Storie originali > Horror
Ricorda la storia  |      
Autore: Albezack    18/06/2013    7 recensioni
Spesso ci spingiamo oltre quello che possiamo capire.
(Ringrazio Alistel, a cui dedico la storia)
Genere: Horror, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La vita adesso è molto meglio.
Non ho più paura di quello che può pararmisi contro ogni giorno. Passo le giornate su questa panchina in riva al mare, aspettando. Per lo più penso a quando ero un ragazzino felice, spensierato, a quando i miei genitori mi mettevano in punizione perché avevo rotto la finestra dei vicini giocando a pallone.
Adesso ho 82 anni, ma posso dire che quegli anni giovanili, assieme a questa ultima manciata che mi resta, sono gli unici in cui ho davvero vissuto.
Sperando di aver catturato la vostra attenzione, lasciate che vi racconti brevemente la storia della mia vita, non perché io sia un esibizionista, né tantomeno perché sono il solito vecchio che sente il bisogno di tramandare se stesso. Diciamo piuttosto che quella che sto per dirvi è la storia eccezionale di un uomo comune, e solo per questo a mio avviso merita di essere ricordata.
Tutto cominciò durante l’estate del 1954. Nonostante fosse quasi la fine di Agosto, quella mattina era decisamente fredda, forse un anticipo di quello che sarebbe stato il rigido inverno successivo. Senza nemmeno sapere il perché, presi la giacca, il portafoglio ed uscii in strada. Ricordo che stetti quasi un minuto fermo, a guardare la gente che passava e salutare meccanicamente quei pochi che mi rivolgevano la parola.
Dopo partii.
Non saprei dire con esattezza né quanto camminai né dove mi stessi recando, mettevo semplicemente un piede avanti all’altro, una, due, infinite volte. Quando le gambe iniziarono a farmi male, il sole iniziava già ad abbassarsi, le ombre a diventare sempre più lunghe.
 Quanto tempo era passato? 7 ore? 8 ore? Per tutto il tragitto la mia mente era sgombra, guardavo solamente le scene di vita comune che accadevano intorno a me, da spettatore. E intanto camminavo.
Nemmeno il fatto che ormai fosse troppo tardi per tornare indietro e che non avevo alcun posto dove andare pareva turbarmi più di tanto. Non sapevo nemmeno dove fossi, eppure ero tranquillo, mi sentivo in pace con me stesso e con il mondo. Una sensazione che non avevo mai provato prima, sempre preso com’ero a fronteggiare i mille piccoli problemi che affliggono l’esistenza di chiunque.
Nessun pensiero, nessuna preoccupazione, nessuna razionalità.
In quella specie di trance in cui mi trovavo non sentivo neppure la fame, solo lievemente la stanchezza. Entrai in un bar, comprai una birra ed uscii di nuovo nell’aria fredda di quella giornata di fine Agosto. Capii di essere vicino al mare, dal sentore salino che il vento portò alle mie narici. Sempre seguendo quel senso di pace e follia con cui mi ero svegliato quella mattina mi ritrovai qui, su questa spiaggia, seduto su questa panchina. Ero l’unica persona a vista d’occhio, ero il re incontrastato del tramonto mozzafiato che mi si parava davanti agli occhi. Una giungla di riflessi rossi, arancioni, rosati sembrava come ballare su quel mare piatto, sconfinato. Stappai la birra facendo leva con le monetine del resto e rimasi a fissare il sole morente, rapito.
Quante volte le mamme dicono di non fissare il sole, di usare qualche protezione? Perché sennò ti si brucia la retina. Anche la mia lo aveva detto molte volte, quando ero bambino, ed io le avevo sempre ubbidito, non l’avevo mai guardato per più di un secondo.
