Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: Harriet    01/01/2008    4 recensioni
[Il giorno dell'inizio del mondo]
Hikari è un ragazzino fragile, alle prese con un potere che non sa controllare. Shuichi è un tipo solitario, sensibile a suo modo, ma fondamentalmente poco interessato ai rapporti umani. Il loro incontro porterà cambiamenti inaspettati.
La realtà non è così semplice. Ci sono cose nascoste dietro ciò che vediamo, e i ricordi, i desideri e le storie sono molto più reali di quanto si pensi...
CAPITOLO X Online: EPILOGO!
Genere: Avventura, Sovrannaturale, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ancora un grazie stratosferico a chiunque segua questa storia! *inchin*

Buon 2008!

Vorrei dedicare questo capitolo in modo speciale a tutte le mie dilette creature nate nei primi giorni di gennaio.

La citazione musicale iniziale viene da “In the land of twilight, under the moon” di Kajura Yuki.

Le citazioni manghesche naturalmente vengono dalla mia esperienza di appassionata di manga. Diciamo che io e Shuichi abbiamo gli stessi gusti. Non so come vivono i ragazzi giapponesi la loro passione per i manga, però, come già ho detto, questa storia si svolge nel Giappone che sogniamo noi, e quindi... Penso possa essere accettabile.







III – Someonelse’s dream



Now you are watchin' us outside the circle

Wanna be in the company

Boy, but you are lonely

Dance with nobody

Run away child, to your hiding place




Tra poco sarebbe arrivato il giorno. Tra poco. Un altro meraviglioso giorno.

Un favoloso giorno post-incubo, nel quale sarebbe stato uno zombie perché si era rifiutato di tornare a dormire, una volta uscito dall’incubo.

Benissimo...

Hikari sbadigliò, strofinandosi gli occhi e immaginando il lungo giorno di tortura che gli si presentava davanti. Una mattinata di scuola praticamente inservibile, priva di concentrazione, ma densa di richiami da parte dei professori. Una continua lotta contro se stesso, per evitare di cedere ignominiosamente al sonno che lo avrebbe tormentato in ogni istante. Un tetro pomeriggio di mal di testa senza fine. Il tutto condito, molto probabilmente, da qualche predizione a sproposito: nei giorni dopo l’incubo, di solito, il suo potere sembrava diventare più incontrollabile che mai.

Beh, forse questa cosa alla fine era la meno peggio.

Si trovò a pensare (uno di quei pensieri che sfuggono al controllo e finiscono su strade dove non vorreste mai andare...avete presente?) che in quelle ultime settimane le cose erano migliorate. Un pochino, ma erano migliorate.

Oh, al diavolo il non voler ammettere la verità.

Era la prima volta in vita sua che andava a letto senza sentirsi prendere dall’angoscia che gli causava il non capire cosa gli stesse succedendo.

Le visioni c’erano sempre, e quella forza che si impossessava di lui, spingendolo a rivelare alla gente cos’aveva visto, non lo aveva certo lasciato. Ma almeno, adesso c’era qualcuno che lo aiutava. Qualcuno che interpretava le visioni, qualcuno che faceva del suo meglio per far sì che le premonizioni avessero un senso.

E servissero a qualcosa.

Era quella la cosa che gli era sempre bruciata di più. Va bene, aveva addosso questa maledizione, che attirava antipatia e sconcerto da parte dei suoi simili. Poteva anche sopportarlo. Una volta che ti ci abitui, non è così tremendo stare solo.

Però... quella sensazione orribile che non ti lasciava mai... la consapevolezza che avrebbe potuto evitare qualcosa di tremendo, e non l’aveva fatto perché non sapeva cosa diavolo doveva fare, quella era la cosa peggiore.

Da quando aveva incontrato quel tipo, qualcosa era cambiato, e tutto si era trasformato all’improvviso. Ed ora c’erano le battute pungenti di quel tipo, c’erano i suoi disegni enigmatici, complementari alle sue visioni, ma c’erano anche dei disegni stupendi che gli regalava senza motivo, e c’erano serate in cui, ogni tanto, parlavano anche di manga, di musica, di ragazze o di qualsiasi altra cosa, che non fossero futuri e visioni.

