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Autore: Night Fury96    19/06/2013    5 recensioni
Astuto, manipolatore, diabolico, spaventoso, malvagio...
Queste sono le parole che descrivono al meglio Pitch Black... ma non sempre era stato così. Vi era un tempo lontano, durante l'Età dell'Oro dove il generale Kozmotis Pitchiner lottava per il bene, contro la malvagità dei Fearlings, offrendosi poi volontario per fare da carceriere a queste immonde creature. Lontano dalla sua famiglia, lontano dalla sua adorata figlia...
La storia di come un uomo coraggioso e stimato venne trasformato nel Re Degli Incubi... quali furono i suoi ultimi pensieri? Quale fu il suo ultimo ricordo?
Genere: Dark, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Pitch
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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-         Papà! Ehi Papà!-  continuava a chiamarlo una voce gioviale e femminile.
-         Papino... apri la porta per favore?-  continuava a chiedere questa, gentile.
L’uomo non muoveva un muscolo. Era in piedi dinnanzi quella dannata porta ferrata, gli occhi bassi fissi su quella figura... quella bambina dagli occhi verdi come le praterie e i capelli neri come la pece... gli occhi di lei... i capelli di lui... e il sorriso che invece era unicamente suo.
-         Papà? Per favore, apri la porta?- chiese questa un po’ più implorante.
-         Per favore... voglio giocare con te! Mi manchi così tanto!-
L’uomo strinse a se la catenina, portandosela al cuore.
Abbassò il capo, sfiorando il pugno che serrava la catenina, con le labbra.
Strinse gli occhi rivedendo nella sua mente il visino di quella bambina, riascoltando la sua risata, la sua voce, cercando di catturare qualsiasi dettaglio di quel ricordo, per sentirsi meno perso, per avere una ragione per restare con i piedi per terra, per non perdere quell’ultimo briciolo di senno che gli rimaneva.
-         Tornerò da te... te lo prometto... sarò lì da te.- sussurrava alla catenina.
Quanto tempo era passato oramai?  Dieci, quindici anni? Ormai la piccola Seraphina sarà diventata grande... e lui non l’aveva vista crescere... lui non le era stato vicino....
-         Perché sei così cattivo con me? Perché non mi apri la porta? Papà! Papà ho paura! Io ho bisogno di te! Non mi abbandonare!-
-         Ora tacete! TACETE!!!- urlò Kozmothis Pitchiner, battendo la mano sulle sbarre di ferro, creando un boato che riecheggiò per tutta la prigione.
Al posto delle suppliche della bambina, inizarono a sentirsi delle risatine acute ed inquietanti, che penetravano nelle ossa, lasciandoti puro terrore dentro, ma ormai lui era immune da quel terrore. Ormai ne faceva parte. Non provava più alcun tipo di paura per quelle creature immonde, che da anni lo fissavano da quelle sbarre, con gli occhi grandi, vuoti ed inquietanti e quella smorfia di puro dolore, che però nascondeva soltanto malvagità e sadismo.
Pitchiner diede nuovamente le spalle a quegli esseri... erano in grado di fare il lavaggio del cervello con il solo sguardo...
Riaprì nuovamente la mano ed aprì il ciondolino che pendeva in fondo alla catenina, rivelando nuovamente l’immagine della bambina.
Sempre così sorridente era. Sempre con quel espressione dolce e gentile.
Pitchiner sorrise alla piccola.
-         Presto sarò a casa, bambina mia...-  le disse dolcemente.
-         Mi manchi così tanto...- disse nuovamente la voce della bambina.
-         Anche tu mi manchi, tesoro mio.-
-         Vorrei tornare a quei pomeriggi dove giocavamo inseme o a quelle sere dove mi portavi a spallucce e mi facevi vedere le costellazioni... te le ricordi?-
-         Sì, certo che me le ricordo... non potrei mai dimenticarmene...-
-         Dimmi che lo rifaremo.-
-         Sì! Certo che lo rifaremo! Faremo tutto quello che vorrai! Te lo prometto piccola mia! Non ti lascerò mai più.- disse accarezzando l’immagine della bambina sul ciondolo.
-         Ho paura...-
-         Non devi averne.-
-         Però ce l’ho! Mi sento sola! Io ho bisogno di te!- disse questa iniziando a singhiozzare.
-         No amore, non piangere ti prego! –
-         Avevi detto che ci saresti sempre stato per me!-
-         E infatti io ci sarò! Devi fidarti di me!-
-         Ci sarai?- chiese questa, iniziando a calmarsi.
