Il giglio dell’Ovest.
||
CAPITOLO UNICO ▪ ancora lei
turba i miei sogni. ―
Sophie si diede della stupida più e più
volte mentre attraversava a piccoli e veloci passi i corridoi serpeggianti
dell’Istituto di Londra con in mano il vassosio ormai
familiare su cui serviva il tè.
La scena ancora le frullava in testa:
lei che entrava in biblioteca dopo che veniva mandata a chiamare da Charlotte e
rimaneva un paio di secondi ferma, immobile a fissare quel viso che a lei
pareva d’angelo, così diverso da quello di Jem ma altrettanto bello e
attraente a cui non si era ancora abituata, in realtà: Gideon
Lightwood era seduto mollemente su una poltrona, le
gambe incrociate e gli occhi che dal fuoco bruciante nel caminetto si
spostavano verso di lei, rivolgendole un sorriso pacato; Sophie
dovette fare un inchino più profondo del solito per nascondere il rossore degli
zigomi, respirò a fondo e quando tirò su il busto (sperando che il volto fosse
abbastanza pallido) mormorò con voce il più ferma possibile un «signore Lightwood». Si rivolse poi alla cara Charlotte, in modo da
distogliere lo sguardo dal Cacciatore, «desidera, signora Branwell?».
«Potresti portarci del tè, Sophie?»
In tutta risposta la mondana uscì
dalla sala camminando all’indietro per non rivolgere le spalle ai due – così
com’era stata abituata a fare – chiudendo la porta. Rimase ferma come una
bambola in mezzo al corridoio, la mano sul petto dove il cuore batteva
freneticamente, «dovresti darti una calmata… ti pare il modo di comportarti?»; scosse la
testa e notò con dispiacere che un ricciolo castano le era sfuggito dallo
chignon e dalla cuffietta, quindi se lo portò dietro all’orecchio e proseguì
per la sua strada.
Non si era ancora completamente
abituata alla presenza di Gideon nell’Istituto,
eppure, in un certo senso, faticava a pensare come avrebbe fatto se questo se
ne fosse andato. Sospirò, affranta.
Arrivata in cucina, sentì Bridget cantare una delle sue ballate irlandesi, come al
solito le si rizzarono i peli sulle braccia, sfregando contro la stoffa
dell’uniforme e procurandole fastidio:
«Quando
arrivai per la prima volta in Irlanda in cerca di divertimento,
vidi
una bella fanciulla che rallegrò il mio cuore,
le
sue guance rosa, i suoi occhi luminosi mi trafissero il petto come dardi,
si
chiamava Molly la bella, il giglio dell’Ovest»
Rabbrividì, mentre entrava nella
stanza, attraversandola velocemente, mise a bollire l’acqua e scelse uno dei
servizi da tè che aveva a disposizione, senza che se ne accorgesse, ne prese
uno con le tazze il cui bordo era composto da curve e la porcellana modellata
in modo che imitassero i tulipani, il colore era quello delle spighe di grano
sotto il sole, un giallo pallido e silenzioso ― «i capelli di Gideon» pensò, strozzandosi
con la saliva e tossicchiando, la cosa più terribile non era tanto il
destinatario del suo vaneggiare, quanto il fatto che fosse stato apostrofato
proprio come “Gideon” e non come “signore Lightwood” oppure “signore Gideon”,
com’era solita imporsi – forza dell’abitudine. Bridget
non si fermò nemmeno alla presenza della ragazza, tagliava le carote continuando
a cantare la storia di Molly la bella
e del suo innamorato che, a dirla tutta, sembrava averle passate di tutti i
colori per quella tale.
Quando il tè fu pronto, Sophie dispose sull’ampio vassoio argentato con sopra una
delicata tovaglietta di pizzo candido il servizio da tè, riempiendo di cubetti
bianchi e scintillanti la zuccheriera e di latte fresco il suo apposito
contenitore, aggiungendo stoviglie dorate che si accoppiavano meglio con il
colore del servizio, sebbene la tradizone richiedesse
che le posate fossero di argento. Ritornò in biblioteca, mentre le ultime
parole della ballata le rimbombavano nella mente:
«…ancora lei turba i miei sogni
e
il nome che portava era Molly, il giglio dell’Ovest»
Appoggiò il vassoio nel mobiletto che
fiancheggiava la porta della biblioteca, aprì le porte e recuperò il tè,
camminando a testa bassa per stare attenta che nulla si rovesciasse. Infine
arrivò al tavolino posto tra le poltrone in cui sedevano i Cacciatori, era
talmente concentrata nel suo lavoro che non si rese conto che Charlotte
mancava.
