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Autore: BlackSwan Whites    20/06/2013    4 recensioni
One shot sul personaggio di Enobaria. E' la mia prima storia, quindi sono benaccetti commenti di ogni tipo.
Dal testo:
"Appena si era risvegliata in un letto come d’ospedale, aveva capito subito che qualcosa non andava. Si sentiva strana, diversa. D’istinto si era passata la lingua tra i denti. E aveva capito cosa c’era di sbagliato."
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Enobaria
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tu sei il vero mostro


Enobaria era nata per essere una vincitrice. Glielo avevano sempre ripetuto fin dal giorno in cui era nata. Era forte, abile con le armi e totalmente priva di quel sentimento umano comunemente chiamato pietà.
Quando aveva compiuto dieci anni, età che per tradizione segnava l’inizio della formazione precedente agli Hunger Games nel Distretto Due, aveva messo per la prima volta piede nel centro di addestramento; immediatamente si era sentita bene, a casa. Era attorniata dalla miriade di coetanei che, come lei, si accingevano a cominciare quel duro percorso fatto di lavoro, sacrifici e sofferenze, ma che incuranti delle difficoltà si sarebbero impegnati al massimo per portarlo a termine, nonostante sapessero perfettamente che alla fine solo uno di loro avrebbe prevalso e sarebbe stato ricoperto di onori e gloria, mentre un altro sarebbe morto nei Giochi, venendo cancellato istantaneamente dalla mente di tutti; coloro che non sarebbero stati selezionati per la partecipazione al reality, invece, sarebbero rimasti solo tante figure indistinte della società, destinati a vivere nell’ombra dei vincitori. Vedendo le espressioni di speranza sulla moltitudine di volti che la circondavano, Enobaria non poté che formulare un unico pensiero. Patetici. Sì, patetici, perché in cuor loro ci speravano, speravano di potercela fare, di poter vincere, ma non sapevano la verità, cioè che per tutti loro la vittoria era solo una mera illusione. Perché lei avrebbe vinto. Era scritto nel suo destino, lei aveva nel sangue il germe della vittoria; quel germe che portava alla nascita di un mostro dentro le persone.
Un mostro che si nutriva di sangue umano, di ferite e di morte. Pian piano cresceva dentro di lei, si espandeva, ma finché si trattava dell’allenamento, quel mostro doveva rimanere digiuno.
Si era impegnata per otto lunghi anni, nonostante fosse emerso fin da subito che era dotata di un talento innaturale, sia con le armi che nel combattimento libero corpo a corpo. Quando era stata selezionata per partecipare alla Cinquantacinquesima edizione degli Hunger Games, nessuno era rimasto sorpreso; del resto, bene o male, tutti, uomini e donne, ragazzi e ragazze, bambini ed anziani, sapevano chi erano le teste di serie del centro di addestramento, quindi i futuri tributi. La Mietitura era ormai solo una semplice formalità. Il giorno dell’evento tanto atteso, appena la ridicola accompagnatrice capitolina aveva domandato se ci fossero volontari, la sua mano e quella del suo compagno erano scattate prontamente e si erano levate al cielo. La ragazza era salita sul palco e, dopo la rituale stretta di mano, si erano diretti subito a Capitol City. Nel Due, a differenza degli altri distretti minori, non veniva concesso ai “sorteggiati” di salutare i propri parenti, poiché appunto non ce ne sarebbe stato bisogno: l’identità dei tributi era una cosa risaputa da almeno due mesi prima dell’estrazione dei nomi. Sul treno, durante il