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Autore: giulia_strayeah    20/06/2013    2 recensioni
Questa è una fanfiction su un artista musicale italiano, Emanuele Corvaglia, ma la pubblico in questa sezione perchè EFP non mi permette di pubblicarla nella sua categoria.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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“E’ tanto che aspetti?” eccolo lì, il mio Lore.
“Figurati Lore, solo pochi minuti… Corri qui, fatti abbracciare!” ero felicissima di vederlo lì.
Quell’uomo era la mia salvezza. Lo adoravo. Ogni volta che lo vedevo, gli correvo dietro, peggio di una stalker, e questa cosa sembrava che a lui piacesse.
Mi venne incontro e mi abbracciò: “come stai piccola? Dì la verità, ti sono mancato questa settimana?”
“Neanche un po’. Sei così brutto che non pensare a te mi ha fatto stare meglio.” Gli feci la linguaccia.
Rise: “ma davvero? Che c’è, sei di cattivo umore oggi? Chi è venuto qui prima di me, eh?”
Eccolo che ricominciava a intuire e intuire, come lo detestavo!
“Nessuno… ero qui sola, sulla panchina ad aspettarti… come sempre, no?” provai a mentire per vedere la sua reazione.
“e tu lo sai che le balle non si raccontano a Lorenzo, no?”
In un istante è successo quello che non sarebbe mai dovuto succedere.
Emanuele. Era corso alla velocità della luce, come se volesse qualcosa da me.
Aveva il fiatone: “Scu-scusami… il plettro! L’a-avevo lasciato qui… uff… d’ah, eccolo! Ciao Giulia!”
Ciao Giulia. Maledetto!
Lorenzo rise: “ecco che come al solito avevo ragione io. Voi due vi conoscete?”
Emanuele taci. Ti prego, fall… “Beh, diciamo di si. Ero qui fino a qualche minuto fa, ma la tua amica ha insistito perché mi alzassi… Eri tu la persona che doveva incontrare scommetto!”
Maledetto due volte!
“Giù, sei sempre la solita! Ahahah, tanto contro di me non hai speranze, bellezza.”
“Ehm… ok Lore, hai vinto. Ma la vendetta arriverà presto, sappilo.”
“Dovete scusarmi, devo proprio scappare adesso. E’ che da poco mi sono trasferito qui, ancora devo ambientarmi…  Verona è molto diversa, ma mi piace questo paesino. Alla prossima Giulia!”
Salutò con la mano e se ne andò. Almeno avevo capito di dov’era originario, il tipo.
Lorenzo finì di scrutarlo, poi si rivolse a me: “che ragazzo buffo… oh, eccolo che inciampa! Ahah, sembra così buono e innocente! Ma chissà perché, da una città così grande e bella, ha avuto il coraggio di venire fin qui. La gente è proprio strana!”
Già, che strano. Però mi piaceva. Quell’Emanuele aveva qualcosa che mi affascinava, nascosto chissà dove.
Sentivo che aveva le capacità di colpirmi e affondarmi, solo che ancora non avevo avuto il piacere di provarlo.
“Senti Lore, è quasi mezzogiorno. Torno a casa ‘chè è meglio. Oggi è stata una mattinata un po’ insolita…”
“Oh Emanuele, Emanuele del mio corazon…” davvero divertente Lore, davvero mooolto divertente.
“Lasciamo perdere vah, sei senza speranza. Ciao Lorenzito!”
“Ohi Giù, aspetta! Fatti salutar…”
Cavolo com’ero corsa via in fretta! Un paio di minuti ed ero già a casa.
Tentai di aprire la porta tre o quattro volte, ma niente da fare. 
Quella serratura non l’avevo mai capita in quattordici anni di esistenza.
Mi limitai a suonare il campanello.
“Chi è?” la voce di papà.
“Sono io!” 
“Io chi?” detestavo quando faceva così. Ma chi potevo essere? La presentatrice Avon? Una testimone di Geova? Il fantasma formaggino?
Sbuffai: “Giulia.”
Appena entrata, non potevo risparmiarmi il: “Che caldo che fa oggi! Non si respira neanche un po’! Ciao pà, ciao mà. Che si mangia oggi?”
Mamma si affrettò a rispondere: “Spaghetti e vongole, e come secondo vari tipi di pesce.”
Santa Domenica! Almeno mamma era in casa, e non avrei dovuto cucinare io.
Per di più, amavo le vongole.
Preparai la tavola, e corsi a spogliarmi.
Indossai un vestitino di cotone leggero, senza maniche.
Seduta a tavola, iniziai a mordere un po’ di pane aspettando che arrivassero gli spaghetti.
“E’ pronto!” Oh, che belle parole!
Divorai tutto ciò che era possibile divorare, e andai in camera mia a provare qualche accordo con la chitarra.
Non ero un mito a suonare, ma pian piano stavo imparando a fare qualcosina.
Chiusi la porta, aprii il balcone e iniziai a strimpellare.
Che momento rilassante!
Scacciavo via tutti i pensieri, allegri o tristi, e mi immergevo in quelle pochissime note, che riuscivano a farmi stare bene.
A malincuore posai la chitarra di papà.
Sembrava strano, ma il suono dello strumento era come se non cessasse.
Lo sentivo ancora, arrivava da fuori, leggermente più lieve.
Questa volta però, non si limitava a semplici accordi, ma si cimentava in stacchetti complicatissimi, che lasciavano a bocca aperta.
Ma chi poteva essere? I miei vicini di casa neppure ce l’avevano una chitarra!
Forse uno di loro ha scoperto di essere Jimi Hendrix e se n'è procurata una.
Che strano. Forse era meglio approfittarne.
Mi stesi sul letto, e ascoltai ad occhi chiusi, senza pronunciare un’acca.
Lasciavo che la mia mente si perdesse in quella musica; ahh... che musica!
Mi sentivo sollevata, il mio cuore palpitava come non aveva mai fatto.
Sembrava un sogno. Avrei voluto che non avesse più fine.
  
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