Fanfic su artisti musicali > Justin Bieber
Segui la storia  |       
Autore: federicasusanna    22/06/2013    5 recensioni
“La vidi e la amai, mi vide e mi amò.”
Genere: Drammatico, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Justin Bieber, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Image and video hosting by TinyPic





1.


“Cassandra, alzati o faremo tardi per l'ennesima volta!” da qualche settimana erano queste le parole che udivo al mio risveglio, certo non è il massimo, ma dopo un po’ ci si abitua. Mi alzai facendo attenzione a non compiere movimenti troppo bruschi rischiando di avere un capogiro, anche se in tal caso mi sarei sostenuta all'asta che mia madre aveva fatto montare accanto al mio baldacchino anni ‘80. Come ogni mattina il mal di testa di faceva sentire, ma non ci feci caso.
Mi avvicinai e sostai difronte il mio immenso armadio scegliendo a caso una maglia e un pantalone tra gli indumenti. “Tesoro hai bisogno di una mano lì su?” insistette mia madre dal piano di sotto. “No, è tutto ok stò entrando in doccia tra poco scendo.” Continuai. La doccia. L'unica cosa che amavo fare al mattino. Chiudere gli occhi e rilassarmi all'impatto delle gocce d'acqua contro il mio corpo nudo. Lo amavo. Finita la mia doccia mi infilai velocemente gli indumenti e scattai di sotto afferrando il mio I-Phone nero e dirigendomi verso l'uscio di casa. “Tesoro, nemmeno un filo di trucco? Ci sono degli infermieri carini in ospedale, sai?”, “Mamma! Sai che non me ne frega un cazzo quindi te lo chiedo per favore usciamo e torniamo il prima possibile in questa fottutissima casa.” Replicai. “Cassie, lo so che è dura e io stò facendo di tutto per aiutarti ma non voglio sentire questo linguaggio in casa mia. Dio benedetto, ti ho educato in un certo modo, per favore contieniti.” La odiavo. Odiavo quando faceva finta di compiacersi per me, perché era evidente che fingesse, no?
Salimmo in macchina e nessuna delle due fiatò fino al momento in cui parcheggiò dinnanzi all'ospedale. “Piccola mia, ce la stiamo mettendo tutta per trovare una cura e ti prometto che proverò di tutto, okay? Voglio vederti tornare a sorridere, fallo per me. Non hai idea di quanto siano seccanti tutte queste routine da un mese a qui. Per favore.” In fin dei conti nulla mi avrebbe accontentato facendola tacere, tanto vale dargliela vinta per quel poco, così accennai un sorriso. “Andiamo dai!” Conclusi.
Odiavo gli ospedali, odiavo i medici, odiavo gli infermieri.
Restai distesa sul lettino della sala visite mentre sentivo bisbigliare mia madre ed il dottore appena fuori la porta. “Ha avuto nausea? Convulsioni? Mal di testa?” Disse la voce maschile. “Ha detto che andava tutto bene, ma solitamente ha nausea ed emicrania leggera, nulla di serio.” Ribatté mia madre bruscamente. “Signora stiamo facendo di tutto per evitare che il tumore si espanda, ci lasci fare il nostro lavoro!” Ogni volta andava a finire così, mia madre finiva per piangere ed era compito degli infermieri darle calmanti e camomille.
“Cassandra Scott?” annuii. “Sono il dr. Hamilton, sostituirò per un arco di tempo indefinito il dr. Braun. Ci troveremo bene insieme, non preoccuparti ho un ottimo senso dell'umorismo.” Disse con entusiasmo cercando di compatirmi. “Oh, ne sono sicura!” risposi fingendo un sorriso accompagnato da una smorfia.
“Vieni ti accompagno nella stanza dove faremo la Chemioterapia da oggi in poi.” mi fece strada ed io lo seguii silenziosamente. Mentre camminavano mi soffermai a guardare i bambini malati di cancro, come me, giocare e ridere a crepapelle forse non rendendosi conto di cosa stava accadendo dentro il loro grazioso corpo. Volevo essere come loro, prendere tutto con leggerezza e accompagnare la vita con un sorriso e magari non pensare ogni istante a come e quando sarei morta. Avevo deciso di curarmi solo per pochi mesi, giusto per dare più tempo a mia madre per realizzare che il mio destino era quello. Me ne sarei andata. Mi sarei spenta e doveva accettarlo.
Mi sdraiai sul lettino della camera numero diciotto e guardai gli infermieri farmi il lavaggio della vena e successivamente infilarmi gli aghi nel ‘cuscinetto’ che mi era stato fissato sottopelle in un operazione precedente per evitare che le vene meno robuste cedano e gli antiblastici si diffondano nel sangue causando infezioni o rigonfiamenti della pelle, che nella mia situazione non potevo permettermi di avere.
“Non muoverti, non fare movimenti bruschi a breve arriverà un infermiere ad occuparsi di te.” Mi avvertì il dottore e di conseguenza annuì.

