Ancora un grazie
stratosferico a chiunque segua questa storia! *inchin*
Buon
2008!
Vorrei dedicare questo
capitolo in modo speciale a tutte le mie dilette creature nate nei primi giorni
di gennaio.
La
citazione musicale iniziale viene da “In the land of twilight, under the moon”
di Kajura Yuki.
Le citazioni manghesche
naturalmente vengono dalla mia esperienza di appassionata di manga. Diciamo che
io e Shuichi abbiamo gli stessi gusti. Non so come vivono i ragazzi giapponesi
la loro passione per i manga, però, come già ho detto, questa storia si svolge
nel Giappone che sogniamo noi, e quindi... Penso possa essere
accettabile.
III
– Someonelse’s dream
Now
you are watchin' us outside the circle
Wanna
be in the company
Boy,
but you are lonely
Dance
with nobody
Run
away child, to your hiding place
Tra poco sarebbe arrivato
il giorno. Tra poco. Un altro meraviglioso giorno.
Un favoloso giorno
post-incubo, nel quale sarebbe stato uno zombie perché si era rifiutato di
tornare a dormire, una volta uscito dall’incubo.
Benissimo...
Hikari sbadigliò,
strofinandosi gli occhi e immaginando il lungo giorno di tortura che gli si
presentava davanti. Una mattinata di scuola praticamente inservibile, priva di
concentrazione, ma densa di richiami da parte dei professori. Una continua lotta
contro se stesso, per evitare di cedere ignominiosamente al sonno che lo avrebbe
tormentato in ogni istante. Un tetro pomeriggio di mal di testa senza fine. Il
tutto condito, molto probabilmente, da qualche predizione a sproposito: nei
giorni dopo l’incubo, di solito, il suo potere sembrava diventare più
incontrollabile che mai.
Beh, forse questa cosa
alla fine era la meno peggio.
Si trovò a pensare (uno
di quei pensieri che sfuggono al controllo e finiscono su strade dove non
vorreste mai andare...avete presente?) che in quelle ultime settimane le cose
erano migliorate. Un pochino, ma
erano migliorate.
Oh, al diavolo il non
voler ammettere la verità.
Era la prima volta in
vita sua che andava a letto senza sentirsi prendere dall’angoscia che gli
causava il non capire cosa gli stesse
succedendo.
Le visioni c’erano
sempre, e quella forza che si impossessava di lui, spingendolo a rivelare alla
gente cos’aveva visto, non lo aveva certo lasciato. Ma almeno, adesso c’era
qualcuno che lo aiutava. Qualcuno che interpretava le visioni, qualcuno che
faceva del suo meglio per far sì che le premonizioni avessero un senso.
E servissero a
qualcosa.
Era quella la cosa che
gli era sempre bruciata di più. Va bene, aveva addosso questa maledizione, che
attirava antipatia e sconcerto da parte dei suoi simili. Poteva anche
sopportarlo. Una volta che ti ci abitui, non è così tremendo stare
solo.
Però... quella sensazione
orribile che non ti lasciava mai... la consapevolezza che avrebbe potuto evitare
qualcosa di tremendo, e non l’aveva fatto perché non sapeva cosa diavolo doveva fare,
quella era la cosa peggiore.
Da quando aveva
incontrato quel tipo, qualcosa era cambiato, e tutto si era trasformato
all’improvviso. Ed ora c’erano le battute pungenti di quel tipo, c’erano i suoi
disegni enigmatici, complementari alle sue visioni, ma c’erano anche dei disegni
stupendi che gli regalava senza motivo, e c’erano serate in cui, ogni tanto,
parlavano anche di manga, di musica, di ragazze o di qualsiasi altra cosa, che
non fossero futuri e visioni.
Ed era bello. Per la
prima volta la maledizione non gli pesava. E si era quasi convinto di poter
cambiare, smettendo di essere il frignone lamentoso di prima, per diventare una
persona in gamba.
