Note: Mi sono concessa delle licenze XD: Dante scrive la commedia
quando è già esiliato da Firenze,
ma siccome amo Firenze e le sue atmosfere,
mi è sembrato più poetico che la scrivesse sulla
riva dell'Arno.
Il giorno moriva teatralmente, e il sole stanco spariva dietro le cime
delle torri color terra in una macchia rossastra.
Il cielo fatto di azzurro e nuvole rosate si stagliava contro le sagome
aspre degli alberi scuri sulle colline,
e un'atmosfera di dolce malinconia abbracciava l'intero panorama della
firenze di quella sera.
Seduto dove le acque dell'Arno accarezzavano le rive verdi,
Dante lasciava che la poesia del giorno morente si riversasse
interamente in lui, e che gli ispirasse i versi giusti per la sua
Commedia.
Invaso dalla dolcezza di quel panorama, sentendosi una figurina
nell'immensa bellezza di un dipinto dai colori nitidi,
il poeta intinse la penna nell'inchiostro e scrisse sullo spesso volume
che teneva sulle ginocchia.
" Era già l'ora che volge il disio ai navicanti e
'ntenerisce il core lo dì c'han detto ai dolci amici addio;
e che lo novo peregrin d'amore punge, se ode squilla di lontano che
paia il giorno pianger che si more;"
Rilesse quei versi con occhio stanco, ma lasciando uscire un sospiro di
sollievo.
Dopo numerosi fogli strappati e altrettanto copiose correzioni, era
giunto finalmente al verso che desiderava.
Per quel giorno poteva dirsi soddisfatto.
Dante chiuse il libro con un tonfo, poi si alzò in piedi a
fatica, scrollando via dalla tunica erba e fiori spiegazzati.
Aveva preso l'abitudine di andare a scrivere in riva all'Arno le sue
poesie, ché il rumore costante di quelle acque gli cullava
la fantasia e addolciva il cuore,
rendendolo più incline alla poesia.
Desiderando fermarsi in qualche locanda per rifocillarsi di tanta
fatica, si incamminò lungo la riva brulla.
Stava per raggiungere la scalinata che conduceva in città,
quando inciampò in un sasso e nel cercare di non rovinare a
terra,
le sue dita si lasciarono scappare il libro che stringevano.
Dante vide la parabola che faceva il massiccio volume oltre la sponda
del fiume,
e prima ancora che sfiorasse il pelo dell'acqua vi si lanciò
dietro d'istinto, gridando.
In un fragoroso scroscio poeta e Commedia finirono in acqua.
Dante si rese subito conto di aver sottovalutato la forza del fiume,
una forza tale da impedirgli di nuotare nella direzione in cui voleva,
e che gli consentiva a malapena di mantenersi a galla.
Trascinato dalla corrente come un fuscello d'erba, Dante si accorse che
il fiume lo allontanava sempre più dalla riva in improvvise
spinte violente.
Avvertì un tonfo e una fitta alle sue spalle.
Si voltò e vide La Commedia, che trasportata dai flutti gli
era arrivata contro con una forza notevole,
causandogli anche non poco dolore nel punto in cui l'aveva colpito.
Dante annaspò, in difficoltà.
In un attimo di incertezza sul da farsi si domandò cosa fare.
Se avesse lasciato la Commedia in pasto al fiume, anni di lavoro si
sarebbero volatilizzati,
ma se avesse cercato di afferrarla si sarebbe trovato in serie
difficoltà.
Sentì il libro scivolargli lungo il dorso, quasi spinto da
una forza dispettosa e capì che se non avesse colto
l'occasione per afferrarlo, non l'avrebbe rivisto mai più.
Così il poeta, con gesto pesante e impedito dall'acqua e
dalla tunica bagnata, si voltò in uno scatto difficile ed
esasperato.
Le dita si protesero verso il libro e lo artigliarono. Nonappena lo
ebbe afferrato, Dante si spinse il libro con forza al petto.
Nel momento in cui, con gesto quasi materno, cingeva il libro con le
braccia si sentì vinto dal fiume.
Attaccato dalla corrente quando era più vulnerabile, quasi
che i diavoli della Commedia fossero usciti dal libro e materializzati
in quel momento, si sentì trascinare verso il fondo per le
caviglie.
Il fiume lo strattonava a fondo con insistenza diabolica.
Dante cercò di resistere, ma la Commedia e la veste zuppa
gli impedivano i movimenti,
e in un unltimo forte strattone, il fiume lo avvolse, risucchiandolo in
quelle stesse acque limpide che tanti versi gli avevano ispirato.
Dante si strinse il libro contro e vi si aggrappò abbassando
il viso, mentre le acque si richiudevano sopra di lui.
Nel buio nauseante e confuso in cui si trovava, Dante si sentiva
disorientato e stordito.
Cercò di gridare, ma le parole non uscirono, allora
cercò la luce, ma la tenebra gli impediva di trovarla.
Si protese nel buio in cerca di qualcosa, ma in quella tenebra non
riusciva a veder nulla,
neppure sé stesso e si sentiva debole e febbricitante.
Un sentimento di nera rassegnazione lo colse, e stava per impossessarsi
di lui,
quando quell'incubo scuro fu scosso e poi interrotto da uno strano
contatto.
Dante avvertì qualcosa di caldo che si posava delicato sulla
sua fronte, sfiorandogliela con dolcezza.
Aprì gli occhi e si trovò davanti il manto nero
del cielo cosparso di stelle luminose.
Si alzò quindi a sedere, guardandosi attorno: era seduto
sulla riva dell'arno ed era notte.
