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Autore: Scintilla    06/01/2008    6 recensioni
C’erano sempre state barriere, fra di loro.
Ma né Jiraya né Tsunade se ne preoccupavano.
Orochimaru era un genio, per questo era diverso da loro.
Semplice, dopotutto.
[Jiraya // Tsunade // Orochimaru]
[Fic vincitrice del concorso 4x4 3some indetto dalla Gattide]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jiraya, Orochimaru, Tsunade
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Orochimaru non era come loro

Salve, qui Scintilla.

Pubblico qui la fanfic vincitrice del concorso 4x4 3some indetto dalla Gattide.

Ovvero Rekishi, Mika_Mika e Lady Antares Degona Lienan.

Ringrazio vivamente i giudici per la loro pazienza e per i loro commenti.

Hanno proprio saputo mettere in luce i pregi e i difetti di questa one shot.

*ringrazia sentitamente*

Ah, dopo 4 mesi pubblico di nuovo qualcosa su Naruto… aw.

Oh, nient’altro da dichiarare, buona lettura!

Scintilla

 

 

 

Stranezza Sgradevole

 

 

Orochimaru non era come loro. Era strano. Quell’insolita sensazione che percepivano quando si avvicinava era strana. Orochimaru non era strambo perché non giocava con gli altri bambini, perché aveva quegli sgradevoli occhi sinistri, perché viveva solo, perché non aveva amici.

No. C’era qualcos’altro in Orochimaru che metteva a disagio Jiraya e Tsunade. Alcuni avevano perfino criticato Sarutobi per aver deciso di allenare quell’inquietante bambino.

“È cattivo” avevano sentito dire tante volte dai grandi “È  strano.”

Sai, l’altro giorno l’ho visto avventurarsi da solo nella foresta. Aveva… aveva qualcosa di viscido sulla spalla.

“Non sorride mai, nemmeno quando ottiene ciò che vuole.

“Io non lo farei mai avvicinare al mio bambino!”

Sarutobi sorrideva (in quel modo un po’ irritante, come se sapesse molte cose ma non le volesse dire) e rispondeva:

-Orochimaru è un genio. Uno di quelli che nascono una volta ogni cento anni. Non posso non allenarlo.-

Jiraya e Tsunade si sentivano più tranquilli.

Orochimaru era un genio. Ecco perché era così strano. Semplice.

 

I bambini della Foglia, le rare volte in cui Orochimaru passeggiava per il paese, si zittivano e indietreggiavano al suo arrivo. A volte Orochimaru si fermava davanti a un gruppetto di attoniti ragazzini. Si avvicinava lentamente, e le labbra di questi iniziavano a tremare.

Poi sorrideva, un smorfia inquietante sulla bocca da bambino.

E quelli scappavano, come se avessero visto un demone.

Orochimaru continuava per la sua strada, le labbra increspate in un ghigno. Diverso da prima. Divertito. Infantile. Un sorriso come quello di tutti gli altri.

 

A Jiraya Orochimaru non era mai piaciuto.

A chi sarebbe potuto piacere, dopotutto?

Sempre con quegli occhi che bruciavano di cattiveria.

Sempre con quel pallore innaturale della pelle.

Sempre con quella voce calma ma strascicata.

Non era bello, no. Nulla era piacevole nella sua persona.

Sembrava emanasse sentimenti negativi.

Gli ci vollero anni per capire che quelle strane sensazioni che emanava erano proprio odio e malvagità.

“È un genio. Non è come noi.” per tanti anni questa frase da sola era bastata.

I bambini raccontavano un sacco di storie su Orochimaru.

Uno giurava di averlo visto con un serpente in bocca. Il serpente era morto e il sangue colava dalle labbra dell’inquietante ragazzino.

Un altro diceva che quel demone bambino si era fatto una casa nella foresta, dove andava di notte. Lì non dormiva, ma si allenava con il fantasma di un potente ninja.

Un altro ancora era sicuro che Orochimaru fosse in grado di mangiare vermi vivi e carne cruda.

