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Autore: live in love    19/06/2013    2 recensioni
" Certe persone sono come un famoso ritratto: per comprendere l'insieme si deve comprendere la sfumatura di ogni pennellata "
Tratto dal Prologo:
[ - Mi dispiace signorina Cornelia - afferma con finta voce costernata, continuando imperterrito a fare il suo lavoro.
Indignata al massimo avvampo violentemente, scoccandogli un'occhiata al vetriolo che spero lo faccia definitivamente tacere.
Mi ha chiamato con il mio secondo nome! Penso irritata al massimo dalla sua persona, così tranquilla e ironica da risultare arrogante.
- Emma - lo correggo asciutta e stizzita, pervasa da un imponente voglia di picchiarlo.
Tentando di placare i miei istinti omicidi lo guardo male, di sbieco, mentre ridacchia divertito.
- In ogni caso, Emma, ho fatto medicina non scuola di estetica - ribatte lui, calcando volutamente sul mio nome e conferendogli un alone quasi sarcastico. ]

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Mia prima storia originale.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Ritratto di Te
 
Prologo

 
 
 
 
Quasi aggrappandomi al bordo del bancone con le dita, mi ci appoggio contro.  Le mie nocche   sbiancano a causa della presa spasmodica sul legno chiaro, tendendo la pelle.
È un annaspare nervoso nel torpore della mia mente alla ricerca di una sequela di parole coerenti che precede il mio parlare, lasciandomi per qualche breve secondo con le labbra dischiuse e mute.
- Salve – soffio con voce bassa, strascicata, contratta da una tensione percepibile che mi permea interamente.
Mi pervade, invadendo le mie vene con un dolore snervate, irritante e viscerale. Goccia dopo goccia si riversa dentro di me,  avvelenandomi con la sua velenosa presenza.
Socchiudo leggermente gli occhi precludendomi parzialmente la vista di ciò che ho intorno, il peso del fastidio fisico che mi tormenta corposamente presente su di me.
Il bancone dell'accettazione del pronto soccorso mi appare momentaneamente sfocato, distorto da un fastidio che non mi lascia tregua.
A mala pena faccio caso alla figura di mia madre, fasciata da un abito classico blu notte, che mi affianca, prendendo posto vicino a me con un'espressione preoccupata stampata in viso.
- Ho bisogno di un dottore – mormoro ancora, le parole che mi raschiano dolorosamente la gola per uscire e disperdersi nell'aria quasi in un fievole gracchiare.
La signora davanti a me, l'infermiera, mi fissa in attesa senza dire nulla per una lunghissima frazione di secondo che mi sembra quasi eterna.
Gli occhi verdi senza un filo di trucco sono puntati dritti su di me scrutandomi attentamente, tentando probabilmente di trovare corrispondenza a ciò che ho detto e scorgere indizi preziosi sul mio malessere.
Il dolore al fianco, pungente e acuto, continua a tormentarmi spietatamente. Come se fossi trafitta da uno stiletto invisibile mi trapassa da parte a parte, portandomi a rabbrividire e a piegarmi leggermente nel tentativo di lenire questo bruciore.
- Cosa si sente?- mi domanda subito dopo, celermente, sporgendosi lievemente in avanti per scrutarmi meglio attraverso il vetro di protezione che ci separa.
Mi rivolge un'occhiata veloce ma attenta, percorrendomi interamente.
- Ho...ho male al fianco – affermo dopo un lungo respiro, tentando di calmarmi – Molto. Ho nausea – aggiungo ancora, risultando più concisa e serafica di quanto vorrei.
E decisamente l'odore acre misto a disinfettante tipico dell'ospedale non aiuta a calmare questo mio senso di stordimento, un mix di nausea e confusione che mi fa sentire terribilmente priva di equilibrio.
Come se dovessi perderlo da un momento all'altro annulla la percezione di ciò che ho intorno, facendomi sprofondare in un isolamento forzato a causa dei miei sensi appannati e irrigiditi. 
- Ok  - afferma con una pacata tranquillità disarmante – Prima di farla visitare devo raccogliere i suoi dati, però – continua a parlare, rivolgendomi un'occhiata tranquilla e seguendo come da prassi il protocollo abituale.
Annuisco lentamente, esasperata dal fastidio che sembra aumentare secondo dopo secondo e, soprattutto, da questa apatica flemma.
Il pulsare alla mia tempia si acutizza all'improvviso, dandomi probabilmente il colpo finale.
- Come si chiama? - mi domanda subito l'infermiera, allungando la mano per afferrare quello che suppongo essere un modulo.
- Emma Scott – mormoro sfiancata con quel poco di razionalità che mi rimane, la mente appannata e gli occhi che hanno iniziato a bruciare tremendamente.
Lei scarabocchia qualcosa sul foglio, celando parzialmente il viso a causa dei corti capelli color mogano che le coprono il volto.
- Età? - mi chiede, continuando il suo interrogatorio con una calma irritante.
Deglutisco quasi a forza, ricacciando indietro il nodo alla gola dovuto al senso di nausea che mi affligge senza scampo.
- 24 anni – soffio flebilmente, quasi priva di forze mentre il mio corpo anela disperatamente ad un po' di riposo.
Improvvisamente anche la semplice, statica azione di stare in piedi diventa complicata, stancante. Con le gambe appesantite da una stanchezza istantanea e quel senso di acqua in bocca che non mi abbandona mi muovo leggermente sul posto, vacillando.
Vorrei sdraiarmi, solo questo. Sprofondare in qualcosa di morbidamente comodo e far rilassare i miei muscoli nervosamente contratti, irrigiditi.
L'infermiera annota nuovamente, annuendo lentamente e sfibrandomi ulteriormente.
Di pessimo umore e con un lancinante dolore al basso ventre le lancio un'occhiataccia ormai al limite della sopportazione, intimandole silenziosamente di sbrigarsi.
- Il suo indirizzo? - alza gli occhi su di me in attesa di una risposta – Siete assicurati? -
Sono proprio necessarie tutte queste domande?
E, soprattutto, in questo modo così lento? Mi chiedo sconfortata, quasi sull'orlo delle lacrime per via del fastidio.
Simile ad un bruciore corrodente mi attanaglia le membra, scombussolandomi interiormente.
E mia madre, al mio fianco, sembra pensarla esattamente come me stranamente.
- Si rende conto che sta facendo il terzo grado a mia figlia? - sbotta lei in modo severo e schietto, imponendosi con tutta la sua esuberanza racchiusa nella sua minuta figura.
Inclino leggermente il viso alla mia sinistra, lanciandole una distratta occhiata di sottecchi da sotto le ciglia e prendendo seriamente coscienza della sua presenza solo ora.
Troppo assorbita dall'oblio sconcertante del mio stato fisico continuo a fissarla.
Non ha detto una parola fino a questo momento, cosa davvero insolita per una come lei.
Con i capelli neri perfettamente pettinati e il trucco senza una sbavatura muove nervosamente le mani, pronta probabilmente ad una delle consuete arringhe che è solita sfoggiare.
- La sta trattando come una criminale – afferma ancora, una smorfia sdegnata ad inclinarle le labbra coperte dal rossetto - Non vede che sta male! - la aggredisce, l'aggressività  tipica del suo essere avvocato che emerge prepotentemente.
Quasi imbarazzata dalla sua invadenza rivolgo un traballante sguardo di scuse all'infermiera, basita dallo sfogo di mia madre.
In fondo, la pazienza non è mai stata una caratteristica che s'addice a Lydia Scott.
- Signora, sto facendo il mio lavoro – afferma dopo un attimo di esitazione l'infermiera, parlando con una calma che sa di anni di lavoro ed esperienza alle spalle.
O forse semplicemente trattenendosi dal risponderle a tono come l'orgoglio le suggerisce, ma lo status della sua opposizione le impedisce.
- Mia figlia sta male – sbotta nuovamente, trafiggendola con uno sguardo rovente che non ammette repliche – Esigo che un dottore la visiti -
- Questo è il protocollo -
Mia madre, in tutta risposta, sbuffa sonoramente indispettita senza preoccuparsi troppo di contenersi. Rotea poi gli occhi al cielo, facendo chiaramente capire di essere profondamente innervosita da tutta questa situazione che procede estremamente lentamente.
- In ogni caso potete accomodarvi nella sala visite che il mio collega vi indicherà – ci dice, rompendo l'improvviso e quanto mai irreale silenzio dell'ospedale – E' un codice verde, il dottore di turno arriverà entro poco – continua quasi piccata, scoccando un'occhiata poco carina a mia mamma.
