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Autore: Feel Good Inc    02/01/2008    6 recensioni
"Non puoi impedirti di soffrire isolandoti dalla realtà. E allo stesso modo non puoi vivere così, ancorato ad un ricordo che non hai più, al pensiero di ciò che hai perso; ora c'è quello che hai, e non puoi lasciarlo da parte in questo modo. Devi perdonarti..."
[Basata sull'omonima canzone di Elisa]
Genere: Romantico, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kanata Saiyonji, Miyu Kouzuki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una poesia anche per te

Una poesia anche per te

 

 

Spalancai la porta con l’unica mano libera. Uno sbuffo di vento e neve entrò in casa insieme a me.

«Sono tornata», gridai.

Immediatamente Baumiau si precipitò alla porta.

«Dia a me, signorina Miyu, e vada a scaldarsi. Il clima su questo pianeta è davvero orribile.»

Scoppiai a ridere.

«Questo è un periodo particolare, Baumiau. Del resto è anche il motivo di questa mia uscita nel gelo, no?» Gli tesi la scatola che tenevo sotto il braccio, poi mi tolsi la sciarpa piena di neve. «Dov’è Lou?»

«Dorme nella sua stanza, signorina.»

«Perfetto. Voglio andare subito a parlare con Kanata.»

«Ah. Buona fortuna.»

Fissai Baumiau. Cosa voleva dire? Perché “Buona fortuna”? Forse, tanto per cambiare, Kanata si era alzato con la luna storta?

L’alien-sitter si allontanò. Mi tolsi le scarpe e lo seguii in casa.

Percorsi il corridoio finché arrivai in cucina.

«Kanata?»

Non c’era.

Mi voltai sulla soglia in tempo per vederlo. Era appena arrivato dalla sua stanza, e si stava infilando una felpa sulla t-shirt. Sobbalzai, ma al tempo stesso mi sentii avvampare quando la sua testa emerse dal collo della felpa, sotto il cappuccio. All’improvviso mi sentivo come se lo avessi sorpreso in un momento personale, e cominciai a provare un certo imbarazzo.

«Mi hai fatto prendere un colpo!», lo aggredii, cercando di mascherarmi.

Dal canto suo, Kanata mi studiò attentamente.

«Cosa? Sei già in piedi? Alle otto di domenica mattina?»

Mi infervorai.

«Non sono mica la sfaticata che credi tu! Senza contare…» Mi tornò il buonumore al pensare al motivo per cui dovevo parlargli. «Senza contare che oggi è la vigilia di Natale.»

Distolse lo sguardo all’istante. Mi superò e si diresse ai fornelli per prepararsi la colazione.

«E allora?», sbuffò.

«Come sarebbe, “E allora”? Dobbiamo iniziare i preparativi! Addobbare il tempio, non so… A questo proposito avevo intenzione di chiederti…»

«Io non ho intenzione di addobbare nulla», mi interruppe. Continuava a non guardarmi, ma il suo tono era tremendamente brusco e definitivo. «Non ci pensare nemmeno, Miyu. Non parlarmi del Natale.»

Ammutolii.

«Ehm… Signorina Miyu?»

Mi voltai e vidi Baumiau, alla fine del corridoio, con ancora tra le braccia la scatola delle decorazioni che quella mattina avevo comprato, sfidando il tempo gelido e l’orario fin troppo mattiniero per i miei gusti, solo per fare una sorpresa a Lou e Kanata.

«Allora… Cosa ne facciamo, di queste?», chiese Baumiau, esitante.

Prima che potessi rispondere, sentii Kanata sbattere forte un tegamino sul piano della cucina. Poi lo vidi imboccare con decisione la porta.

«Non ho più fame», borbottò quando mi passò accanto.

Lo seguii con gli occhi mentre usciva. Poi guardai Baumiau, interdetta.

«Oggi è peggio del solito», osservai. «Sembra grave. Cosa dobbiamo fare con lui?»

L’alien-sitter ricambiò il mio sguardo con un’espressione seria che non gli si addiceva.

«Ha ragione, oggi è peggio del solito. Ma deve essere lui a volerne parlare, signorina Miyu. Se non vuole sfogarsi, non possiamo farci niente.»

