Erano
secoli
che volevo scrivere su Saint Seiya, sul Lost Canvas in particolare, ma,
a parte
le mie personali paturnie, l’ispirazione mi sta facendo il dito medio
sempre
più spesso ormai.
Se l’idea di
partenza era una SisyphusxManigoldo (craaaaaaack!), che forse un giorno
vedrà
pure la luce, è nato questo scritto su Sisyphus
e Regulus, di cui mi sarebbe piaciuto veder approfondito il rapporto.
Comunque,
principalmente la premessa è per questo: ho cercato di rendere un
abbastanza
marcato senso greco di virtù –il desiderio di essere ricordati, in
particolar
modo, e l’ossessione per l’aretè. Con questo cerco di spiegare alcune
espressioni di Sagittario forse un po’ particolari per la nostra epoca,
forse
apparentemente un po’ arroganti ed egocentriche.
Sempre su
Sisyphus: spero di averne azzeccato il carattere -è il personaggio, a
mio parere,
più complesso di LC, e penso vada trattato davvero con le pinze.
Detto
questo, vi ringrazio per la pazienza e spero di potervi augurare una
buona
lettura.
Ἐν
τούτῳ νίκα
[Sotto questo segno
vincerai]*
Voglio che tu sia per
me il coltello,
e anche io lo sarò
per te, promesso.
Un coltello affilato
ma misericordioso - parola tua.
{D. Grossman – che tu
sia per me il coltello}
Caro Regulus,
caro come un figlio -volevo dirti questo anzitutto: che ti
lascio, prima che da compagno di battaglia o da maestro, da padre.
Da padre, Regulus. E, credimi, non potrebbe esservi uomo più
fiero del proprio figlio di me.
So che c'è una domanda che ti tormenta e che ti adombra
troppo spesso lo sguardo. Ti sei sempre chiesto se fossi un figlio
degno per
Ilias.
Lo so perché, anche se non me lo hai detto mai, nelle prime
notti dell’addestramento, dopo gli allenamenti tremendi del giorno, fra le
lacrime
di fatica, stringendoli tra le labbra, pronunciavi quella domanda e il
nome di
tuo padre con disperazione e ostinazione. Non vi ho mai dato risposta e
ho
sempre fatto finta di non sapere perché volevo che lo capissi da solo,
e perché
pensavo fosse meglio starne fuori -ora lo faccio perché questa è l'ora
in cui
se qualcuno ha una sicurezza, deve –deve- diffonderla: sei un figlio
degno di
tuo padre Ilias, lo sei.
E non c'è uomo che potrebbe esserlo più di te.
A coloro che ti diranno che è solo merito del sangue che ti
scorre nelle vene, rispondi che l'unico sangue che ha più meriti di te
stesso è
quello che tu hai sputato per diventare un grande Saint.
Avevi talento, un talento grandissimo, Regulus. Ma, cosa più
importante, avevi capito che quello non sarebbe bastato, che non potevi
accontentartene.
E questa è la vera gloria: strappare la vittoria, e farlo
dopo aver stillato da se stessi ogni possibilità di miglioramento.
Questa è stata una lezione che non ho dovuto insegnarti.
Tuo padre Ilias era mio fratello, e questo già lo sai.
L'ultimo ricordo che ho di lui -la sua partenza per le valli che ti
avrebbero
visto nascere- l'ho vissuto che non avevo nemmeno la tua età.
Di lui conservo l'immagine di un uomo forte e sereno,
dell'uomo che sapeva sussurrare alla terra; ma anche e soprattutto di
un
fratello che con poche parole e sguardo paziente mi ha insegnato le
leggi dell’aretè.
Persi i contatti con lui per lunghi anni, seppi solo della
sua morte e, solo dopo di essa, anche di Te.
Trovai al suo posto un bambino raggomitolato davanti a una
croce. Al suo fianco, il Cloth di Leo aveva già scelto il suo futuro
signore.
Avevi gli occhi bagnati di lacrime, ma lo sguardo non era
quello di qualcuno di spaventato o sconfitto: erano iridi vive e
vivaci, gli
occhi del predatore selvatico che mai si arrende anche di fronte alla
sofferenza. Piangevi un padre che non avevi più, ma già cercavi di
contenerti
per imitare la sua grandezza.
Voglio che tu sappia che ti ho scelto come mio unico allievo
non nel nome di un legame di sangue, ma perché non ho mai trovato nessuno
con
degli occhi del genere.