viaggio verso la capitale, non aveva prestato molta attenzione alle dritte del suo mentore: aveva passato tutto l’ultimo anno di addestramento a definire la strategia che avrebbe adottato una volta nell’arena, ed era la sua strategia. Nessuno avrebbe potuto imporle una scelta diversa. Non le era mai piaciuto pensare che fosse qualcun altro a poter scegliere il suo destino. Nei giorni precedenti all’arena si era creata un’immagine davanti agli altri tributi e con il pubblico: l’immagine di una ragazza sanguinaria, determinata a vincere e sicura di sé, ma soprattutto forte, come aveva dimostrato prendendo un dieci nelle sessioni private con gli Strateghi. E come avrebbe potuto essere da meno, era stata preparata fin dalla nascita a quel momento, no?
Il mostro si stava risvegliando, quella preparazione gli aveva fatto da antipasto. Era digiuno dalla nascita, ma il profumo del sangue e delle vite umane l’aveva stimolato. Era pronto ad emergere.
Il giorno in cui era scesa nell’arena si era subito buttata a capofitto nel bagno di sangue davanti alla Cornucopia. Dopo anni in cui era stata costretta a trattenersi dall’uccidere davvero i suoi avversari nel combattimento, in cui aveva dovuto trattenere il suo istinto omicida, finalmente si era potuta concedere un po’ di sano divertimento. Aveva decapitato, trafitto, amputato arti, torturato, mentre il sorriso che aveva inizialmente stampato sulle labbra si era trasformato in un ghigno demoniaco.
Il mostro era emerso e stava banchettando tra i cadaveri. Finalmente poteva nutrirsi degnamente.
Nei giorni successivi aveva mietuto vittime assieme agli altri favoriti, continuando a nutrire segretamente il mostro che era ormai diventata. Poi una sera, mentre si riposavano, aveva sentito una voce nella testa. Era il mostro che la chiamava. Aveva di nuovo fame di vite umane. I suoi compagni dormivano beati, le gole esposte alla fredda notte, non si sarebbero accorti di nulla.
Guarda che bello spettacolo che daresti a Capitol City, Enobaria; ti venererebbero. Li hai lì a due passi, non sospettano nulla. Fammi felice, nutrimi ancora una volta. Io sono te, Enobaria, non puoi ignorarmi.
Senza il minimo rimorso, aveva preso un pugnale e aveva sgozzato tre dei suoi compagni, uccidendoli prima che potessero reagire. Ma l’ultimo si era svegliato in tempo e l’aveva disarmata con un trucco: era il suo compagno di distretto, conosceva i suoi metodi di combattimento. Si erano lasciati andare ad una lotta furiosa, senza pugnali né spade né mazze. Ormai erano stremati. Enobaria era dotata negli scontri corpo a corpo, ma non sarebbe mai riuscita a prevalere su di lui senza un’arma. Aveva stretto i denti. Cosa poteva fare? Poi, un lampo di genio.
Ma tu hai un’arma, Enobaria. Tu sei un mostro. È la tua essenza, non puoi ignorarla.
I denti … Allora si era avventata alla gola del compagno e, aperta la bocca, l’aveva morsa; poi, con uno strattone della testa, l’aveva squarciata di netto. Si era leccata avida le labbra, mentre si gustava il sapore del sangue.
Il mostro era all’apice. Ormai non esisteva più Enobaria. Esisteva solo lui, con il sangue che grondava sul mento, imbrattandogli i vestiti.
Brava, Enobaria. Mi hai veramente soddisfatto, questa volta.
E di colpo era sparito tutto. Un colpo di cannone, uno squillo di tromba e una voce che la dichiarava vincitrice. Dal cielo era scesa una scaletta ed era stata riportata su un hovercraft. Appena salita, la corrente l’aveva immobilizzata, ma sommata allo shock di ciò che aveva appena fatto la fece svenire.
 