Con quelle parole, si voltò e si diresse alla stanza di Lou.

Per un istante rimasi lì immobile. Cosa stava succedendo? Kanata aveva qualche problema serio che io non avevo colto? In quel caso dovevo stargli vicino. Nonostante tutto… Anche se non l’avrei mai ammesso… Nonostante tutto, non volevo vederlo star male.

Dopo qualche istante di esitazione, percorsi di nuovo il corridoio e mi avvicinai alla porta della sua camera. Bussai leggermente.

«Avanti.»

Quando aprii la porta, per un istante mi sembrò che fosse calata la notte. Le tende alle finestre erano tirate e nella stanza regnava la penombra. Kanata era seduto sul pavimento, la schiena al muro, le braccia intorno alle ginocchia. Rimasi sulla soglia a guardarlo, e sentii una tristezza infinita. Perché quel ragazzo non riusciva ad aprirsi? Perché non voleva che io lo capissi? In quella semioscurità, mi dava una sensazione di malinconia acuta, che sembrava volermi distruggere dentro.

Mi adeguai al suo silenzio e al suo isolamento chiudendomi la porta alle spalle.

Avevo intenzione di chiedergli cosa avesse, ma d’un tratto mi rendevo conto che condividere un silenzio può essere molto meglio che insistere con parole inutili.

Ma, sorprendentemente, fu lui a rompere quel silenzio.

«Domani non è solo il giorno di Natale, Miyu. Domani è il giorno in cui sono nato. Il giorno in cui mia madre è morta.»

 

 

Forse non sai quel che darei perché tu sia felice

Piangi lacrime di aria

Lacrime invisibili che solamente gli angeli san portar via

 

 

Mi sentii sprofondare.

Dunque era questo…

Rimasi immobile a guardare il suo viso nascosto dai capelli che gli ricadevano sulla fronte e dal buio che lo allontanava dal mondo intero.

In quel momento, in quella stanza, ebbi l’improvvisa consapevolezza di quanto tenessi a lui.

Accidenti, no, l’avevo sempre saputo, ma ora era evidente, era chiaro come il sole.

Mi resi conto che non avevo mai fatto nulla per ammetterlo, né per dimostrarglielo. Ero rimasta radicata nella mia diffidenza, nel mio orgoglio e nella mia sfacciataggine, facendo la presuntuosa, solo perché non volevo che lui capisse quanto in realtà mi fossi legata a lui. E in quel modo lui, già chiuso nel suo mondo riservato, lui che già costituiva un mistero per me e per tutti, lui che non esprimeva mai i suoi sentimenti, a sua volta si era ritratto ancora di più, allontanandosi irrimediabilmente. E non avevo notato quanto in realtà soffrisse, quanto avesse bisogno di un appiglio.

Di colpo capii che avrei dovuto fare qualcosa per lui.

In quel momento alzò la testa e mi guardò. Sentii il mio cuore battere forte. Eppure non potei fare a meno di soffermarmi sulla sofferenza rinchiusa in quei suoi occhi.

Avrei tanto voluto cancellare la tristezza da quegli occhi, quegli occhi bruni e impenetrabili che mi erano entrati a forza nell’anima, quegli occhi che non tradivano mai nulla, nemmeno con le lacrime, perché le sole lacrime che sembravano poter versare erano stille tormentate che nessuno in questo mondo era in grado di asciugare. Avrei voluto vederli sorridere, una volta tanto, senza più le ombre di dolore ad incupire il bruno caldo di quelle iridi. Avrei fatto qualsiasi cosa per alleviare quel dolore…

Ma cosa? Cosa potevo fare per lui, io che non potevo in alcun modo buttar giù quella barriera tra di noi, io che non ero capace di arrivare al suo cuore, io che lo amavo di nascosto e lo nascondevo persino a me stessa?

 

 

Ma cambierà stagione, ci saranno nuove rose

E ci sarà – dentro te e al di là dell’orizzonte

Una piccola poesia

Ci sarà – e forse esiste già al di là dell’orizzonte

Una poesia anche per te

 

 

Kanata continuava a guardarmi. Io continuavo a guardarlo.

