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Autore: ErinThe    17/06/2013    5 recensioni
II classificata al contest "A sentence di dream" di Mary.
Fissava immobile il quadrilatero nero stagliato davanti a sé, lo sguardo vuoto e lontano, un lieve pallore sulle guance ed un leggero affannamento nel suo respiro. [...]
– P-Pronto, casa Brief – balbettarono le sue labbra. All’altro lato rispose una voce femminile, austera a professionale.
– Il signor Brief? Qui è il reparto maternità del policlinico della Città dell’Ovest, volevo informarla che sua moglie... – La voce della donna fu interrotta da un lieve tonfo.
[...]
– Certo – sorrise ora la donna, dopo aver consultato il monitor davanti a sé, – terzo piano, stanza 313. [...]
La finestra era aperta e lasciava entrare caldi raggi di sole ed una lieve brezza di fine primavera andava a scuotere le sottili tende tirate ai lati di essa.
Alle orecchie dello scienziato giunse un melodico cinguettio, e subito scostò lo sguardo dal quadrato che dava sul giardino alberato, andando a posarlo su un letto dalle lenzuola immacolate.
[...]
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Dr. Brief, Mrs. Brief
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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✷ Sproloquiando indegnamente ✷

Hola à toujours! (?). Bene, eccomi, per vostra sfortuna, tornata con un nuovo tagliato, sminuzzato, bollito e servito (eh?) della mia mente.
Discorsi a parte, quanto diamine di caldo è? E siccome io sono l'idiota di turno, con la scusa che non ho una mazza da fare tutto il giorno me ne sto a correre dietro al cuginetto in giardino. Però è divertente, anche se ora sto più o meno allagando il pc (avete presente Fabio de Luigi in Natale in Crociera? Ecco.) E non vedo l'ora che arrivi domenica, così da finire queste benedetta gare della stagione e scappare al mare. 
Okok, scusate. dicevo, ecco un'altra delle mie robe.Ce l'avevo in mente da non so quanti secoli, e finalmente è uscita fuori da uo dei numerosi bachi della mia testolina. Trovo che quello che ho tentato di raccontare sia un momento importantissimo, ma che nessuno ha mai ritratto, quindi ci ho provato con i risultati (scarsi) che vedete. Ed è anche più lunga del solito, il che è stata una faticaccia ma che mi rende incredibilmente fiera di me stessa (?). Ha partecipato ad un contest (arrivando tra l'altro seconda, pensate voi) giudicato da Mary DB, utilizzando come prompt la frase che vedete qui sotto, messa in bocca allo scienziato in modo forse piuttosto improbabile (sono aperta agli insulti).
Quindi, meglio che la smetta e che vi lasci alla lettura. Spero possa piacere un pochino, e grazie in anticipoa chiunque legga o commenti.
Hope you enjoy ^^





Io avevo sempre pensato di dovermi circondare di persone in grado di proteggermi, ma in quel momento, al contrario, pensai di voler essere io a proteggere qualcuno. Crescendo capii che questo sentimento si chiamava amore.
(Sogno d'Amore di Fabrizio de Angelis – 1994)














 
Fissava immobile il quadrilatero nero stagliato davanti a sé, lo sguardo vuoto e lontano, un lieve pallore sulle guance ed un leggero affannamento nel suo respiro.
Lo scienziato scosse poi la testa, nello stesso modo usato per scacciare un incubo la mattina dopo un’agitata nottata, e passando una mano tra i folti capelli lilla parve rinvenire dai suoi apparentemente cupi pensieri.
Con uno sbuffo afferrò il vicino pacchetto di sigarette, ne estrasse una e se la portò alla bocca, increspando le labbra nell’atto dell’accenderla e stringerla con forza, quasi temendo che potesse scivolargli e finire sulla superficie della scrivania.
Mosse lievemente il mouse con due dita, e sullo schermo riapparve finalmente il lavoro interrotto poco prima dalla sua eccessiva apprensione ed eccitazione. Si reimmerse poi finalmente nelle sue faccende, avvicinando il naso al video ed iniziando a picchiettare freneticamente le dita sulla tastiera, mentre il monitor si smosse dal precedente intorpidimento esplodendo in un tripudio di colori sgargianti.
Di lì a poco avrebbe finalmente completato quell’algoritmo cui aveva dedicato diverse giornate, con lo scopo di andare a migliorare le prestazioni di un recente elettrodomestico di sua produzione.
Ad un tratto giunse alle sue orecchie uno stridulo squillo proveniente dall’esterno della porta del laboratorio. Lo scienziato balzò improvvisamente sulla sedia, per effetto di quella tensione assopita in tutto il suo corpo, e scattò in piedi, non accorgendosi nemmeno di aver lasciato cadere la sigaretta accesa dalle labbra, la cui cenere ora ricopriva il ripiano della scrivania.
Si precipitò in corridoio, sbattendo contro il muro e raggiungendo l’apparecchio telefonico appeso alla parete, strappò la cornetta e la portò all’orecchio.
– P-Pronto, casa Brief  – balbettarono le sue labbra. All’altro lato rispose una voce femminile, austera a professionale.
– Il signor Brief? Qui è il reparto maternità del policlinico della Città dell’Ovest, volevo informarla che sua moglie... – La voce della donna fu interrotta da un lieve tonfo.
La cornetta del telefono penzolava ora a mezz’aria attaccata al filo, lasciando la voce dall’altro lato a richiamare a vuoto il suo interlocutore.
 
