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Autore: rekichan    03/01/2008    25 recensioni
C’è una pietra, al villaggio della Foglia, che riporta i nomi degli eroi di Konoha.I ninja che sono morti in missione.
Freddi nomi su un altrettanto gelido marmo; semplici iscrizioni che nessuno ha mai la pazienza di leggere, perché troppo vecchie, perché troppo tristi, perché “troppo” e basta. Col passare degli anni, i nomi sulla pietra si facevano sempre più fitti, fino a diventare illeggibili.Allora, nessuno si fermava davvero più, perché non ha senso perdere tempo di fronte ad una lapide incomprensibile. La lastra di pietra venne dimenticata e, con lei, i nomi di coloro che avevano dato la vita per difendere il villaggio che si era scordato di loro.
Genere: Drammatico, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Storia vincitrice del concorso song fic indetto su manga.it da zaza-chan.

La canzone è Thanks for the memories, dei Fall Out Boy.

Dedicata a tutti i partecipanti del Lucca comics 2007.

Ad Aya, a Mika, a Ross, Suzako, a Yoko.

Grazie a tutti voi.

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Thanks for the memories

C’è una pietra, al villaggio della Foglia, che riporta i nomi degli eroi di Konoha.

I ninja che sono morti in missione.

Freddi nomi su un altrettanto gelido marmo; semplici iscrizioni che nessuno ha mai la pazienza di leggere, perché troppo vecchie, perché troppo tristi, perché “troppo” e basta.

Col passare degli anni, i nomi sulla pietra si facevano sempre più fitti, fino a diventare illeggibili.

Allora, nessuno si fermava davvero più, perché non ha senso perdere tempo di fronte ad una lapide incomprensibile.

La lastra di pietra venne dimenticata e, con lei, i nomi di coloro che avevano dato la vita per difendere il villaggio che si era scordato di loro.

Michiko Akuzami, anonima genin di un’altrettanto anonima squadra di neo-ninja del villaggio della Foglia, si era allontanata con aria stizzita dalla propria squadra.

Due elementi eredi di importanti famiglie di Konoha, pieni di sé al punto giusto da escludere la compagna senza particolari abilità, dalle proprie competizioni.

Michiko, nonostante l’aspetto placido e tranquillo, conferitole in special modo dalla sua esigua statura, era dotata di un caratteraccio tale che sostituiva appieno l’inferiore quantità di chakra rispetto ai compagni.

Così, vuoi per complessi d’inferiorità, vuoi perché si era davvero stufata di stare appresso a quei due scavezzacollo, il cui obiettivo di uccidersi a vicenda era ormai noto a tutto il villaggio, dopo averli riempiti di calci, pugni e shuriken, aveva optato per l’allontanarsi prima dell’arrivo del sensei e disertare l’allenamento.

Si era, quindi, trovata a girovagare senza una meta per il bosco attorno a Konoha, zona ormai scarsamente frequentata.

Un tempo era stato adibito a campo d’allenamento; adesso, a distanza di sessant’anni da quella che era considerata l’Epoca d’Oro di Konoha, l’area era caduta in disuso e le ampie radure in mezzo agli alberi dove gli anziani del villaggio avevano cominciato il proprio percorso ninja, erano ricoperte di sterpi e fogliame.

Stanca per la lunga camminata, Michiko alzò lo sguardo nocciola al sole che, cocente, splendeva alto su di lei, disidratando ulteriormente l’erba già secca e indicandole, in associazione al suo stomaco, che era passato mezzogiorno.

Con un sospiro, si lasciò cadere contro una roccia, la cui ombra prometteva un minimo di frescura e, lì, si addormentò.

Era ormai pomeriggio inoltrato quando Morfeo decise di restituire la ragazza al mondo reale.

Il sole tendeva al rosso del tramonto, tinteggiando le nubi con sanguigni tratti.

Storse il naso pieno di lentiggini, stiracchiandosi e maledicendo il suo giaciglio, causa prima del mal di schiena che, adesso, le indolenziva le ossa.

Stizzita, lanciò un’occhiataccia alla roccia, quasi volesse rimproverarla.

Ma, l’espressione irritata, si mutò in sorpresa, quando riconobbe, sotto lo strato d’edera che incastonava la pietra, le incisioni su di essa che l’identificavano come una lastra commemorativa.

Incuriosita, cominciò a ripulire la stele dal muschio, riportando alla luce nomi appartenenti a un passato ormai troppo lontano perché se ne conservasse ufficialmente la memoria.

Nomi di eroi che avevano dato la propria vita per Konoha e che, da questa, erano stati abbandonati alle fumose nebbie dell’oblio.

Mai Michiko aveva udito parlare di quelle persone.

Sessanta anni, ma lunghi come l’eternità.

Gekkou Hayate, Obito Uchiha, Iruka Umino, Kakashi Hatake, Neji Hyuuga, Choji Akimichi, Sakura Haruno…

Nomi che non richiamavano nulla alla sua memoria, eccetto qualche clan prestigioso, ormai troppo decaduto perché gli si desse importanza.

Con aria annoiata, giunse alla fine della lunga lista, dove le iscrizioni si facevano meno rovinate, in quanto più recenti, e, di conseguenza, facilmente leggibili.

Gli occhi nocciola si assottigliarono, nel tentativo di mettere a fuoco l’ultimo nome alla luce del poco sole rimasto.

Naruto Uzumaki.

Un attimo di sorpresa, di fronte all’unico nome conosciuto della lista.

Il nome del Rokudaime.

Era strano che la memoria di un Hokage fosse affidata ad una semplice lapide commemorativa, su cui venivano ricordati solo i ninja “comuni”, distintosi solo al momento della morte.

Eppure, il nome del più grande Hokage che il villaggio della Foglia avesse avuto era lì: misto a quello di anonimi ninja cui i libri di storia non prestavano la minima attenzione.

Per di più, rovinato.

L’incisione presentava diversi graffi, quasi qualcuno avesse voluto cancellare quel nome dalla lapide.

O sovrascriverne un altro.

Vi passò sopra i polpastrelli, cercando di seguire il contorno di quei graffi che presentavano una strana regolarità.

Sa…su…ke.

Un nome.

E un cognome: Uchiha.

Sasuke Uchiha.

La sua memoria ebbe un debole tentennamento. Il suono le appariva familiare, ma non riusciva a rammentare dove e quando avesse già sentito quel nome.

Soprattutto, non riusciva a capire il motivo per cui qualcuno lo avesse voluto incidere sopra quello del Rokudaime.

Erano giorni che frugava negli archivi; i capelli rossicci tenuti fermi sulla nuca da una matita infilata a casaccio e i documenti sparsi di fronte a sé.

Era stato facile trovare informazioni sul Rokudaime.

