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Autore: EmmaStarr    23/06/2013    1 recensioni
|AU| |Rio De Janeiro| |Tempi odierni (circa)| |Simon&Kamina| |un pochettino di Fluff| |no Yaoi|
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Che facesse caldo, in quell'assolato quartiere di periferia, era un dato di fatto.
Effettivamente, Simon si chiedeva già da diversi minuti perché il suo corpo non si fosse già sciolto, vinto dall'opprimente calura estiva.
Insomma, poi: a Rio de Janeiro faceva sempre caldo, indipendentemente dalla stagione. Quelle strade che aveva imparato a chiamare casa erano afose e bollenti in ogni periodo dell'anno: la polvere si infilava dappertutto, il sudore lasciava lunghi solchi scuri sulla pelle, le scottature e i colpi di sole erano all'ordine del giorno.
Ma Simon continuava ad andare avanti, instancabile. Perché stava camminando dietro a Lui.
E Lui non soffriva il caldo, o perlomeno non lo dava a vedere.
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Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kamina, Simon, Viral
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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SOMEWHERE, FAR AWAY



Che facesse caldo, in quell'assolato quartiere di periferia, era un dato di fatto.

Effettivamente, Simon si chiedeva già da diversi minuti perché il suo corpo non si fosse già sciolto, vinto dall'opprimente calura estiva.

Insomma, poi: a Rio de Janeiro faceva sempre caldo, indipendentemente dalla stagione. Quelle strade che aveva imparato a chiamare casa erano afose e bollenti in ogni periodo dell'anno: la polvere si infilava dappertutto, il sudore lasciava lunghi solchi scuri sulla pelle, le scottature e i colpi di sole erano all'ordine del giorno.

Ma Simon continuava ad andare avanti, instancabile. Perché stava camminando dietro a Lui.

E Lui non soffriva il caldo, o perlomeno non lo dava a vedere.

Lui sorrideva, sorrideva sempre, in ogni occasione. A Lui non importava quello che dicevano gli altri, Lui non teneva la testa bassa.

Lui era l'unico al quale importasse davvero di Simon, tanto da farlo diventare il suo fratellino.

Il suo nome? Lui era Kamina, e tanto bastava per convincere Simon a camminare sotto un sole mille volte più ardente di quello.

“Come stai, Simon? Ce la fai a continuare, vero?” chiese, fermandosi per aspettarlo.

Il più giovane lo raggiunse, ansimando leggermente. Le braccia scottavano, il respiro gli mancava, ma riuscì comunque a far spuntare un timido sorriso sulle labbra. “Tutti bene, fratello.” rispose, convinto.

Non poteva fargli rallentare la marcia, no.

“E bravo il mio fratellino.” disse Kamina soddisfatto, scompigliandogli i capelli. “Manca poco, ormai. E vedrai in che bel posto ti porto oggi!”

Simon annuì, sfregandosi un braccio che formicolava. Non vedeva l'ora, anche se con lui sarebbe andato ovunque.

Perché prima, prima di incontrare Kamina, la sua vita era stata terribilmente spaventosa e triste: dopo la morte dei suoi genitori, era stato costretto a vivere in mezzo alla strada, solo, senza un soldo o un tetto. Si era guadagnato da vivere rubando, finché non aveva incontrato Viral.

Viral lo aveva trovato quando aveva solo sette anni, e lo aveva subito preso con sé. “Sei piccolo”, gli aveva detto. “Sarà più semplice infilarti in mezzo mentre lottano.”

Simon non aveva avuto scelta, e lo aveva seguito. E così era cominciata la sua nuova vita, una vita fatta di orrore e pericolo.

Combattimenti tra cani.

Assurdo come quelle tre semplici parole gli procurassero ancora dei brividi freddi lungo la schiena.

Il suo compito era semplice: porta i cani nel mezzo del campo, slega i collari al momento giusto, scappa.

Viral non poteva permettersi marchingegni sofisticati, la sua era un'attività appena iniziata. Ma Simon aveva un vero talento, e nemmeno lui poteva essere così stupido da non notarlo.