Ma quella sera non distolsi lo sguardo. Sentii gli occhi che iniziavano a fare male, ma non smisi di fissare quel bagliore accecante per un solo attimo. Vidi un puntino nero formarsi esattamente al centro del mio campo visivo, lo vidi crescere ed assumere la forma esatta del sole. Un mezzo disco nero, che aumentava continuamente di dimensione. Ma il problema fu cosa vidi al centro: un qualcosa, un’immagine che si stagliava sullo sfondo scuro, definita ma allo stesso tempo sfuggevole. La vedevo distintamente ma il mio cervello non la registrava, non riusciva a comprenderla. Sembrava una forma umana, ma mutava, in continuazione.
“Tutto bene, amico?”
Queste parole mi riportarono alla realtà e appena spezzai quel legame che ancorava i miei occhi al sole, fui colto da una sensazione di stordimento e nausea. Tutto nero, non riuscivo più a mettere a fuoco. Solo sagome indistinte attorno a me. La spiaggia, la panchina e un uomo che a quanto pare si era appena seduto, sull’altra estremità.
“Si, grazie, non so che dev’essermi preso”
Stare con gli occhi chiusi qualche minuto mi fece riprendere lentamente coscienza. L’estraneo non proferiva parola, ma sentivo la sua presenza dal respiro e dal fatto che non avevo avvertito il contraccolpo di quando qualcuno seduto vicino a te si alza. Il bruciore era ancora piuttosto forte, ma quando trovai il coraggio di sollevare le palpebre, notai che le forme ed i colori stavano pian piano riprendendo il loro posto.
“Non si dovrebbe guardare il sole, ragazzo” disse sorridendo lo sconosciuto, guardandomi intensamente. Un uomo di mezza età, capelli grigi e impermeabile leggero nero. Quegli occhi mi attraversarono da parte a parte, non avevo mai visto dal vivo un caso di bicromia così spaventosamente bello. Occhio sinistro blu ed occhio destro verde, chiari. Il tramonto che mi si stagliava di fronte era un quadretto di un pittore di seconda categoria a confronto di quelle iridi.
“Già, non so perché l’ho fatto” dissi in un sussurro, rapito da quello sguardo magnetico. L’uomo sorrise. “Non sei di queste parti, vero?” mi chiese affabile, “non credo di averti mai visto in giro, sai, qui ci conosciamo un po’ tutti”.
“Non lo nego” risposi cercando di abbassare lo sguardo per nascondere il mio imbarazzo, per averlo fissato così a lungo e intensamente. “Anzi, a dire il vero, non so nemmeno perché mi trovo qui” continuai, “probabilmente avevo solo voglia di camminare…ma si sta facendo tardi, forse è meglio che cerchi un posto dove passare la notte”.
“O forse volevi, anche se solo per un giorno, scappare dalla tua vita” mi interruppe il vecchio, fissando il mare che iniziava ad agitarsi. Quella risposta mi bloccò. Non perché mi stupisse quella confidenza che subito si era preso, ma perché, in fondo, sapevo che aveva perfettamente ragione.
“Lo vedo chiaramente, Ed, non sei soddisfatto della piega che sta prendendo la tua esistenza, sei frustrato e deluso per come hai tradito i tuoi sogni, per come hai abbandonato quello che volevi davvero per diventare un’altra vittima di questa gabbia di religioni e leggi che è il mondo”, iniziò a dire lo sconosciuto, sempre con una tranquillità e sicurezza disarmante.
Come sapeva il mio nome? Come sapeva che tutti mi chiamano Ed?
“Chi sei?”
“Non vorresti saperlo, Ed”
“Se è uno scherzo, non è divertente, credo proprio che debba andare” dissi con fermezza alzandomi e iniziando a provare un certo disagio.
“Ed”
Quegli occhi. Mi fissavano, erano quasi luminosi. Pareva che solo con lo sguardo quel tizio potesse leggermi, capirmi.
Ed infatti è così, Ed.