Le imprese di Naruto Uzumaki erano ormai leggenda, tanto che non si poteva neanche essere sicuri della loro autenticità.

Ad esempio, si narrava che avesse sgominato da solo tre interi villaggi, o che avesse domato un uragano…

Roba impossibile, insomma, ma la gente vi credeva, specie in quei tempi bui dove Konoha era uscita sconfitta dalla quarta guerra dei ninja e aveva perso il suo primato tra i villaggi.

La memoria dei tempi passati viveva ancora negli occhi stanchi dei pochi vecchi sopravvissuti, i quali tramandavano ai giovani i ricordi di quegli anni felici, dove la Foglia era a capo dell’intero Paese del Fuoco.

Ma la vecchiaia è la vecchiaia, e la realtà, nella mente degli anziani, si mischia alle favole e ai sogni di antiche speranze, ormai perdute.

Le nuove generazioni di ninja erano sfiduciate e apatiche; senza spirito d’iniziativa, né desiderio di riscatto per il villaggio stesso.

Nessuno si preoccupava di riscoprire il passato, troppo intento a crogiolarsi nella propria inedia.

E, a costo di sembrare banale, se non vi è passato, non vi può essere futuro, perché è la conoscenza della storia che impedisce all’essere umano di ricadere negli stessi errori.

Peccato che l’uomo sia un cattivo studente, e cerchi sempre di sotterrare le nefandezze compiute, finché queste non tornano a galla solo alla luce di una nuova catastrofe.

O grazie a una persona ancora non abbastanza annoiata da trovare faticoso il rispolverarle.

Più difficile era stato per Michiko trovare materiale su Sasuke Uchiha.

Il suo nome era ripetuto solo una volta nella storia del Rokudaime, dove veniva designato come suo compagno di squadra.

Sembrava quasi che la sua memoria fosse stata infangata, in modo che nessuno ne serbasse il ricordo.

Lo stesso per il suo clan: Uchiha.

Nessuna notizia.

Definitivamente obliato dalla storia del villaggio.

«Ragazzina, hai finito?»

L’arcigna bibliotecaria, donna di mezz’età burbera e scontrosa, con i capelli ingrigiti dal tempo e il volto reso ancora più scarno dal severo chignon in cui li costringeva, la raggiunse.

Michiko storse il naso, senza preoccuparsi di mostrare il proprio disprezzo verso l’anziana e arcigna signora che la distoglieva dai suoi studi.

Era la terza volta che sopraggiungeva a scacciarla dalla sala.

Vecchia donna piena di polvere come i volumi della biblioteca; la pelle sembrava ingrigita come i suoi abiti e i suoi capelli.

Nell’insieme, solo gli occhi verdi, circondati da pesanti rughe, sembravano conferire un po’ di colore a quel corpo in decadenza, avvolto nel rigido tailleur.

«Non è posto per i mocciosi, questo.»

Continuò, imperterrita.

«Mi hanno chiesto una ricerca per l’Accademia.»

Inventò Michiko, ben decisa a continuare le proprie ricerche.

«Non mentire, ragazzina. Hai il coprifronte, non vai più in Accademia.»

«In tal caso, non vedo perché non possa stare in biblioteca. È un luogo pubblico, no?»

La donna le lanciò un’occhiata leggermente basita. Per un attimo, il suo volto parve addolcirsi sotto il peso di un lieve sorriso, ma fu questione di un momento il riacquisire l’espressione arcigna che le era consona, ormai, da molti anni.

«Non vedo perché dovresti esserne interessata. Non viene mai nessuno qui.»

Replicò, con il rimprovero per quella generazione, disinteressata ad esplorare il passato, insito nella voce.

«Io ci sono. – fu la gelida risposta – E, se non le dispiace, avrei bisogno del dossier di Sasuke Uchiha, se esiste.»

La bibliotecaria sgranò gli occhi, sorpresa.

Il nervosismo guizzò nelle iridi verdi, mentre la mano rugosa cominciava a tremare e i denti imprigionavano il labbro inferiore con fare ansioso.

«Perché ti interessa?»

«Esiste?»

Michiko sbalzò in piedi, appoggiando con pesantezza le mani sul tavolo, euforica.

«Rispondi alla mia domanda, mocciosa: perché ti interessa? E cerca di darmi una risposta soddisfacente. Niente bugie.»

La ragazza storse il naso, soppesando l’offerta.

«Voglio sapere che legame c’era tra lui e il Rokudaime. Sono finita di fronte a una lapide, l’altro giorno, e c’erano i loro nomi sovrapposti. Ma di Sasuke Uchiha si dice solo che era un suo compagno di squadra. Poi è scomparso nel nulla. Lei sa che fine ha fatto?»

Domandò, speranzosa.

La donna sembrò scrutarla per un lungo momento, poi si voltò, facendo cenno di seguirla.

Dopo un lungo percorso tra gli scaffali, giunsero ad una porta in legno scuro, sconquassata come il resto della biblioteca.

La vecchia trasse una chiave arrugginita dalla tasca; le dita ossute la infilarono nella toppa, facendo scattare, a fatica, la serratura.

Fece ruotare il pomello, spalancando l’uscio che, con un cigolio sinistro, si aprì, mostrando loro una scala chiocciola cigolante.

Premuto l’interruttore per illuminare lo scantinato, la donna si avviò, seguita immediatamente da una riluttante Michiko.

La discesa parve interminabile e il premio per la fatica, scarso.

Nella sala che, evidentemente era la loro meta, v’era solo un tavolo e una panca ammuffita.

«Che posto è questo?» chiese Michiko, storcendo il naso per la puzza di stantio che permeava nel luogo.

La donna ghignò.

«Questo, ragazzina, è l’archivio del Clan Uchiha.»

Unì le mani, chiudendo gli occhi.

Michiko percepì solo quando fu sciolto, la presenza del genjutsu che impediva di scorgere le pareti piene di vecchi registri, tutti perfettamente conservati, e che faceva apparire l’enorme sala come una semplice stanza in rovina.

Sorpresa, si voltò verso la donna.

«Lei è una kunoichi!»

Esclamò, sconcertata.

La vecchia sorrise, non più il ghigno di poco prima, ma un sorriso sincero, quasi sarcastico.

E quel velo d’orgoglio e d’amarezza negli occhi verdi.

«Sakura Haruno, ragazzina. Ex-Anbu, ex-capo della squadra medica di Konoha… - sospirò – Ex-compagna di squadra di Sasuke Uchiha, mukenin di classe S, e Naruto Uzumaki, Sesto Hokage di Konoha.»

Dopo due settimane, Michiko aveva scoperto tutto quello che c’era da sapere sul Clan Uchiha.

