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Autore: Tommos_girl93    17/06/2013    2 recensioni
D’altronde, come ho potuto anche solo pensare che lui, Louis, potesse sognare una vita intera accanto a me, una ragazza che in fatto di amore sapeva ben poco, e ancora meno sapeva in fatto di relazioni serie?
Ma quel giorno d’autunno, seduta al tavolo di quella piccola biblioteca universitaria, rimasi colpita da qualcosa di più di un semplice colpo di fulmine: alzai gli occhi e incontrai i suoi, perdendomi senza speranza. Incontrai il suo mezzo sorriso spocchioso, mentre con le mani ancora avvicinava il libro a sé, prima di fermarsi, fissarmi a sua volta e semplicemente sussurrarmi:
“La mia media scolastica ti ringrazierà a vita, occhioni”
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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DON’T LET ME GO

- A Louis Tomlinson story -

 

 

Mi ha lasciata.

 

Lui, colui che mi aveva promesso che sarebbe stato diverso da tutti gli altri, che non mi avrebbe trattata come una stupida, mi ha abbandonata, lasciata sola al mio destino senza nemmeno farsi sentire o darmi spiegazioni. Con fatica avevamo costruito una storia lunga due anni il prossimo mese,  avevamo combattuto contro qualsiasi cosa per noi due, ci eravamo giurati amore eterno, e io, stupida, ci avevo creduto. Io, stupida, mi ero fidata di quegli occhi azzurri, di quel sorriso così tenero e sincero. Stupida io. Stupida Beth e le mie fantasie da fiaba.

 

D’altronde, come ho potuto anche solo pensare che lui, Louis, potesse sognare una vita intera accanto a me, una ragazza che in fatto di amore sapeva ben poco, e ancora meno sapeva in fatto di relazioni serie?

 

A vent’anni suonati, Louis era stato il primo ad avermi fatto battere davvero il cuore, quel giorno d’autunno in quella piccola libreria universitaria. Non avevo quella che si dice una buona reputazione. No, non sono mai stata la tipica ragazza che ha tutto e tutti come nei film. Semplicemente preferivo non impegnarmi mai, forse per paura di rimanere ferita. E allora guardavo da lontano, guardavo senza toccare, poi, quando il desiderio si faceva più insistente, giocavo d’astuzia, appagavo il mio desiderio e poi abbandonavo quella mia preda in corsa, ancora prima che potessi realizzare di aver sviluppato alcun tipo di sentimenti, ancor prima che loro potessero realizzare come veramente ero. Probabilmente ero io preda e loro i cacciatori, perché poi si passavano parola, capitavano uno dietro l’altro, facevano finta di non avermi mai notata e alla fin fine ricevevano quello che volevano tanto quanto me.

 

Ma quel giorno d’autunno, seduta al tavolo di quella piccola biblioteca universitaria, rimasi colpita da qualcosa di più di un semplice colpo di fulmine: alzai gli occhi dal mio tema solo per ringhiare dietro a chiunque stesse cercando di prendere il libro che stavo consultando appena venti secondi prima; alzai gli occhi e incontrai i suoi, perdendomi senza speranza. Incontrai il suo mezzo sorriso spocchioso, mentre con le mani ancora avvicinava il libro a sé, prima di fermarsi, fissarmi a sua volta e semplicemente sussurrarmi:

“La mia media scolastica ti ringrazierà a vita, occhioni”

Rimasi interdetta, come se le sue parole mi avessero appena sfiorato ma non fossero davvero entrate nella mia mente, poi gli presi il braccio, strattonandolo di nuovo verso di me.

“Il massimo che posso offrirti è un pezzo di tavolo e la condivisione. Oppure oltre alla tua media scolastica, dovrà ringraziarmi anche il tuo dentista, sorriso d’angelo”

Gli intimai, tanto vicina al suo viso da poter sentire il suo respiro sulle mie labbra. Ridendo, prese una sedia dal tavolo vicino e mi affiancò, sistemandosi gli occhiali.

 

“Mi avevano detto che ti saresti semplicemente ammutolita, occhioni. Invece guarda che razza di leonessa che mi ritrovo davanti.”

