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Autore: radioactive    23/06/2013    6 recensioni
«Quando arrivai per la prima volta in Irlanda in cerca di divertimento, | vidi una bella fanciulla che rallegrò il mio cuore, | le sue guance rosa, i suoi occhi luminosi mi trafissero il petto come dardi, | si chiamava Molly la bella, il giglio dell’Ovest»
Mise a bollire l’acqua e scelse uno dei servizi da tè che aveva a disposizione, senza che se ne accorgesse, ne prese uno con le tazze il cui bordo era composto da curve e la porcellana modellata in modo che imitassero i tulipani, il colore era quello delle spighe di grano sotto il sole, un giallo pallido e silenzioso ― «i capelli di Gideon» pensò, strozzandosi con la saliva e tossicchiando, la cosa più terribile non era tanto il destinatario del suo vaneggiare, quanto il fatto che fosse stato apostrofato proprio come “Gideon” e non come “signore Lightwood” oppure “signore Gideon”, com’era solita imporsi – forza dell’abitudine.
| post-CP/ante-CPss ● Gideon/Sophie ● 1.212 parole |
Gophie senza tante pretese, perchè li trovo immensamente adorabili nonostante tutto, e vorrei che fossero considerati un po' di più.
Con l'immancabile presenza di Agatha e delle sue ballate.~
Enjoy. ♡
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gideon Lightwood, Sophie Collins
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Il giglio dell’Ovest.

 

 

 

 

|| CAPITOLO UNICO ancora lei turba i miei sogni.

 

 

Sophie si diede della stupida più e più volte mentre attraversava a piccoli e veloci passi i corridoi serpeggianti dell’Istituto di Londra con in mano il vassosio ormai familiare su cui serviva il tè.

La scena ancora le frullava in testa: lei che entrava in biblioteca dopo che veniva mandata a chiamare da Charlotte e rimaneva un paio di secondi ferma, immobile a fissare quel viso che a lei pareva d’angelo, così diverso da quello di Jem ma altrettanto bello e attraente a cui non si era ancora abituata, in realtà: Gideon Lightwood era seduto mollemente su una poltrona, le gambe incrociate e gli occhi che dal fuoco bruciante nel caminetto si spostavano verso di lei, rivolgendole un sorriso pacato; Sophie dovette fare un inchino più profondo del solito per nascondere il rossore degli zigomi, respirò a fondo e quando tirò su il busto (sperando che il volto fosse abbastanza pallido) mormorò con voce il più ferma possibile un «signore Lightwood». Si rivolse poi alla cara Charlotte, in modo da distogliere lo sguardo dal Cacciatore, «desidera, signora Branwell?».

«Potresti portarci del tè, Sophie

In tutta risposta la mondana uscì dalla sala camminando all’indietro per non rivolgere le spalle ai due – così com’era stata abituata a fare – chiudendo la porta. Rimase ferma come una bambola in mezzo al corridoio, la mano sul petto dove il cuore batteva freneticamente, «dovresti darti una calmata… ti pare il modo di comportarti?»; scosse la testa e notò con dispiacere che un ricciolo castano le era sfuggito dallo chignon e dalla cuffietta, quindi se lo portò dietro all’orecchio e proseguì per la sua strada.

Non si era ancora completamente abituata alla presenza di Gideon nell’Istituto, eppure, in un certo senso, faticava a pensare come avrebbe fatto se questo se ne fosse andato. Sospirò, affranta.

Arrivata in cucina, sentì Bridget cantare una delle sue ballate irlandesi, come al solito le si rizzarono i peli sulle braccia, sfregando contro la stoffa dell’uniforme e procurandole fastidio:

«Quando arrivai per la prima volta in Irlanda in cerca di divertimento,

vidi una bella fanciulla che rallegrò il mio cuore,

le sue guance rosa, i suoi occhi luminosi mi trafissero il petto come dardi,

si chiamava Molly la bella, il giglio dell’Ovest»

Rabbrividì, mentre entrava nella stanza, attraversandola velocemente, mise a bollire l’acqua e scelse uno dei servizi da tè che aveva a disposizione, senza che se ne accorgesse, ne prese uno con le tazze il cui bordo era composto da curve e la porcellana modellata in modo che imitassero i tulipani, il colore era quello delle spighe di grano sotto il sole, un giallo pallido e silenzioso ― «i capelli di Gideon» pensò, strozzandosi con la saliva e tossicchiando, la cosa più terribile non era tanto il destinatario del suo vaneggiare, quanto il fatto che fosse stato apostrofato proprio come “Gideon” e non come “signore Lightwood” oppure “signore Gideon”, com’era solita imporsi – forza dell’abitudine. Bridget non si fermò nemmeno alla presenza della ragazza, tagliava le carote continuando a cantare la storia di Molly la bella e del suo innamorato che, a dirla tutta, sembrava averle passate di tutti i colori per quella tale.