 La sua voce mi risuonò in testa, chiara. Le sue labbra non si erano mosse, di questo ne ero e ne sono certo. Tutto quello che aveva continuato a fare era fissarmi e sorridere, con quell’espressione che col tempo iniziava ad apparirmi sempre più eterea, impossibile. I suoi tratti si stavano deformando, il colore dei suoi occhi mutava e assumeva mille sfumature diverse. Quella che dopo qualche secondo mi trovai davanti era una versione di lui più giovane di almeno 20 anni. E quegli occhi, senza più grazia né bellezza, di un rosso vivo, caldo. Le gambe non mi ressero e caddi di nuovo sulla panchina, incapace di fare altro che guardare inebetito quei bracieri fiammeggianti che erano posati su di me.
Sei il diavolo, pensai.
Non puoi farmi nulla, non credo in nessuna religione, né in Dio, né in Satana.
Il sorriso sulla bocca di quell’essere si allargò, sempre di più, scoprendo una fila di denti sottili come aghi, bianchissimi e aguzzi. Pensavo che la mia fine fosse ormai giunta, quando invece quella voce mi riempì di nuovo la testa.
Non essere stupido, Ed, non offendere la tua e soprattutto la mia intelligenza. Io non sono Satana, né Belial, né alcun demonio che la chiesa o chi vuoi tu ti abbiano presentato. Non esiste una religione giusta, tutto quello che esiste in questa fogna è il Bene e il Male. E non è nemmeno così scontato che siano due entità nettamente separate, te lo sei mai chiesto? E’ peggiore un omicida o uno che guarda qualcuno morire? Ad ogni modo non sono qui per questo, sono qui per offrirti una possibilità, per darti l’occasione di vedere come funziona questo buco schifoso che tu e io chiamiamo Mondo.
L’essere alzò una mano e l’appoggiò sulla mia spalla sinistra.
Vedrai Ed, tu vedrai.
Svenni, incapace di reggere quello che era appena accaduto.
*
“Sta bene??” l’anziano signore mi stava scuotendo vigorosamente, “si sente bene??”. I suoi occhi blu e verdi mi stavano fissando, allarmati. Era ancora lui, il vecchio dallo sguardo magnetico, nessuna traccia di ringiovanimento, nessuna traccia di occhi rossi come sangue.
Ho sognato ad occhi aperti, mi dissi, non ci credo.
Avendo avuto mille grattacapi in quel periodo, mi autoconvinsi che tutto quello che era avvenuto in quelle ultime ore fosse solo un brutto tiro della mia mente stanca. Quella sera pernottai in una locanda del posto, sempre vicino al mare. L’appetito era poco, così dopo un breve pasto a base di pesce salii in camera. La vista era bellissima, il mare illuminato dal chiarore di una luna che aveva quasi raggiunto la sua pienezza, una leggera brezza iodata che filtrava attraverso la finestra aperta della mia camera.
Mi coricai subito, vestito, senza nemmeno togliere il copriletto. Tutta la stanchezza accumulata nel giorno mi piombò addosso solo in quel momento, le palpebre erano talmente pesanti che impiegai solo poco più di un minuto per addormentarmi.
*
Vedrai Ed, tu vedrai.
*
La mattina successiva avevo le gambe talmente intorpidite da non riuscire quasi a muoverle. Infilai mezzo piede nelle scarpe come se fossero ciabatte e mi affacciai alla finestra, che era rimasta aperta per tutta la notte.
Una bella giornata di sole. Dopo qualche ora di sonno, tutta la mia esperienza poteva benissimo essere davvero avvenuta solo nella mia testa. Mi avviai nel piccolo bagno adiacente alla camera, con l’idea di rinfrescarmi con una doccia. Gli asciugamani puliti erano appoggiati su una mensola, in modo preciso. Ne presi uno e iniziai a spogliarmi, storcendo il naso per il dolore provocato dall’acido lattico nelle mie gambe ad ogni piccolo movimento. Mentre mi sfilavo la camicia con la coda dell’occhio notai un alone rossastro sulla spalla sinistra. Mi fissai allo specchio. Come uno strano tatuaggio (a quel tempo i tatuaggi non erano comuni come al giorno d’oggi), il disegno di una mano occupava il posto tra deltoide e collo. Rossa. Istintivamente provai subito a lavarla via, mentre uno strano senso di angoscia si impossessava piano piano di me, risvegliava nitido il ricordo dell’incontro della sera precedente. Ovviamente nessun risultato. Una mano immobile sulla mia spalla, dove lui mi aveva toccato.
