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Autore: Luna_Ravenclaw    17/06/2013    1 recensioni
Bene, non penso che ci sia molto da dire su questa storia, è molto semplice ma per me è molto importante. Potete vederla come più vi piace, ma vi dico fin da subito che è una storia vera, verissima, per quanto possa sembrare il contrario. E' la storia di due bambini che crescono insieme, dai 5 a 18 anni. Loro sono Luna e Francesco, e sono la mia storia!
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Capitolo 1- Mud

Ricordo vagamente il giorno in cui mi ero trasferita a Pavia, in quel condominio un tempo celeste acceso e ora azzurro slavato. Eravamo andati a vivere li perché papà aveva trovato lavoro li vicino. Ho pochi ricordi di quel giorno. Uno di mio padre, Emanuele, con tre scatoloni con l’essenziale che ci eravamo portati a mano, mia madre Giorgia e, in braccio a lei, quella piattola di mio fratello Stefano, di quasi un anno ma con già i suoi furbi e subdoli occhietti grigi, molto simili a quelli di papà, ma molto più fastidiosi già da bambino. Infatti, non appena non gli venivano dedicate le consuete attenzioni, il principe piantava giù delle frignate degne di una tragedia greca… Papà, per sdrammatizzare, diceva che aveva un promettente futuro da cantante lirico, ma non serviva molto quando si svegliava alle tre del mattino, svegliando tutta la famiglia perché aveva male ai denti. Allora, da bambina, dicevo che era un gran egoista, quel marmocchio di mio fratello, ora come ora capisco i problemi dei bambini, ora che sono grande e… beh, lo saprete leggendo.
In sostanza questo è il primo ricordo legato al giorno del mio trasloco in quella città nuova. Il secondo è legato al mio “amato” abitino in tulle color albicocca, scomodo e ruvido che mamma mi costringeva a mettere di tanto in tanto. Avevo svariate volte attentato alla salute di quel vestito con forbici, cutter, carboncini, cibo accidentalmente caduto ma senza risultati. Col senno di poi però, ringrazio di essere stata sgamata tutte le volte da mia madre, che vedeva in quell’abitino una specie di mantra o santino da venerare, perché senza quel vestito non avrei mai conosciuto lui.
 Aspettavo che il principino smettesse di monopolizzare l’attenzione di mamma e papà che, nel mentre, aspettavano l’arrivo del camion dei traslochi. Intanto avevo scoperto che sul retro del condominio c’era un piccolo giardino, con un albero e un’altalena. Si accedeva al giardino da una scala metallica di servizio, da usare in caso di incendio o emergenza. Proprio mentre stavo osservando la suddetta scala qualcosa, o meglio qualcuno, mi era piovuto addosso cadendomi addosso. Peccato che il giorno prima avesse piovuto, infatti entrambi siamo rotolati in una pozzanghera fangosa.
-Il mio vestito…- lo ammetto, ero scioccata, oltre un anno a cercare di distruggerlo e ora arriva una specie di mini uragano e manda a monte il mio duro lavoro.
 -Ehmm… Mi dispiace?- aveva chiesto la voce dell’essere che mi era caduto addosso. Era un bambino, doveva avere su per giù la mia età.
-E’ rovinato! Grazie!- avevo esultato, tutta contenta.
 -Prego, credo… sei una strana bambina, lo sai?-
-Adesso lo so. Mi chiamo Luna- e avevo allungato la mano al bambino che stava seduto davanti a me.
 -Tu lo sai che siamo ancora seduti nel fango vero?- aveva replicato lui, stringendomi la mano. Era un bel bambino, coi capelli nero corvino e due grandi occhi azzurri, celesti come il palazzo dove ci eravamo trasferiti, azzurri come il cielo d’estate e limpidi come l’acqua.
-Si, lo so, ma non mi importa, tanto siamo già tutti sporchi. O no?-
 -Quindi, non ti arrabbi se faccio… questo!- aveva detto lui, schizzandomi con del fango che mi finì dritto in faccia.
-Non se io faccio… questo!- avevo risposto io, sporcandolo a mia volta. Entrambi siamo scoppiati a ridere come matti, spruzzandoci di fango e rotolando, spingendoci a vicenda.