Occhi che hanno saputo mantenere la promessa che si erano
fatti.
Divago, divago perché ho cominciato a scriverti senza nemmeno
sapere verso dove vogliono andare queste parole. Torno all'inizio della
storia
perché l'epilogo è già qui e incombe e io ne ho paura in fondo al cuore.
Questa guerra ha consumato i suoi uomini in fretta: gli schieramenti
da entrambe le parti sanguinano, e, bisogna essere onesti, quelli di
Athena
grondano più di tutti.
Il primo a cadere è stato Albafica: ha lasciato dietro di sé
rose pregne di sangue e veleno, chissà perché così emblematiche e
angoscianti
ripensandole dall'ultima fase della guerra.
La prossima battaglia sarà la mia ultima, questo già lo so.
Sono un guerriero, ma prima di tutto un essere umano: scrivo
queste parole con un sasso nel cuore, e voglio che tu questo lo sappia.
Voglio
che tu sappia che il tuo maestro ha paura.
La paura non è qualcosa di cui vergognarsi: essa è un
meccanismo di difesa, non vi è nulla di
male a voler conservare intatta la vita.
Tutti i grandi guerrieri scendono in battaglia con un nodo
alla gola e il fiato già mozzo -me lo hanno confessato in tanti, e lo
faccio
anche io con te.
Quel che è grandioso, che è proprio del guerriero, lo sai
già, è abbatterla, la paura. Quel gesto ha del divino, perché per
sconfiggere
il terrore bisogna superare la sfera della necessità di umana.
Non c'è alcun merito a non tremare mai: gli unici a non farlo
sono gli stupidi, i superbi e gli sconsiderati. E sono sempre i primi a
morire.
Ma dicevamo: la guerra incombe, la guerra si è già consumata.
Restate in pochi a far parte delle fila della Giustizia,
restate in pochi e siete i più giovani. Ma va bene così, è giusto.
Aldebaran è morto nel Tempio, era tornato vincitore una
volta, ma riportando ferite terribili per chiunque. Avete visto il suo
corpo
restare in piedi anche da morto: vi ha mostrato la guerra e la gloria,
l'obolo
terribile che entrambe impongono.
Ora il testimone passa a voi.
Ora la guerra è in mano vostra. Prego per la vostra salvezza
e per la vittoria della Giustizia, ma chi sa quanto sangue dovrà ancora
essere
versato.
Prego per Te, ed è anche per Te che accetto la morte con un
po’ meno dolore: hai vissuto tutta la vita cercando di essere
all’altezza di un
padre; ora io muoio cercando di essere all’altezza di quel figlio di
cui mi
sento tanto fiero.
Fa’ che chi guarderà la mia croce un giorno possa dire:
“Quest’uomo morì aprendo la strada a coloro che vinsero”.
Ti ho insegnato tutto quello che sapevo e da te ho imparato
altrettanto, perché nessun maestro svezza un allievo senza vedersi
cambiare nel
mentre.
Della costellazione del Leone, Regulus è la stella più
brillante ed è visibile da ogni parte della Terra: ricordalo
ai tuoi
nemici, mostrane la luce e il feroce riflesso.
Sei un novizio e hai da imparare ancora molto, soprattutto
della temperanza che occorre in battaglia –il giovane leone deve
contenere
l’ardore, questa è l’unica lezione che la tua testaccia dura sembra non
voler
capire-, ma forse potrebbe essere anche quell’irruenza a salvare tutti:
l’irruenza e la speranza di chi muove i suoi primi passi nella guerra e
nella vita.
Vincerete, io so che vincerete. Perché non
potrebbe essere altrimenti: l’umanità ha
ancora qualche secolo da dover scontare in questo doloroso mondo che
noi stessi
proteggiamo. Sì, doloroso –e noi lo proteggiamo: perché si possa dire
un giorno
che qualcosa è cambiato in meglio, per dare nuove possibilità.
In nome di Athena io vado a morire e Athena ti affido.
Ti affido il mio onore, il futuro e la vittoria.
Ricordati di me anche quando sarai certo di aver onorato la
memoria di tuo padre, e urlerai al cielo la vittoria. Firmala sotto la
stella
di Regulus, ma ricorda di tutti quelli che sono morti prima.
Consacro a te il mio ultimo tempo prima della battaglia
perché ti amo come un figlio, e si sa che un padre rivolge sempre ad
essi il
suo ultimo pensiero,
Sisyphus