...sì, insomma, tutte
queste splendide faccende non toglievano il fatto che avrebbe dovuto sopportare
una giornata tremenda, col desiderio di addormentarsi ovunque, a causa di quello
stupido incubo, che da qualche mese infestava la sua mente. Arrivava, rimaneva
per due o tre notti di fila, ed era davvero una delle cose peggiori che Hikari
avesse mai sperimentato.
Sospirando, guardò il
cielo che si faceva sempre più chiaro.
Aveva
sonno.
Ma non aveva voglia di
precipitare nuovamente in quella follia.
Per ingannare il tempo,
prese uno dei disegni che quel tipo gli aveva regalato (diciamo pure che glielo
aveva sbattuto sotto il naso), e si mise a fissarlo, immaginando chi potesse
essere il personaggio rappresentato.
Poco dopo prese un
quaderno e una penna, e si mise a progettare qualcosa.
Le ore della giornata
passarono anche più lente di quanto Hikari avesse temuto. Quando arrivò il
momento di tornare a casa era così distrutto da non riuscire nemmeno a sentirsi
sollevato. Uscì da scuola e salì sul tram meccanicamente, senza capire bene
nemmeno come aveva fatto a trovarsi lì.
Ma sul tram accadde
qualcosa che lo fece riscuotere.
Due fermate dopo quella
davanti alla sua scuola, salì un uomo. Un uomo comune, a prima vista. A
guardarlo meglio, era tutto fuorché comune.
A prima vista si notava
che era un tipo assolutamente comune. A guardarlo meglio non c’era niente di
strano, ma ispirava una sensazione inspiegabile. Metteva soggezione. Forse era
il modo un po’ sprezzante con cui guardava il mondo, sicurezza di sé che
sembrava trapelare da lui. Forse era una percezione che aveva solamente Hikari,
in tutto il tram.
Comunque, lo straniero
inquietante gli si sedette accanto.
E lì Hikari sperimentò
qualcosa che non aveva mai provato prima.
Ebbe una visione, di
questo ne era certo. La vide, chiara e nitida. La sentì, come sentiva, prima che
vedere, tutte le cose: scorreva nel sangue, diventava brividi, diventava battiti
furiosi del cuore e oppressione al petto. La visione prese possesso di lui, e
subito dopo scattò il potere oscuro che lo obbligava a vaticinare, a rivelare
ciò che aveva visto.
Solo che questa volta non
riuscì a parlare.
Si voltò verso l’uomo, e
le parole morirono prima di prendere forma. E subito dopo aveva dimenticato
tutta la visione.
Quando si rese conto di
ciò che era accaduto, spaventato ma anche determinato a capire, domandò uno
sforzo alla propria mente, e cercò di ricordare cos’avesse visto.
Fu un’idea disastrosa.
Un istante dopo era
crollato a terra, gridando ed agitandosi come se ci fosse qualcosa che gli stava
facendo male. La gente immediatamente tentò di aiutarlo, di sollevarlo, di
chiedergli cosa non andasse. Ma lui non sentiva niente... o meglio, sentiva
anche troppo. Solo che non era in grado di fissare nella sua mente cosa
fosse.
Poteva solo
urlare.
Quando si riprese, era
steso su una panchina, e almeno metà dei passeggeri del tram erano intorno a
lui.
- Ehi, ragazzo, stai
bene?- domandò il conducente, che sembrava un po’ scosso. Dello straniero che
aveva causato tutto ciò, nessuna traccia.
- Ora sì.- mentì Hikari,
sollevandosi. – Grazie di avermi soccorso. E’ tutto normale, mi succede
spesso.-
- Senti, io dovrei
portarti in ospedale...-
- No, assolutamente. Sto
bene!-
- Ma
non...-
- Non c’è bisogno, sto
benissimo!-
Hikari stava veramente
andando nel panico. Non stava benissimo per nulla, aveva l’impressione che il
tram lo avesse investito tre o quattro volte, ma non era il caso di essere
trasportato in un ospedale, dove avrebbe dovuto raccontare che si era sentito
male perché il suo vicino di posto in tram non era
normale!