Correva a perdifiato per il lungo corridoio che portava al soggiorno della Capsule Corporation, strappandosi di dosso il camice bianco e arrotolandosi le maniche della camicia violetta, ormai fradicia di sudore. Raggiunse finalmente la porta d’ingresso dell’abitazione e si precipitò all’esterno, ancora con le scarpe da lavoro ai piedi. Balzò sul sedile del conducente della prima vettura già decapsulata che vide sul vialetto, mise in moto e partì sgommando.
 
 
 
 
 
– B-Brief…
L’impiegata della reception dell’ospedale alzò un sopracciglio, osservando con una punta di curiosità e perplessità quell’uomo, paonazzo e madido di sudore, che pronunciava flebilmente il suo nome aggrappato al bancone, annaspando e tentando di riprendere fiato.
– Sì, lei è il signor Brief?
L’uomo alzò lo sguardo da sotto la frangetta afflosciatasi davanti agli occhi e annuì, raddrizzando poi il busto e passandosi una mano sul viso.
– Sono io. Sono qui per mia moglie.
– Certo – sorrise ora la donna, dopo aver consultato il monitor davanti a sé, – terzo piano, stanza 313.
– La ringrazio.
Staccò le mani dal legno del ripiano, dirigendosi verso la direzione indicata.
– Ah – la receptionist gli strizzò l’occhio – e congratulazioni!
 
 
Inspirò quanto più poté, percependo l’aria entrare nei polmoni e beandosi per un attimo dell’effetto dell’ossigeno che andava ad invadere tutto il suo corpo e la sua mente; dopodiché, allo stesso modo e con la stessa lentezza, cominciò a svuotare la cassa toracica, espirando quell’aria precedentemente introdotta con la speranza di rallentare il martellare incessante dei suoi battiti che pulsavano nelle orecchie, le goccioline di sudore che correvano lungo il collo e le spalle impercettibilmente scosse da tremolii.
Sollevò lentamente un braccio, ed andò a posare una mano tremante sulla maniglia laccata, alzando lo sguardo sulla targhetta della porta candida che portava il numero 313.
L’abbassò però di nuovo, andando a strofinare i palmi umidi sui logori jeans, ancora unti di macchie di grasso. Con un sorrisetto pensò che magari si sarebbe beccato qualche rimprovero dalla moglie se l’avesse visto girare con l’abbigliamento da lavoro, vecchio e consumato. Poi scosse la testa, soffiò forte e riportò la mano alla maniglia, abbassandola con decisione.
 
 
– Oh caro, sei arrivato!
La finestra era aperta e lasciava entrare caldi raggi di sole ed una lieve brezza di fine primavera andava a scuotere le sottili tende tirate ai lati di essa.
Alle orecchie dello scienziato giunse un melodico cinguettio,  e subito scostò lo sguardo dal quadrato che dava sul giardino alberato, andando a posarlo su un letto dalle lenzuola immacolate.
Volse poi gli occhi più in alto, fino a che non arrivò ad incrociare due azzurri e grandi occhi spalancati, incurvati come di consueto nel loro moto ridente.
– Su, caro, vuoi restare sulla porta? – continuò a pigolare con voce soave la giovane donna.
Lo scienziato parve riscuotersi nuovamente da quegli occhi chiari e luminosi, e aprendo le labbra in un ampio sorriso raggiunse il letto in pochi passi.
Scostò poi automaticamente lo sguardo dal viso radioso della moglie al suo grembo: raggomitolato tra le pieghe della camicia da notte candida c’era una copertina rosa confetto.
– Ti aspettavo, lo sai? – continuò lei, osservando il viso sudato e come pietrificato del marito – Ti devo presentare qualcuno… –
Sollevò le braccia e andò a circondare con esse il fagottino al suo grembo, per alzarlo e far fare capolino ad una testolina di un azzurro intenso.
Ecco, lei è Bulma.
– Nostra figlia…
Alzò un sopracciglio all’udire il sussurro roco di lui, che fissava ipnotizzato il piccolo viso dormiente della bambina, per poi distendersi ed emettere un risolino.
– Sì, eccoti qui Bulma!
Lo scienziato si portò un polso alla fronte, asciugandosi il sudore, e avvicinò due dita tremanti alla guancia della piccola, sfiorandola.
 – È bellissima…
Poi si distese e sorrise alla moglie, chinandosi e posandole un bacio sulle labbra.
– Cara… Grazie. Sai, con tutto il tempo passato con te, tu sei sempre stata quasi la mia salvezza, colei che mi avrebbe sempre protetto… – a quelle parole, lei arrossì lievemente e gli accarezzò il viso liscio – Ma ora… Guardati, e guarda nostra figlia. Siete speciali, e io vi proteggerò sempre. –
Appoggiò la fronte alla sua, scrutandola per un momento nelle pupille, quando udì un piccolo vagito.
La piccola aveva mosso le braccine e si sfregava il viso. Spalancò poi gli occhi grandi e tondi, andando a rivelare il colore delle iridi, ereditato dalla madre.
Lui sussultò, poi accarezzò nuovamente il piccolo viso ora sorridente e circondò le spalle della moglie, posandole un bacio sulla tempia: davanti a lui i suoi due amori più grandi, i suoi due azzurri.
 








   
 
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