Il loro antenato, Madara Uchiha, era stato uno dei fondatori del villaggio della Foglia; era il clan fondatore della polizia del villaggio e, più di settanta anni prima, era stato sterminato da Itachi Uchiha, che aveva lasciato in vita solo il fratello minore, Sasuke.

Questi, per vendicarsi del fratello, si era unito ad Oto, comandato a quei tempi dal sennin Orochimaru.

Dopo di che, l’aveva ucciso, ponendosi come secondo obiettivo Itachi, ma si era imbattuto in Naruto Uzumaki.

Questi lo aveva sconfitto e Sasuke Uchiha era stato processato e condannato a morte, tramite somministrazione di veleno.

In seguito alla sua cattura, Naruto Uzumaki era diventato Rokudaime, a soli diciotto anni.

Aveva mantenuto il ruolo per dieci anni, finché non era deceduto durante la quarta guerra dei ninja.

«Come mai è stato cancellato tutto il materiale su Sasuke e sugli Uchiha?»

Domandò, masticando un biscotto offertole da Sakura che, mentre consultava gli archivi, sedeva tranquilla di fronte a lei, versandole, di tanto in tanto, del tè.

«Ordine del Root. Un ramo segreto degli Anbu al di fuori della giurisdizione dell’Hokage. – spiegò la donna. – Una volta morto Naruto, ne hanno approfittato per eliminare quella che, ormai, era considerata una macchia per il villaggio. Per fortuna sono riuscita a recuperare il tutto, prima che potessero distruggerlo sul serio.»

Sakura versò il tè nella tazza di ceramica; Michiko chinò rispettosamente il capo, in gesto di ringraziamento.

«Credo sappiano che questi documenti sono qui, ma non gli interessa. Chi mai crederebbe ad una vecchia pazza?»

E rise. Amaramente rise, finché gli occhi verdi non si riempirono di lacrime che, prontamente, furono catturate dalla manica dell’abito.

«Michiko, ti sei mai chiesta perché, dopo Naruto, Konoha non abbia più avuto un Hokage?»

«Ma Konoha ha un Hokage. – mormorò la ragazza – Sai-sama…»

Sakura scosse il capo, con fare stizzito.

«Sai è solo una marionetta nelle mani del Root! – annunciò, secca. – Il vecchio Tenzo aveva progettato benissimo il tutto. Peccato che Yamato-taicho lo abbia capito troppo tard…oh, sono già le sette. Come vola il tempo.»

L’aria di Sakura si fece svagata, una volta individuato l’orologio. Con nonchalance, tentò di deviare l’argomento, troppo scottante per essere trattato in quella sede.

«Sakura-san, non cambi discorso!»

«Sei troppo piccola, per certe cose, Michiko. Dovresti tornare ad allenarti e lasciar perdere questa storia. In fondo hai saputo chi erano Sasuke e Naruto.»

«Non credo. Io ho scoperto chi erano agli occhi del villaggio, non chi erano veramente.»

«Certe volte la verità è troppo pericolosa. Accontentati di questo: Naruto era un eroe che il Root ha trasformato in un simbolo da sfruttare a proprio vantaggio e Sasuke un traditore di cui non si vuole serbare memoria.»

La donna si alzò, ben decisa a metter fine alla conversazione.

Con tocchi nervosi, cominciò a metter via il tè e le tazze, affrettandosi a portar via il vassoio.

Era quasi arrivata alle scale, quando la domanda di Michiko giunse rapida alle sue orecchie.

«Se erano solo questo, allora perché lei è qui, Sakura-san?»

Sakura si fermò.

«Che legame c’era tra di voi?»

Le mani tremarono.

«E, soprattutto, perché c’era anche il suo nome, su quella lapide?»

Quella notte, Michiko attese che i suoi genitori fossero ben addormentati, prima di accendere la torcia e leggere il vecchio diario che Sakura le aveva dato.

L’ordine era stato di non farlo leggere a nessuno, né di parlare mai di ciò che vi era scritto.

«Tutto ciò che si trova qua dentro, potrebbe essere usato per accusarti di alto tradimento, se tu lo ripetessi.»

Era stato il macabro avviso.

Ciò nonostante, la ragazza era decisa ad andare in fondo, ormai; quindi aveva stretto a sé il diario, giurando a Sakura che mai ne avrebbe fatto parola con anima viva.

Restò qualche secondo a contemplare la copertina e le pagine ingiallite, poi, con timore reverenziale, lo aprì.

E cominciò a leggere.

Mi chiamo Sakura Haruno, ho ventotto anni e sono viva.

Credo che questa sia l’unica cosa che mi resta, ormai: la vita.

Ancora per poco.

Siamo in guerra e, lo so, la stiamo perdendo.

Merda.

Ovvio, ora che non c’è più Naruto, ora che è sparito nel nulla, non c’è più nessuno che può fermare gli avversari.

Come se non bastasse, il gruppo speciale degli Anbu si è unito a loro.

Dio. Se ci fosse Naruto. Se ci fosse lui.

Questa non è più una guerra tra i villaggi: è una guerra civile.

Foglia contro Foglia, fino all’ultimo sangue.

Ho voglia di vomitare, ma non posso. Non ho mangiato niente, stamani.

Il Root si è mostrato quel figlio di puttana che era.

Ci ha traditi, venduti: ha rivelato la nostra posizione.

E Naruto. Dio mio. Naruto è morto.

Sono Sakura Haruno e presto morirò anche io, perché non permetterò a quelli che dovrebbero essere miei alleati di prendermi viva.

Ma prima…prima devo spiegare perché Naruto ha lasciato così il campo di battaglia.

Perché non voglio che il suo gesto sia ricordato come vigliaccheria, perché Naruto non era un vigliacco.

Naruto era innamorato.

Per favore, Konoha, perdonalo. L’Hokage era innamorato.

Per anni non ha fatto che pensare a te. Non ha fatto altro che difenderti e assicurarti il benessere.

Lui non ti ha tradita, Konoha: sei stata tu a farlo per prima.

Non dimenticherò mai il suo sguardo quando è entrato nella tenda dei medic-ninja e mi ha tirata da parte, dicendomi: “Konoha è finita.”

Era disperato. Triste.

Deluso.

Un uomo a cui la vita ha tolto tutto: la famiglia, l’amicizia, l’amore.

Gli eri rimasta solo tu, Konoha e, quando anche tu gli hai voltato definitivamente le spalle, ha deciso di pensare un attimo a sé.

Perciò perdonalo.

Perdonalo.

Era innamorato.

I'm gonna make you bend and break
(It sends you to me without wait)
Say a prayer but let the good times roll
In case God doesn't show
(Let the good times roll, let the good times roll)

And I want these words to make things right
But it's the wrongs that make the words come to life
"Who does he think he is?"
If that's the worst you got
Better put your fingers back to the keys

«Sakura-chan.»