È Natale, e per tradizione ci ritrovavamo a casa di nonna Betty per scartare i regali in famiglia. Essendo la più giovane, la prima a scartare il proprio dono sono io. Accovacciata tra le braccia del mio papà afferro il grande pacco che si trova dinnanzi a me. “Papi, non riesco a scartarlo mi aiuti? Papi? Papi?”

Mi svegliai a causa del fischiettare di un giovane ragazzo in camice seduto alla mia destra. Non potei non pensare al sogno che avevo appena fatto. Mi venne in mente il giorno in cui ricevemmo la chiamata della polizia in cui annunciarono la morte di mio padre. Avevo solo dieci anni, era la festa del papà e lui era di ritorno dal lavoro, quando un camion dei rifiuti si scagliò contro la sua vettura. Forse è da quel giorno che ho perso la voglia di vivere. Mio padre era il mio eroe, il mio Babbo Natale, il mio principe azzurro e senza di lui vedevo l'arcobaleno in bianco e nero.
“Dio santo cos'è questo baccano?” Mi strofinai gli occhi e successivamente li spalancai. Vidi difronte a me un giovane ragazzo biondo cenere e dotato di occhi marroni e sorriso da stronzo porgermi la mano. “Tu sei Cassie, giust-” lo interruppi, “Cassandra” dissi scorbuticamente. “Mi scuso! Cassandra, piacere, il mio nome è Justin e faccio volontariato come infermiere qui in ospedale ed oggi, per tua sfortuna, ti farò compagnia.” Disse sfoggiando un valoroso sorriso. “Stai in silenzio e lasciami guardare i Lakers in tranquillità e vedi come andremo d'accordo.” Lo vidi ridacchiare, anche non c'era nulla di così divertente. Dio già mi dava ai nervi. Non solo devo rimanere distesa per ore su un letto d'ospedale con degli aghi sotto pelle, no! Devo anche sopportare gli infermieri pieni di voglia di vivere. “Non ci credo! Una ragazza che guarda il basket? Raro!” Lo fulminai con lo sguardo e lo vidi alzare le mani in gesto di scusa. Finsi un sorriso. Forse non finsi.. Forse sorrisi davvero.
Parlammo di basket tutta la mattina, accennando qualcosa sul tennis e sul football. Dopo tutto, era simpatico. “Oh, non mi sono presentato bene e visto che abbiamo esaurito gli argomenti ti darò l'onore di ascoltare la mia biografia.” Risi. Era carino. “Justin Drew Bieber, nato in Ontario nel Marzo 1994 da famiglia Cattolica. Amo il basket, il baseball e qualche volta faccio volontariato in questo fantastico ospedale dove ci sono ragazze bellissime come pazienti.” Si inchinò marchiando queste ultime parole voltandosi nella mia direzione. “Dovrei essere affascinata da questo? Nemmeno Barack Obama si è presentato così alle scorse elezioni.” Risposi ridendo.
Socchiusi gli occhi. “Bene, ci mancava solo la nausea!” Il suo sguardo si fece d'un tratto serio e professionale. “Tieni bevi, ti sentirai meglio.” Mi porse un bicchiere di Tè al Limone, il mio preferito. Lo ringraziai. Passarono pochi minuti e la sua voce si fece risentire. “Meglio?” Annuii. Mi sorrise, ricambiai. Fu la prima volta dopo la morte di mio padre che guardare qualcuno dedicarmi un sorriso mi faceva stare bene.
“Mancano venticinque minuti e abbiamo finito, ce la fai a resistere?” Feci cenno di ‘si’ con il capo. “Per dopo hai impegni? Cioè se ti portassi in un posto verresti?” Lo guardai confusa. Era un appuntamento? Stava chiedendo ad una ragazza malata di cancro al cervello di uscire? Non sono mai uscita con un ragazzo. Non avrei accettato per nessun motivo al mondo. “Sarò sincera con te. Stai davvero chiedendo a me di uscire? Justin io sono malata, non posso” Mi interruppe. “Non puoi o non vuoi? Avanti Cassie, distraiti, ti stai curando, guarirai, sei una ragazza come tutte le altre, se non migliore!” Lo guardai basita. “Non sono una ragazza come tutte le altre, Justin non tutte le ragazze hanno il tumore. Non tutte le ragazze vanno ciclicamente in clinica a fare la chemioterapia. Non tutte le ragazze sono appese ad un filo che determina la vita e la morte. Io non sono ‘tutte le altre ragazze’.” Ribattei irritata. È un infermiere, dovrebbe sapere meglio di chiunque altro come funziona la faccenda. Dovrebbe saper mettersi nei miei panni. Nonostante tutto era così fastidiosamente carino. “Perché non accetti il mio aiuto? Perché respingi ogni persona che prova a darti conforto? Io voglio salvarti. Per quanto tu possa essere irritante, scontrosa e pessimista io ti trovo incredibilmente bella.” Lo aveva detto sul serio? Voglio dire.. Questo è il genere di cose quando un ragazzo riceve un netto ‘no’ come risposta? “Se accettassi, smetterai di farmi complimenti preceduti da qualche misero insulto?” Risposi ironicamente. “Ci penserò.” Continuò lui.