Poi ebbe l’idea
geniale.
- Mio fratello maggiore
va a scuola al liceo Hana. Se non è troppo lontano, potrebbe portarmi
lì.-
Il conducente sembrò
giudicare questo un ottimo compromesso tra il suo orario di lavoro e la sua
coscienza, e si preparò ad attuarlo.
Mentre salivano a bordo,
Hikari si domandava cosa avrebbe detto Shuichi quando l’avrebbero fatto chiamare
per suo fratello...
Decisamente l’idea era
stata molto meno che geniale.
- Una crisi? Mio
fratello?-
- Così ci ha detto il
conducente del tram sul quale tuo fratello si è sentito male, Yukishiro-kun.-
spiegò la professoressa. – Adesso è fuori dalla scuola. Se vuoi andare a
raggiungerlo, sei dispensato dalle attività serali.-
- Va...va bene.-
Shuichi prese la sua
roba, decisamente sconcertato. Avevano sbagliato persona. Se uno dei suoi
fratelli si fosse sentito male, non sarebbero certo andati a cercare lui. Pura
fantascienza. Soprattutto, uno dei suoi fratelli non avrebbe mai preso il tram.
La scuola era vicinissima a casa. Avevano sbagliato persona
e...
Oh,
cavolo.
- Tu sei Shuichi
Yukishiro?- lo apostrofò un tipo in divisa da conducente del
tram.
-
Già.-
- E lui è tuo
fratello?-
Non
esattamente.
-
Già.-
- Allora lo affido a
te?-
- Va
bene.-
L’uomo mise letteralmente
Hikari nelle sue mani, spingendo il ragazzo più esile verso l’altro, poi salutò
e se ne andò in fretta.
-...scusa.- mormorò
Hikari, arrossendo e abbassando lo sguardo.
- Tu hai da spiegarmi un
sacco di cose, sai?-
- Sì, hai ragione, è
che...- Hikari si prese la testa tra le mani, come colto da una fitta
improvvisa. Shuichi sembrò decidere che l’omicidio del più giovane poteva
aspettare.
- Ti senti
male?-
- Ora
no.-
- Cos’è successo? E’
qualcosa che dipende dai tuoi poteri?-
- Forse. Non lo
so.-
Poi Hikari decise che non
poteva più resistere alla debolezza o a qualcos’altro, perché chiuse gli occhi e
scivolò in avanti. Shuichi lo riprese al volo prima che
crollasse.
-
Ehi!-
- Ho sonno. Ma non voglio
dormire.- biascicò Hikari, perdendo conoscenza.
- Ehi! Che cavolo vuol
dire?-
-
...aiutami.-
Perse i sensi, e non
sentì la meravigliosa imprecazione, tutta diretta a lui, che Shuichi aveva
appena inventato.
Riaprì gli occhi che era
steso su una panchina, nel parco vicino al liceo Hanako. Poggiava la testa su
qualcosa di morbido, e Shuichi era seduto a terra accanto a lui, in camicia,
piuttosto infreddolito e incavolato, almeno a giudicare dalla prima
impressione.
- Scusami.- mormorò, con
una voglia incredibile di piangere.
- Frigna e ti prendo a
calci.- disse l’altro, molto conciliante. Ok, passata la voglia di
piangere.
- E’ stato un uomo sul
tram.- cominciò a parlare in fretta. – Si è seduto accanto a me, io ho avuto una
visione, stavo per dirgliela ma all’improvviso non riuscivo a parlare, e avevo
dimenticato tutto. E quando ho cercato di ricordare, mi sono sentito malissimo.
Come se qualcuno fosse nella mia testa. Come se qualcuno mi stesse facendo male.
Non lo so. Urlavo e chiedevo aiuto, e sentivo male, e vedevo delle cose, ma non
ricordo nulla. Io... Mi...-
- Lo so che ti dispiace.-
lo interruppe Shuichi. – Non è colpa tua, di niente. E scusami se sono stato
brusco. E’ che sono confuso anch’io, e prima ti ho visto svenire e piombarmi
addosso, e non sapevo cosa fare.-
- Scus... Va bene.