Naruto entrò nell’ufficio della vice direttrice del reparto medico di Konoha.

Sakura era china su una sedia, il volto nascosto da un voluminoso fazzoletto.

Piangeva. In silenzio, ma piangeva.

Tuttavia, le lacrime sparirono rapide dal viso, rapite dalla stoffa, non appena udì la voce del suo ex compagno di squadra.

Allora, si sforzò di regalargli un sorriso. Debole, ma Naruto ricambiò.

Entrambi avevano bisogno di sorridere, se non altro per convincersi che andasse tutto bene.

«Naruto-kun.»

Gli fece cenno di accomodarsi sulla sedia adiacente alla propria, ma il ragazzo si ostinò a rimanere in piedi.

Sakura notò la testa fasciata e i graffi sulle mani.

Sapeva che sotto la tuta nera e arancione nascondeva altre ferite, ma non fece domande in merito.

Tanto Naruto non le avrebbe mai permesso di controllarle.

Si limitò a piegare il fazzoletto, sperando, invano, che l’amico non notasse gli occhi lucidi.

Se lo fece, l’Uzumaki non ne diede segno. Forse anche i suoi erano troppo bagnati.

«Lo hanno… lo hanno ucciso?»

La domanda calò pesante tra loro, come la certezza della risposta.

Sapevano entrambi che sarebbe successo.

Konoha avrebbe perdonato Sasuke, se questi si fosse dimostrato pentito del suo tradimento.

In fondo, se ne era andato che aveva solo dodici anni; così giovane, poteva tranquillamente essere considerato vittima innocente delle lusinghe di Orochimaru.

Invece no.

A distanza di tre anni, Sasuke non aveva cambiato idea.

Ancora convinto di essere nel giusto, ancora deciso a non tornare al villaggio finché Itachi non fosse morto per mano sua, al processo si era limitato a rispondere alle domande con aria totalmente distaccata.

Come se il processo non fosse stato il suo; come se l’imputato per cui si richiedeva la pena di morte non fosse stato lui.

Indifferente.

Solo una cosa, a Sakura non era sfuggita, impediva all’Uchiha di assentarsi completamente da quella che, evidentemente, considerava una platea di esseri inferiori, non degni di considerazione neanche se arbitri del suo destino.

Sasuke fissava costantemente lei e Naruto.

Non aveva scostato un attimo gli occhi da loro.

Per tutta la durata del processo, dalla presentazione delle accuse alla sentenza, lo sguardo indagatore di Sasuke era rimasto fisso sui suoi ex compagni di squadra.

Sakura non seppe mai se in segno di rimprovero per non essere riusciti a fermarlo, o in un disperato ultimo appello: lei non lo ricambiò mai.

Era passato troppo tempo da quando aveva incrociato lo sguardo di Sasuke. Troppi anni da quella sera in cui aveva, finalmente, trovato il coraggio di fissarlo direttamente e dichiarargli il proprio amore.

Sentimento che lui aveva calpestato e, allo stesso tempo, alimentato con quel “grazie” sussurrato nel suo orecchio.

E, adesso, Sakura si sentiva indagata da quegli occhi di cui, un tempo, aveva bramato le attenzioni e che, in quel momento, ricercavano le sue.

Ma il desiderio di vederli nuovamente, si mischiava al timore di trovarli vuoti. Terribilmente vuoti.

Così teneva i propri chini sul pavimento, a studiare i disegni del legno del parquet.

Allo stesso tempo, sentiva che Naruto non aveva abbassato i suoi, ma che sosteneva lo sguardo di Sasuke.

Anche quando la corte era rientrata, annunciando che aveva emesso il verdetto, Naruto era rimasto lì: lei era uscita.

L’esecuzione… aveva sperato che l’amico la costringesse ad andare, o che rimanesse lì con lei, per non farla sentire una vigliacca, se non dava l’ultimo saluto a Sasuke.

Invece no.
Naruto era semplicemente passato da lei, chiedendole se si sentiva in grado di assistere e, al suo debole diniego, si era allontanato, tornando solo a cerimonia finita.

«No, non l’hanno ucciso.»

Un sussulto di sorpresa colse la ragazza.

«Come è possibile? La senten…»

Si bloccò.

Calde e copiose lacrime scivolavano sul volto di Naruto che, goffamente, tentava di trattenerle.

«Non lo hanno ucciso. Pensano di averlo fatto…io…io… - singhiozzo. – Io non potevo lasciare che lo uccidessero. Ho usato la tecnica…della trasformazione su un cadavere. Pensano che sia morto. In fondo era veleno. È stato facile…poi il corpo è stato bruciato e…»

«Sasuke-kun è vivo? – esclamò Sakura. - È vivo? E adesso dov’è? Dov’è, Naruto?»

La ragazza lo afferrò bruscamente per le spalle, scuotendolo.

«L’ho drogato. Sasuke non voleva. Glielo avevo proposto, ma ha risposto che piuttosto che avere il mio aiuto preferiva morire. E io non volevo che morisse. Non volevo Sakura…»

Sakura lo abbracciò, offrendogli la propria spalla come appoggio e lasciandosi andare, a sua volta, ad un pianto liberatorio.

«Gli ho sigillato il chakra… - Naruto continuava a parlare, tra un singhiozzo e l’altro. – Se ha il chakra sigillato non può fare molto, vero? Vero?»

La diciottenne evitò di fargli notare che Sasuke poteva sempre usare il taijutsu, evitò di fargli notare ogni piccola pecca nel suo piano, troppo sollevata per poter rimproverare a Naruto di aver peccato di scarsa accuratezza.

One night and one more time
Thanks for the memories
even though they weren't so great
"He tastes like you only sweeter"
One night, yeah, and one more time
Thanks for the memories, thanks for the memories
"He, he tastes like you only sweeter"

«Quindi, Naruto ha salvato Sasuke. – commentò Michiko, fissando Sakura dritta negli occhi. – E dopo?»

Erano sedute nel salotto della donna, attorno ad un basso tsukui di ciliegio.

Il mobilio era sobrio ed essenziale, ma non mancava di quel tocco d’eleganza che l’anziana signora riusciva a conferire con poco: un vaso di fiori qui e qualche foto sparsa qua e là, in lineari cornici.

Perfino il suo abbigliamento, quel giorno, sembrava più curato.

O, forse, pensò Michiko, era solo perché a casa propria non doveva mantenere la sua rigida copertura.

In fondo, per tutti quanti, Sakura Haruno era morta durante la quarta guerra dei ninja e, in quel momento, lei era seduta a bere un tè con l’anziana bibliotecaria, Chiyo Ishida.

«Dopo abbiamo eliminato le prove. – la donna sorseggiò il proprio tè. – Ancora un po’ di zucchero, cara?»