Appena si era risvegliata in un letto come d’ospedale, aveva capito subito che qualcosa non andava. Si sentiva strana, diversa. D’istinto si era passata la lingua tra i denti. E aveva capito cosa c’era di sbagliato. Quell’arma perfetta che era stata motivo della sua vittoria, ora era stata modificata. Mentre era svenuta, degli esperti chirurghi di Capitol City l’avevano operata per far sì che il ricordo di ciò che aveva fatto non svanisse mai. Perché al posto del bordo liscio ma tagliente dei suoi denti, aveva trovato qualcosa di aguzzo, freddo e scivoloso al tatto. Un gusto metallico le invase le papille. Non aveva perso un secondo.  Si era voltata verso lo specchietto che aveva sul comodino, lo aveva preso tra le mani e aveva osservato il suo  riflesso, dischiudendo piano le labbra. Non si era sbagliata. I suoi denti ora erano affilati come rasoi, dalle punte accentuate e placcati d’oro.
Non sei felice, Enobaria? Che ti piaccia o no, tu sei un mostro, e questa ne è la prova. Te l’ho già detto, io sono te, non puoi ignorarmi. Prima ero dentro di te e gli altri non mi vedevano, ma adesso è tutto evidente. Non mi separerò mai da te, perché siamo la stessa cosa. Tu sei il vero mostro.
 
Vent’anni dopo
 
Lo schermo del televisore era illuminato. Quella era una sera speciale: il presidente Snow avrebbe estratto la busta contenente le regole speciali per i Settantacinquesimi Hunger Games, la terza Edizione della Memoria. Dopo venti lunghi anni passati a fare da mentore agli altri tributi, il mostro che albergava in lei si era sopito. Era riuscita a sedarlo, nonostante lui fosse sempre in agguato: i suoi denti ne erano la prima prova. Eppure provava nostalgia di quei tempi, quando era stata tributo nell’arena … presa dai ricordi, aveva sentito solo le ultime parole del discorso, ma erano state più che sufficienti.
“… i tributi saranno scelti tra i vincitori ancora in vita.” Era totalmente impreparata. Improvvisamente sentiva qualcosa dentro di lei, come se una forza premesse per uscire. E aveva capito subito cosa, o meglio chi era. “Credevo te ne fossi andato”.
Io non me ne andrò mai, finché sarai in vita. Ricordati che io sono te, Enobaria: solo quando tu morirai, solo allora io sparirò.
Si era ritrovata ad annuire al nulla. Del resto, era la verità. Lei era il vero mostro.
Il giorno della Mietitura, l’eccitazione era alle stelle. Per la prima volta nella storia del Distretto Due, non c’era stata nessuna preparazione dei tributi: troppi erano i vincitori desiderosi di tornare nell’arena, così si era deciso di dare luogo ad un sorteggio autentico. Nessuno si sarebbe offerto volontario. Un pezzetto di carta, un solo nome che risuonava nell’aria. I denti dorati di Enobaria scintillavano in un sorriso ferino.
Il mostro si era risvegliato e aveva fame. Di nuovo.




Angolo dell’autrice
Credevo che questo giorno non sarebbe mai arrivato, invece eccomi qui a pubblicare. Ho scritto questa fic in seguito ad una nottata insonne, quindi se vi è piaciuta rendete grazie al caldo estivo!
Come ho già detto nell’introduzione, accetto commenti di ogni tipo. Preferirei fossero positivi, ma se pensate che non sia in grado di continuare a scrivere ditemelo chiaramente e tornerò ad essere una semplice lettrice; di sicuro le vostre recensioni mi aiuteranno.
Un’ultima precisazione (anzi tre): le cose scritte in corsivo sono (credo si fosse capito) i pensieri del mostro e le sue “conversazioni” con Enobaria; io immagino che, essendo Favorita, si sia offerta volontaria a 18 anni e che ne siano passati venti prima dell'Edizione della Memoria (quindi ha trentotto anni); infine, la frase “Non le era mai piaciuto pensare che fosse qualcun altro a poter scegliere il suo destino” è ispirata a una frase detta da Neo in “Matrix”, film che adoro semplicemente.
Rendo grazie in anticipo a tutte quelle anime disperate che recensiranno. Arrivederci (spero)
Swan

P.S.: Perdonate la grafica più che scadente, ma non sono pratica con l'html
  
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