Pur essendo appena un bambino, era così veloce che riusciva a portare entrambi i cani in mezzo al campo, faccia a faccia, per poi slegarli e spingerli uno contro l'altro, così in fretta che gli animali si ritrovavano direttamente uno nelle fauci dell'altro. E la lotta era già iniziata, e si sarebbe conclusa col sangue.

Simon sapeva cosa doveva fare: mettere il cane su cui aveva puntato Viral in posizione di forte vantaggio. Ne era in grado, non era difficile.

Ne era in grado, ma odiava farlo.

Per quanto sapesse che si trattava di animali, non di persone, vederli lottare in quelle condizioni così orribili gli faceva venir voglia di vomitare.

E condannare uno o l'altro animale era sempre terribile, ma cosa poteva farci?

Se il cane su cui Viral aveva puntato perdeva, Simon non mangiava.

E per quanto quella vita fosse orribile, Simon non ne conosceva altre: e allora si adeguava, chinava la testa, si sottometteva. E così passarono quasi sette anni, finché...

Bé, finché non arrivò Lui.

All'inizio era solo uno spettatore come tanti, uno che stava seduto tra la folla.

Simon l'aveva notato per i capelli. Erano buffi, e lui di cose buffe non ne vedeva molto spesso.

Approfittando della confusione, gli si avvicinò, solo per guardarlo di nascosto. Ma Lui se ne accorse, quasi ci fosse già una sorta di legame, tra di loro.

O almeno, a Simon piaceva pensare che fosse per quello.

Allora il ragazzino gli si avvicinò, incapace di staccare lo sguardo da quei capelli di un colore così acceso, e gli chiese timidamente se era nato così o se per caso non li avesse tinti.

Kamina rise, assicurandogli che era davvero nato così, e ne andava fiero!

Simon si prodigò subito in mille scuse, vergognandosi della figura. Ma l'altro non se la prese. Non se la prendeva mai, non con lui.

“Sei venuto per le scommesse? Non sei come gli altri.” notò il più giovane.

Era la prima volta infatti che uno spettatore parlava con lui, che lo calcolava.

“Effettivamente no. Sto cercando una persona, una... vecchia conoscenza, diciamo. Si chiama Viral, non è che sai dov'è?” domandò Kamina, sorridendo.

Simon trattenne il fiato. “I-il padrone? Lui è di là, sta scegliendo il cane su cui puntare.” balbettò, indicando il tendone con dentro gli animali.

“Lo conosci da tanto?” indagò ancora l'altro.

“Sì, cioè, è tanto che sono qui... Credo sei, sette anni, come minimo...” Simon era confuso: perché quello sconosciuto voleva sapere tutte quelle cose?

“E dimmi... È un bravo padrone?” Kamina aveva pronunciato quelle parole con un tono a metà fra il disgustato e il sarcastico, e Simon cominciò a spaventarsi.

“Io... I-io non... Ma scusa, perché fai tutte queste domande? Non so nemmeno come ti chiami!” si era ribellato, indietreggiando.

Che fosse un trucco? Una prova? Forse il padrone stava testando la sua fedeltà?

Ma l'altro aveva sorriso. “Hai ragione, scusa. Il mio nome è Kamina, e purtroppo io faccio davvero tante domande. Che ci vuoi fare, è un mio vizio. Mi interessa sapere come si comporta Viral, tutto qui.” assicurò. “Se non vuoi parlare, non c'è problema.”

E Simon non riuscì a tacere. Semplicemente, c'era qualcosa di disarmante in quello sguardo pieno di energia del ragazzo che aveva davanti, qualcosa che lo attraeva come non gli era mai successo.

“O-ok... Lui mi ha trovato quando ero piccolo, e vivo da lui da allora... Il mio lavoro non è difficile, però a volte è pericoloso: ogni tanto mi faccio male. E se per sbaglio il cane...” ma qui si bloccò.

Su molte cose Viral era intransigente: Simon non poteva conoscere altre persone, non poteva andare in giro se non per fare la spesa o cose simili, non poteva dormire tanto né mangiare quanto il suo stomaco avrebbe voluto, ma c'era una regola alla quale doveva adeguarsi, pena le punizioni più atroci. E quella regola era: non dire una parola riguardo al tuo lavoro.

