Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: DrewSheerio    19/06/2013    0 recensioni
Sto pagando per una cosa orribile che non ho commesso. Non potrò mai più rivedere mia moglie o mio figlio, non potrò vedere la faccia di mio padre quando tornerò a casa vincitore. Perché ho perso.
Ciao mi chiamo Steve.
OT// era per un concorso, non rubate per favore ha il copyright
Genere: Guerra, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Una mattina di ottobre, lattiginosa e incerta, di quelle che soltanto verso le nove riescono a sembrare mattinate e non crepuscoli, ero in piazza, a Orta, appena uscito da un albergo dove avevo passato la notte. Era domenica, la piazza deserta, le foglie immobili, il lago un globo di nebbia. L’isola di S. Giulio era invisibile. Da una grossa macchina arrivata silenziosamente sotto le piante uscì un uomo, poi una donna, e uno per volta altri tre uomini che cominciarono a scaricare borse e involti dai quali sporgevano verdure, fiaschi e bottiglie.

Li osservai attentamente per una decina di minuti, mentre montavano dei tavoli e sistemavano le tovaglie a fantasie floreali.  Mi voltai per pochi secondi incantato dal volo di un gabbiano, e quando ritornai a guardare quelle persone c’era una festa: i tavoli erano imbanditi, cibo ovunque, persone sedute da ogni parte, di tutte le età e provenienza, gente allegra, che voleva divertirsi.
Mi avvicinai alla donna che era scesa da quel furgoncino.

-Mi scusi- esordì incerto. Ella si girò e non ci fu gioia più grande sul mio volto quando incrociai i suoi occhi.
-Si?- fece lei, mi risvegliai dal terpore creato dal suo sguardo e balbettando riusci a chiedere cosa stesse accadendo.
-E’ finita- rispose con un sorriso.
-E’ finita?-
-E’ finita.-
-Ma cosa?-
-La guerra.- disse, solo questo, ma quelle due parole mi crearono un vortice di emozioni, dentro, nello stomaco, e su fino alla materia grigia che sentì ribollire sotto il cranio.

La guerra? Che guerra? La mia guerra? Fino a li era arrivata la notizia? Avevamo vinto? Era finita davvero?
Era con queste domande che avrei voluto investire la donna che mi stava di fronte, ma mi trattenni. Invece le sorrisi, e le parole che usò di rimando al mio sorriso mi colpirono come mai delle parole avrebbero potuto fare. Come un amore non corrisposto, come lo spirare di un vecchio amico, come l’acqua salata nei polmoni, come una spina sotto il piede, come non poter far nulla, come veder piangere la propria madre, come la fame di chi non mangia da giorni, come le malattie all’improvviso,  i sorrisi spenti, le lacrime spese, le lettere bruciate, la cera sulla pelle, un incidente in auto, una bolla scoppiata, un desiderio rimasto nel cassetto, un bimbo caduto, un dente che viene strappato, come il pugno di un pugile, come un ricordo in fiamme. Come tutto questo. Anzi peggio.

-Sei un soldato?-

Altre sensazioni, troppe per essere elencate, troppe solo da pensare..
Si, avrei voluto dire, si sono un soldato. Non per scelta ma per onore. Perché a volte l’onore ha più peso di quello che si vuole veramente.
Volevo stare con lei, con lei e il piccolo, ma mio padre non voleva. Dovevo portare gloria alla famiglia o era meglio non tornare. Victoria era il suo nome… o almeno credo. Non ricordo più nulla, solo un volto da poter associare a pochi ricordi, un sorriso, il profumo dei suoi capelli, le lentiggini sul suo viso e le urla durante il parto. Urla che si associano a quelle di mio figlio, uno splendido bambino. Non ricordo altro di lui.
Li ho dovuti lasciare e non me lo perdonerò mai. Ma immagino la faccia di mio padre quando tornerò vincitore. Credo volesse che di lasciassi le penne in questa guerra, ma si dovrà ricredere. Lo dovranno fare tutti.

-Allora?- insistette lei rubandomi dai miei pensieri.
-Si.- dissi ancora con aria assente.
-Si?-
-Si sono un soldato.-
-Ah.-

La mia attenzione venne catturata dalla massa di bambini apparentemente senza genitori.

-Dove sono i loro genitori?-chiesi
-Non ci sono-
-Sono orfani?-
-No i genitori sono da un’altra parte, loro, qui, li stanno aspettando per passare oltre.-
-Oltre? A un'altra fiera?-
-No, oltre e basta.-

Oltre. Ma che voleva significare?

Finalmente mi guardai intorno, guardai le persone.
Oltre a provenire tutte da parti ben distinte del mondo, oltre ad avere età completamente diverse, provenivano da epoche diverse.
Lo si vedeva dal portamento, dai vestiti, dalle acconciature, da cosa e come mangiavano, da tutto.
I bambini giocavano insieme ad un unico gioco anche se alcuni avevano i vestiti a balze e i papillon e altri la maglietta dei Pokemon e di Hello Kitty.
Gli anziani giocavano a carte o parlavano tra di loro, sebbene fosse facile sentire accenti e modi di parlare ben distinti erano uniti sotto un’unica lingua che anche io potevo capire.
Solo gli adulti, quelli che non sono più bambini, che non son giovani ma non sono vecchi, se ne stavano per i fatti loro, e guardavano gli altri in modo ostile, come se ne sapessero di più di tutti.
Vidi uomini con delle stelle cucite su dei pigiami logori.
Vidi donne senza capelli, donne incinte, donne con bambini.
Vidi uomini che si tenevano per mano con altri uomini, e anche donne con altre donne.
Vidi la differenza, vidi la diversità e non mi fece paura.
Sebbene fossero così diversi, una cosa gli accomunava e mi resi conto solo in quel momento che accomunava anche me a loro.
Eravamo tutti sporchi di fuliggine. Dalla testa ai piedi. Come se ci avessero sparato a uno a uno da un cannone sporco.

 Mi voltai quando la donna indicò una persona.
Era un uomo, più giovane di me che quando fu abbastanza vicino, mi sorrise e corse ad abbracciarmi. Mi strinse tanto forte che credetti mi si potesse fermare il respiro, e mentre la mia voce tremava e i miei occhi non trattenevano più le lacrime, mi accorsi di chi fosse, e tutto mi tornò alla mente.

Era il mio compagno d’armi. Nulla di strano in questo, se non fosse che lui dovrebbe essere morto.

-Non dovremmo essere qui-  arrivai alla conclusione.
-Dovremmo essere esattamente dove siamo.- disse lui.

Ciao, mi chiamo Steve, sono una persona normale, come te. Ho una famiglia, un bambino, una moglie, un lavoro e una casa. Sono una persona buona, non ho mai rubato niente, non ho mai ucciso nessuno. Ho protetto il mio paese, ho lottato per ciò che volevo. E ora sto pagando, sto pagando per una cosa orribile che non ho commesso. Sto pagando insieme a queste persone. Sto pagando insieme all’ebreo, all’omosessuale, all’eterosessuale, all’africano, all’anziano, al bambino, alla donna, al soldato, all’uomo, al veterano. Tutti normali ma tutti diversi, tutti con una casa e una famiglia. Non avremmo dovuto essere qui, non abbiamo fatto niente. Non potrò mai più rivedere mia moglie o mio figlio, non potrò vedere la faccia di mio padre quando tornerò a casa vincitore. Perché ho perso.

Ciao mi chiamo Steve, e sono morto, perché la guerra non risparmia nessuno.



Spazio Autore

  
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: DrewSheerio