«No, grazie. E poi?»

«Poi, Sasuke si è svegliato. – l’ombra di un sorriso attraversò il volto stanco di Sakura. – Kami, gli insulti che ha potuto tirar fuori quel giorno. Penso di non averlo mai sentito parlare così tanto. Ricordo che… - lo sguardo si fece nostalgico. - …che sono scoppiata a ridergli in faccia. Alla tua età non lo avrei mai fatto, ma in quel momento… Beh, non mi sembrava più così distaccato. Prima, non era umano. Cioè… Lo era, ma per noi ragazze era una sorta di idolo irraggiungibile. Hai presente il principe azzurro delle favole? Sì? Bene, non penso ci sia stata ragazza a Konoha che, ai miei tempi, non abbia sognato Sasuke che veniva a prenderla sul cavallo bianco.»

Michiko bevve, scettica, il proprio tè.

Sinceramente, non ci vedeva niente di principesco in quel Sasuke.

Certo, dalle foto che Sakura le aveva fatto vedere, era di sicuro un bel ragazzo, ma lei non avrebbe mai potuto considerare un traditore come uomo dei suoi sogni.

«E lui che ha fatto, quando ti sei messa a ridere?»

«Si è zittito. Sia lui, sia Naruto; hanno smesso di insultarsi reciprocamente e si sono voltati a fissarmi. Penso di averli sconvolti. Poi, Sasuke è tornato il solito Sasuke e ha liquidato il tutto con uno dei suoi mugugni spazientiti e Naruto… - sospirò, prendendo un biscotto. – Naruto è scoppiato a ridere con me. Era la sua prima vera risata dopo anni. Per un attimo eravamo tornati la squadra sette, quel gruppo di stupidi e folli genin, pieni di sogni e di ambizioni.»

«Che ne è stato di quella squadra?»

La ragazza studiò attentamente la gestualità dell’anziana donna: il suo sistemarsi di continuo le ciocche grigie fuori posto, il lisciare le pieghe del vestito, gli occhi che saettavano nervosamente verso le scale, timorosi di veder qualcuno scendere lungo quei gradini che tanto gelosamente aveva preservato.

Piccoli gesti che lasciavano trasparire tutta l’ansia di Sakura nel ricordare le vicende del passato.

Era stanca.

Per quanto potesse nasconderlo, a Michiko non erano sfuggite le pesanti ombre sotto gli occhi, né il suo fermarsi continuamente a riprendere fiato.

E il ricordare, alle volte, consuma molte più energie di quanto si possa immaginare.

Been looking forward to the future
But my eyesight is going bad
And this crystal ball
It's always cloudy except for
When you look into the past (look into the past)
One night stand (one night stand off)

Sorrise, quando lo vide entrare nella stanza.

I capelli scuri ricadevano, fradici, lungo il viso, forse un po’ troppo magro; le sopracciglia corrucciate in quella sua caratteristica espressione imbronciata.

«Buongiorno, Sasuke-kun.»

Un grugnito irritato le giunse come risposta.

Non le importò. In fondo non ci si poteva aspettare altro da Sasuke Uchiha.

Non quando i panni stesi, di cui aveva cariche le braccia, lo avevano costretto ad uscire col mal tempo, per impedire che si bagnassero.

«Ahah! Sasuke fa la donnina di casa!»

Un maglione intriso di pioggia colpì Naruto dritto sulla faccia, impedendogli di continuare con la sfilza di quotidiani insulti giornalieri.

«Inutile che te la prendi, teme. Sakura-chan ha mandato te a ritirare i vestiti, non me.»

Un ghigno si allargò sul volto dell’ormai Rokudaime, mentre scansava l’indumento dalla propria bocca.

«Evidentemente lo riteneva un lavoro troppo faticoso per il dobe-daime.»

Sakura sorrise, rimestando un’altra volta la zuppa di miso che, lentamente, coceva sul fuoco.

Era stata dura per lei e Naruto riappacificarsi con Sasuke, dopo la sua mancata esecuzione, risalente ormai a quattro anni prima.

L’Uchiha sembrava deciso a fargli pesare il fatto di essere ancora vivo.

Non si era mai dimostrato grato ai suoi ex-compagni di squadra per il fatto di averlo sottratto alle grinfie della morte, né per aver trovato il modo per non farlo finire nuovamente nelle grinfie degli Anbu.

A volte, Sakura aveva l’impressione che Sasuke avrebbe preferito concludere lì la sua esistenza.

Come un ninja.

Come un traditore, a dire il vero.

Probabilmente, la cosa che più lo infastidiva, era di avere il chakra sigillato o, forse, di dovere la propria vita a Naruto Uzumaki.

Le rare volte che, dopo quel episodio, si erano fermati a conversare – lei parlava e lui rispondeva a mugugni, eccetto poche, sillabiche, frasi – l’Uchiha aveva sempre concluso le proprie – scarse – argomentazioni con un:

«Dovevate lasciarmi morire.»

A quel punto, si alzava, lasciando Sakura a soppesare quelle parole e raggiungendo Naruto che, trafelato, correva da loro con un sorriso a trentadue denti e un nuovo insulto per Sasuke tra le labbra.

Sakura in quei momenti non guardava, ma a giudicare da come l’ormai soprannominato dobe-daime si zittiva subito dopo, Sasuke aveva trovato argomentazioni molto convincenti che lo costringevano a non replicare.

Adesso erano tutti lì, seduti attorno al tavolo di quella casa fuori Konoha che era diventata la loro abitazione, il loro nido, il solo segreto.

Solo più tardi si resero conto che era soltanto la loro prigione, perché era in quel luogo fuori dal mondo e dal tempo che, lei e Naruto, tentavano disperatamente di riannodare i fili rossi di un destino spezzato tanti anni prima.

In realtà, avevano il terrore di ammettere che la squadra sette era morta.

Solo Sasuke sembrava essersene reso conto ma, nonostante tutto, continuava a fingere che i due amici fossero riusciti a riportare tutto come era prima.

Naruto sedeva nel proprio ufficio, analizzando le pratiche che, inesorabili, si accumulavano sulla sua scrivania.

Sbuffò, appoggiando la fronte contro il legno laccato.

Quando sognava di diventare Hokage, non immaginava che avrebbe dovuto sbrigare tante scartoffie, a dire il vero.

Probabilmente, se ne fosse stato a conoscenza, avrebbe intrapreso un’altra carriera.

L’assaggiatore di ramen, per esempio, o il produttore di ramen, o il venditore di ramen, o magari avrebbe aperto un chiosco come l’ichiraku ramen…

Insomma, qualcosa di utile e necessario alla comunità.

Ecco.

Altro che leggere e firmare documenti su documenti e sistemare ogni singola, piccola bega presente nel villaggio.