L'attimo seguente allunga la mano alla sua destra, pigiando un pulsante che consente il nostro accesso alla parte meno pubblica dell'ospedale.
Senza dire nulla e ringraziando silenziosamente qualsiasi entità celeste presente sospiro, muovendo un passo in avanti nel tentativo di camminare.
Il dolore si acutizza all'istante, trapassandomi disperatamente. Un gemito dolorante e flebile sfugge dalle mie labbra, scomparendo nel vuoto della sala d'attesa del pronto soccorso e provocando su di me lo sguardo di mia madre.
Un velo di preoccupazione mista ad ansiosa angoscia le vela lo sguardo pece, facendola apparire improvvisamente allarmata.
- Andiamo – appoggia una mano sulla mia schiena, guidandomi verso le porte che conducono a quello che presumo essere un ambulatorio.
Le oltrepassiamo venendo accolte dall'ennesimo infermiere che compare davanti a noi e che ci conduce  in una salta visite.
- Si accomodi – mi indica il lettino con un sorriso cordiale nonostante l'ora tarda e la comprensibile stanchezza del turno di notte.
Sembra molto più disponibile della sua collega all'accettazione, noto distrattamente mentre mi sdraio, continuando a scrutare la sua giovane figura.
Cercando di contrarre il meno possibile il basso ventre e di rilassarmi per quanto possibile mi accomodo, allungando poi leggermente la mano sulla gonna del mio vestito di cotone blu per sistemarlo.
Una smorfia tende le mie labbra in concomitanza con l'ennesimo ago virtuale che infierisce sulle mie membra. Stringendole in una linea netta per trattenere orgogliosamente un gemito dolorante stringo il cardigan bianco che indosso, artigliandolo con le dita e premendolo contro il palmo della mano.
Tentando vanamente di scaricare il fastidio lancinante che mi attaglia trattengo anche istintivamente il respiro, aumentando la presa.
Tutto ciò, però, non fa altro che acutizzare il pulsare alla mia tempia causandomi un'ondata di calore e nausea che mi lascia senza fiato.
Un lungo brivido mi attraversa la schiena subito dopo, in netto contrasto con il calore anomalo che mi abita, provocandomi la pelle d'oca.
Fremente e dolorante  rivolgo uno sguardo a mia madre, in piedi poco lontano dal lettino su cui sono sdraiata.
La porta si apre all'improvviso, facendomi quasi sobbalzare. Il cuore sbatte nella mia cassa toracica provocandomi l'intensificarsi del dolore lancinante alla tempia.
Basta fatelo smettere, mi ritrovo a pensare quasi in una piagnucolante preghiera mentre mi porto le dita alla testa tentando inutilmente di alleviarlo.
Una slanciata figura maschile compare davanti a me, palesandosi con un saluto appena mormorato.
Pallida e con lo sguardo annebbiato dal dolore lo guardo, scorgendo un paio di occhi grigi contornati da una folta chioma color miele.
Dei corti capelli biondo cenere circondano infatti un viso pulito e giovane, un lieve strato di barba che gli vela le guance.
Deve essere il dottore, penso notando il camice bianco e il tesserino appeso al taschino. Assottiglio istintivamente gli occhi, tentando con scarsi risultati di scorgerne il nome. cosa che però non accade, facendomi rimanere in una confusione mentale e fisica senza eguali.
Lui fa un breve cenno del capo, venendo subito sommerso dalle preoccupazioni asfissianti di mia madre.
- Cosa abbiamo? - chiede immediatamente rivelando una voce bassa e calda, inaspettatamente intrigante.
Un'altra poderosa fitta al fianco stronca però sul nascere le mie elucubrazione,  tendendomi spasmodicamente.
Un sospiro fioco e dolorante solca le mie labbra l'attimo seguente, risultando una tacita risposta.
- Emma Scott,  24 anni, presenta dolore addominale acuto da circa venti minuti – afferma con concitazione e fermezza una bassa infermiera al suo fianco che solo ora noto.
Il ragazzo biondo annuisce, puntando poi i suoi occhi chiari dritti su di me.
Un altro brivido mi scuote, facendomi rabbrividire.
- Hai febbre? - mi domanda direttamente, muovendo un passo per avvicinarsi.
Tuttavia, non faccio neanche in tempo a rispondere che mia madre mi anticipa entrando forzatamente nella conversazione.
- Ha 38,3 - afferma concitata, appendendosi quasi al bordo del lettino ed irritandomi inverosimilmente.
Cosa davvero ragguardevole visto quanto lo sono già di mio.
- E' grave? - chiede ancora e io decido di ignorarla, chiudendo per un attimo gli occhi alla faticosa ricerca di pace e tranquillità.
Li riapro dopo quello che mi sembra una frazione di secondo, trovando il dottore più vicino di quanto mi aspettasi.
Quando diavolo si è avvicinato? Mi domando fiaccamente.
Incontrando il mio sguardo lucido appoggia poi le dita senza tanti preamboli sul mio stomaco mentre una risposta che non afferro si disperde nell'aria. È solo una frazione di secondo però, i suoi occhi si spostano subito dopo sul mio corpo percorrendolo velocemente come alla ricerca di indizi.
Con le labbra serrate pensierosamente in una linea netta preme leggermente le dita. Qualcosa di indistinto, diverso dal dolore che mi attanaglia, mi porta a trattenere istintivamente il respiro, tendendomi impercettibilmente.
Lui sembra notare la mia reazione dal momento che alza il capo, tornando a fissarmi.
- Male? - mi chiede subito, attento alla mia risposta.
- No – affermo laconicamente, scuotendo il capo in segno di diniego.
Emetto poi un flebile sospiro rilasciando l'aria,  cercando di rilassarmi  e di non contrarre quindi i muscoli.
Senza dire null'altro le sue mani scendono ancora, superando il mio ventre e facendomi aggrottare confusa e sconcertata la fronte.
Che cosa sta facendo? Mi domando senza capire le sue intenzione, cosa che accade invece l'attimo seguente.
Con un gesto sciolto e al tempo stesso deciso alza la gonna del mio vestito di cotone, scoprendomi le gambe nude e la pancia.
E anche le mie culotte nere.
Avvampo furiosamente in viso, le guance che si chiazzano di rosso e un'ondata di imponente imbarazzo che mi investe. Il cuore mi scalpita nel petto, provocandomi un acutizzarsi delle fitte alla tempia.
Dolorante e a disagio punto lo sguardo altrove, un luogo indistinto alle sue spalle, non sapendo assolutamente dove guardare.
Mordendomi quasi a sangue le labbra cerco di non pensare al fatto che sono praticamente mezza nuda davanti ad una manciata di persone.
Tremendamente imbarazzata deglutisco, ringraziando il cielo di aver indossato questa sera degli slip decenti e non i soliti con delle buffe quanto infantili figure raffigurate sopra.
Irrigidita dal dolore e dal disagio non dico nulla, rimanendo chiusa in un ermetico silenzio.
Senza troppi preamboli il presunto dottore appoggia le mani sulla mia pancia, solleticandomi la pelle con i polpastrelli. L'ennesima ondata di brividi mi attraversa la schiena, portandomi a rabbrividire ancora.
Appoggia poi le lunghe dita poco sotto l'ombelico tastandomi attentamente, iniziando poi una lenta discesa verso il mio fianco destro.
La morsa che tiene sotto scacco le mie membra si accentua, provocandomi una dolorosa fitta. Come se una miriade di aghi si conficcasse nella mia pelle il dolore mi trafigge, causandomi un irritante bruciore che mi tende fino quasi allo spasimo.
Avvolta da un male lancinante, che diventa sempre più insopportabile man in mano che la sua mano scende verso il mio fianco, emetto un piccolo gemito sofferente.
- Ahia – mi lamento definitivamente non appena tasta poco delicatamente, facendo pressione.
Lo fulmino con lo sguardo, trafiggendolo con un'occhiataccia al vetriolo che se avesse il potere di bruciare le cose lo avrebbe già incenerito da un pezzo.
Un imponente senso di nausea mi attanaglia lo stomaco immediatamente, provocandomi un senso di calore innaturale che mi offusca quasi la vista.
Tentando di deglutire e scacciarlo continuo a fissarlo negativamente.
- Male? - mi chiede senza guardarmi in faccia, continuando a premere testardamente sul mio fianco.
Cosa che mi irrita terribilmente, facendomi perdere quel briciolo di razionalità che mi restava.
- Si – sibilo contrariata con la voce tagliente, ma appena udibile – Se magari la smette di premere – lo rimbecco l'attimo seguente, fulminandolo malevolmente.
Sembra quasi che si stia sadicamente divertendo, ringhio nell'intimità della mia mente.
Il ragazzo biondo inarca un sopracciglio, scoccandomi un'occhiataccia torva non troppo amichevole, quasi scocciata.
Ricambiandola stringo le labbra, tentando di trattenere un mugolio dolorante e di contenere il dilaniante senso di nausea che non ne vuole sapere di abbandonarmi.