Il silenzio si protraeva. Quelle parole che avrei voluto rivolgergli se ne stavano lì, volteggiando nella stanza intorno a me, incapace di sceglierle, afferrarle, metterle in ordine, dar loro un senso.

Eppure c’erano così tante cose che avrei voluto dirgli.

Avrei voluto consolarlo, sussurrargli che non avrebbe sofferto per sempre, che la vita andava avanti e che lui non poteva vivere nel dolore di un passato perduto. Ma non potevo dirgli nulla del genere, non potevo ricorrere a quelle frasi fatte. Perché, anche se era la pura verità, si trattava pur sempre di frasi fatte, frasi ripetute mille volte, tanto che il loro valore e la loro sincerità erano andati perduti da tempo. Non potevo e non volevo cadere in quella ripetitività che tanto assomigliava a superficialità.

Alla fine mi riscossi. Non sapevo cosa dirgli, era vero, ma potevo comunque stargli accanto.

A volte un gesto è come un silenzio: rivela tutto ciò che le parole non sanno esprimere.

Mi avvicinai a Kanata, ancora immobile al pavimento. Mi lasciai cadere in ginocchio e lo abbracciai.

Ero sconvolta da me stessa, ma l’impulso era stato troppo forte.

In qualche modo, volevo fargli capire che lo capivo e che soffrivo con lui.

 

 

Vorrei rinascere per te e ricominciare insieme, come se

Non sentissi più dolore

Ma tu hai tessuto sogni di cristallo troppo coraggiosi e fragili

Per morire adesso, solo per un rimpianto

Ci sarà – dentro te e al di là dell’orizzonte

Una piccola poesia

Ci sarà – dentro te e al di là dell’orizzonte

Una poesia anche per te

 

 

Kanata rimase immobile, il viso tra la mia spalla e la mia guancia, le braccia ancora strette alle gambe che sentivo vicine al mio corpo. Come sorpreso, come se non sapesse reagire.

Ancora una volta avrei voluto parlargli, dirgli quanto gli ero vicina in quel momento. Finalmente capivo che davvero volevo stare al suo fianco, contro il dolore del mondo circostante, cercando di annullarlo. Ma ancora non riuscivo ad esprimere quel sentimento, né a lui, né a me stessa.

Ad ogni modo cercai le parole più adatte, quelle meno scontate, quelle più sincere.

«Lo so che stai male. So che fa male andare avanti con questo pensiero. So che hai rinchiuso la tua fragilità dietro uno scudo che ti difenda dal mondo, che ti impedisca di soffrire ancora. Ma so anche che in questo modo ti risulta impossibile sorridere di nuovo, stare bene, sognare. Forse dovresti buttare giù quello scudo, Kanata.»

Mi interruppi, chiedendomi come avevo fatto a parlargli così, mentre il mio cuore era in tumulto.

Sentii che lui si irrigidiva tra le mie braccia, ma non si sottrasse, né si mosse in altro modo.

«Tu non puoi capire.» Per un istante pensai che stesse per piangere, ma nonostante il tremore nella voce, il suo tono rimase lucido, razionale, oggettivo, quasi distaccato. «Io l’ho uccisa, Miyu. Lei è morta per me. Per colpa mia.»

Mi allontanai all’istante da lui.

Lo schiaffo che arrivò sulla sua guancia bruciò anche sulle mie dita.

«Non provare a ripeterlo, capito? Devi smetterla di pensare in questo modo! Non puoi fare del suo ricordo un rimpianto! Non puoi starne male fino a distruggerti, non puoi colpevolizzarti così! Non puoi rifiutarti di guardare oltre, di andare avanti… Non puoi rifiutare la vita, Kanata!»

 

 

Perdona e dimenticherai, per quanto possa fare male, in fondo sai

Che sei ancora qui

E dare tutto e dare tanto quanto il tempo in cui il tuo segno rimarrà

Questo nodo lo sciolga il sole, come sa fare con la neve

 

 

Lo fissai, improvvisamente furiosa e per niente dispiaciuta di averlo schiaffeggiato. Ma perché doveva buttarsi così giù? Perché mi rendeva tutto così difficile, accidenti a lui?