Immagino.-
- Hai due occhiaie che
fai concorrenza a L.-
- A
chi?-
- A L. Vai pazzo per Hikaru no go e non conosci Deathnote?-
- Me lo farò prestare da
te, prima o poi.-
- Sei uno scroccone.
Comunque è il manga dove c’è quella tipa bionda gotica che ho copiato, e ti era
piaciuta tanto. A parte questo. Ma tu dormi?-
- Non molto,
ultimamente.-
- E
perché?-
- Perché a volte faccio
degli incubi tremendi, e quando mi sveglio non ho voglia di
riaddormentarmi.-
- Che cosa
stupida.-
- Non lo è. Tu non sei lì
dentro!-
- Cosa
sogni?-
- Scale. Porte. Corridoi.
Dover arrivare da qualche parte e perdermi. Le cose più brutte del mondo tutte
dietro di me.-
Shuichi non rispose.
Rimase ancora un po’ seduto a terra, pensieroso. Poi si alzò, facendo un lungo
sospiro, e tese la mano a Hikari.
- Forse è il caso di
andare, ora.-
- Non voglio tornare a
casa.-
-
Perché?-
- Perché morirò
dall’angoscia, se penserò a cosa è successo oggi.-
- Lo sai che sei più
strano del solito, vero? Comunque, io non posso rimanere con te. Mi dispiace. Ho
una visita medica. E sono già in ritardo.-
- Non volevo chiederti di
restare.-
- Ma se avessi potuto
sarei rimasto. Ora però devo andare, e vorrei accompagnarti almeno fino al tuo
tram.-
- Grazie...
nii-san.-
- Se te ne vieni fuori di
nuovo con questa storia... Oh, cavolo, speriamo che nessuno dei miei professori
chieda notizie a mia madre del mio fratello che si era sentito
male!-
Hikari inorridì all’idea,
ma Shuichi risolse tutto con una specie di risata. Una delle rarissime risate di
Shuichi. Insieme si incamminarono verso il tram. Quando Hikari salì, si sentì
improvvisamente un po’ perso.
Ma non c’erano
sconosciuti spaventosi, stavolta, e comunque sapeva a chi chiedere aiuto. Poteva
anche provare a non aver paura.
Quella sera, quando sentì
l’inquietante rumore, Hikari si spaventò abbastanza, ma non così tanto da
urlare. Urlò invece quando capì di che rumore si trattasse. Ma per fortuna fu un
urlo sommesso, come quelli che si era abituato a fare (si fa di tutto, per non
essere notati), e nessuno della sua famiglia accorse in camera, per vedere di
cosa si trattasse.
Però, insomma, aveva
urlato per un buon motivo.
Anche voi avreste urlato,
se vi foste resi conto che qualcuno stava bussando ai vetri della vostra
finestra!
I dieci secondi prima di
mettere a fuoco la faccia dell’invasore furono un inferno. Finalmente il povero
Hikari riprese il controllo e capì che non rischiava la vita in alcun modo. Si
trattava solo di quel tipo.
...ehi, perché Shuichi
bussava alla sua finestra?
- Si può sapere cosa
cavolo...-
- E parla piano! Ho fatto
una cosa per te.-
-
Eh?-
L’altro ragazzo tirò
fuori un disegno ripiegato più volte, dalla tasca della
giacca.
- Senti, magari è
un’idiozia, ma l’ho fatto in trance, quindi forse ha
senso.-
- Se ti degni di
spiegare...-
-
Guarda.-
Hikari spiegò il foglio e
cercò di trovare un senso all’intreccio di linee e ricami che vi erano
sopra.