E con lavoro non si intendeva semplicemente liberare i cani e scappare via, ma proprio spingerli in modo da avvantaggiare uno o l'altro.

Nessuno doveva sapere di questo suo segreto, nessuno. E non c'era sconosciuto, per quanto affabile, al quale potesse anche solo pensare di rivelarlo.

“Insomma, se faccio casini non mi dà da mangiare, però di solito si comporta bene.” concluse precipitosamente.

Quello lo guardò a lungo, come a volergli sondare la mente, poi sospirò.

“Non è che potresti portarmi da lui?” chiese, senza guardarlo.

“S-sì, certo... Vieni.” disse Simon dopo un secondo di indecisione. Non sapeva perché, ma con quel ragazzo si sentiva come non gli era mai successo, mai da quando i suoi genitori erano morti...

Gli uomini che stavano di guardia non fecero resistenza quando videro Simon, e li lasciarono passare.

Quando furono arrivati alle spalle di Viral, Kamina tossicchiò. “Ne è passato di tempo, eh?”

L'altro si voltò di scatto, paonazzo. “Tu! Come hai fatto a... Simon!” esclamò, un inquietante lampo di rabbia negli occhi.

Il ragazzino rabbrividì. Aveva sbagliato a portare lì Kamina? Sarebbe stato punito?

“Non prendertela con lui.” lo interruppe però l'altro, la voce dura. “Sarei entrato lo stesso. Abbiamo un conto in sospeso, noi due, e non intendo lasciarti andare.”

Simon non poteva crederci. Forse per Kamina era stato un gesto da poco, ma nessuno aveva mai preso le sue difese, prima di allora. Frasi come “non prendertela con lui” non ne aveva sentite da talmente tanto tempo...

“E io non me ne andrò, stanne certo. Concluderemo la faccenda una volta per tutte.” sibilò Viral, il volto aperto in un ghigno quasi animalesco. “Simon, vattene. Ho puntato su Attila, quello dell'altra volta.” ordinò, senza guardarlo.

Il ragazzino obbedì, spaventato, e si diresse verso l'uscita.

A quel punto sarebbe dovuto uscire e tornare al suo posto dietro gli spalti come faceva sempre, sarebbe stato decisamente saggio.

Eppure non resistette alla curiosità, e si appostò dietro all'uscita della stanza per ascoltare la conversazione del suo capo e di Kamina.

E quello che scoprì lo lasciò senza fiato: quel ragazzo parlava di bande rivali, di gruppi di ragazzi che popolavano le strade, di tradimenti. Forse un tempo i due erano anche stati amici, Simon non avrebbe saputo dirlo con certezza: l'unica cosa che gli appariva chiara era che lui non sapeva davvero niente del mondo. Era un estraneo, uno lì per sbaglio.

“Perché hai detto al ragazzino su chi hai puntato?” chiese Kamina, aggressivo.

“E perché no?” ribatté l'altro, beffardo.

“Sei davvero così imbattibile come dicono, in queste scommesse? Pare che tu abbia guadagnato un bel gruzzoletto, in questi anni. Dev'esserci sotto qualcosa, secondo me.” osservò Kamina.

“È abilità, infatti.” ringhiò Viral. “Riconosco subito un cane che ha delle potenzialità, quando ne vedo uno.”
“E non solo i cani, a quanto pare... Vedi potenzialità anche nei bambini, ora...” commentò Kamina, indifferente.

Simon trattenne il fiato: e cosa intendeva dire? Aveva intuito qualcosa? Oh, ma perché quel tipo non la smetteva di fare domande e non se ne andava?

“Stai scherzando, spero! Ho trovato Simon quando a malapena si reggeva sulle gambe, era mezzo morto di fame, e l'ho cresciuto. Il mio è stato un atto di carità, niente di più!” si indignò Viral.

Qualcosa dentro Simon sembrò volersi ribellare.

A parte che a sette anni era abbastanza sicuro di sapersi reggere sulle gambe da solo... Mezzo morto di fame? Cresciuto? Insomma, non se l'era cavata certo come un re, ma a volte avrebbe preferito essere solo ma libero, piuttosto che con Viral.