Arrossendo fino alla punta delle orecchie riportai l’attenzione al mio tema, una mano sul libro che mi voleva fregare.

“Senti, devo continuare a chiamarti occhioni o mi dici come ti chiami? No, mi rifiuto di credere che il tuo nome sia Bella Pazza.”

Da me ricevette solo silenzio, ero intenzionata a riprendere il mio solito comportamento, ma lui insisteva.

“Beh, non ho problemi a continuare a chiamarti occhioni, io sono Louis, tanto piacere”

Continuò, dondolandosi sulla sedia e lanciando un sorrisetto anche alla bibliotecaria, che cercò di zittirlo. Io alzai appena lo sguardo, poi tornai a scrivere un paio di note sul tema.

 

“Elizabeth è proprio un gran bel nome sai? Ma credo di preferire… Beth. Beth è più breve e meno impegnativo da ricordare”

Riprese dopo aver guardato l’intestazione del tema, mettendo una mano sul libro che avevamo conteso, e casualmente sfiorando la mia. Rabbrividii al contatto, ma non spostai la mano.

“Condivisione. Con-divisione. Con. Tu più qualcun altro”

Mi spiegò, come fossi una stupida. Chiusi gli occhi e inspirai, abbassando la guardia un secondo e rialzando lo sguardo su di lui. Mi sorrise sincero e io fui sicura di aver completamente perso ogni facoltà intellettiva e fisica. Mi sorrise e la mia mente si ritrovò nella valle degli unicorni, con l’arcobaleno in cielo e fiori ovunque. Mi sorrise e avrebbe potuto farmi qualsiasi cosa, anche pugnalarmi venti volte consecutive, che io l’avrei ancora adorato. Ma non fece niente, se non alzare un sopracciglio e scuotere la testa.

 

“Mi chiamo Elizabeth, ma in casa mi chiamano tutti Eli.”
Dissi tutto d’un fiato, ancora mantenendo la mano sul libro.

“Nessuno mi ha mai chiamata Beth, ma penso che sia okay, se ti piace così tanto.”

Continuai quando vidi che Louis non smetteva di sorridere.

“E so cosa significa la condivisione, solo condividerò con te quando avrò finito”

“Non sei simpatica. Hai due begli occhioni da cerbiatto, ma non sei simpatica. Penso che non dovrei stare qui a parlarti”

“E cosa ti trattiene?”

“Non lo so, ma ho come la vaga sensazione di dover rimanere qui”

Alzai gli occhi al cielo, quanto stupido e sfrontato era. Ma la sua stupidità e la sua sfrontatezza cominciarono a fare il loro compito, e lentamente sulle mie labbra si aprì un timido sorriso.

“Sei più carina quando sorridi, te l’hanno mai detto? Gli occhi risaltano ancora di più”

“Grazie… Ma non avrai il libro in ogni caso”

Sbuffò e alzò gli occhi al cielo, poi sistemò sul tavolo il quaderno e l’astuccio, prendendo a scarabocchiare il primo foglio che trovò.

 

“Faccio parte della squadra di calcio dell’università, sai? Tu fai qualche sport? Ti vedo bene come pallavolista.”

“Nuoto”

“In effetti non sembri il tipo da sport di squadra”

“Già”

“E che stili fai?”

“Un po’ tutti, il mio preferito è rana”

Lì per lì – fortunatamente, pensai io – sembrò aver terminato le domande, ma dopo appena una manciata di secondi la mia illusione finì.

“Potresti venire a qualche partita, magari. E io potrei venire a una tua gara. Sarebbe un bel modo di fraternizzare”

“Magari sì”

Risposi giusto per non essere troppo scortese, poi tornai sul mio tema. Lui sbuffò e sfilò il libro da sotto la mia mano, probabilmente giudicandolo l’unico modo per avere la mia attenzione. Di nuovo lo fulminai con lo sguardo. Di nuovo mi persi in quegli occhi così belli e sentii il mio volto ammorbidirsi, fino a cancellare ogni segno di rabbia rimasto. Decisi che forse la conversazione non avrebbe dovuto essere a senso unico, decisi che forse non dovevo rispondere solo a monosillabi, decisi che forse quella comunicazione che lui cercava di creare tra noi doveva essere fatta in due.