Appoggia poi la mano sull'altro fianco, toccandolo appena ma senza provocarmi alcun dolore o fastidio.
Indurendo flebilmente la mandibola e senza ribattere nulla mi ribassa la gonna del vestito con un gesto secco del polso, raddrizzando la schiena.
Percependo la bile bruciare nello stomaco prendo un respiro profondo nel tentativo vano di sopirlo.
- Credo proprio che sia una appendicite – afferma l'attimo dopo, facendo la diagnosi e portandomi ad aggrottare la fronte.
- Per conferma adesso facciamo comunque delle analisi del sangue – continua alzando appena il capo per guardarmi, il tono pacato  e calmo  di chi fa il proprio lavoro con sicurezza che però non sopisce il mio malumore.
- Crede? - ribatto acidamente, la voce spezzata appena dall'ennesima fitta che mi trafigge. - Dovrebbe esserne sicuro – sputo le parole tra i denti. in modo degno del miglior dispotismo di mia madre.
Lui si apre in un sorriso tranquillo che gli illumina il viso, irritandomi.
- Signorina, so fare il mio lavoro e dall’esame obiettivo sembra appendicite, ma le analisi servono a confermare la diagnosi.- afferma sicuro di sé, la padronanza di ciò che dice che permea ogni sua singola parola - Sono un medico, ma non sono ancora veggente – continua l'attimo dopo, scherzando e tentando forse di strapparmi un sorriso,.
Cosa che tuttavia non succede, tutt'altro.
Le mie labbra si piegano in una smorfia che lascia trasparire tutto il mio malessere fisico, storcendosi in una smorfia dolorante.
Afflitta da un dolore sempre più intenso quasi mi inarco contro il lettino, il spasmodico bisogno di trovarvi sollievo e il limite di sopportazione passato da un pezzo.
- Voglio il primario – tuono subito dopo, non aspettando una sua risposta – Non sa chi sono io, voglio essere curata dal primario – imperterrita ribatto ancora, sottolineando la mia volontà e ricordandomi, soprattutto, del rapporto di amicizia che lo lega a mio padre.
Il suo sorriso, se  possibile, si accentua maggiormente, diventando divertito e intrigante.
- Se è per questo neanche lei sa chi sono io, quindi mi presento – afferma in risposta al mio impuntarsi, allungando una mano nella mia direzione mentre quel ghigno leggero persiste sul suo viso. - Sono il dottor Andrew Harrison, piacere di fare la sua conoscenza – inclina impercettibilmente il viso ricambiando la mia occhiataccia febbrile e snervata con una, al contrario, tranquilla.
Senza degnarmi poi di un altro sguardo si volta verso mia madre non appena capisce che non accetterò la sua mano, parlandole.
Razza di antipatico, gli inveisco silenziosamente contro io.
- Ha per caso mangiato qualcosa che potrebbe averle fatto male?- chiede subito dopo, riabbassando la mano lungo il fianco
- Eravamo daAlfredo , ma è un ottimo ristorante.- afferma lei, il trucco intatto e una vena ansiosa che le impregna la voce, rendendola quasi stridula - Ci andiamo sempre e nessuno di noi si è mai sentito male – continua in modo concitato, snocciolando informazioni su informazioni con una velocità disarmante.
Il dottore, dall'altro lato, annuisce lentamente, sfilando quella che deve essere la mia cartella clinica dalle mani di una infermiera e scarabocchiandoci sopra qualcosa di indefinito.
- Ok – soffia semplicemente in un sussurro pensieroso, continuando a scrivere.
Il pulsare alla tempia aumenta ancora, diventando realmente insopportabile.
- Pensa che possa essere una intossicazione alimentare? - domanda ancora agitata, gli occhi allargati e lo sguardo fisso su di lui - Perché  ho l’impressione che Alfredo inizi a servire cose non più fresche – continua a parlare, speculando sulle possibili cause.
Emetto un lungo sospiro, già stordita dalla voce acuta di mia mamma e dal dolore che non accenna assolutamente a smettere.
Il senso di nausea persiste, schiacciandomi e stringendomi lo stomaco in una morsa che mi provoca un insolito senso di acqua in bocca.
La sensazione di essere in barca mi pervade, facendomi sentire inaspettatamente priva di equilibrio e disorientata.
Chiudo allora gli occhi, tentando di calmare quella stretta dolorante che mi toglie il respiro non lasciandomi scampo.
E decisamente la presenza oppressiva di mia madre non mi aiuta per nulla.
-No, signora – le risponde pazientemente lui – Dal momento che nessuno di voi si è sentito male mi sento di escluderla. Ne sono sicuro -  piega leggermente un angolo della bocca, ghignando e riservandomi un'occhiatina di sottecchi divertita e smaliziata.
Richiamando sfacciatamente il discorso di poco fa mi rivolge uno sguardo sicuro di sé e disteso, venato appena da una punta di ilarità.
Un accenno di risata che non so trattenere mi sale alle labbra, piegandole in un sorriso lievemente accennato che scema subito in una smorfia.
- Ahia – gemo leggermente, la voce che si incrina fino a spezzarsi in un gemito quasi  inudibile che cattura subito l'attenzione di due occhi grigi.
- Male? - mi chiede pacatamente, muovendo un passo verso di me e appoggiando la mano sul bordo della barella.
Svettando su di me continua a guardami attentamente, irritandomi inverosimilmente.
Il mio corpo si tende maggiormente, contraendo i muscoli e accentuando il mio dolore. L'ennesima fitta al basso ventre mi tormenta, invadendomi con il suo bruciore e causandomi un'altra ondata poderosa di nausea che fatico a trattenere.
Lo fulmino con  occhi fiammeggianti di dolore e nervosismo, deglutendo a fatica nel tentativo di rispondergli.
- Secondo te? - ribatto acidamente, la bocca impastata e asciutta che fa risultare la mia voce quasi un mugolio confuso.
Lui stringe le labbra in una linea netta, indurendo appena la mandibola mentre alza gli occhi al cielo.
Con la vista appannata e quel senso pressante di doversi svuotare che mi ribolle nello stomaco lo guardo emettere un sospiro leggero e quasi stanco.
Imperterrita mia madre continua a parlare, interrompendo il nostro teso e breve scambio di battute.
- In ogni caso siamo pronti a fargli causa se si trattasse di questo – afferma decisa, gesticolando con le mani come a voler sottolineare quello che sta dicendo.
Sempre più stravolta e rigida prendo un respiro profondo e tremolante, tentando vanamente di ricacciare indietro la nausea che sale sempre più velocemente verso la mia gola.
Con il sudore freddo che mi imperla la fronte socchiudo gli occhi, le palpebre troppo pesanti per tenerle aperte.
Un'ondata di bollente calore mi travolge subito dopo, nello stesso esatto istante in un cui una risata appena percepibile mi giunge alle orecchie.
Il dottore sorride divertito sotto i baffi, lanciandomi un'occhiata di sfuggita prima di ribassare lo sguardo sulla cartella clinica che ha in mano.
La mia, presumo.
 –  Ho ancora una domanda – afferma, scrutando il mio pallore innaturale e l'espressione contratta che mi aleggia in viso – Ha accusato episodi di vomito?- mi domanda continuando a studiarmi.
Scuoto lievemente la testa, provocando l'accentuarsi del pulsare alla mia tempia.
- No – soffio impercettibilmente, percependo  il mio stomaco stringersi sempre più spasmodicamente. - Ci mancava solo quello - continua sarcastica con una punta di acida ironia nella voce, alludendo a tutti i malesseri e fastidi che già mi affliggono.
Lui aggrotta le sopracciglia chiare, non smettendo purtroppo di tormentarmi con le sue snervanti domande.
- Sicura? - mi chiede ancora, sollecitandomi a risponde.
- Sicurissima – sibilo.
All'improvviso quella sensazione di doversi svuotare diventa impellente, soffocante,
Con il respiro accelerato e la gola chiusa annaspo in cerca di ossigeno, cercando di calmarmi.
- Ok, perché è uno dei sintomi più ...-
La sua voce si sfoca improvvisamente, giungendo indefinita e ovattata alle mie orecchie, istintivamente mi tiro a sedere, vacillando quasi per il modo brusco con cui lo faccio. Stordita e con una nausea incredibilmente intesa  mi stordisce, facendomi arrivare al limite.
Accade tutto in una frazione di secondo poi, il tempo di un respiro vissuto quasi a rallentatore.
Stringendo tra le dita il bordo tessuto del mio vestito nel tentativo di scaricare il dolore mi annaspo.
E non riesco più a resistere, soccombo semplicemente.
Mi sporgo oltre il bordo della barella, spinta dal desiderio dilaniante di svuotarmi e dalla bile che sale.
Vomito.
- Dannazione -
 