Quando il tè fu pronto, Sophie dispose sull’ampio vassoio argentato con sopra una delicata tovaglietta di pizzo candido il servizio da tè, riempiendo di cubetti bianchi e scintillanti la zuccheriera e di latte fresco il suo apposito contenitore, aggiungendo stoviglie dorate che si accoppiavano meglio con il colore del servizio, sebbene la tradizone richiedesse che le posate fossero di argento. Ritornò in biblioteca, mentre le ultime parole della ballata le rimbombavano nella mente:

«ancora lei turba i miei sogni

e il nome che portava era Molly, il giglio dell’Ovest»

Appoggiò il vassoio nel mobiletto che fiancheggiava la porta della biblioteca, aprì le porte e recuperò il tè, camminando a testa bassa per stare attenta che nulla si rovesciasse. Infine arrivò al tavolino posto tra le poltrone in cui sedevano i Cacciatori, era talmente concentrata nel suo lavoro che non si rese conto che Charlotte mancava.

Versò la bevanda nella prima tazza, alzando lo sguardo laddove era seduta precedentemente la signora Branwell, quando scoprì che non c’era, sul suo viso si dipinse un’espressione dispiaciuta, successivamente diventò semplicemente imbarazzata, forse impanicata, quando la voce calma e gentile di Gideon le giunse alle orecchie, «è andata a cercare dei documenti – aveva detto, semplicemente – puoi lasciare qui il tè, non preoccuparti», per un momento le sembrò che il suono della sua voce imitasse le note dolci e un po’ malinconiche del violino del signorino Carstairs.

Sophie non seppe dire cose le successe in quei secondi, forse era semplicemente impazzita, tanto che la sua mano sembrò avere uno spasmo e la bella tazza ballò, lasciando che il liquido si riversasse sulle dita della cameriera che, per il dolore della scottatura (era pur sempre bollente!), allentò la presa e lasciò cadere la porcellana sul pavimento che si ruppe in grossi cocci color crema.

«Santo Cielo!» sicuramente Charlotte non glielo avrebbe perdonato – o almeno era quello che Sophie continuava a credere.

Era talmente preoccupata per il suo errore che si dimenticò per un attimo del Lightwood, quando rinsavì, scoprì di avere il viso completamente in fiamme da tanto era il calore sulle guance, come se si fosse rovesciata tutta la teiera sulla faccia: Gideon le teneva teneramente la mano ustionata, mentre con l’altra estraeva un fazzoletto di morbido cotone bianco dal panciotto blu scuro, in un angolo vi erano ricamate le iniziali G.L.; il Cacciatore appoggiava il suddetto tovagliolo sulle dita fradice e avezze al lavoro, le guardava attentamente e tastava la pezza con delicatezza, come se fosse qualcosa di troppo prezioso per essere sciupato anche da un semplice panno.

«Gid– signore Lightwood…» Sophie non aveva la benchè minima idea del perché avesse problemi pure con il vocativo a lui attribuito, probabilmente – o meglio, l’idea era ben precisa nella sua mente, probabilmente non voleva accettarla; la vicinanza del Cacciatore le desse un senso di libertà, libertà che tuttavia una cameriera non si poteva concedere, o che non si voleva concedere.

Dalla porta, arrivavano le voci di Charlotte e di Will. Sophie guardò per un attimo negli occhi Gideon, il fuoco faceva risplendere le striature verdi in contrasto con il grigio, come se fosse una fiamma dietro i colori di un dipinto fatto su una tela particolarmente sottile, questo lasciava che la mano della ragazza si allontanasse dalle sue, donandole una leggera carezza e uno sguardo quasi dispiaciuto, per l’accaduto o perché la ragazza se ne stava andando, non seppe dirlo. Sophie scivolò via dalla biblioteca, sentendo il Lightwood scusarsi immensamente per aver fatto cadere la tazza, coprendo il danno della cameriera.

Nella propria stanza, Sophie teneva premuto contro la mano ancora il fazzoletto che Gideon le aveva per così dire donato, se lo stese in grembo nonostante fosse bagnato di tè, l’aroma di gelsomino della bevanda mescolato a quello del sandalo1 del panno le invadeva le narici mentre guardava quel piccolo giglio bianco ricamato sulla stoffa che prima non aveva notato, forse per la rapidità degi eventi. Sorrise, un po’ addolorata per esser scappata in quel modo, e decise di sistemarsi la mano e lavare il tovagliolo, ovviamente glielo avrebbe ridato, ignorando che nel profondo di sé stessa sapeva che quella era solo una scusa per rivederlo.

 

 

 

 

Note d’Autrice ◊ «viviamo e respiriamo parole»

 

Gideon/Sophie con pochissime pretese (che, girando, non mi sembra di averne visto… e sui siti americani sono scarse le loro fanfic ç.ç), in realtà è pure collocata in un momento nel limbo dove tutto va bene, perché ho iniziato quattro giorni fa la saga di Tessa e ho finito oggi alle 4:18 del mattino il secondo volume, di cui, in realtà, sono sia contenta che scontenta, vabbè.

La ballata è stata composta nel 1878, lo stesso anno in cui si svolgono le vicende del libro, non me ne vogliate male

Con un po’ di immaginazione, potete pensare all’uomo innamorato di Molly come Gideon, io l’ho fatto e il mio cuore per questo ha bisogno di un iratze, anyway, i gusti son gusti(?). Inoltre, il giglio è simbolo di purezza, una dote che ho sempre visto in Sophie, nel bene e nel male.

1-    Piccolo tributo al nostro Alec. Che poi tutti odorano di sandalo, pure Jem odora di sandalo!

Vi lascio con il primo esperimento di TID, sperando che mi abbia almeno fatto sorridere.

 

radioactive,

 



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