Cosa significa? Perché una mano? mi chiesi rivestendomi, il pensiero della doccia ormai in un angolino remoto della mia testa. Presi le mie cose, saldai il conto ed uscii. Per tutto il tragitto in taxi ripensai al vecchio, al demonio, o qualunque cosa fosse, ai suoi occhi prima irresistibilmente belli e subito dopo immondi e feroci, rivivendo mentalmente tutta la scena. Entrato in casa mi diressi subito in camera, mi svestii e andai nuovamente a letto, forse inconsciamente per fare un secondo tentativo, per cancellare gli ultimi due giorni dalla mia vita. Il sonno stavolta si fece attendere più a lungo, essendo ancora pomeriggio inoltrato, ma quando venne lo accolsi come una benedizione e scivolai in un oblio senza sogni.
*
Vedrai.
*
Il giorno successivo, effettivamente, iniziai a vedere. Non me ne accorsi subito, ma quando attraversai letteralmente una signora grassa che camminava verso di me ebbi un tuffo al cuore. Mi ero aspettato un impatto, che però non c’era stato. Ci voltammo contemporaneamente a guardarci, lei mi sorrise e si incamminò nuovamente, passando attraverso un bambino fermo sul marciapiede alla fermata del bus. Il ragazzino si cacciò un dito nel naso nell’attesa e, osservando soddisfatto la caccola verdastra che aveva estratto, levò un braccio in saluto verso di me, che lo stavo fissando. Ricambiai, notando che non si era accorto minimamente della donna.
Tali scene iniziarono a presentarsi ai miei occhi sempre più frequentemente, lasciandomi nello sconforto. Non capivo. Cosa potevano mai essere? Allucinazioni?
Il dubbio che fosse necessario l’intervento di uno strizzacervelli iniziò ad apparirmi sempre più plausibile e sempre meno improbabile. Ma c’era quella mano rossa, sulla mia spalla. Non ero pazzo, avevo le prove.
L’avvenimento che segnò una svolta di questa triste vicenda avvenne a distanza di circa un mese dall’incontro col vecchio. Scaricavo la spesa appena fatta dal baule della mia auto, una Ford Escort piuttosto scassata, quando vidi mio padre.
Il piccolo dettaglio è che mio padre era morto, da tempo. Un infarto lo avevo stroncato quando nemmeno riuscivo ancora ad allacciarmi bene le stringhe delle scarpe. Eppure era lì, che mi guardava.
“Papà?”
Nessuna risposta. Lui era lì fermo, mi guardava e sorrideva. Quanto avrei voluto che avesse detto qualcosa, avrei voluto raccontargli mille cose, la mia prima ragazza, l’università, lo sport, tutto. Ma quella versione di lui eterea e trasparente non faceva altro che rimanere immobile e fissarmi. Sorridendo. Rimasi per molto tempo a guardarlo e porgli domande, ma vedendo che era uno sforzo inutile, lo abbandonai sul marciapiede e portai in casa le borse della spesa. Quando tornai indietro a chiudere il portone, vidi che se n’era andato.
Questa storia iniziava decisamente a preoccuparmi, soprattutto ora che avevo capito cosa erano quelle allucinazioni. Erano le anime delle persone defunte. Non so come o perché, ma doveva essere senz’altro così, avevo visto mio padre. Tuttora sono sicuro che sia stato esattamente così.
Ma le sorprese non erano finite. Quella sera allo specchio, mentre osservavo con attenzione il mio nuovo tatuaggio fulvo, notai che la posizione era leggermente diversa. Prima era visibile solamente una mano, mentre in quel momento si distingueva chiaramente anche un buon pezzo di polso ed avanbraccio. La mano si era spostata, verso il pettorale, più in basso.