 
 

******

 
 
 
 
 
E' un tuono, fragoroso e imponente, a risvegliarmi bruscamente dal mio tranquillo dormiveglia. Disorientata e con la bocca impastata apro gli occhi, incontrando una leggera penombra che avvolge una stanza apparentemente sconosciuta.
Solo dopo qualche attimo la mia mente, intorpidita dalla sonnolenza e dai farmaci, si riprende, risvegliandosi totalmente.
Sono in ospedale, mi ricordo con un lieve sospiro. La mia mano si posa istintivamente sul mio bassoventre, nel punto esatto che non più di mezzora fa mi faceva quasi urlare per il dolore.
Non so cosa mi abbiano dato, ma ha decisamente fatto effetto, penso godendo di una pace fisica che mi appesantisce il corpo.
Ancora stordita giro il viso, appoggiando la guancia contro il cuscino e rivolgendo lo sguardo verso l'entrata.
Una figura massiccia  compare nello stesso istante sull'uscio della porta, contemporaneamente un lampo squarcia il cielo illuminando la mia stanza per una frazione di secondo.
Avvolta unicamente dall'orrenda e fredda camicia da notte tipica degli ospedali emetto un lungo sospiro, affondando lievemente il viso nel cuscino.
Il dolore è quasi totalmente sparito, lasciando il posto solo ad un torpore quasi irreale delle membra. Il senso di confusione si è dissolto come una bolla di sapone, facendomi sprofondare in un dormiveglia continuo e privo di pensieri.
- Oh grazie al cielo Richard finalmente sei qui -
La voce stanca e al tempo stesso sollevata di mia madre mi giunge fievole alle orecchie, entrando anche lei nel mio campo visivo subito dopo.
Appesa al braccio di quello che comprendo essere mio padre è rivolta verso una terza figura che, visto il camice bianco, deve essere un altro dottore. L'ennesimo della serata.
Si scambiano un breve scambio di battute che non comprendo totalmente, la voce troppo bassa che non mi permette di distinguere ciò che si dicono.
Affinando lo sguardo tento di scorgerne il volto, incuriosita
- James , preferisco che la visiti tu – afferma mio padre, il tono leggermente più alto che mi permette di sentire meglio.
Si riferiscono a me, credo.
Muovendomi e sistemandomi leggermente nel letto resto in ascolto, una mano appoggiata sulla mia pancia in modo distratto e l'orecchio teso per percepire meglio.
- Certamente Governatore Scott. - acconsente quello che ipotizzo essere il primario o comunque un dottore. - Ora vado a visitarla, ma dall’esame obiettivo è appendicite al novantanove percento - continua pacatamente, cercando di rabbonirlo quasi.
- Siamo sicuri? - chiede una voce femminile che riconosco subito appartenere a mia madre -L’ha visitata un dottore molto giovane -  insinua lei con voce sottile.
E non posso che darle ragione.
Tengo particolarmente alla mia vita, non mi va di finire sotto le mani di qualcuno di inesperto e magari neanche troppo preparato.
- Non appena  arrivano gli esiti delle analisi del sangue, la controllo- mormora ancora lui pazientemente e in un pensiero distratto mi ritrovo a chiedermi dove trova tutta questa pazienza.
I miei genitori non sono di certo due persone facile, sia per la posizione sociale che ricoprono che a livello caratteriale.
- E poi la operiamo in mattinata. - continua - È una procedura veramente semplice e non c’è da preoccuparsi – li rassicura, riuscendo in qualche modo a calmare anche me.
Speriamo, mi dico silenziosamente.
James confido che farai tu stesso l’operazione – gli risponde mio padre, muovendosi appena e proiettando la sua ombra all'interno della mia camera.
- Naturalmente.
Socchiudo per un attimo gli occhi, perdendomi momentaneamente nel buio rassicurante delle mie palpebre.
Non so quanti minuti trascorrono, forse una manciata o forse molti di più, ma quando li riapro trovo anche una quarta figura.
Istintivamente assottiglio gli occhi, tentando di vedere meglio e scorgendo dei tratti che appaiono vagamente famigliari.
Ci pensa il presunto dottore però a dare una risposta ai miei dubbi.
- Lui è il  Dottor Harrison – afferma  facendomi aggrottare confusa la fronte - Ha visitato vostra figlia -
Lo presenta e finalmente la mia mente collega quella figura sconosciuta al tipo petulante e perfettino che mi ha visitato non più di qualche ora fa.
- Loro, invece, sono il senatore Scott e sua moglie. Sono i genitori della signorina Emma della stanza 2805 -
Tuttavia, non riesco a scorgerne il viso, che rimane celato in parte dalla porta socchiusa e dalla penombra.
- Si, l’appendicite – afferma in risposta lui, il tono pensieroso di chi si è soffermato a pensarci.
Prendo un profondo respiro, percependo improvvisamente il corpo stanco.
La mia mente quasi si appanna, risultando torbida e confusa. Faccio fatica a pensare, a collegare la voce ai volti.
Il gruppo fuori dalla mia stanza riprende a parlare, mischiandosi al caotico disordine della mia mente.
Rimanendo con gli occhi chiusi sospiro, restando in ascolto.
 - Allora, oggi tu ti occupi esclusivamente di questo caso – afferma il dottore con la voce più roca e grave, parlando. - Confido in te per rende il soggiorno della signorina Scott il più confortevole possibile – continua con tono deciso, facendo assomigliare le sue parole più ad un ordine che ad una richiesta.
Con i pensieri sempre più intricati e disconnessi fatico a rimanere sveglia, le palpebre che diventano terribilmente pesanti.
Ed è uno sforzo quasi disumano rimanere sveglia e in ascolto.
- Certamente. - concorda il ragazzo, la voce sempre irritantemente pacata.
 
Il mio corpo diventa sempre più pesante e Morfeo inizia a bussare alla mia porta, iniziandomi a insidiarsi dentro di me.
Le voci iniziano ad arrivare sfocate alle mie orecchie, ovattate da una stanchezza spossante e quasi irreale che non mi lascia scampo.
 
- Stia tranquillo Governatore , lui è il nostro specializzando più talentuoso- sono le ultime parole che percepisco prima di sprofondarvici - Emma è in ottime mani -
 
E poi è solo buio.
 
 
 
