, gli lanciò un’occhiata tra il sorpreso e l’irritato.
-Che diavolo hai?- gli chiese, smettendo di lavarsi. Aveva il viso bagnato e gocciolante, le sopracciglia aggrottate e una macchia scura sugli occhi, che si estendeva da un estremo del viso all’altro, in orizzontale.  
Marco si piegò in due, pensando che, in realtà, non fosse una cosa così divertente e che la mancanza di sonno e la stanchezza gli stessero facendo un qualche strano scherzo. Jean lo scosse, afferrandogli una spalla, pretendendo una risposta e l’altro agitò la testa, facendo intendere che non poteva parlare.
Jean si stizzò. –Smettila.- gli intimò, mettendosi in ginocchio. Marco riuscì a riprendere fiato, aprì la bocca per dire qualcosa, ma il viso di Jean era ancora lì, e per poco non scoppiò a ridergli in faccia.
Il fagiano gridò ancora, quando Jean fece rovinare per terra Marco, immobilizzandolo sotto di sé.
-Ti è partito il cervello, Bodt?- gli chiese, improvvisamente colto, anche lui, da una certa ilarità. La risata di Marco era qualcosa di contagioso, piacevole e lo faceva sentire leggero. La tensione per lo spavento e il fagiano, per il caldo e i moscerini e la prospettiva di risultare ultimo all’esercitazione, improvvisamente, sparirono.
Dimenticò per un secondo di essere un cadetto, un soldato, e di essersi, probabilmente, perso in uno stupido bosco, quando Marco allungò una mano verso il suo viso e gli strofinò la pelle intorno agli occhi, sopra le guance e la radice del naso. Jean lo lasciò fare, mentre l’altro smetteva di ridere.
-Così va meglio.- disse Marco, alla fine, ritirando la mano.
Jean, interdetto, osservò sconcertato il compagno, poi si ritrasse. Si rimise in piedi, colto da un’improvvisa smania di riprendere il cammino, di raggiungere il campo base e di infilarsi in bocca un panino dolce.
-Andiamo?- chiese, mentre Marco era ancora in terra. Gli allungò una mano e lo aiutò a tirarsi su.
Avvertiva il viso caldo, come se fosse arrossito, e gli sembrò che anche l’altro fosse un po’ accaldato. Il caldo si stava prendendo gioco di loro, sì.
Perse completamente interesse per il bizzarro comportamento di Marco e non gli chiese più niente, fingendo che fosse semplicemente impazzito e, d’altro canto, lui si guardò bene dal dirgli perché si fosse messo a ridere.
Mentre lo seguiva, Marco sorrise un’ultima volta.
Un orsetto lavatore. Jean assomigliava a un orsetto lavatore, mentre si puliva, con il viso sporco e le mani occupate a strofinarsi la faccia.
Marco si sentì improvvisamente stupido e ignorò l’occhiataccia lanciatagli dall’altro. I segni della “mascherina”, della macchia di terra e polvere che aveva cercato di pulir via, erano ancora visibili sul viso di Jean e fu costretto a evitare di guardarlo in faccia per tutto il resto del tragitto.
 
 
 

A Marco piacevano gli orsetti lavatori, da bambino tentava sempre di dar da mangiare a quello che aveva la tana vicino al fienile della sua famiglia e, stranamente, era felice che Jean assomigliasse a quel grasso mammifero.

 

 

***

 

Credo sia doveroso darvi qualche piccola delucidazione. Questa storia è nata dall’iniziativa indetta dal forum Pseudopolis Yard per la sua inaugurazione.
Il prompt utilizzato è “procione”. In pratica Jean ha una macchia sul viso che ricorda molto la mascherina che caratterizza i procioni e, inoltre, il modo in cui si lava induce Marco ad associarlo al grasso mammifero.
Lo so che può sembrare un’idea sciocca o un po’ campata per aria, ma la storia mi è venuta così e ci ho messo due giorni per scriverla. Non posso dire di essere pienamente soddisfatta da quello che ne è venuto fuori, anche perché il finale non mi convince molto, però, per la prima volta dopo tantissimo tempo, mi sono divertita molto a scrivere e per questo ringrazio di cuore le organizzatrici della maratona <3
 
Tra l’altro sono finalmente riuscita a postare in questa sezione e a scrivere su un pairing che amo e che nessuno si fila *maledetti*
Ho ricontrollato più e più volte la storia e non mi sembra che ci siano errori. Sarei immensamente grata a chiunque mi facesse notare eventuali sviste o errori. Inoltre qualsiasi commento è gradito e apprezzato, soprattutto alla luce del fatto che, non avendo mai scritto in questo fandom, ho un sacco di dubbi.
 
Nel caso in cui qualcuno volesse consultare anche le altre storie scritte per la maratona, lascio qui il link.
 
  [URL=http://pseudopolisyard.blogfree.net/?t=4585630#lastpost][/URL]
 
 
 

   
 
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