 

“In che ruolo giochi?”

“Attaccante. Sono in lista per il titolo di miglior marcatore, teniamo le dita incrociate.”

“Sì, ora che ci penso, credo di aver visto il tuo nome ogni tanto sul giornale della scuola… Sei quello che si è trasferito quest’anno, giusto?”

“In persona, non credevo di essere così famoso” mi sorrise “I miei hanno divorziato, mia madre non sarebbe riuscita a mantenere me nella mia università precedente e le mie sorelle nella loro scuola privata quindi… Ho deciso di sacrificarmi, anche se devo dire che questo posto non è per niente male. Soprattutto i suoi ospiti di martedì sera in biblioteca. Anche se non mi lasciano i libri”

“Beh, chi prima arriva meglio alloggia, si dice, no? Dovrai aspettare il tuo turno”

“Ahah spiritosa. E tu? Come mai hai scelto questa università?”

 

Ci pensai su un secondo. La mia scusa normalmente era che quella fosse l’università più economica e non volevo pesare sulle tasche di mia madre. La verità invece era ben altra. Buttai lì una mezza verità, incapace di mentirgli, forse per la troppa paura che mi leggesse dentro e capisse la mia menzogna.

“Mio padre ha studiato qui da giovane”

“E quindi ti ha costretta a venire a studiare qui per continuità? È uno di quei genitori assillanti che vogliono i propri figli a propria immagine e somiglianza?”

Tornai a fissarlo, abbandonando completamente il tema che stavo facendo.

“Non lo so, non gliel’ho mai chiesto, non avendolo mai conosciuto. Ma non ho il coraggio di allontanarmi, non riesco a non pensare che forse potrebbe tornare…”

Confessai di getto, senza nascondere le speranze di cui tanto mi vergognavo. Louis spostò la mano dal libro e la portò attorno al mio polso, per poi avvicinarmi e stringermi in un abbraccio, come fosse la cosa più naturale di questo mondo, come fosse nato per confortarmi e togliere i pesi che la vita mi aveva consegnato.

 

Inutile a dirsi, quella conversazione si trasformò in amicizia, di quelle amicizie in cui tutto quello che le persone al di fuori vedono è semplicemente pura attrazione non confessata. Di quelle amicizie che tutti chiedono se siano qualcosa di più. Ed effettivamente da quell’amicizia durata poco più di qualche mese nacque quella che fino a poco tempo fa credevo la relazione della mia vita, quella relazione perfetta in cui nulla sembra essere un ostacolo abbastanza potente da scalfirla. E invece un paio di mattine fa sul cuscino al mio fianco non ho trovato il suo volto angelico e quasi infantile a darmi il buongiorno. Non ho trovato il suo braccio a proteggere il mio corpo. Non ho trovato le sue gambe intrecciate alle mie. Ho trovato solo il vuoto, un vuoto che dal lato destro del letto si è trasferito nella mia mente, nel mio corpo. Nessun messaggio, nessun biglietto, il cellulare spento, i suoi migliori amici che alzano le spalle senza sapermi dire nulla, i suoi genitori, le sue sorelle minori, tutti mi guardano con quasi compassione quando vado anche da loro a chiedere informazioni.

 

È sparito. Mi ha lasciata senza dire una parola. Mi ha abbandonata proprio come aveva detto che non avrebbe mai fatto; mi ha abbandonata proprio come ha fatto il padre che non ho mai conosciuto, senza lasciare nulla per me. Consegnandomi di nuovo il peso che tanto aveva combattuto per togliermi, con gli interessi di una relazione a cui avevo dato anima e corpo. È sparito e con lui sono sparita anche io.

 

Ma ora ho preso una decisione. Non rimarrò così per sempre. Devo riprendermi, arrangiarmi come ho sempre fatto prima di lui. Non ha senso rimanere su questo dondolo, non ha senso guardare il cancello di casa aspettando che lui torni. Devo arrendermi all’evidenza, non lo farà. Mi alzo, un bacio volante a mia madre e mi incammino verso l’università per salutarla un’ultima volta. Un’ultima visita all’edificio in cui ci siamo incontrati, al piccolo dormitorio che ha testimoniato la nostra prima volta, al parco in cui ci siamo scambiati il nostro primo bacio.