Jiraya aveva avuto un po’ di paura di quello strano ragazzino.

Ma una volta appurato che non era un demone, aveva deciso di spaventarlo.

Per ripagarlo del fatto che per tanto tempo il suo solo nome l’aveva terrorizzato.

E non c’era mai riuscito.

Orochimaru non aveva paura di nulla.

Non dei fantasmi, non dei mostri, non dei ninja nemici, non della solitudine.

Nemmeno della morte.

Non c’era nulla con cui Jiraya potesse minacciarlo, ricattarlo.

Non aveva nessun potere su di lui.

Questo gli dava sui nervi. Molto.

Così Jiraya non aveva esattamente paura di Orochimaru.

Ma non gli piaceva.

Non sarebbe mai stato suo amico, ne era certo.

Non aveva il potere di stringere Orochimaru in un legame.

Fluido come un serpente, lo strano ragazzino sfuggiva da ogni possibile approccio.

E Jiraya non aveva mai avuto la pazienza di rincorrere i rettili.

 

Tutti conoscevano Tsunade, al villaggio.

La piccola Tsunade, la nipote dell’Hokage.

Le donne parlavano sempre di lei con frasi piene di complimenti.

I ninja adulti la guardavano orgogliosi.

Tutti i ragazzini la conoscevano. La salutavano ad ogni occasione e le lasciavano libera la strada.

Le bambine più piccole le offrivano le loro bambole migliori, e i bambini più giovani raccoglievano la frutta, per lei.

Tsunade se ne beava. Sapeva di essere ancora una bellezza acerba, ma se ora era così, figurarsi quando sarebbe diventata una bellissima e avvenente donna!

Solo uno non la salutava né la guardava.

Orochimaru.

Quello strambo.

Quello che fa paura.

Quello che “non lascerei avvicinare alla mia casa”.

Quello un po’ matto.

Tsunade non aveva paura di Orochimaru.

Diciamo che quel sentimento era solo soggezione.

Una volta aveva tentato di parlarci insieme.

-Orochimaru, sai che io sono la nipote del primo Hokage?-

La risposta era stata lapidaria.

-E allora?-

Non si era nemmeno scomposto. Non si era nemmeno fermato.

L’aveva solo guardata negli occhi. E di fronte a quelle strane pupille, Tsunade aveva abbassato lo sguardo.

Più tardi pensò che non avrebbe dovuto lasciarlo andare via così, avrebbe dovuto rispondergli a tono.

Peccato.

La mamma le aveva raccomandato di stare lontano da “quel cattivo e strambo bambino”.

E lei, come da programma, era curiosissima di sapere cosa ci fosse di tanto brutto e pericoloso, in lui.

Ma per tanti anni scambiò con lui pochissime parole e non riuscì mai a coinvolgerlo in un discorso.

 

*********

 

Compiuti i dodici anni, finita la scuola, per ogni ninja arriva il momento di formare una piccola squadra di genin con altri due membri.

Anche i futuri sannin provarono questa emozione.

Quando conobbero i nomi dei loro compagni, ebbero reazioni piuttosto diverse.

Tsunade pensò che era l’occasione buona per provare a parlare con il ragazzo strano, a dispetto di ciò che le aveva detto la mamma.

Jiraya fu felice di essere con la bella (seppur piatta) bambina, Tsunade. L’idea di essere in squadra con il bambino demone, invece, non gli causò troppo tranquillità.

Orochimaru rimase impassibile. Jiraya? Tsunade? Non li aveva ben presenti, ma… Un compagno, per lui, valeva l’altro. Erano solo due soci di livello inferiore con cui condividere alcuni mesi di vita.

 

Una volta, Orochimaru e Tsunade provarono a combattere.

Era uno dei primi allenamenti che sostenevano insieme.

Tsunade non aveva mai veramente usato delle armi contro esseri umani, ed era molto eccitata.

Orochimaru schivò i suoi incerti colpi senza sforzo, poi le si avvicinò correndo.