Ed era bello. Per la prima volta la maledizione non gli pesava. E si era quasi convinto di poter cambiare, smettendo di essere il frignone lamentoso di prima, per diventare una persona in gamba.

...sì, insomma, tutte queste splendide faccende non toglievano il fatto che avrebbe dovuto sopportare una giornata tremenda, col desiderio di addormentarsi ovunque, a causa di quello stupido incubo, che da qualche mese infestava la sua mente. Arrivava, rimaneva per due o tre notti di fila, ed era davvero una delle cose peggiori che Hikari avesse mai sperimentato.

Sospirando, guardò il cielo che si faceva sempre più chiaro.

Aveva sonno.

Ma non aveva voglia di precipitare nuovamente in quella follia.

Per ingannare il tempo, prese uno dei disegni che quel tipo gli aveva regalato (diciamo pure che glielo aveva sbattuto sotto il naso), e si mise a fissarlo, immaginando chi potesse essere il personaggio rappresentato.

Poco dopo prese un quaderno e una penna, e si mise a progettare qualcosa.


Le ore della giornata passarono anche più lente di quanto Hikari avesse temuto. Quando arrivò il momento di tornare a casa era così distrutto da non riuscire nemmeno a sentirsi sollevato. Uscì da scuola e salì sul tram meccanicamente, senza capire bene nemmeno come aveva fatto a trovarsi lì.

Ma sul tram accadde qualcosa che lo fece riscuotere.

Due fermate dopo quella davanti alla sua scuola, salì un uomo. Un uomo comune, a prima vista. A guardarlo meglio, era tutto fuorché comune.

A prima vista si notava che era un tipo assolutamente comune. A guardarlo meglio non c’era niente di strano, ma ispirava una sensazione inspiegabile. Metteva soggezione. Forse era il modo un po’ sprezzante con cui guardava il mondo, sicurezza di sé che sembrava trapelare da lui. Forse era una percezione che aveva solamente Hikari, in tutto il tram.

Comunque, lo straniero inquietante gli si sedette accanto.

E lì Hikari sperimentò qualcosa che non aveva mai provato prima.

Ebbe una visione, di questo ne era certo. La vide, chiara e nitida. La sentì, come sentiva, prima che vedere, tutte le cose: scorreva nel sangue, diventava brividi, diventava battiti furiosi del cuore e oppressione al petto. La visione prese possesso di lui, e subito dopo scattò il potere oscuro che lo obbligava a vaticinare, a rivelare ciò che aveva visto.

Solo che questa volta non riuscì a parlare.

Si voltò verso l’uomo, e le parole morirono prima di prendere forma. E subito dopo aveva dimenticato tutta la visione.

Quando si rese conto di ciò che era accaduto, spaventato ma anche determinato a capire, domandò uno sforzo alla propria mente, e cercò di ricordare cos’avesse visto.

Fu un’idea disastrosa.

Un istante dopo era crollato a terra, gridando ed agitandosi come se ci fosse qualcosa che gli stava facendo male. La gente immediatamente tentò di aiutarlo, di sollevarlo, di chiedergli cosa non andasse. Ma lui non sentiva niente... o meglio, sentiva anche troppo. Solo che non era in grado di fissare nella sua mente cosa fosse.

Poteva solo urlare.


Quando si riprese, era steso su una panchina, e almeno metà dei passeggeri del tram erano intorno a lui.

- Ehi, ragazzo, stai bene?- domandò il conducente, che sembrava un po’ scosso. Dello straniero che aveva causato tutto ciò, nessuna traccia.