 
******
 
 
- Signorina Scott -
Una voce acuta, ma allo stesso tempo bassa mi chiama, risultando quasi lontana. Come se fosse distante anni luce da me arriva ovattata, oscurata dal buio pece che abita la mia mente.
Un impulso fievole mi impone di svegliarmi, venendo bellamente ignorato l'attimo dopo.
Infastidita ruoto il viso, voltandolo dalla parte opposta da cui proviene il suono.
Cosa che però non fa desistere evidentemente chi mi sta chiamando, che continua a farlo con una snervante insistenza.
- Signorina Scott, si svegli - mi esorta ancora, infastidendomi e facendomi aprire gli occhi.
Li schiudo, incontrando un soffitto bianco contornato da una leggera penombra.
Sospiro poi, cercando di risvegliare le mie facoltà intellettive e di capire dove sono e cosa vogliono da me, soprattutto.
Facendo partire non proprio con il piede giusto la mattina mi volto alla mia sinistra, un cipiglio torvo che mi adombra il viso che si mischia all'espressione assonnata.
Davanti a me, al mio fianco, si staglia la minuta figura di un'infermiera che mi fissa attentamente.
- E' mattina - mi informa con tono neutro, informale ma piatto portandomi ad aggrottare le sopracciglia - Tra poco verranno a prepararla per l'operazione - continua appoggiando fugacemente la mano sulla mia spalla.
Annuisco, ancora troppo intorpidita dal sonno pesante in cui ero sprofondata per parlare.
Lei in risposta mi sorride nuovamente prima di voltarsi e uscire dalla mia stanza, scomparendo e permettendomi di risprofondare in un apatico dormiveglia che fatico a scacciare.
Ci affondo morbidamente senza quasi accorgermene, gli occhi che tornano facilmente pesanti.
Tuttavia, non passa neanche un secondo che vengono nuovamente svegliata. O meglio, interrotta
- Buongiorno -
Apro di scatto gli occhi, un latente nervoso che si riversa nelle mie vene, mischiandosi ai farmaci che sto assumendo.
Seccata e stanca mi volto nuovamente verso l'entrata, facendo scontrare i miei occhi con un paio azzurri che riconosco subito.
Dottor irritante, penso silenziosamente mentre gli rivolgo un'occhiata infastidita e altera.
- Di buono ha ben poco - ribatto io come saluto, sbuffando per l'ennesima interruzione del mio riposa poco ristoratore.
Puntellando poi i palmi delle mani contro il materasso mi tiro a sedere, appoggiando con una smorfia le spalle contro il cuscino.
Lui non dice nulla, rimanendo in silenzio e raggiungendo il mio letto.
Non troppo esaltata dalla sua presenza punto lo sguardo su di lui, mentre appoggia quello che sembra un kit per fare una flebo sul tavolino.
- Sono il Dottor Harrison, signorina Scott - afferma con tono formale e professionale, quasi distaccato e accademico. - Sono lo specializzando che la seguirà durante la sua permanenza e che la preparerà per l’intervento - alza brevemente gli occhi su di me, lanciandomi un'occhiata sfuggente e apparentemente fredda.
- Si, di nuovo tu - ribatto in risposta io, un lieve fastidio al bassoventre che torna a tormentarmi forse a causa della postura che mi fa contrarre gli addominali.
O forse semplicemente  è la sua presenza a provocarmelo dal momento che ogni volta che c'è lui si acutizza nuovamente.
Non che la cosa sia capitata molte volte, ma nelle uniche due occasioni in cui ci siamo incrociati è stato così.
Improvvisamente stizzito mi lancia un'occhiata non molto delicata, quasi torva, alzando appena il capo per guardarmi negli occhi.
- Si sono il tipo del vomito- ribatte schietto alla mia smorfia, ammutolendomi con un sorrisino ironico e tagliente.
Piega poi il viso, inclinando appena nella mia direzione mentre mi rivolge un'occhiata fugace attraversata da un guizzo divertito.
- Ma tranquilla, mi sono cambiato - sussurra abbassando il tono della voce come se mi stesse rivelando qualcosa di intimo e personale, un sorriso sornione a stendergli le labbra.
Per nulla decisa a lasciargli l'onore di avere l'ultima parola inarco un sopracciglio, risultando quasi indagatrice.
- Spero che tu ti sia anche lavato - arriccio leggermente il naso mentre soffio le parole con un tono candido e lieve, quasi innocente.
Un ghigno divertito, che proprio non riesco a trattenere, mi sfugge, aggiungendo un alone di ilarità alle mie parole.
Lui mi fissa per un lungo secondo, trafiggendomi con i suoi occhi azzurri.
Senza dire nulla sorride, afferrando poi una sedia con la mano e avvicinandola al mio letto.
Ci si siede subito dopo, distogliendo lo sguardo dal mio e rompendo l'insolito gioco che si era creato.
Non ci presto  poi troppa attenzione, passando le dita tra i miei capelli nel tentativo di sistemarli e di apparire quanto meno presentabile. Cosa che credo quasi impossibile visto il mio pallore e l'aria sbattuta che campeggia sul mio viso.
- Le analisi e la visita del dottor Williams hanno confermato la mia diagnosi, comunque. - afferma con voce professionale venata da una punta di vittoriosa soddisfazione - E' appendicite - continua sfacciatamente sicuro di sé.
Esibendo una chiara espressione da ho ragione  mi fissa, quasi schernendomi scherzosamente e rifacendosi alla sconclusionata discussione che abbiamo avuto poco dopo il mio arrivo in ospedale.
Non sapendo cosa rispondere rimango in silenzio, muovendo appena il capo in segno di assenso.
Un lieve nervosismo mi pervade subito dopo, rendendomi stranamente agitata. Una punta di angoscia mi trafigge, stringendomi lo stomaco, al pensiero dell'operazione.
E inaspettatamente lui sembra intuire i miei pensieri, continuando a parlare.
- E’ un’operazione molto semplice - afferma calmo, appoggiando una mano sul tavolino vicino al letto - Tuttavia, la faremo in open perché dai tuoi valori è venuta fuori la possibilità della peritonite- continua, gesticolando lievemente mentre continuaa spiegarmi tutto pazientemente.
Il senso di ansia a queste parole aumenta, facendomi quasi sentire nel panico.  Non ho mai subito nessuna operazione in vita mia e di certo avrei preferito di gran lunga che non capitasse.
Leggermente impaurita deglutisco, gli occhi lievemente dilatati e resi lucidi da un fastidio che non mi ha abbandonato del tutto nonostante gli antidolorifici.
- Non ti devi preoccupare - tenta di tranquillizzarmi lui e inaspettatamente ci riesce.
Il suo tono caldo e pacato in qualche modo mi calma, sedando i miei torvi pensieri.
Un impercettibile senso di sollievo si insinua dentro di me, portandomi a sospirare.
- Si - mormoro unicamente.
- Comunque adesso ti preparo per l’intervento, appena la sala 2 si libera è il tuo turno - mi dice lui, facendola suonare come una fortuna.
- E’ il mio giorno fortunato allora - soffio ironicamente in risposta, facendo una smorfia.
Vagamente divertito lui inizia ad armeggiare con gli aghi ed una flebo.
- Ovvio,  hai avuto la fortuna di avere me come specializzando- sorride, rivelando una sfaccettatura  vanesia del suo carattere.