Tsunade si sentì un po’ indifesa, ma pensò che non sarebbe stato corretto colpire una bambina.

Vero? Vero?

Il colpo sul collo le arrivò con una potenza tale che sputò sangue.

L’ultimo suo ricordo prima del buio furono le urla arrabbia di Jiraya e i rimproveri del suo sensei.

 

Alcuni giovani ninja di Konoha si ritrovavano spesso a parlare e a vantarsi delle loro imprese, nel tempo libero. Fra questi c’era Jiraya.

Un giorno discussero sulle loro prove di coraggio.

-Io ho costretto alla fuga un ninja nemico in una missione di livello B.- si vantò uno.

-Io ho portato un messaggio al paese delle onde tutto da solo, perché il maestro aveva dovuto accompagnare i miei due compagni gravemente feriti al villaggio.- gli fece eco un altro.

-Io ho sconfitto da solo quattro ninja adulti.- gridò orgoglioso un ragazzo fra i più grandi.

-E tu, Jiraya? Cos’hai fatto di coraggioso?-

-Ho dormito a meno di un metro da Orochimaru.-

Quella fu la prima volta che Jiraya usò il compagno per vantarsi. Si rese conto solo dopo di quanto fosse una cosa stupida.

Ma lo sguardo incredulo e ammirato degli altri lo riempì di orgoglio.

In seguito, gli chiesero spesso di narragli com’era vivere a contatto con quel piccolo mostro.

E lui rispondeva, lusingato da tanta attenzione.

Spiegava com’era inquietante svegliarsi con quel volto pallido vicino, com’era angosciante essere costretto a dargli le spalle nelle esercitazioni, com’era orribile camminare nella notte con lui vicino.

E quanto fosse minaccioso quando dovevano combattere per allenarsi!

E quanto fossero sempre ostili e sinistri i suoi occhi, e simili a quelli di un serpente i suoi movimenti fluidi, e incredibilmente precisi e letali i suoi colpi!

E così continuava, infarcendo di brividi e particolari spaventosi i suoi racconti, beandosi dello sgomento e ammirazione degli altri.

Brividi che, dopotutto, non provava più da molto tempo.

 

Con Jiraya e Tsunade non era come con gli altri, questo Orochimaru lo capì abbastanza presto.

Loro non si spaventavano nel vederlo arrivare. Loro non avevano paura di dargli ordini. Loro non stavano zitti in sua presenza.

Cioè, all’inizio sì. All’inizio non lo guardavano nemmeno, si limitavano a sussurrarsi frasi tra di loro.

La sentiva, la diffidenza che i due nutrivano verso di lui.

Poi le cose erano cambiate. Molto in fretta.

Solo dopo un paio di settimane, era tutto molto diverso.

Con loro faceva cose che non aveva mai fatto.

Loro parlavano con lui. Ridevano e piangevano in sua presenza. A volte gli davano pacche sulla schiena o strette di mano.

A volte lo insultavano, perfino!

E una volta l’avevano addirittura picchiato.

Cioè, picchiato è una parola grossa.

Diciamo che Jiraya gli aveva dato una spinta e Tsunade gli aveva impresso l’impronta della mano sulla guancia.

Orochimaru era caduto (e si era riempito di fango, maledizione alle recenti piogge!) e la pelle si era rotta nei punti dove le lunghe unghie della ragazza lo avevano colpito.

Il motivo? Oh, quello non era importante. Doveva essere stata una cosa molto stupida.

Già il giorno dopo non se lo ricordava più.

Ma quell’episodio gli rimase impresso per molto, molto tempo.

Quei due ragazzini l’avevano picchiato. L’avevano colpito!

Proprio come se lui fosse solo un bambino, e non quel piccolo demonio di cui l’intero villaggio parlava.

 

Sia Jiraya sia Tsunade erano in verità piuttosto curiosi nei riguardi di Orochimaru.

Dopotutto, fino a quel momento l’avevano conosciuto solo da racconti spesso troppo fantastici.