Con un sospiro, si costrinse a rimettersi al lavoro.

Quella sera avrebbero cenato da Sasuke e, quello, era l’unico pensiero che gli permetteva di affrontare la giornata.

Sì, aveva avuto un’ottima idea a costringere l’amico a vivere accanto al villaggio.

Il che, portava due vantaggi: gli permetteva di tenerlo sotto controllo e di approfittare della cucina dell’Uchiha, rivelatosi, tra le altre cose, un ottimo cuoco.

Naturalmente, non era stato facile, i primi tempi.

Aveva, innanzi tutto, sigillato il suo chakra, così che non potesse scappare.

L’unica cosa che gli era sfuggita era che, Sasuke, era molto più abile di lui nel taijutsu, così che si era praticamente risvegliato in ospedale, non appena, con baldanza, aveva permesso all’amico di mettergli le mani addosso, sostenendo boriosamente che non sarebbe riuscito a fargli neanche un graffio.

Ciò nonostante, Sasuke non aveva tentato la fuga, ma aveva accettato, non sapeva se di buon grado o meno, la proposta di Naruto di restare, non a Konoha, ma in una zona adiacente, nascosto dal genjutsu del nuovo Hokage.

Titolo che, per i primi tempi, aveva pesato sulle spalle dell’allora diciottenne Naruto Uzumaki.

Non tanto per le incombenze che lo asfissiavano, quanto per il motivo cui gli era stato conferito: cattura del mukenin di classe S, Sasuke Uchiha.

Mukenin che non era riuscito a far uccidere, ma che, anzi, aveva aiutato a sfuggire alla legge.

Incredibilmente, il motivo per cui era diventato Hokage, era anche il solo per cui lo stesso villaggio avrebbe potuto accusarlo di tradimento.

Come se non bastasse, si sentiva in colpa nei confronti di Sasuke.

Stupidamente, ma l’Uchiha non sembrava grato di averlo salvato e, più che vivere, si lasciava tirare avanti dall’energia sua e di Sakura che, imperterriti, lo costringevano a mangiare e a reagire.

Ora, a distanza di sette anni, tutto sembrava tornato come era prima del tradimento.

Ridevano e scherzavano tutti assieme; lui e Sasuke avevano ripreso ad accapigliarsi e l’Uchiha continuava a metterlo sotto nelle loro sfide, con o senza chakra.

«Rokudaime.»

Il sorriso ebete che si era dipinto sul volto di Naruto mentre si crogiolava nei ricordi, scemò all’ingresso di Sai nell’ufficio, prontamente sostituito da un’espressione fin troppo seria.

«Dimmi, Sai.»

Il ragazzo sorrise, serafico.

Naruto storse il naso.

In tanti anni, Sai non era cambiato di molto: inespressivo come sempre e, purtroppo per lui, sempre maledettamente indisponente.

Neanche il fatto che, ora, fosse il Rokudaime impediva all’Anbu di prenderlo in giro riguardo ai suoi attributi sessuali.

Il che, Naruto lo comprendeva, era più che altro un tentativo di socializzare, ma ciò non toglieva che, con gli anni, la kitsune si fosse fatta sempre più sensibile all’argomento, fino a risultarne palesemente irritata.

«Purtroppo non porto buone notizie.»

Annunciò, senza infiocchettamenti o prese in giro di sorta.

Forse fu questo a riportare l’immediata attenzione dell’Hokage su quanto Sai gli stava riferendo.

Se l’Anbu non scherzava prima di fare rapporto, era veramente qualcosa di serio.

«Ti ascolto.»

«La squadra tredici scomparsa è stata ritrovata.»

«Bene, no?»

«Non proprio. Ho detto che è stata ritrovata, non che è tornata. Perlomeno, non viva.»

Naruto evitò di parlarci dell’omicidio della squadra tredici.

Evitò, ma non passò molto tempo che la storia riuscì a sfuggire alle mura del palazzo dell’Hokage, diffondendosi come pettegolezzo per le vie di Konoha.

E, siccome la maldicenza alimenta la maldicenza, ritornarono le malelingue a commentare aspramente l’operato di Naruto che non si decideva ad indagare sugli assassini.

Innumerevoli furono le accuse.

Alleato dei nemici, venduto, traditore.

Ritornò anche il “mostro”.

E, con lui, anche gli sguardi cupi di Naruto.

A nulla servivano i miei tentativi di riscuoterlo.

Lo picchiavo, lo insultavo, lo abbracciavo e lo ascoltavo singhiozzare contro la mia spalla, ma mai Naruto si permise di sfogarsi con me.

Non riuscivo a capirlo: io e Sasuke, fondamentalmente, eravamo gli unici che potevamo aiutarlo a sopportare il peso delle ingiurie, proprio come avevamo fatto in passato.

Ricordo, però, di non aver fatto niente quando ho sentito una donna commentare, dopo l’annuncio che sarebbe stato istituito lo stato d’emergenza, in seguito alla scomparsa d’un’altra squadra Anbu: «Cosa potevamo aspettarci eleggendo come Hokage il Kyuubi?»

Già, il Kyuubi.

Forse, era per questo che Naruto non si confidava. Non con me, almeno.

E, forse, era per questo che io stessa ero inconsciamente riluttante ad accogliere le sue confidenze.

Differentemente da Sasuke.

Kami. Li ho visti parlare una volta. Una volta sola, seduti sul gradino che portava alla veranda.

Distinguevo solo le loro ombre, eppure i loro occhi erano nitidi.

Rossi. Rossi. Rossi.

Sentivo Naruto parlare, singhiozzare. E Sasuke… Sasuke lo abbracciava.

Lo baciava.

E io, da sempre professatemi innamorata di Sasuke, ora ero gelosa di entrambi.

One night and one more time
Thanks for the memories
even though they weren't so great
"He tastes like you only sweeter"
One night, yeah, and one more time
Thanks for the memories, thanks for the memories
"He, he tastes like you only sweeter"

Michiko osservò impassibile la bara che veniva calata nella fossa.

I fiori di carta bianca decoravano il piccolo e fragile spazio occupato dalla tomba di una donna i cui funerali si erano celebrati tanto tempo prima.

C’erano solo tre persone, alla cerimonia.

Lei e i due becchini che, sporchi, si affannavano, adesso, a ricoprire la bara di terra umidiccia.

Sulla lapide, il nome dell’inesistente Chiyo Ishida.

Michiko stava in piedi di fronte alla tomba; il vento portava via i fiori di carta.

Sotto il braccio teneva un diario dalle pagine ingiallite, le cui parole erano kunai acuminati che andavano a squarciare le nebbie della memoria.

Era passato un mese da quando aveva cominciato ad addentrarsi nella sua ricerca.