“Sarà... Quindi tu mi stai dicendo che vinci solo per il tuo intuito?” chiese Kamina, cambiando argomento. Simon sospirò di sollievo.

“Esatto.” rispose freddamente Viral.

“E ti fidi ciecamente di queste intuizioni.” proseguì Kamina.

“Sì.”

“Allora, che ne dici se... facessimo una scommessa? Io dico che questa volta il tuo intuito ha preso una sbandata. E che il tuo cane perderà. Se sarà così, bé... mi prenderò quello che mi spetta. Altrimenti, non mi vedrai mai più. Andata?”

Simon rabbrividì: aveva detto che si sarebbe preso quello che gli spettava. Non poteva permettersi di sbagliare, o chissà cos'avrebbe fatto Viral... Eppure, una parte di lui voleva che fosse Kamina a vincere. Che fare?

“... Andata.” replicò Viral dopo una breve esitazione.

“Allora ci vediamo qui a fine combattimento.” affermò Kamina, prima di uscire a passo di carica.

Fu così veloce che Simon non fece nemmeno in tempo a nascondersi: i due si fissarono negli occhi per qualche istante.

Simon lo fissava terrorizzato, come a implorarlo di non dire niente.

Kamina invece sorrideva, sorrideva soltanto. Gli strizzò l'occhio con complicità e poi proseguì senza mostrare nessuna esitazione.

Senza perdere tempo, Simon corse via.

Quale cane avrebbe fatto vincere? Quello di Viral o l'altro?

Magari, magari quella era la volta buona per far lottare i cani alla pari, e come andava andava...

No, no, troppo pericoloso: Viral l'avrebbe ucciso!

Doveva vincere Attila, per forza. Eppure c'era quella fastidiosissima morsa allo stomaco che gli faceva venir voglia di piangere...

Senza che avesse il tempo di prendere una decisione, fu ora di far combattere i cani.

Simon entrò nell'arena che tremava come una foglia, trascinando i due cani a velocità minima. La tromba suonò, e lui non decise assolutamente nulla. La sua testa era talmente vuota che le mani fecero tutto da sole, velocemente e senza errori: e fu così che Attila partì in posizione di completo svantaggio.

Simon corse via, la testa che scoppiava, e seguì con ansia il combattimento: l'avversario aveva la testa di Attila fra le zanne, e già il sangue scuro sgocciolava a terra...

Cos'ho fatto? Continuava a chiedersi, terrorizzato.

Viral l'avrebbe ucciso, l'avrebbe senza dubbio ucciso. Perché aveva combinato quel pasticcio?

Si ritrovò a sperare nel miracolo: Attila poteva vincere comunque, era già successo che le cose non andassero come aveva progettato, no?

Ma non fece in tempo a pensarlo, che il grande cane nero crollò a terra, morto.

Simon non avrebbe dovuto guardare Viral, decisamente no. Poteva fare di tutto, ma non avrebbe mai dovuto posare lo sguardo sul volto del suo padrone.

Perché quando lo fece, desiderò con tutte le sue forze essere ovunque tranne che lì.

Senza pensarci due volte, si voltò e prese a correre.

Ancora adesso, adesso che finalmente viveva con Kamina, Simon ripensava a quei giorni di fuga con un'angoscia che gli serrava la gola e gli faceva contorcere le budella.

Sì, poteva dire con estrema certezza che quelli erano stati i giorni più terribili della sua vita. Aveva paura, era solo, affamato. Non dormiva per paura che Viral lo potesse trovare – e, di conseguenza, uccidere.

Ma, come tutti gli incubi, anche quello finì, e nel migliore dei modi possibili.

Il sole sarebbe sorto da un momento all'altro e Simon si era appena addormentato, accoccolandosi dentro un copertone in una via deserta.

E fu allora che Lui lo trovò.

Lo scosse delicatamente, piano, come se fosse stato un qualcosa di estremo valore.

“Ehi. Sveglia. Ce ne ho messo di tempo per trovarti, sai nasconderti bene. Però ora devi alzarti, forza.”
Simon spalancò gli occhi, terrorizzato.