- Non che ora mi sia
tutto chiaro.-
- Prova a... Insomma, è
scemo, è del tutto ipotetico, ma... potresti provare a portarlo a letto con te,
la prossima volta che fai l’incubo?-
- Stanotte, immagino.- si
lamentò Hikari. – Non viene mai una sola volta, viene almeno tre notti di fila
e... ehi, aspetta, vuoi che dorma col tuo
disegno come un orsacchiotto?-
- Non è che devi
abbracciarlo.-
- Non è questo il
punto!-
- Oh, insomma. Io l’ho
fatto e sono venuto a portartelo. Tu fai quel che vuoi.-
Hikari guardò il disegno,
guardò Shuichi ed ebbe voglia di ringraziarlo, ma dopo un rapido tuffo nei suoi
pensieri, scoprì che non sapeva assolutamente come fare.
- Non pensavo che saresti
venuto.-
- Non sapevi che sarei
venuto, è ovvio che non lo pensassi.-
- No, non per quello.
Potevi darmi il disegno domani.-
- No, ti prego, non puoi
fare l’emo di nuovo!-
- La pianti di usare
questa parola assurda? E poi, che vuol dire?-
- Vuol dire fare come
Subaru.-
-
Eh?-
-
Sumeragi.-
-
Chi?-
- Guarda che le Clamp
hanno fatto anche altro, oltre a Chobits.-
- Sì, ma che
c’entra?-
- Senti, io vado a casa,
che se mi scoprono fuori sarà peggio di quando mia madre scoprirà che qualcuno
ha fatto finta di essere mio fratello.-
- In ogni caso è sempre
colpa mia, insomma.-
Shuichi lo offese senza
ritegno, poi sparì, saltando giù dal basso davanzale. Hikari rimase solo col
disegno, e la netta sensazione che fosse una cosa stupida. Però quel tipo era
venuto fin qui per darglielo. E questo era molto meno stupido e più
consolante.
Nel sonno correva.
Superava porte, attraversava corridoi, svoltava e si ritrovava su strade
conosciute, e le porte erano sempre di più, e i corridoi sempre più lunghi, e
l’aria diminuiva, e lui doveva fuggire.
Da che parte? Dove devo
andare?
Nel sogno piangeva, e non
si vergognava, come quando gli veniva da piangere nella realtà. Perché se uno
era lì, se uno sentiva quelle cose dietro le spalle, se uno si trovava a
correre, con la certezza che l’avrebbero raggiunto, doveva piangere per
forza.
Dove? Dove devo
andare?
Perché
io?
Perché
qui?
Perché questo non è il
tuo sogno, è il mio sogno.
Non è il tuo
sogno.
E allora lasciami
andare!
No. La tua anima, io la
voglio. Non posso lasciarti andare.
Sei nel mio sogno, ci sei
entrato così tante volte, eppure ancora...
Lasciami
andare!
...non sei riuscito a
capire...
Voglio
uscire!
...chi sono
io.
Voglio uscire, voglio
uscire, voglio uscire!
Non conosci la strada, ti
sei perso.
...no.
Si ritrovò qualcosa tra
le mani. Sollevò l’oggetto, e attraverso le lacrime riuscì a vedere
cos’era.
Una mappa. Aveva una
mappa di quel luogo!
Si aggrappò al pezzo di
carta con tutta la sua disperazione, e cercò di decifrarne i segni. Ma non c’era
niente da decifrare: la mappa era di una chiarezza cristallina, e seguendo la
sua guida sicura, raggiunse un corridoio diverso dagli altri, e poi una porta
che non aveva mai visto prima, e finalmente un atrio, un grande atrio con torce
alle pareti e un immenso portale.
E’...
l’uscita?
Posò le mani sui battenti
del portale. Prima di poter sapere cosa ci fosse di là, l’incubo svaniva e lui
precipitava nel sonno.
*
Così non mi
sbagliavo.
Divise, siete riuscite ad
eludere la barriera, a comunicare, a creare un legame tra due persone, pericolose, come lo eravate
voi.
Io non posso permettermi
dei nemici, in questa città.
Vegliate pure su di loro
e illudetevi di poterli salvare da me. La prima cosa che distruggerò saranno le
loro anime.
*
Quando si svegliò, si
accorse di cosa teneva in mano, e comprese all’istante.
...continua...