Cosa vuol dire?
*
Tutto questo ebbe un impatto notevolmente negativo nella mia vita: mi impedì di avere una famiglia, il mio animo era troppo turbato per provare emozioni come l’amore. Quindi rimasi solo, per tutta la mia esistenza, fino ad oggi.
Queste scene si ripeterono per anni. Ed è brutto da dire, ma mi ci stavo quasi abituando. Alla fine il tempo smussa ogni cosa, vince ogni paura ed ha la meglio su ogni situazione, anche se mai completamente. Ma a quanto pare, quello che era in serbo per me non era ancora finito. Quello che dovevo vedere non era solo questo. Come se incontrare persone care che erano venute a mancare non fosse già abbastanza.
Incontrai mio nonno materno, un giorno, al supermercato. Come mio padre anche lui appena mi vide si limitò a fissarmi e sorridere. Nessuna risposta, nessuna parola. E non era tutto. Più vedevo e più la mano sulla mia spalla si abbassava, dirigendosi al centro del petto, le dita stavano iniziando a chiudersi.
Ma torniamo a qualche riga fa, iniziai a vedere molto di più. La prima volta accadde come fenomeno isolato, ma poi la frequenza si intensificò al punto da diventare almeno pari alle mie visioni di quei fantasmi. Sto parlando di demoni, vedevo dei demoni veri e propri, non saprei come altro definirli. Comunque creature mostruose, piccole ed anch’esse eteree. Di forma umanoide, ma con dei volti che avrebbero tolto il lume della lucidità a chiunque (sarò pazzo adesso? Penso di si). Si muovevano velocemente, a brevi scatti, facendo roteare la lingua e gli occhi in modo del tutto inumani. Ma non è tutto. Queste creature si nutrivano dei fantasmi. Si avvicinavano alla vittima e la risucchiavano, nel vero senso della parola. La aspiravano, attraverso quelle fauci deformate. Persi il conto delle volte che vidi accadere tali episodi, ma la cosa che più mi disturbava è che tutto ciò avveniva in mezzo della vita comune. Nessuno vedeva niente, solo a me era toccato questo privilegio. La gente continuava a comprare il giornale, prendere il bus, fare la spesa, andare al cinema. Tutto mentre magari a pochi passi qualche anima veniva inghiottita da questi esseri deliranti e immondi.
Mentre prima ero riuscito a sopportare quello che mi stava accadendo, provando a vivere la mia vita come se nulla fosse, con l’apparizione dei “demoni” iniziai a voler far finire questa storia. Pensai molte volte al suicidio, ma non è una cosa facile come tanti pensano. Rimanevo lì, con la lametta del rasoio appoggiata sul polso, guardandomi allo specchio, incitandomi a farlo. Ma non ci riuscivo, evidentemente il mio attaccamento alla vita era più profondo di quello che pensavo. Quindi la riponevo e rimandavo.
Spesso mi trovavo a rivivere il mio incontro col vecchio. Tutto nella vita deve avere un senso, quindi quello che mi stava capitando non poteva certamente essere casuale. Avevo guardato il sole quella sera, lo avevo fissato fino a credere di perdere la vista per sempre, ma ciò non era accaduto. Quel giorno avevo visto qualcosa, avevo visto delle forme, forse umane, forse no. Ma mi sto convincendo sempre più che tutto ciò avesse a che fare con l’aldilà, con il vero meccanismo del mondo, con ciò che non ci è dato conoscere.
Che fosse Dio?