- Ora sì.- mentì Hikari, sollevandosi. – Grazie di avermi soccorso. E’ tutto normale, mi succede spesso.-

- Senti, io dovrei portarti in ospedale...-

- No, assolutamente. Sto bene!-

- Ma non...-

- Non c’è bisogno, sto benissimo!-

Hikari stava veramente andando nel panico. Non stava benissimo per nulla, aveva l’impressione che il tram lo avesse investito tre o quattro volte, ma non era il caso di essere trasportato in un ospedale, dove avrebbe dovuto raccontare che si era sentito male perché il suo vicino di posto in tram non era normale!

Poi ebbe l’idea geniale.

- Mio fratello maggiore va a scuola al liceo Hana. Se non è troppo lontano, potrebbe portarmi lì.-

Il conducente sembrò giudicare questo un ottimo compromesso tra il suo orario di lavoro e la sua coscienza, e si preparò ad attuarlo.

Mentre salivano a bordo, Hikari si domandava cosa avrebbe detto Shuichi quando l’avrebbero fatto chiamare per suo fratello...

Decisamente l’idea era stata molto meno che geniale.


- Una crisi? Mio fratello?-

- Così ci ha detto il conducente del tram sul quale tuo fratello si è sentito male, Yukishiro-kun.- spiegò la professoressa. – Adesso è fuori dalla scuola. Se vuoi andare a raggiungerlo, sei dispensato dalle attività serali.-

- Va...va bene.-

Shuichi prese la sua roba, decisamente sconcertato. Avevano sbagliato persona. Se uno dei suoi fratelli si fosse sentito male, non sarebbero certo andati a cercare lui. Pura fantascienza. Soprattutto, uno dei suoi fratelli non avrebbe mai preso il tram. La scuola era vicinissima a casa. Avevano sbagliato persona e...

Oh, cavolo.

- Tu sei Shuichi Yukishiro?- lo apostrofò un tipo in divisa da conducente del tram.

- Già.-

- E lui è tuo fratello?-

Non esattamente.

- Già.-

- Allora lo affido a te?-

- Va bene.-

L’uomo mise letteralmente Hikari nelle sue mani, spingendo il ragazzo più esile verso l’altro, poi salutò e se ne andò in fretta.

-...scusa.- mormorò Hikari, arrossendo e abbassando lo sguardo.

- Tu hai da spiegarmi un sacco di cose, sai?-

- Sì, hai ragione, è che...- Hikari si prese la testa tra le mani, come colto da una fitta improvvisa. Shuichi sembrò decidere che l’omicidio del più giovane poteva aspettare.

- Ti senti male?-

- Ora no.-

- Cos’è successo? E’ qualcosa che dipende dai tuoi poteri?-

- Forse. Non lo so.-

Poi Hikari decise che non poteva più resistere alla debolezza o a qualcos’altro, perché chiuse gli occhi e scivolò in avanti. Shuichi lo riprese al volo prima che crollasse.

- Ehi!-

- Ho sonno. Ma non voglio dormire.- biascicò Hikari, perdendo conoscenza.

- Ehi! Che cavolo vuol dire?-

- ...aiutami.-

Perse i sensi, e non sentì la meravigliosa imprecazione, tutta diretta a lui, che Shuichi aveva appena inventato.


Riaprì gli occhi che era steso su una panchina, nel parco vicino al liceo Hanako. Poggiava la testa su qualcosa di morbido, e Shuichi era seduto a terra accanto a lui, in camicia, piuttosto infreddolito e incavolato, almeno a giudicare dalla prima impressione.

- Scusami.- mormorò, con una voglia incredibile di piangere.

- Frigna e ti prendo a calci.- disse l’altro, molto conciliante. Ok, passata la voglia di piangere.