“Sei libera!” Annunciò così il dottore la fine della chemioterapia.
“Dove mi porti? Devo avvertire mia madre o esploderà dalla preoccupazione. Justin!” Sbottai. “Non preoccuparti piccola, me ne sono occupato già io!” Si voltò verso di me e sorrise, non potei fare altro che ricambiare imbarazzata. Non capivo nulla. Perché d'un tratto un ragazzo, quasi sconosciuto, faceva tutto questo per me? Ero allibita.
Passarono secondi, seguiti dai minuti. “Posso sapere dove stiamo andando ora?” Domandai. “La cura per oggi non è ancora finita, ti porto in un luogo per completarla.” Avrei preferito non saperlo.
Sostammo sul lungomare. Lo guardai, lui ricambiò. “Sarebbe questa la ‘cura’?” Dissi mettendo fine al silenzio accompagnato dai nostri respiri. “L'aria che si respira al mare è ottima per chi non è in gran salute!” Ero sorpresa, ma allo stesso tempo incazzata, quasi furiosa, ma in modo contenuto. Forse dovevo dargli davvero una possibilità, aveva consumato benzina per portarmi fin qui, un bel gesto direi. “Grazie.” Sussurrai. “Di nulla.” Rispose.
Sfilammo le scarpe e camminammo a piedi nudi sui granelli di sabbia che mi solleticavano i talloni. Stavo bene. Per la prima volta dopo anni stavo bene. Mi sentivo viva. Ci sedemmo su uno smisurato tronco di acero che giaceva sulla spiaggia da anni oramai. “Vieni qui spesso?” Domandai curiosa. “Vengo spesso a pensare. Lontano da tutto e tutti. Qui c'è molta quiete soprattutto ora, poco prima del tramonto. Nessuno può disturbarmi se non il dolce rumore delle onde scontrarsi contro gli scogli.” “A cosa pensi?” Provai a non far caso al suo sguardo fisso su di me, sulla cicatrice che avevo sul petto. “A mia sorella. È morta due mesi fa di cancro al cervello, ha deciso di non continuare le cure. Nessuno appoggiava le sue scelte, ma fu troppo tardi quando se ne pentì. Ci lasciò in primavera. Non mi perdonerò mai di non esser riuscito a farle cambiare idea quando ancora era in tempo.” Riuscivo a sentire le sue lacrime pronte a mostrarsi buttando giù lo scudo che aveva mostrato fin'ora. “Mi ricordi lei. Forte, determinata, sicura di poter convivere spensieratamente con questa malattia. Ma sei ingenua, esattamente come lei. Credi di poterla gestire, ma non è così!” Continuò. D'istinto gli strinsi la mano, sentii un brivido attraversarmi. Quelle parole fecero scattare qualcosa in me. Mi sentii in colpa. Forse era così che mia madre si sentiva. “Justin, sono sicura che lei vorrebbe che tu ti facessi forza.” Lo guardai negli occhi, potevo specchiarmici. La sua calda mano mi accarezzò il volto. Sentii un qualcosa che volteggiava nel mio stomaco. Non ci feci caso, ero distratta.. Distratta dagli occhi e dal sorriso di quel ragazzo che stava stringendo la mia mano. “Continuerai le cure vero? Lo farai?” Interruppe il silenzio e distolse lo sguardo dalle mie pupille che oramai stavano bruciando dalla vergogna. “Certo.” Balbettai. Mentii, ma era l'unica cosa che potessi fare data la situazione. Non avrei potuto svelargli la verità dopo le sue parole. Ci chiudemmo in un abbraccio. Ero imbarazzata, non mi ero mai sentita in tale modo. Cos'aveva questo ragazzo di così tanto speciale da farmi sentire lo stomaco sottosopra? Qualcosa dentro di me non andava. Qualcosa dentro di me si muoveva. Qualcuno le chiama ‘farfalle nello stomaco’, io la chiamo ‘paura di amare’. Avevo paura di amare, semplice.



« you can be the butterflies i feel in my belly »




come primo capitolo fa un po' rate,
ma giuro che mi farò perdonare in quello successivo!
ringrazio chi ha cominciato a leggere questa banale ff,
spero che pian piano che i capitoli aumentano,
aumentino anche i lettori!
fatemi sapere cosa ne pensate, accetto critiche e consigli,
alla prossima, susy

(a cinque recensioni posto il secondo capitolo)

   
 
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Justin Bieber / Vai alla pagina dell'autore: federicasusanna