 

E come in un film, come se la mia mente avesse reso realtà quello che il mio cuore segretamente chiedeva, vedo una sagoma che riconoscerei tra mille. Dal modo in cui si muove, dal modo in cui palleggia nervoso con una pigna come fosse un pallone da calcio, dal modo in cui si volta, spostando i capelli dalla fronte, un sorriso che arriva agli occhi prima ancora di raggiungere le labbra. Cammina veloce verso di me, prende a correre come se non avesse la forza di aspettare ancora. Ha due rose, una rossa e una gialla, e un bocciolo di rosa bianca in mano. Apre le braccia come per darmi il bentornato a casa, ma io non mi muovo, combatto con le lacrime che minacciano di rigarmi le guance, combatto con il desiderio di abbandonarmi al suo abbraccio che tanto ho cercato in questi giorni senza di lui. La mia risposta è diversa, le mani a pugno contro il suo petto, gli occhi chiusi a forza, frasi escono dalle mie labbra senza che io sia capace di controllarle.

 

“Sei un deficiente!

Un… Un codardo!

Te ne sei andato senza dirmi nulla!

E io ti ho cercato!

Mi hai abbandonato!

Mi avevi promesso che non l’avresti fatto!

Io ti odio!”

Sono certa che sul suo viso il sorriso si sia spento. Incassa i colpi uno per uno, non ribatte per difendersi da quello di cui lo sto accusando. Lascia che mi sfoghi, poi mano a mano che i miei pugni si fanno meno vigorosi e frequenti, mano a mano che le lacrime scendono sul mio volto, mi circonda con le sue braccia, mi fa abbandonare la testa sul suo petto, mi accarezza. Mi sfiora la fronte con le labbra, poi gli occhi, le guance, la punta del naso, per finire sulle mie stesse labbra. Mi bacia e il suo bacio rispecchia il mio, come se fosse assetato delle mie labbra, come se non averle baciate per due giorni fosse stato un incubo anche per lui. Ma il bacio dura poco, il tempo di ritrovare l’alchimia che ci ha sempre contraddistinti, poi lui si allontana. È ferito, il mio dolore è diventato anche suo. Incatena i miei occhi ai suoi, poi prende parola.

 

“Non ho mai voluto abbandonarti. Non ho mai voluto andare via senza dirti nulla. Non avresti dovuto cercarmi. Io ti amo.”

Dice senza troppi giri di parole, rispondendo a ogni mia accusa.

“Non è vero che ti odio Lou. Non è vero”

Mi abbraccia, tenendomi stretta, poi mi porge le rose, ad una ad una, senza distogliere lo sguardo.

“Per te, amore mio. Questa rosa rossa, per ricordare il nostro passato, i momenti che abbiamo trascorso insieme e che hanno aiutato questo amore a nascere, crescere e rinforzarsi. Questa rosa gialla, per tenere alla mente questo presente, per sapere sempre che per  quanto la lontananza faccia male, non ti abbandonerò mai, sarai sempre il mio primo pensiero. E questa rosa appena sbocciata…”

E qui fa una pausa. Prende la mia mano, si inginocchia. Non può essere vero. Cerca nella tasca, una scatolina di velluto blu. Questo è un sogno.

“Questa rosa bianca appena sbocciata rappresenta noi due, se accetterai, ovviamente. Rappresenta la nostra vita, la famiglia che non vedo l’ora di formare con te. Questi due giorni senza di te sono stati un’agonia. La risposta ai dubbi che avevo. La risposta che ho sempre avuto nel mio cuore. Non voglio stare senza di te. Sposami Beth, sposami e giuro che ti amerò per sempre.”

 

Tommo’s corner:

Voila… One shot scritta così, in un momento (anzi due) di schizzo totale…

E… Niente, l’ho finalmente finita e ho deciso di pubblicarla :)

Vi ringrazio per averla letta ed essere arrivate fin qui e… Se voleste essere così gentili da lasciare qualcosa, per farmi sapere la vostra opinione, grazie :)

(Mi chiedo perché ogni volta che scrivo di Louis mi innamoro di lui… Quanto è bello questo ragazzo)

Un abbraccio,

-S



   
 
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