Un mese. E in questo mese aveva scoperto tante cose che, se riportate alla luce, avrebbero potuto mettere in discussione l’apparato istituzionale di tutto il villaggio.

Sempre che qualcuno le avesse creduto.

In fondo, erano soltanto pezzi di carta che il tempo avrebbe distrutto.

L’unica testimone era deceduta e riposava, finalmente, in pace.

Senza aver terminato il suo racconto.

Strinse a sé il diario, trattenendo un singhiozzo.

Le lacrime inumidirono i ricordi di Sakura Haruno, racchiusi, adesso, solo in quel consunto quaderno.

Ricordi.

Quanto poco basta a cancellarli.

Sarebbe stato sufficiente seppellire il diario con lei, pensò Michiko.

Non avrebbe più dovuto nasconderlo e avrebbe potuto dimenticare tutto, tornando a guardare l’attuale Hokage come un eroe, Naruto Uzumaki come una leggenda e Sasuke Uchiha come un traditore.

Invece, la povera, piccola, imbranata Michiko, genin senza alcun particolare talento o attitudine, approfittò degli ultimi raggi di sole per sedersi sulla tomba e finire il diario.

They say I only think in the form of crunching numbers
In hotel rooms collecting page six lovers
Get me out of my mind and

get you out of those clothes
I'm a liner away from getting you into the mood, whoa

La guerra era scoppiata.

Feroce, imperversava, dapprima nelle zone di confine, dove numerosi contingenti di ninja si scontravano senza sosta in una lotta per la sopravvivenza propria e del proprio villaggio.

Successivamente, come accade nel drammatico perdurare di ogni conflitto, finì per spostarsi verso l’interno, danneggiando la popolazione civile.

Ma il pericolo più grande, per Konoha, veniva dall’interno, stavolta.

Un germe velenoso nato e coltivatosi sin dalla fondazione del villaggio.

Il Root.

Radice.

Il primo ramo degli Anbu mai istituito, fondamenta stessa della Foglia.

Il punto su cui, aveva deciso Naruto, si sarebbe fondata la difesa ultima del villaggio in caso d’emergenza.

Il Root sarebbe stato la radice di Konoha non solo di nome, ma anche di fatto.

Ma il Rokudaime non aveva previsto che anche la radice dell’albero più solido può dimostrarci marcia e tradire il tronco quando questi meno se lo aspetta.

Accadde in una giornata di Luglio.

Il puzzo di cadaveri infettava l’aria, rendendola pesante e insalubre.

C’era un gran via vai di feriti attorno alla tenda dei medic-ninja, i quali, senza sosta, si davano rapidamente il cambio per disinfettare, amputare, medicare chiunque si presentasse al campo.

Il chakra verde caratteristico dei dottori riluceva, ormai, perpetuo dietro la stoffa bianca della struttura, nel tentativo spossante di mantenerla sterile.

Lì risiedeva solo un esiguo gruppo dello schieramento medico impiegato: il resto si occupava del soccorso immediato sul campo.

Si avvicinava mezzogiorno, l’ora in cui il sole è più alto, in cui l’odore di morte sembra farsi insopportabile, in cui si avverte di più la stanchezza e più difficile è mantenere la concentrazione per prestare soccorso ai feriti.

Fu a quell’ora che la tela della tenda, apportatrice di un po’ di frescura, si scostò, lasciando entrare, assieme ai raggi bollenti del sole, il Rokudaime in persona.

Le ciocche bionde erano intrise di sangue, il volto sporco e sconvolto.

E gli occhi. Gli occhi alternavano rapidamente l’azzurro col rosso.

«Sakura.»

La donna si voltò, al richiamo; i capelli rosa rigidamente costretti in una treccia e le ciocche ribelli tenute indietro dal coprifronte, affinché non impedissero la visuale.

«Che succede, Nar…?»

Il Rokudaime l’afferrò bruscamente per un braccio, trascinandola in un angolo abbastanza confusionario perché terzi potessero interessarsi ai loro discorsi.

Lì, solo tre parole.

Parole con il potere di distruggere un intero mondo.

«Konoha è finita.»

Sakura non riuscì mai a cancellare dalla mente lo sguardo di Naruto, mentre le porgeva quel macabro annuncio.

Lo sguardo di chi ha dedicato tutta la sua vita ad un unico, grande obiettivo e sa di aver fallito.

Tutta la sua vita, in fondo, non era stata altro che un grande fallimento.

Aveva fallito nel riportare indietro Sasuke.

Aveva fallito nel far uccidere questo.

Aveva fallito nel difendere Konoha.

Non era riuscito ad essere né un bravo amico, né un bravo ninja, né un bravo Hokage.

E, quando, capisci di essere arrivato alla fine, perché non hai più modo di fallire in alcunché, visto che non c’è più niente in cui farlo, allora non rimane che gettare la spugna.

Ed era un uomo distrutto, quello che consegnava un rotolo a Sakura, per poi scappare via.

Dalla tenda, dal campo di battaglia.

Per correre verso l’unica cosa rimasta, l’unico fragile appiglio a cui potersi aggrappare, prima di precipitare.

Appiglio, crollato già prima del suo arrivo, perché Naruto lo avrebbe dovuto capire molto tempo prima: non basta sigillargli il chakra, per tenere Sasuke Uchiha fuori dal campo di battaglia. Non quando lui, Naruto, è lì a rischiare la vita.

«Perché non si può essere secondi ad una baka kitsune.»

Quando ebbe letto il rotolo, Sakura uscì dalla tenda medica, recuperando il diario su cui teneva il bollettino di guerra.

Andò alla ricerca dei suoi compagni lungo una strada di cadaveri, tra cui molti conosciuti.

Kakashi, Iruka, Neji, Choji…

Non si fermò, se non di fronte a quelli che cercava.

Trovò i corpi di Sasuke e Naruto immersi in un lago di sangue, schiena contro schiena e il sorriso beffardo che si rivolgevano sempre sulle labbra, quasi volessero prendersi gioco l’uno dell’altro anche nella morte.

Con una freddezza che mai avrebbe creduto possibile, bruciò il cadavere dell’Uchiha, impedendo a qualsivoglia organizzazione di impadronirsi dei segreti dello sharingan e riportò quello di Naruto al campo.

Konoha aveva bisogno di qualcosa per cui lottare e il Rokudaime, ora più che mai, sarebbe dovuto divenire il simbolo di quegli ideali su cui si fondava la Foglia.

Non era il tempo delle lacrime, quello. Non per lei.

Ma, una volta crollato il tronco, l’albero muore.

Così accadde per il villaggio.

Quando Sakura vide ninja di Konoha combattere contro i loro fratelli, quando capì che il colpo di stato del Root era avvenuto, quando si rese conto che il marcio era troppo espanso per poter rimediare, allora anche lei si arrese.