- E’ stato un uomo sul tram.- cominciò a parlare in fretta. – Si è seduto accanto a me, io ho avuto una visione, stavo per dirgliela ma all’improvviso non riuscivo a parlare, e avevo dimenticato tutto. E quando ho cercato di ricordare, mi sono sentito malissimo. Come se qualcuno fosse nella mia testa. Come se qualcuno mi stesse facendo male. Non lo so. Urlavo e chiedevo aiuto, e sentivo male, e vedevo delle cose, ma non ricordo nulla. Io... Mi...-

- Lo so che ti dispiace.- lo interruppe Shuichi. – Non è colpa tua, di niente. E scusami se sono stato brusco. E’ che sono confuso anch’io, e prima ti ho visto svenire e piombarmi addosso, e non sapevo cosa fare.-

- Scus... Va bene. Immagino.-

- Hai due occhiaie che fai concorrenza a L.-

- A chi?-

- A L. Vai pazzo per Hikaru no go e non conosci Deathnote?-

- Me lo farò prestare da te, prima o poi.-

- Sei uno scroccone. Comunque è il manga dove c’è quella tipa bionda gotica che ho copiato, e ti era piaciuta tanto. A parte questo. Ma tu dormi?-

- Non molto, ultimamente.-

- E perché?-

- Perché a volte faccio degli incubi tremendi, e quando mi sveglio non ho voglia di riaddormentarmi.-

- Che cosa stupida.-

- Non lo è. Tu non sei lì dentro!-

- Cosa sogni?-

- Scale. Porte. Corridoi. Dover arrivare da qualche parte e perdermi. Le cose più brutte del mondo tutte dietro di me.-

Shuichi non rispose. Rimase ancora un po’ seduto a terra, pensieroso. Poi si alzò, facendo un lungo sospiro, e tese la mano a Hikari.

- Forse è il caso di andare, ora.-

- Non voglio tornare a casa.-

- Perché?-

- Perché morirò dall’angoscia, se penserò a cosa è successo oggi.-

- Lo sai che sei più strano del solito, vero? Comunque, io non posso rimanere con te. Mi dispiace. Ho una visita medica. E sono già in ritardo.-

- Non volevo chiederti di restare.-

- Ma se avessi potuto sarei rimasto. Ora però devo andare, e vorrei accompagnarti almeno fino al tuo tram.-

- Grazie... nii-san.-

- Se te ne vieni fuori di nuovo con questa storia... Oh, cavolo, speriamo che nessuno dei miei professori chieda notizie a mia madre del mio fratello che si era sentito male!-

Hikari inorridì all’idea, ma Shuichi risolse tutto con una specie di risata. Una delle rarissime risate di Shuichi. Insieme si incamminarono verso il tram. Quando Hikari salì, si sentì improvvisamente un po’ perso.

Ma non c’erano sconosciuti spaventosi, stavolta, e comunque sapeva a chi chiedere aiuto. Poteva anche provare a non aver paura.


Quella sera, quando sentì l’inquietante rumore, Hikari si spaventò abbastanza, ma non così tanto da urlare. Urlò invece quando capì di che rumore si trattasse. Ma per fortuna fu un urlo sommesso, come quelli che si era abituato a fare (si fa di tutto, per non essere notati), e nessuno della sua famiglia accorse in camera, per vedere di cosa si trattasse.

Però, insomma, aveva urlato per un buon motivo.

Anche voi avreste urlato, se vi foste resi conto che qualcuno stava bussando ai vetri della vostra finestra!

I dieci secondi prima di mettere a fuoco la faccia dell’invasore furono un inferno. Finalmente il povero Hikari riprese il controllo e capì che non rischiava la vita in alcun modo. Si trattava solo di quel tipo.

...ehi, perché Shuichi bussava alla sua finestra?

- Si può sapere cosa cavolo...-

- E parla piano! Ho fatto una cosa per te.-

- Eh?-

L’altro ragazzo tirò fuori un disegno ripiegato più volte, dalla tasca della giacca.

- Senti, magari è un’idiozia, ma l’ho fatto in trance, quindi forse ha senso.-

- Se ti degni di spiegare...-

- Guarda.-

Hikari spiegò il foglio e cercò di trovare un senso all’intreccio di linee e ricami che vi erano sopra.