“Non mi dirai che hai paura di me!” disse Kamina, fingendosi indignato. Poi gli si sedette accanto. “Non ti torcerò un capello! Con chi credi di avere a che fare, scusa?”

Simon arrossì, senza sapere cosa dire.

E, in effetti, non c'era bisogno di dire proprio niente.

Dopo qualche minuto, infatti, fu Kamina a prendere la parola. “Eri tu che orchestravi tutto con i cani, vero? Vinceva quello che decidevi tu.” Non era una domanda, solo una semplice constatazione.

Il più giovane annuì.

“Bé, allora grazie.” Kamina sfoderò un sorriso smagliante. “Grazie a te ho vinto la scommessa, avresti dovuto vedere la faccia di Viral!”

“Oh, quella l'ho vista eccome.” borbottò Simon, funereo.

“Non preoccuparti, non ti toccherà neanche con un dito.” assicurò l'altro, improvvisamente serio.

Simon alzò lo sguardo, confuso.

“Sì, proprio così: non preoccuparti, ti difenderò io. È il minimo, no?” continuò quello con la massima tranquillità.

Simon provò a dire che non c'era bisogno che Kamina si desse tanto da fare per lui, davvero. Che era in grado di cavarsela da solo. Che lui non valeva la pena di darsi tante preoccupazioni per uno come lui.

Ma il più grande non lo stette a sentire.

“Avrai fame.” disse invece, porgendogli un pacchetto consunto.

Simon lo scartò, cauto: c'era davvero tanto cibo!

“È... è per me?” balbettò, incredulo.

“Non vedo altri ragazzini che mi hanno tirato fuori dai guai, qui intorno!” scherzò l'altro, inarcando un sopracciglio.

Simon non poté fare a meno di abbozzare un sorriso, poi addentò la prima mela.

Non aveva mai mangiato niente di così buono in vita sua.

“Va meglio, adesso, no?” commentò Kamina quando Simon ebbe finito di spazzolare tutto.

“Decisamente sì, grazie.” disse Simon, riconoscente.

Sentiva già di non aver mai voluto più bene a qualcuno.

“Allora, senti un po'. Quello che sto per raccontarti è terribilmente importante, quindi fa' attenzione. È da quando sono piccolo che voglio andarmene da qua. Molto a Sud rispetto a Rio, oltre le montagne, c'è una foresta enorme, la più grande del mondo. Laggiù, nascoste, ci sono piccole tribù di Indios. Ci sono davvero, non fidarti di chi dice che sono scomparse tutte. Vivono in armonia con la natura, circondati da magia e musica. Sono felici. Mia madre, lei era una di loro, sai? E quando è morta mio padre ha raggiunto la sua tribù. Ora tocca a me. Che dici, ti va di venire anche tu?” propose alla fine, un luccichio negli occhi.

Simon non ci pensò due volte: con lui sarebbe andato ovunque. “Certo!” rispose con slancio, sorridendo per davvero, forse il suo primo vero sorriso nell'arco di sette anni.

Kamina gli scompigliò i capelli, orgoglioso. “Allora da oggi tu diventi ufficialmente il mio fratellino. Così fai parte della tribù anche tu.”
E se si potesse morire di felicità, a Simon sarebbe successo in quel momento.

Certo, non erano partiti subito. Era un po' più difficile di così.

Grazie a Simon, Kamina era riuscito ad recuperare molti soldi che Viral gli aveva preso, ma ancora non bastavano per potersi permettere un viaggio così lungo, senza contare i passaporti e la polizia.

Erano ancora a Rio de Janeiro, e ormai Simon aveva accettato l'idea che sarebbero potuti rimanerci ancora del tempo.

Però non poteva lamentarsi, questo proprio no.

Era quasi un anno che viveva con Kamina, e ormai erano vicinissimi: era come se fossero stati fratelli da sempre. Insieme ne avevano passate di tutti i colori, tra fughe, rincorse, piccoli furti e tanta voglia di divertirsi.

E dovunque sarebbero andati, qualunque ostacolo avrebbero trovato davanti a loro, Simon sapeva, sentiva dentro di sé che niente e nessuno avrebbe potuto dividerli.

 

  
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