Mi invita poi con un cenno ad appoggiare il braccio destro sul tavolino.
Acconsentendo alla sua richiesta lo faccio, soffiando debolmente l'aria tra le labbra.
Con una precisione e delicatezza disarmante afferra l'ago, pronto per avvicinarsi a me. Con un'espressione concentrata stampata in volto appoggia poi i polpastrelli caldi sul mio braccio, tastando leggermente e passando in seguito a premere appena sul mio avambraccio.
Adocchiando con occhi febbrili l'ago faccio una smorfia, piegando lievemente il capo.
Non ho mai amato gli aghi, tutt'altro anche se non la si può di certo classificare come una fobia.
Solo una piccola allergia, ecco.
- Sentirà una piccola pressione - mormora infilando l'ago nella mia vena.
 Istintivamente trattengo il respiro, irrigidendomi appena a causa di quel piccolo pizzicore che risulta snervante.
Sospiro, rilasciando l'aria tra le labbra nel tentativo di rilassarmi. Socchiudo gli occhi nocciola, il senso di spossatezza ancora ben presente.
 - Emma Cornelia Scott - afferma all'improvviso lui, portandomi ad alzare lo sguardo.
Lo trovo intento a fissare curiosamente la mia cartella, un sorriso lieve e divertito che gli inclina beffardamente le labbra.
- Bel secondo nome. - continua con una risata leggera, prendendosi gioco di me - Complimenti-
Cosa che decisamente non mi piace.
Lo fulmino con lo sguardo, corrucciando torvamente la fronte.
- Non credo che un medico dovrebbe prendere in giro i pazienti - continuo a trucidarlo con gli occhi, sfoggiando un tono saccente e pungente che risulta odioso alle mie stesse orecchie.
Lui inarca in risposta un sopracciglio biondo, scoccandomi un'occhiata altera.
- Lo faccio per distrarti - soffia con un tono che mal si accorda con il suo sguardo, risultando morbido e affabile - Non ti sei neanche accorta che ho finito -  si apre in un sorriso smagliante e quasi vittorioso, provocandomi un misto di imbarazzo e irritazione.
 Sorpresa e confusa abbasso lo sguardo sul mio braccio, notando che in effetti ha davvero fatto tutto senza che quasi me ne accorgessi.
Colta in fallo piego le labbra, stringendole appena prima di riprendere a parlare.
- E, invece, per cosa sta quella J?- gli domando indicando con un cenno del capo il tesserino che fa bella mostra di se appeso al suo taschino.
Andrew J. Harrison.
 – Insomma, avrai anche tu un secondo nome – proseguo l'attimo dopo, concludendo il mio ragionamento con una lieve scrollata delle spalle.
Istintivamente lui abbassa lo sguardo adamantino, seguendo la direzione dei miei occhi.
- Sta per  John – mormora semplicemente, il sorriso che scema via desolatamente. - E' il nome di mio nonno, che non potrò mai ringraziare abbastanza.- mi spiega, il tono che si tende leggermente e assume una sfumatura indecifrabile.
È solo un secondo, tuttavia.
La smorfia che ha inclinato lievemente le sue labbra scompare subito dopo, facendo tornare il suo sorriso.
Vorrei dire qualcosa ma non lo faccio, rimanendo in silenzio. O forse lui semplicemente non me ne da il tempo, riprendendo a parlare.
- Di certo però meglio che Cornelia - mormora subito dopo, tornando inaspettatamente solare e tranquillo.
Soffre di bipolarismo per caso? Mi domando inarcando appena un sopracciglio, non capacitandomi totalmente del suo cambio di umore.
- Come ti senti? - mi domanda realmente interessato, sistemando velocemente.
Mi stringo fra le spalle, piegando appena il capo.
- Spossata – mormoro con un filo di voce, riuscendo a rendere appieno il mio stato fisico con questo semplice aggettivo. - Ho un po' di fastidio - ammetto l'attimo seguente, spostandomi una ciocca di capelli castani dal viso dove sono sicura che un bel paio di occhiaie spiccano sulla mia pelle candida.
Con un movimento fluido ed elegante si alza in piedi, afferrando la sacca della flebo e appendendola nell'apposito alloggio.
- E' normale - afferma facendo sprofondare una mano nella tasca del camice. – Ma non preoccuparti ti stiamo dando dei sedativi e tra poco inizierai a rilassarti- continua e un inaspettato senso di ansia mi attraversa.
E' pur sempre un intervento in fondo, mi dico con un lungo sospiro che spero abbia il potere di calmarmi e scacciare l'angoscia.
Annuisco lentamente, sprofondando con le spalle nel cuscino.
Lui sistema velocemente dei farmaci, riordinando in modo sbrigativo ma puntiglioso.
Lo seguo con lo sguardo mentre si risiede, aprendo sul tavolino l'ennesimo kit avvolto in un rettangolo di stoffa azzurra. Con le sopracciglia corrugate e una visibile confusione stampata in faccia fisso tutti gli strumenti, non capendone assolutamente la funzione.
Come se non bastasse lui allunga poi una mano, afferrando le coperte e tirandole giù con uno strattone deciso del volo.
- Cosa stai diavolo facendo?- gli domando sbigottita e interdetta, avvampando in viso.
Con le guance rosse di imbarazzo lo fisso quasi stralunata, ricevendo in risposta solo uno sguardo serio e imperscrutabile.
- Ti sto preparando per l’intervento, te l’ho detto- afferma lui con semplicità e nonchalance, come se fosse una cosa all'ordine del giorno.
Sempre più sbigottita rimango un attimo in silenzio, non sapendo bene cosa ribattere.
Con un sorriso sfacciatamente divertito ad increspargli le labbra artiglia poi il tessuto dell'orribile camice bianco che indosso, tirandolo su.
Avvampo maggiormente, percependo le guance bruciare furiosamente. Rimanendo con le gambe nude e coperta solo da un paio di candidi slip bianchi stringo istintivamente le cosce, serrandole nel spontaneo tentativo di coprirmi maggiormente e sfuggire al suo sguardo.
- Devo radere la parte, è il protocollo -  afferma risultando quasi pedante, facendomi arrossire di più e indispettire.
Gli lancio un'occhiataccia torva, fulminandolo con lo sguardo.
- Non ho peli sulla pancia - sibilo indignata e nuovamente irritata dal suo modo di fare - Non sono una scimmia, sai - continuo sarcasticamente.
Cogliendomi ancora una volta di sorpresa lui si mette a ridere, le spalle ampie che tremano appena sotto il peso della risata leggera e l'espressione distesa.
Lui senza degnarmi di una parola prende il rasoio e lo appoggia sulla pelle sensibile del mio basso ventre, premendo leggermente e iniziando a radermi.
- Ma usando la lametta mi li farai venire! - protesto veementemente, irrigidendomi appena a causa della sensazione di freddo provocata dal metallo della lametta.
Lui piega ironicamente le labbra in un ghigno sfacciata, lanciandomi una veloce occhiata di sottecchi.
- Mi dispiace signorina Cornelia - afferma con finta voce costernata, continuando imperterrito a fare il suo lavoro.
Indignata al massimo avvampo violentemente, scoccandogli un'occhiata al vetriolo che spero lo faccia definitivamente tacere.
Mi ha chiamato con il mio secondo nome! Penso irritata al massimo dalla sua persona, così tranquilla e ironica da risultare arrogante.