«Kanata, tu sei un ragazzo impossibile. Ti tieni tutto dentro, non esprimi mai le tue emozioni, rifiuti il contatto e il confronto degli altri, ma questo non ti rende le cose più leggere. Non puoi impedirti di soffrire semplicemente isolandoti dalla realtà. E allo stesso modo non puoi vivere così, ancorato ad un ricordo che non hai più, al pensiero di ciò che hai perso; ora c’è quello che hai, e non puoi lasciarlo da parte in questo modo. Devi perdonarti, devi liberarti di questa stupida idea di essere responsabile della morte di tua madre. Perché tu sei qui, vivi il presente, e non puoi cambiare il passato. Puoi solo costruirti un futuro, e non è giusto che tu lo faccia all’ombra del dolore passato.» Mi accorsi di piangere. Non sapevo se quelle lacrime fossero di frustrazione, di disperazione o di rabbia. Forse erano di tutte e tre le cose. Kanata distolse lo sguardo, ma io continuai. «Senti, io lo so come ti senti… D’accordo, puoi benissimo dirmi che non è vero, perché io non ho mai perso nessuno… Va bene, hai ragione… Però posso immaginare come fa male. È proprio per questo che devi andare avanti. Devi fare in modo di alleviare il dolore. Non lo potrai cancellare, quello lo potrà fare solo il tempo… Ma non puoi, non puoi comportarti così… Devi trovare una strada nuova.»

Improvvisamente Kanata tornò a guardarmi in viso, e mi accorsi che i suoi occhi erano pieni di lacrime.

Non lo avevo mai visto piangere.

«Credi che non me lo ripeta anch’io, giorno dopo giorno?» Disse quelle parole con un tono accusatorio che mi fece malissimo. «Credi che io voglia sentirmi così? Non pensi che farei volentieri a meno di convivere con tutto questo? Ma non ci riesco, non riesco a sfuggire a quei fantasmi…» Chiuse gli occhi e portò di nuovo il viso all’altezza della mia spalla. «Non ci riesco, Miyu… Non ce la farò mai…»

Lo abbracciai di nuovo, rispondendo con le mie lacrime alle sue, senza più parole. Mi strinse alla vita, e alla tristezza si affiancò l’imbarazzo e il batticuore per quell’abbraccio che avevo sperato di ricevere in circostanze diverse.

Restammo così per un tempo che sembrò infinito. Ascoltavo il suo pianto, tutto quel male che finalmente si riversava fuori, veniva allo scoperto, perché non poteva più essere sostenuto. Avevo utilizzato tutte le parole possibili. Ora non c’era più molto che potessi fare. Anzi, non c’era più nulla.

Alla fine Kanata si allontanò da me e mi guardò. Aveva il viso segnato dalle lacrime e dallo sfogo, ma anche così i suoi lineamenti mi affascinavano. Mi guardò con una strana intensità, al punto da farmi distogliere gli occhi dai suoi.

«Forse è meglio che ti lasci solo…», mormorai, sul punto di alzarmi.

Ma lui mi trattenne afferrandomi il polso.

«Miyu…»

Lo guardai di nuovo. Il cuore mi batteva tanto forte da assordarmi.

Poi l’espressione di Kanata si rilassò, e nella penombra lo vidi sorridere. Un sorriso esitante, timido, reduce dal pianto, che mi fece sciogliere.

«Grazie», disse semplicemente.

Ricambiai il sorriso con la stessa incertezza.

«Senti…» Esitò solo un secondo prima di buttare giù la sommità della barriera. «Hai ancora intenzione di decorare il tempio, per Natale?»

Sorrisi più apertamente e annuii.

«Posso… aiutarti?»

Avevo voglia di buttargli di nuovo le braccia al collo, ma riuscii a trattenermi, in nome della mia antica boria, del rifiuto di cedere a quel sentimento che però stava diventando sempre più soverchiante in me.

«Certo che puoi aiutarmi.»

 

 

Ci sarà – dentro te e al di là dell’orizzonte

Una piccola poesia

Ci sarà – e forse esiste già al di là dell’orizzonte

Una poesia anche per te

 

 

Mi alzai per uscire dalla sua stanza.