-         Certo. Ci sarò e non ti abbandonerò più.-
-         Guardami papà.-
-         Lo sto facendo.-
-         No, papà! Girati!-
Pitchiner strizzò gli occhi che si stavano gonfiando di lacrime. La voce di sua figlia che gli penetrava nella testa, era uguale a come se la ricordava, ma non era lei. Lo sapeva che non era lei... eppure la sua mente aveva così bisogno di credere che si trattasse di lei, il suo cuore aveva talmente bisogno di risentire la sua voce che non poteva farne a meno! Ormai non lottava più, era stanco, sfinito. Troppi anni passati a cercare di tenere a freno l’oscurità e ormai il suo corpo si stava ammalando di essa. La sua mente era ormai consumata da quell’essenza di tenebra. Un solo raggio di sole, però, lo teneva ancorato alla realtà... ed ora lo stavano usando contro di lui.
-         Non posso farlo...- disse con un filo di voce. Sapeva che se avesse ceduto anche a quella tentazione, non ne sarebbe più uscito. Sentiva le sue forze ormai cedere, i suoi occhi stanchi, il respiro affannoso.
La sua non era una lotta fisica, era una lotta psicologica, contro creature più potenti di lui, diaboliche ed assetate di sangue.
Forse un tempo era stato in grado di tenerle testa, ma come un topo da laboratorio lasciato rinchiuso con vicino un allucinogeno, con il tempo avrebbe perso ogni senno ed avrebbe trovato la morte.
Ebbene, Pitchiner sentiva che quel tempo si stava avvicinando. Ormai non ricordava più niente... non ricordava perché fosse lì, non ricordava il tempo dove lui era conosciuto come il potente Generale Kozmothis Pitchiner, non ricordava più la sua gloria durante l’Età dell’oro, l’unica cosa che ricordava era lei... il suo raggio di sole, la sua stella... la sua adorata figlia...
Lui sapeva che doveva rimanere lì, come un automa che deve svolgere a tutti i costi la sua direttiva, senza uno scopo preciso, senza un perché... lui sapeva che doveva farlo, anche se ogni cellula del suo corpo gli diceva di mollare tutto, di lasciarsi andare, di smettere di lottare... ma quella vecchia immagine gli dava la forza di continuare, anche se per lui ormai niente avesse senso....
-         Sì che puoi. Avanti, girati.- lo invitava ancora la vocina, dolce e gentile.
Pitchiner scosse la testa.
-         No...- sussurrò.
-         Perché non mi vuoi più bene papà?-  domandò tristemente la bambina
-         Ti sbagli, io te ne voglio invece.-
-         E allora guardami!-
Non ce la fece più... non riuscì più a resistere e fu in quel momento che Kozmothis Pitchiner venne condannato.
L’uomo, lentamente, voltò il capo. Gli occhi erano ancora serrati...come ultimo segno di ribellione... ma ben presto anche quello si dissolse, rivelando gli occhi rossi e stanchi dell’uomo, che si sgranarono quando videro quello che effettivamente si nascondeva tra i corpi neri e sottili dei Fearlings...
Una bambina, dai capelli lunghi e neri, il vestito bianco e candido, come la pelle, gli occhi verdi come le praterie e il sorriso dolce e gentile che solo lei riusciva a fare.
-         Seraphina...-  sussurrò l’uomo stringendo le mani attorno alle sbarre di ferro. La bambina sorrise.
-         Sì papà...-
Delle lacrime iniziarono a rigare le guance dell’uomo, mentre il suo cuore batteva all’impazzata, felice di rivedere la sua bambina.
Ormai la sua direttiva non significava più nulla per lui... ormai non gli rimaneva neanche quella... niente aveva più senso... nella sua mente c’era solo il nulla, l’oscurità più totale... se non fosse per Lei... e in quel momento era lì, davanti a lui... vedeva soltanto lei. Come in una stanza buia, dove solo una luce filtrava e quella luce era... Lei.
Pitchiner, con lo sguardo vuoto e la mente offuscata, prese le chiavi dalla sua cinta.
Si avvicinò al lucchetto, continuando a guardare fisso la bambina, che gli sorrideva in modo gentile.
Portò la chiave alla serratura, la infilò piano ed una volta arrivato in fondo, la girò.
Una volta.
Due volte.
Tre...
Poi un clack... e il silenzio.
Per un momento sembrò che il tempo si fosse fermato. Non un respiro, non un movimento.
Pitchiner era sempre lì... dinnanzi alla porta a guardare l’interno con lo sguardo vuoto, inespressivo, come morto.
La catenina che pendeva dalla mano di Pitchiner, con il ciondolo aperto e la figura della ragazzina che adesso si situava dinnanzi a lui, fissandolo sempre con la stessa espressione, ferma e immobile...
Poi un tonfo.
La porta che si aprì e i Fearlings che si fiondarono contro all’uomo.
Tutti quanti, nessuno escluso.
Diecimila, erano.
Tutti i Fearlings che pochi anni prima infestavano la terra, che erano stati appositamente portati in quel lontano pianeta, ora erano addosso al loro carceriere.
Ma lui non lottava... lui si lasciò catturare, si lasciò toccare, mordere, graffiare da loro.
Lo sguardo era vuoto, come quello che vi era nella sua mente... puro vuoto... il nulla...