Inscenò nel dettaglio la propria morte.

In fondo, il gruppo sette era deceduto tanti anni prima.

Soltanto lei non lo sapeva.

Soltanto lei non se ne era resa conto.

One night and one more time
Thanks for the memories
even though they weren't so great
"He tastes like you only sweeter"
One night, yeah, and one more time
Thanks for the memories, thanks for the memories
"He, he tastes like you only sweeter"

Una bambina dai corti capelli biondo cenere si avventurava stizzita per quel campo incolto, appena illuminato dal sole di mezzogiorno.

Stanca e irritata, si lasciò cadere su un piccolo tumulo di terra.

Aveva litigato con i suoi genitori, incapaci di comprendere il suo desiderio di diventare una kunoichi.

Se, un tempo, Konoha era stato il villaggio più potente come contingente militare ninja, ormai quest’attività era caduta in disgrazia.

I ninja rimasti erano davvero pochi. Residui di un passato che, ancora, non si era riusciti a cancellare.

Un mestiere secondario e poco redditizio, rispetto ai numerosi porti commerciali che crescevano nella città, divenuta ormai un centro mercantile.

Ma la montagna degli Hokage continuava a stagliarsi, maestosa e imponente, sul villaggio, vegliando su di esso e ricordando ai suoi abitanti, anche con rimprovero, le glorie passate, alimentando i sogni di una generazione troppo distante da quel mondo per comprenderlo appieno, ma suggestionata dall’influenza romantica della faccenda.

Ayumi si lasciò ricadere sull’erba secca, con un sospiro.

Distrattasi a guardare la forma delle nuvole, il suo relax fu disturbato da un lento rumore di passi.

Balzò subito in piedi, allarmata da quell’incedere sospetto.

Si rilassò, quando vide che era solo una vecchia, quella che si dirigeva verso la sua postazione.

Altezza esigua, gli occhi nocciola erano appesantiti da pesanti occhiaie e dalle rughe che, inevitabili, alterano i lineamenti giovanili.

Tra le mani stringeva un cesto di vimini, carico di fiori bianchi.

Dopo una rapida valutazione, Ayumi decise che quella vecchia non costituiva una minaccia, e si rimise a sedere.

«Ragazzina, potresti alzarti?»

«Mh?»

La mano ossuta della donna, la bambina notò che sembrava ancora più esile, vista da vicino, si posò sulla sua spalla.

«Sei seduta sulla tomba di una mia amica. Vorrei metterci dei fiori.»

«Oh! Mi scusi! Non sapevo…»

Ayumi scattò in piedi, imbarazzata.

«Non preoccuparti.»

La donna sorrise, depositando un mazzo di gigli di fronte a – Ayumi la notò solo in quel momento – una pietra bianca su cui era inciso il nome di Chiyo Ishida.

Carezzò la lastra con le dita nodose, prima di inserire la mano nel cesto di fiori e tirando fuori dall’intrico degli steli, quello che Ayumi riconobbe come un rotolo ninja.

Un pezzo d’antiquariato, a giudicare dal colore sbiadito della carta che lo componeva.

«Ma quello è…»

«Questo? – la vecchia lo sollevò appena, esponendolo allo sguardo della ragazza. – Questo è un segreto, piccola. Un segreto che avrebbe potuto distruggere Konoha anni fa. Un segreto di cui, ormai, non importa più nulla.»

Ayumi deglutì.

«Posso…?»

La donna annuì, porgendoglielo e osservandola mentre, con venerazione, faceva ruotare la pergamena, fino a srotolarla del tutto e accedere, finalmente, al contenuto.

«Ma è antichissimo!»

Esclamò, quando lesse la data riportata sulla cima del rotolo.

«Risale all’epoca del Rokudaime. - Spiegò l’anziana signora, alzandosi. – L’ultimo documento che ci ha lasciato. Puoi tenerlo, se vuoi. Io ero venuta solo a restituirlo a chi di dovere.»

Accennò alla tomba col capo, imbracciando nuovamente il cesto di fiori, prima di incamminarsi lungo il sentiero disossato.

Ayumi lanciò un’altra occhiata alla lapide, stavolta leggendo attentamente l’iscrizione.

Chiyo Ishida.

Un nome, un graffio che lo percorreva longitudinalmente.

E un altro nome, scritto sopra di esso, quasi si volesse correggere quanto scritto in precedenza.

Sakura Haruno

Medic-ninja.

Membro del gruppo sette.

Compagna, amica, sorella di Naruto Uzumaki e Sasuken Uchiha.

Grazie per i ricordi.

«Signora!»

Ayumi alzò lo sguardo sulla fragile figura della donna che scendeva lungo la collina.

«Sì?»

La osservò girarsi con fluidità.

Fin troppa, per la sua età.

Quasi il corpo fosse sempre stato abituato ai movimenti veloci, rapidi.

Come quelli per evitare le armi e per scattare prima che l’avversario abbia il tempo di contrattaccare.

«…questa lapide…»

La donna sorrise.

«Ti va di accompagnarmi a visitare le altre tombe? Ho altre due persone cui far visita.»

“Compagna, amica, sorella di Naruto Uzumaki e Sasuke Uchiha.”

Naruto Uzumaki e Sasuke Uchiha.

Ayumi scese lungo la scarpata, raggiungendo la vecchia.

«Andiamo.»

Annunciò, prendendo il cesto di fiori dalle mani della donna.

«Signora, posso farle qualche domanda?»

«Certo, ma chiamami Michiko.»

Ayumi sorrise.

«Lei è per caso…»

One night and one more time (One more night, one more time)
Thanks for the memories
even though they weren't so great
"He tastes like you only sweeter"
One night, yeah, and one more time (One more night, one more time)
Thanks for the memories, thanks for the memories
"He, he tastes like you only sweeter"

La montagna degli Hokage continua a vegliare sul villaggio della foglia.

I volti in pietra sorridono agli abitanti di Konoha, ormai troppo vecchi e stanchi per voltarsi a guardare quella che risulta essere solo un’attrazione colossale per turisti.

Un passato troppo antico, perché possa esistere qualcuno che ne conservi memoria.

Eppure, loro sono ancora là.

A sorridere ad ogni abitante che, da bambino, ha alzato il volto e incrociato i loro sguardi per chiedere ai genitori chi fossero quei signori.

E, se quel bambino non si lascerà ingannare dalla frettolosa risposta: “Nessuno”, spinto dalla curiosità potrà avventurarsi nelle nebbie dei ricordi, finendo per ringraziare un vecchio diario, un rotolo incartapecorito e una vecchia che, con burbera condiscendenza, sarà disposta a mostrargli la strada e a cui dovrà, in un futuro, dire semplicemente: «Grazie.»

Per i ricordi.

Thanks for the memories

   
 
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