- Emma - lo correggo asciutta e stizzita, pervasa da un imponente voglia di picchiarlo.
Tentando di placare i miei istinti omicidi lo guardo male, di sbieco, mentre ridacchia divertito.
- In ogni caso, Emma, ho fatto medicina non scuola di estetica - ribatte lui, calcando volutamente sul mio nome e conferendogli un alone quasi sarcastico.
Cosa che mi diverte e irrita al tempo stesso.
- Noto - mormoro sibillina stringendo le labbra - Così mi ritroverò i peli e la cicatrice, non potrò più andare al mare - bofonchio vedendomi già chiusa in casa in piena estate per colpa sua.
Stizzita piego un braccio, appoggiandolo poco sotto il seno mentre emetto un piccolo sbuffo.
Come sorpreso lui alza gli occhi azzurri su di me, fissandomi quasi incuriosito.
- Vuoi sempre avere l’ultima parola vero?-  mi domanda in modo schietto, le parole che fuoriescono fluide dalle sue labbra appena tese e che suonano quasi come una affermazione.
Stupita dal suo spirito di osservazione e colta parzialmente in contro piede incasso la testa fra le spalle, ricambiando il suo sguardo limpido e trasparente.
E' vero, mi dico ancora sorpresa, questa volta piacevolmente. Decisamente.
Deglutisco, tentando di scacciare questo strano senso di precarietà che mi abita rendendomi più irrequieta di quanto io non sia già.
E' l'ansia per l'operazione, penso scrollando appena il capo.
- Si,  effettivamente è così - ammetto ancora vagamente stordita, chiedendomi come abbia fatto ad intuirlo.
Si intuisce facilmente che sono testarda e cocciuta ma è la prima volta che mi capita di essere inquadra così facilmente da un perfetto estraneo, che, oltretutto, ci azzecca in pieno.
- Come mai lo pensi? - mi ritrovo a chiedergli prima ancora di averlo pensato quasi, muovendo le labbra senza accorgermene.
Realmente interessata a capire la risposta lo fisso attentamente, in attesa che parli.
Lui piega appena il viso, stringendosi leggermente nelle spalle.
- Perché ti ho dato un sedativo che avrebbe steso un cavallo e tu sei ancora qui a controbattere con me - mi spiega con una semplicità che sto imparando a conoscere, muovendo appena la mano come a voler sottolineare le sue parole.
Aggrotto la fronte, imbronciando lievemente e non capendo se mi sta facendo un complimento o l'opposto.
- Che tipino che sei– continua divertito, una leggera risata che contorta il suo mezzo sorriso solare. - Cornelia -
Calca ancora sul mio secondo nome, visibilmente deliziato al fastidio che mi suscita.
Riduco gli occhi a due fessure taglienti, assottigliandoli in modo quasi minaccioso.
- C’è la possibilità remota che tu la smetta di chiamarmi in quel modo assurdo e imbarazzante, John?–  ribatto io, volendo cocciutamente avere l'ultima parola in questo buffo battibecco.
Lui si finge pensieroso, curvando appena la fronte e socchiudendo le labbra.
- Mmm no,  non credo. – mormora infine, tornano ad essere terribilmente irritante.
Senza dire niente di altro mi appoggio totalmente al cuscino, reclinando il viso indietro.
Un improvviso senso di freddo e stanchezza si insinua dentro di me, accentuando il mio stato di spossatezza.
Fiacca come non mai e con le membra appesantite da un qualcosa di invisibile, ma tremendamente presente mi sfrego gli occhi, passandoci debolmente contro il palmo della mano.
La mia mente diventa improvvisamente pesante, i pensieri fanno fatica ad essere elaborati e la percezione del tempo diventa inaspettatamente lenta, dilatata.
Mi sento come se vivessi quasi tutto a rallentatore.
Emetto un lungo sospiro, socchiudendo gli occhi proprio nel momento stesso in cui i miei genitori entrano nella mia stanza per salutarmi.
Con la vista appannata e l'udito sbiadito li guardo, il respiro quasi pesante e lento mentre quel senso di freddo non mi abbandona.
- La signorina Emma è pronta per l’intervento- afferma il dottore, calcando nuovamente sul mio nome ma la stanchezza è troppa per essere vinta dalla mia testardaggine.
E così non dico nulla rimanendo in silenzio.
- Il sedativo inizia a farsi sentire - mormoro con voce impastata e confusa, quasi incomprensibile rivolgendomi al dottore.
- Allora tra poco smetterai di battibeccare - afferma lui in risposta e tutto ciò che riesco a vedere distintamente è il suo sorriso, solo quello - Peccato stavo iniziando ad abituarmi –continua ilare, forse sollecitando una mia risposta che però non arriva.
 Io rimango apaticamente in silenzio mentre il mio corpo si rilassa sotto la spinta del sedativo.
Le palpebre diventando  pesanti, troppo, chiudendosi mentre un sorriso leggero sfuma via.
E poi accade tutto in una frazione di secondo. Prima che possa quasi accorgermene mi ritrovo su una barella che mi porta nella sala operatoria e poi, dopo ancora, sul freddo e metallico tavolo con la luce puntata in viso.
Sempre più stordita non riesco a prendere coscienza di ciò che intorno, che risulta sfocato e confuso.
Un sottile senso di ansia misto ad angoscia torna a pervadermi, facendomi battere il cuore più forte.
E decisamente avere tutte queste persone sconosciute che si muovono intorno a me non aiuta
Un viso compare improvvisamente nel mio campo visivo, ostruendolo.
Nascosto parzialmente da una mascherina blu mi guarda e io ci impiego un paio di secondi a riconoscerlo.
E' Mr irritante.
Confusa e con gli occhi sbarrati lo fisso, ricambiando il suo sguardo celeste e vivo.
E inaspettatamente mi ritrovo a pensare a come sia intenso, di un azzurro particolare che si intensifica man in mano che si avvicina alla pupilla diventando quasi grigio.
- Devi solo rilassarti - soffia, la voce che esce ovattata a causa del tessuto della mascherina - Non avere paura -
Automaticamente annuisco appena, domandandomi con un pensiero distratto come faccia a saperlo.
Forse l'ha intuito o forse ha solo tirato ad indovinare.  Troppo stanca per deciderlo sospiro, socchiudendo gli occhi.
- Conta al contrario a partire da 10 – mi dice ancora con tono calmo e controllato, allungando una mano e appoggiando delicatamente sul mio viso una mascherina.
Istintivamente ne prendo una lunga boccata, respirando.
10
Con uno sguardo fiacco  continuo a fissarlo, scorgendo una lieve ruga intorno ai suoi occhi che mi fa intuire che sta sorridendo.
9
Respiro ancora, percependo un senso i rumori intorno a me sfocare a sbiadirsi fino a scivolare in un ammasso senza senso.
8
Una luce bianca e accecante si accende senza preavviso sopra di me, facendo scomparire anche tutto ciò che ho intorno. Lo spazio, le persone e gli oggetti scompaiono, diventando indefinibili.
7
Le mie palpebre diventano definitivamente pesanti, chiudendosi e facendomi sprofondare in un oblio senza paura o pensieri.
6
È tutto ciò che rimane sono solo un paio di occhi azzurri in un buio freddo e asettico, assordante.
Terribilmente azzurri.
 