 -Comunque, io sono Francesco- aveva detto, tra una risata e l’altra. Avevamo continuato così per tutto il pomeriggio, alternando la nostra adorata pozzanghera all’altalena in fondo al cortile. Poi, una voce dall’alto, aveva ricambiato il mio nuovo compagno di giochi.
-Anche tu vivi qui?- avevo chiesto curiosa
 -Si! In cima- aveva risposto orgoglioso, mentre salivamo su per la scala principale… peccato che, a metà della prima rampa, ci eravamo trovati davanti a due donne molto nervose, una era mia mamma, l’altra era la sua.
   -Cosa devo fare con te Luna? E guarda il tuo povero vestito, ora sarà da buttare- aveva detto mia madre arrabbiata
-Ma che peccato- aveva sussurrato ironica, facendo ridere Francesco
     -E tu non ridere signorino, guarda come ti sei conciato, ma che avete fatto? Vi siete rotolati nel fango?- aveva chiesto la donna, innervosita.
-Si- avevamo semplicemente risposto noi, guardando le mamme che, esasperate, si portavano una mano alla fronte.
     -Almeno hanno fatto amicizia, era quello che volevamo, no Giorgia?-
    -Si Anna, ma non mi aspettavo che… ma in fondo cosa dovevo aspettarmi da mia figlia… Luna, lei è Anna, una mia vecchia amica, mentre lui è suo figlio Francesco, ha a tua stessa età ma a quanto vedo già vi conoscete-
     -Spero che ti sia comportato bene con la piccola Luna- gli aveva chiesto la signora Anna
 -Un vero signore!- aveva risposto lui, raddrizzandosi perfettamente e gonfiando il petto.
-Ma se mi hai buttato nel fango-
 -Non era intenzionale, e poi sei tu che stavi in fondo alle scale- aveva replicato lui, battendo un piede per terra mentre le due mamme ridevano come matte. Quella sera, Francesco, Anna e Carlo, il padre di Francesco erano ospiti a cena da noi, dove papà e i tizi del trasloco avevano ormai sistemato tutto. Mentre cenavamo avevo scoperto che mia mamma e la signora Anna avevo fatto insieme il liceo, ma si erano tenute in contatto ed era stata proprio lei, saputo del trasferimento di papà, a dirle dell’appartamento libero in cui vivevamo ora, per poter essere nuovamente vicine. A cena conclusa, avevamo lasciato gli adulti a chiacchierare in cucina mentre io trascinavo Francesco in salone dove era custodita la mia preziosissima collezione di DVD coi cartoni animati della Disney (grazie papà, per non aver buttato la mia infanzia come mamma voleva). Francesco aveva scelto Robin Hood, peccato che, mentre stavamo cantando la canzone del “re fasullo”, mio fratello si era seduto tra me e il mio amico, guardandolo male.
-Francesco, questo è mio fratello Stefano… saluta-
   -No! No piace Cesco! Mia Luna- aveva replicato mio fratello, guardando truce il bambino al suo fianco.
-Scusalo, è piccolo-
 -Fa nulla, anche io vorrei un fratellino… anzi una sorellina-
   -Mia!- aveva urlato mio fratello, arrampicandosi sulle mie gambe.
-Si, ora che ti fa comodo… Sicuro di non volerlo?-
 -No, voglio una sorella. Tu quando sei nata?-
-Il 13 Luglio, perché?-
 -Perfetto, io sono nato il 6 Maggio, quindi sono più grande e tu puoi essere la mia sorellina!- aveva deciso tutto da solo, ma era fiero del suo ragionamento.
-Ma non siamo davvero fratelli-
 -Lo so, ma non vedo problemi se ti considero la mia sorellina, no?-
-Penso di no- e questo era il secondo, importantissimo, ricordo legato a quel primo giorno di vita in quel palazzo celeste, di quel bambino con gli occhi azzurri che era diventato mio fratello. Perché vedevo veramente un fratello in quel nuovo amico, mai e poi mai sarei andata a pensare che sarebbe diventata una presenza così importante nella mia vita.
  
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