Versò la bevanda nella prima tazza,
alzando lo sguardo laddove era seduta precedentemente la signora Branwell, quando scoprì che non c’era, sul suo viso si
dipinse un’espressione dispiaciuta, successivamente diventò semplicemente
imbarazzata, forse impanicata, quando la voce calma e
gentile di Gideon le giunse alle orecchie, «è andata
a cercare dei documenti – aveva detto, semplicemente – puoi lasciare qui il tè,
non preoccuparti», per un momento le sembrò che il suono della sua voce
imitasse le note dolci e un po’ malinconiche del violino del signorino Carstairs.
Sophie non seppe dire cose le successe in
quei secondi, forse era semplicemente impazzita, tanto che la sua mano sembrò
avere uno spasmo e la bella tazza ballò, lasciando che il liquido si riversasse
sulle dita della cameriera che, per il dolore della scottatura (era pur sempre
bollente!), allentò la presa e lasciò cadere la porcellana sul pavimento che si
ruppe in grossi cocci color crema.
«Santo Cielo!» sicuramente Charlotte
non glielo avrebbe perdonato – o almeno era quello che Sophie
continuava a credere.
Era talmente preoccupata per il suo
errore che si dimenticò per un attimo del Lightwood,
quando rinsavì, scoprì di avere il viso completamente in fiamme da tanto era il
calore sulle guance, come se si fosse rovesciata tutta la teiera sulla faccia: Gideon le teneva teneramente la mano ustionata, mentre con
l’altra estraeva un fazzoletto di morbido cotone bianco dal panciotto blu
scuro, in un angolo vi erano ricamate le iniziali G.L.; il Cacciatore
appoggiava il suddetto tovagliolo sulle dita fradice e avezze
al lavoro, le guardava attentamente e tastava la pezza con delicatezza, come se
fosse qualcosa di troppo prezioso per essere sciupato anche da un semplice
panno.
«Gid–
signore Lightwood…» Sophie
non aveva la benchè minima idea del perché avesse
problemi pure con il vocativo a lui attribuito, probabilmente – o meglio,
l’idea era ben precisa nella sua mente, probabilmente non voleva accettarla; la vicinanza del Cacciatore le desse un senso di
libertà, libertà che tuttavia una cameriera non si poteva concedere, o che non
si voleva concedere.
Dalla porta, arrivavano le voci di
Charlotte e di Will. Sophie guardò per un attimo
negli occhi Gideon, il fuoco faceva risplendere le
striature verdi in contrasto con il grigio, come se fosse una fiamma dietro i
colori di un dipinto fatto su una tela particolarmente sottile, questo lasciava
che la mano della ragazza si allontanasse dalle sue, donandole una leggera carezza
e uno sguardo quasi dispiaciuto, per l’accaduto o perché la ragazza se ne stava
andando, non seppe dirlo. Sophie scivolò via dalla
biblioteca, sentendo il Lightwood scusarsi
immensamente per aver fatto cadere la tazza, coprendo il danno della cameriera.
Nella propria stanza, Sophie teneva premuto contro la mano ancora il fazzoletto
che Gideon le aveva per così dire donato, se lo stese
in grembo nonostante fosse bagnato di tè, l’aroma di gelsomino della bevanda
mescolato a quello del sandalo1 del panno le invadeva le narici
mentre guardava quel piccolo giglio bianco ricamato sulla stoffa che prima non
aveva notato, forse per la rapidità degi eventi.
Sorrise, un po’ addolorata per esser scappata in quel modo, e decise di
sistemarsi la mano e lavare il tovagliolo, ovviamente glielo avrebbe ridato,
ignorando che nel profondo di sé stessa sapeva che quella era solo una scusa
per rivederlo.
Note d’Autrice ◊ «viviamo e respiriamo parole»
Gideon/Sophie con
pochissime pretese (che, girando, non mi sembra di averne visto…
e sui siti americani sono scarse le loro fanfic ç.ç), in realtà è pure collocata in un momento nel limbo
dove tutto va bene, perché ho iniziato quattro giorni fa la saga di Tessa e ho
finito oggi alle 4:18 del mattino il secondo volume, di cui, in realtà, sono
sia contenta che scontenta, vabbè.
La ballata è stata composta nel 1878,
lo stesso anno in cui si svolgono le vicende del libro, non me ne vogliate male
♥
Con un po’ di immaginazione, potete
pensare all’uomo innamorato di Molly come Gideon, io
l’ho fatto e il mio cuore per questo ha
bisogno di un iratze, anyway,
i gusti son gusti(?). Inoltre, il giglio è simbolo di purezza, una dote che ho
sempre visto in Sophie, nel bene e nel male.
1-
Piccolo
tributo al nostro Alec. Che poi tutti odorano di sandalo, pure Jem odora di sandalo!
Vi lascio
con il primo esperimento di TID, sperando che mi abbia almeno fatto sorridere.
radioactive,