Era come un guscio vuoto, senza più nulla dentro... se non per una cosa.
Una bambina, di circa sei anni, dal sorriso radioso e dalla risata contaggiosa...
Una risata che però,  pian, piano, iniziò a spegnersi, sostituendosi ai versi acuti e strazianti dei Fearlings che avevano iniziato a penetrare nella sua mente, per cibarsi di quei pochi resti che gli erano rimasti della sua anima.
Fu in quel momento che Pitchiner provò nuovamente paura. Ritrovò nuovamente quella sensazione che aveva perso molti anni orsono.
Strinse forte la catenina, con gli occhi sgranati e pieni di puro terrore...
Quello che però temeva, Kozmothis Pitchiner, non era la morte, bensì perdere quell’unico ricordo che ormai gli era rimasto. Sprofondare nell’oscurità più profonda e smarrire quel misero raggio di luce, quella speranza, quella gioia che gli dava la forza di rimanere in vita.
I versi acuti ed inquietanti dei Ferlings gli innondarono le orecchie, cercando di sovrastare il suono della voce della bambina, che Pitchiner cercava in tutti i modi di ricordare.
Si aggrappò con tutto se stesso a quel ricordo. Il ricordo del loro ultimo giorno insieme, prima che lui partisse.
Era una giornata d’estate, il sole splendeva alto nel cielo. Pitchiner e la piccola Seraphina stavano correndo insieme nella spiaggia.
La bambina che rideva, contenta di passare del tempo con il suo papà,  che la prese in braccio per poi portarsela sulle spalle e correre tra la sabbia dorata.
Le onde che s’infrangevano sulla riva, che gli bagnavano i piedi.
Il verde smeraldo degli alberi al confine con la spiaggia, che venivano smossi dal vento come i capelli della bambina, lunghi e boccolosi.
Il suo sorriso, i suoi occhi.
L’uomo fece scendere la bambina, per poter giocare con lei con la sabbia.
Stavano parlando, si stavano dicendo delle cose, probabilmente commentavano la bellezza del cielo, senza una nuvola, lo splendore del sole, il blu del mare... ma Picthiner non riusciva a sentire alcun suono uscire dalle loro bocche.
Pian piano, la sabbia dorata iniziò a colorarsi di nero. Il cielo si scurì. Il mare divenne una sostanza viscosa, dal colore dell’inchiostro.
Le due figure iniziarono ad ofuscarsi.
Pitchiner strinse ancora di più la catenina, bucandosi la pelle con il ferro di questa, per il tanto stringere. Il sangue iniziò a scorrere dalla sua mano.
Gli occhi grondarono di lacrime, che s’infettarono della paura dei Fearlings, divenendo così nere come quel mare che gli aveva inquinato la memoria.
La pupilla era spenta, persa in quel nero che era la sua memoria. Alla ricerca di quel raggio di luce, ormai fioco.
Cercò in ogni antro della sua mente, quello sguardo, quel sorriso, quegli occhi, quei capelli.. ma vi trovò soltanto una macchia bianca sbiadita, che venne poi consumata dal nero che la circondata per poi svanire.
Urla, risate, oscurità, dolore, sangue, paura, tenebra, morte.
Solo quello iniziò a regnare nella sua mente e quando finalmente egli mosse gli occhi, nelle sue iridi non vi era più quel sole dorato che vi era un tempo, ma un eclissi...
La pelle, bianca e candida era divenuta di un grigio scuro, dura e fredda come la pietra.
I capelli neri erano innaturali, quasi come sabbia solidificata. Le vesti colorate e sontuose erano diventate un’ ombra nera che lo rivestiva sino ai piedi, quasi ad unificarsi con il terreno.
L’essere si alzò da terra, con lo sguardo inespressivo.
Attorno a lui regnava il silenzio e la solitudine.
Neanche una traccia dei Fearlings, dato che questi erano dentro di lui.
Insiedati nella sua mente e nella sua anima.
Sentì di avere qualcosa in mano e così aprì il palmo, che era senza alcun graffio, come nuovo.
Nella sua mano vi era una catenina, macchiata di rosso, con un ciondolo aperto che rivelava un ritratto di una bambina sorridente.
L’essere osservò per poco quell’immagine, per poi farla ricadere a terra, con un sonoro “cling” che riecheggiò per un po’ nella stanza.
Fu così che Pitch Black lasciò quel luogo desolato, alla ricerca di dolore, di paura, di incubi, di urla e di lacrime. Un qualcosa per dissetare la sua nuova anima di puro male.
Senza alcun rimorso, senza alcun senso di colpa.
Abbandonando qualsiasi tipo di sentimento umano, come aveva abbandonato quella catenina... come aveva ignorato quella vocina, che fiebile gli aveva parlato quando l’aveva fatta cadere... sussurrandogli


 

-         Ti voglio bene papà...- 

  
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