Anche Kanata si sollevò e andò direttamente alla finestra, dove aprì le tende e spalancò le ante, lasciando entrare finalmente la luce del sole della vigilia di Natale.

«Ma cosa…?»

Mi voltai e vidi subito il motivo della sua sorpresa.

Appesa appena fuori della finestra c’era una bellissima ghirlanda natalizia. All’esterno, Baumiau volteggiava a mezz’aria roteando la coda come un’elica, sorridendo a Kanata, interdetto davanti a lui.

«Ho già provveduto alle decorazioni, signorino Kanata», disse l’alien-sitter. «Sapevo che la signorina Miyu sarebbe riuscita a farle cambiare idea, così ho risparmiato tempo. Col vostro permesso, ora vado ad occuparmi del padroncino Lou. Deve essersi svegliato.»

Svolazzò lontano dalla mia visuale. Mi avvicinai alla finestra per seguirlo con lo sguardo e lo vidi entrare da quella della stanza di Lou.

«Ah, sapeva che saresti riuscita a farmi cambiare idea, eh? Cos’era, un complotto?»

Mi voltai verso Kanata. Era vicinissimo a me, una mano sul davanzale, la frangia mossa dal vento, lo sguardo a metà cupo e a metà divertito. Ancora una volta sentii il cuore sobbalzare, ma gli tenni testa.

«Ma cosa vai a pensare? Non è certo colpa mia se Baumiau è così previdente…»

«Miyu…»

«Ah, no, tu devi smettere di pensare sempre male di me, chiaro? Non è affatto bello da parte tua…»

«Miyu…»

«Cosa?», sbottai, notando che si era fatto serio.

«Guarda in alto», mi disse, senza cambiare espressione.

Obbedii controvoglia. Stavolta il cuore mi saltò un battito.

Nel centro della ghirlanda alla finestra, una piantina di vischio sembrava protendersi sulle nostre teste. Non ricordavo nemmeno di aver comprato una cosa del genere, quella mattina.

Abbassai lo sguardo fino a incontrare di nuovo gli occhi di Kanata. Era più vicino di quanto mi fosse sembrato solo un secondo prima. Mi sentii avvampare.

Lui mi attirò a sé, prendendomi per mano.

«Sai quella strada di cui mi parlavi prima?», mormorò. «Credo di averla trovata… L’ho sempre avuta qui, ma per qualche motivo sono riuscito a vederla solo oggi…» Mi sfiorò una guancia. «Grazie a te…»

Poi scese sulle mie labbra e mi baciò, e io non seppi più nulla.

 

 

Anche per te – per te

Per te, per te

Per te, per te

Per te

 

 

Sono passati sette anni.

Oggi è la vigilia di Natale.

Non riesco fare a meno di sorridere mentre ricordo il giorno del mio primo bacio, il giorno in cui io e Kanata siamo cambiati insieme, superando il nostro orgoglio di adolescenti impacciati per guardare a quella strada che ci avrebbe portato verso un nuovo orizzonte.

Ma non è solo questo il motivo per cui sorrido.

Kanata è appena uscito dal cimitero. Guardandolo negli occhi, adesso so che ce l’ha fatta. Oggi è riuscito a chiudere la porta a quel rimorso che finora non ha mai saputo dimenticare. Mi viene incontro.

«Scusa il ritardo», mormora. «Stavo solo parlando un po’ con lei.»

«E cosa le hai detto?»

Mi guarda senza sfuggire al mio sguardo.

«Che l’ho lasciata andare. Che il suo ricordo resta, ma che non potrò mai più condannare me stesso, anche se questo significa che sono un egoista.» Mi attira a sé, come quel giorno, come per quel primo bacio, circondandomi con le braccia. «E le ho detto che domani ti sposerò.»

«Hai visto? Te l’avevo detto, che ce l’avresti fatta.»

«Non ce l’avrei fatta senza di te, Miyu.»

Mi sorride; nei suoi occhi l’ombra del rimpianto è sparita per sempre. Poi li chiude per baciarmi, e racchiuso nelle sue labbra sento solo il sapore della strada che ha trovato. La nostra strada.

   
 
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