*
Quello che decisi non fu affatto facile. Non riuscivo a togliermi la vita, quello era un dato di fatto. Ma notai che tutti questi fenomeni mi erano manifesti solo perché li vedevo. La vista era quello che permetteva a tali immagini di farmi impazzire, di minare la stabilità della mia mente, che sentivo vacillare sempre di più. Anche il vedere la mano sulla mia spalla aprirsi lentamente iniziò a suggerirmi che ciò potesse avere una relazione con la mia vita. Stava mirando al cuore, ed il cuore è il simbolo della vita. Convinsi me stesso che quando quella mano si fosse richiusa all’altezza del petto, sarei andato a far parte della schiera di anime alla mercè di quelle piccole creature infernali. Non volevo più vedere, ne avevo abbastanza. Decisi così di togliermi la vista, qualche anno fa. Ci misi anni per convincere me stesso a farlo, ma sono tuttora convinto che sia stata la soluzione più giusta. Mi procurai dell’acido cloridrico. Avevo pensato a cavarmi gli occhi con l’aiuto di un coltello o qualcosa di simile, ma non ce la facevo. Tutto quello che mi venne in mente fu provare a metterci dell’acido. Come se fosse un collirio, alla fine. Avevo la boccetta in mano, la guardavo, senza sapere che fare, senza riuscire a togliere anche solo il tappo. Ma ero stanco, ero al limite, dovevo farlo, per non impazzire del tutto. Così spalancai l’occhio destro e lasciai cadere qualche goccia di acido al suo interno. Un dolore inimmaginabile esplose nella mia testa, facendomi svenire. Feci solo appena in tempo ad appoggiare il flaconcino per non farlo rovesciare. Al mio risveglio constatai che avevo raggiunto il risultato sperato, non vedevo più dalla parte destra. Il dolore era enorme, ma sapevo di non aver ancora finito. Con un coraggio che non saprei ancora dire dove avessi trovato, ripresi in mano la fialetta. Lo dovevo fare. E lo feci.
*
Da quel giorno la mia vita tornò alla normalità, se trascuriamo il fatto di essere diventato cieco. Ma il non dover più vedere quelle creature, il non dover più vedere persone morte, fu come un balsamo per la mia mente ormai sull’orlo della pazzia. Imparai a percepire il mondo con gli altri sensi, e devo dire che sono rimasto davvero stupito dalla nostra capacità di adattamento. Riuscii a risollevarmi. L’unico cruccio che mi rimase è la curiosità sul mio tatuaggio. Com’era mutato? La mano stava raggiungendo il cuore? Ma comunque il non poter verificare mi tranquillizzava, vivevo la mia vita come una persona normale. Il medico qualche volta mi chiese perché mai me lo fossi fatto, e risposi sempre “stupidità giovanile”. Ad ogni modo, il fatto che non dicesse “ma si è spostato?”, “ma è diverso?” mi lasciava supporre che si fosse arrestato. Era quindi collegato a ciò che vedevo, in qualche oscuro modo.
L’unico grande dubbio che mi è rimasto è cosa avessi visto quel giorno nel sole. Non mi importa ormai più di nulla, non ho più parenti, non ho mai avuto una moglie né figli. Non ho nessuno e non mi interessa più nulla. Voglio sapere solo questa cosa. Poi posso anche morire, non dico contento, ma almeno con una briciola di soddisfazione per aver capito quel disegno. Quel disegno che ho rivisto in sogno quasi ogni sacrosanta notte.
Per questo motivo torno ogni giorno su questa panchina, dove il vecchio mi apparve quella lontana sera di Agosto. Lo aspetto per sapere la verità. Sarò anche presuntuoso a dirlo, ma di sicuro me lo deve, con quello che ho passato. In questo momento dovrebbe esserci un tramonto davanti a quelli che erano i miei occhi, l’ora dovrebbe essere più o meno quella. L’odore salino del venticello è un qualcosa di indescrivibile, non vedere ti fa apprezzare ed amplificare qualsiasi altra percezione.
Il cuore sta accelerando i battiti, qualcuno si è seduto vicino a me, senza dire nulla.
Una voce. Quella voce: “Ed”
“…Sei tu?”
“Si”
Sto tremando.
“Cos’ho visto quel giorno?”
“Non ti è dato saperlo, ma è esattamente quello che immagini”
 
 
  
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Horror / Vai alla pagina dell'autore: Albezack