 
 
Note:
Buonasera!
Ed eccoci qui con un nuovo progetto, una nuova storia inconsueta e decisamente diversa dalle altre che ho scritto.
E' la prima storia originale che scrivo, quindi perdonate eventuali mancanze o errori. Mi ci sto impegnando molto e spero che la storia vi intrigherà quanto sta intrigando me nel scriverla.
In questo prologo abbiamo avuto un primo squarcio della vicenda, una prima occhiata dei personaggi e delle loro dinamiche, ma si entrerà nel vivo ad iniziare dal prossimo capitolo.
Come avrete capito la protagonista è Emma e i capitoli verranno narrati dal suo punto di vista.
Ho scelto dei prestavolto per i personaggi e, man in mano che faranno la loro comparsa nella storia, verranno mostrati.
Ci tengo a sottolineare inoltre che questo progetto non è solo mio. È stato, infatti, ideato e prodotto con un'altra persona e non è, quindi, tutta farina del mio sacco. Eventuali critiche, domande o complimenti verranno condivise con lui.
Gli aggiornamenti avverranno ogni 14 giorni, fatta eccezione per il prossimo capitolo che, essendo il primo, avverrà  i quindi il prossimo sarà il 26 Giugno.
 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, che non ci siano errori e che sia stato di vostro gradimento.
PS: Qui sotto troverete le foto dei prestavolto che ho scelto per i personaggi.



Andrew Harrison

Emma Scott


 

 
A presto,
Live in Love

   
 
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