Ma subito la sua attenzione virò verso la presenza alla sua
sinistra, che scorse con la coda dell'occhio.
Sobbalzò nel vedersi accanto un uomo dal portamento nobile,
dai capelli scuri che gli ricadevano in ciuffi ricurvi sulla fronte e
dagli occhi dalle lunghe ciglia.
Indossava una veste bianca e sembrava brillare di una fioca luce
propria.
Dante rimase ad osservarlo, spaesato.
L'uomo, capendo forse il suo stupore, si rivolse a lui in tono pacato.
" Non aver paura. "
Disse.
Dante rimase colpito dalla premura celata in quella voce dal timbro
così maschile e profondo.
" Chi sei? Sei anche tu un poeta? "
Domandò Dante accorgendosi della corona d'alloro che cingeva
la testa dello sconosciuto.
Questi annuì e disse:
" Sono colui che tu chiami 'duca e unica guida' nel tuo libro. "
Rispose l'uomo accennando al volume fradicio appoggiato sull'erba
accanto a loro.
Il cuore di Dante sussultò.
" Virgilio.... il mio maestro..."
Mormorò con voce rotta dall'emozione e dallo stupore.
Per una manciata di secondi calò tra loro uno strano
silenzio.
Dante sentiva il corpo tremare dalla tensione, il cuore esplodergli nel
petto e il cervello formulare mille pensieri simultaneamente.
Virgilio, forse accorgendosi del suo stato d'animo, iniziò a
parlare in tono sommesso.
" Sei caduto nel fiume con la tua Commedia, e sei annegato.
Ora ti trovi nel mondo spirituale, che sta di mezzo tra la vita e la
morte. Ma non hai di che temere, ché non è giunta
per te l'ora fatale. "
Dichiarò, cercando di tranquillizzarlo.
Ma Dante in tutta risposta scoppiò a piangere.
" Cosa ti succede? Ti ho appena detto che non sei morto. "
Ripeté Virgilio, e Dante scosse la testa.
" Non è un pianto di dolore, ma di gioia. "
Disse, osservandolo con occhi pieni d'ammirazione,
incredulità e qualcosa di molto dolce.
Virgilio sostenne il suo sguardo e rimase in rispettoso silenzio,
sentendo che Dante aveva qualcosa da dire e attendendo.
Quando finalmente ebbe dominato le mille emozioni che lo percotevano,
Dante prese a parlare.
" Maestro...Per tutta una vita ti ho cercato... e ora sei qui! "
Lo sguardo di Dante lasciava trapelare ogni suo pensiero, e Virgilio
sentì intenerirsi l'animo da quegli occhi color nocciola che
lo osservavano con amore.
Si avvicinò dunque al suo allievo e gli portò una
mano sulla guancia.
" Per tutto questo tempo io ho vegliato su di te e ti ho protetto, e ti
ho osservato sempre mentre elaboravi il tuo scritto. "
Ammise, al ché Dante aggrottò le sopracciglia
lasciando uscir ancor più lacrime.
In breve Virgilio si ritrovò nell'abbraccio stretto e
disperato del suo allievo, che singhiozzava contro il suo petto
stringendo lembi di tunica tra le dita.
" Dante... io ti proteggerò e sarò con te sempre.
Ma è tempo che tu torni alla vita che ti attende. "
Dante strinse di più i lembi della tunica, quasi a voler
impedire a Virgilio di muoversi.
" Ti ho appena trovato dopo una vita... non ti lascerò
andare, anche a costo della vita. "
Disse Dante, al ché Virgilio ricambiò gentilmente
l'abbraccio, carezzando con delicatezza la schiena del suo allievo.
" Torna e finisci la tua Opera, e nel tuo volume ci incontreremo sempre
e per sempre. "
Dicendo questo Virgilio depositò un bacio affettuoso sulla
fronte di Dante, che sussultò appena,
sentendo uno strano calore riempirgli il petto mentre le mani che
afferravano cupide la veste si ritrovarono a stringere il nulla.
Virgilio scomparve in un fascio di luce, e Dante si ritrovò
a urlare il suo nome mentre abbracciava l'aria più volte nel
punto in cui era scomparso.
Si svegliò urlando e subito una fitta ai polmoni lo fece
tossicchiare per l'acqua che aveva ingoiato mentre annegava.
Il freddo pungente di quella notte era moltiplicato dal fatto di essere
bagnato fino all'osso, ma servì a ridestarlo in fretta.
Quando si riebbe Dante si guardò attorno confuso. Scorse la
commedia, adagiata sull'erba accanto a lui nella fioca luce notturna.
La afferrò immediatamente, aprendola per verificare i danni
provocati dal fiume.
A dispetto della copertina inzuppata, le pagine erano miracolosamente
intatte.
Dante se la strinse al petto e lasciò uscire un gran sospiro.
" Grazie..."
Disse, alzandosi in piedi e rimirando la volta stellata sopra di lui.
Poi si incamminò verso le scale che portavano in
città.
Ma si fermò al primo gradino, voltandosi indietro a rimirare
il punto del fiume in cui si era svegliato,
poiché si sentì investire di un sentimento dolce
di cui mille volte aveva scritto nei suoi versi.
" Grazie Virgilio.... "
Mormorò in un flebile sussurro, sorridendo amaramente al
paesaggio buio e silenzioso,
per poi voltarsi e ricominciare il suo cammino verso le luci delle
fiaccole lungo i ponti, verso il vociare allegro delle osterie in
quella vita
che gli era stata data per scriver di lui e del suo maestro la sua
Commedia.