- Non che ora mi sia tutto chiaro.-

- Prova a... Insomma, è scemo, è del tutto ipotetico, ma... potresti provare a portarlo a letto con te, la prossima volta che fai l’incubo?-

- Stanotte, immagino.- si lamentò Hikari. – Non viene mai una sola volta, viene almeno tre notti di fila e... ehi, aspetta, vuoi che dorma col tuo disegno come un orsacchiotto?-

- Non è che devi abbracciarlo.-

- Non è questo il punto!-

- Oh, insomma. Io l’ho fatto e sono venuto a portartelo. Tu fai quel che vuoi.-

Hikari guardò il disegno, guardò Shuichi ed ebbe voglia di ringraziarlo, ma dopo un rapido tuffo nei suoi pensieri, scoprì che non sapeva assolutamente come fare.

- Non pensavo che saresti venuto.-

- Non sapevi che sarei venuto, è ovvio che non lo pensassi.-

- No, non per quello. Potevi darmi il disegno domani.-

- No, ti prego, non puoi fare l’emo di nuovo!-

- La pianti di usare questa parola assurda? E poi, che vuol dire?-

- Vuol dire fare come Subaru.-

- Eh?-

- Sumeragi.-

- Chi?-

- Guarda che le Clamp hanno fatto anche altro, oltre a Chobits.-

- Sì, ma che c’entra?-

- Senti, io vado a casa, che se mi scoprono fuori sarà peggio di quando mia madre scoprirà che qualcuno ha fatto finta di essere mio fratello.-

- In ogni caso è sempre colpa mia, insomma.-

Shuichi lo offese senza ritegno, poi sparì, saltando giù dal basso davanzale. Hikari rimase solo col disegno, e la netta sensazione che fosse una cosa stupida. Però quel tipo era venuto fin qui per darglielo. E questo era molto meno stupido e più consolante.


Nel sonno correva. Superava porte, attraversava corridoi, svoltava e si ritrovava su strade conosciute, e le porte erano sempre di più, e i corridoi sempre più lunghi, e l’aria diminuiva, e lui doveva fuggire.

Da che parte? Dove devo andare?

Nel sogno piangeva, e non si vergognava, come quando gli veniva da piangere nella realtà. Perché se uno era lì, se uno sentiva quelle cose dietro le spalle, se uno si trovava a correre, con la certezza che l’avrebbero raggiunto, doveva piangere per forza.


Dove? Dove devo andare?

Perché io?

Perché qui?

Perché questo non è il tuo sogno, è il mio sogno.

Non è il tuo sogno.

E allora lasciami andare!

No. La tua anima, io la voglio. Non posso lasciarti andare.

Sei nel mio sogno, ci sei entrato così tante volte, eppure ancora...

Lasciami andare!

...non sei riuscito a capire...

Voglio uscire!

...chi sono io.

Voglio uscire, voglio uscire, voglio uscire!

Non conosci la strada, ti sei perso.

...no.


Si ritrovò qualcosa tra le mani. Sollevò l’oggetto, e attraverso le lacrime riuscì a vedere cos’era.

Una mappa. Aveva una mappa di quel luogo!

Si aggrappò al pezzo di carta con tutta la sua disperazione, e cercò di decifrarne i segni. Ma non c’era niente da decifrare: la mappa era di una chiarezza cristallina, e seguendo la sua guida sicura, raggiunse un corridoio diverso dagli altri, e poi una porta che non aveva mai visto prima, e finalmente un atrio, un grande atrio con torce alle pareti e un immenso portale.

E’... l’uscita?

Posò le mani sui battenti del portale. Prima di poter sapere cosa ci fosse di là, l’incubo svaniva e lui precipitava nel sonno.


*


Così non mi sbagliavo.

Divise, siete riuscite ad eludere la barriera, a comunicare, a creare un legame tra due persone, pericolose, come lo eravate voi.

Io non posso permettermi dei nemici, in questa città.

Vegliate pure su di loro e illudetevi di poterli salvare da me. La prima cosa che distruggerò saranno le loro anime.


*


Quando si svegliò, si accorse di cosa teneva in mano, e comprese all’istante.





...continua...

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: Harriet