In un certo senso, pensavano che se il destino li aveva voluti mettere nella stessa squadra, ci doveva essere un motivo valido.

I primi tempi erano piuttosto impauriti da lui e la sua presenza era qualcosa di sgradevole. Tiravano un sospiro di sollievo quando Orochimaru smetteva di osservarli.

Qualche tempo dopo, scoprirono quello che già avevano intuito.

C’era dell’altro, in lui, oltre alla grande abilità, alla curiosità insana, alla voce strisciante, agli occhi sgradevoli.

A volte sembrava perfino umano.

Una volta lo spiarono mentre pregava sulla tomba dei genitori.

Gli occhi chiusi, le mani tremanti, l’espressione assorta in un doloroso monologo interiore.

Non ne ebbero la certezza, ma credettero di vedere addirittura delle lacrime sulle sue guance.

Quando tornò a casa, lo seguirono.

Orochimaru li accolse con la sua solita espressione malignamente divertita.

E Jiraya e Tsunade capirono.

Orochimaru aveva sicuramente qualcos’altro dentro di lui. Aspetti nascosti che non ammetteva nemmeno a sé stesso.

Ma non era concesso a nessuno vedere quella parte. Loro due inclusi.

 

Orochimaru non sapeva bene cosa fossero per lui Jiraya e Tsunade.

Alcuni dicevano che erano suoi amici.

Lui non lo sapeva, sinceramente. Non sapeva nemmeno se gli piacessero oppure no.

Jiraya era troppo rumoroso, per lui. Ed era anche stupido. E guardava troppo le donne invece di allenarsi. E spesso non si atteneva alle regole.

Tsunade era una ragazzina carina, ma era sciocca anche lei. Chiacchierava e rideva troppo spesso con le sue amiche, di cose inutili e stupide. Sognava grandi ed effimere cose.

Era una ragazzina allegra e illusa lei. Un bambino stupido e casinista l’altro.

Davvero, erano due tipi mediocri e pieni di difetti.

Eppure, con loro era diverso. Stare con loro era diverso dallo stare con tutti gli altri.

E non era spiacevole. Certo, a volte gli erano indifferenti e il loro cicaleccio lo annoiava.

Eppure, non era sgradevole.

Certo, non cercava mai la loro compagnia.

Ma una volta che loro lo trovavano, non scappava.

Parlavano, si allenavano, litigavano.

Orochimaru pensò spesso che lo trattavano come uno di loro.

E poi si chiedeva cosa volesse dire quella frase.

Che lo abbassavano al livello di tutti gli altri deboli giovani ninja?

Che per loro lui non era… superiore agli altri, ma noioso e debole come tutti?

Oppure anche Jiraya e Tsunade erano dei fenomeni?

E lo riconoscevano come “genio in erba” come loro due?

Oppure, molto semplicemente, lo consideravano… un amico?

La parola per lui non aveva significato.

“Compagno di squadra” si adattava molto di più.

Dopotutto dovevano stare insieme, che gli piacesse o no.

Dopotutto non erano così stupidi.

Dopotutto… con loro due non si annoiava.

 

Fu all’età di quindici anni che Jiraya iniziò ad innamorarsi di Tsunade.

Le portava cioccolatini, le stava sempre appiccicato, a volte le regalava fiori e, quando si allenavano, non ne voleva sapere di colpirla nemmeno con un dito.

Tsunade reagiva violentemente a queste manifestazioni di affetto, ma sotto sotto ne era anche imbarazzata e, ancora più in fondo, lusingata.

Orochimaru guardava i suoi due compagni alle presa con la prima cotta.

Sorrideva lievemente e scuoteva la testa. “Che stupidi.” pensava.

Non sapeva bene perché, ma sentiva che lui da tutto quello strano universo fatto di attrazione, desiderio, curiosità e imbarazzo, era escluso per sempre.

Non provava alcun tipo di eccitazione all’idea del sesso.

Non aveva voglia di guardare le ragazze.

Nessuna persona l’avrebbe mai fatto… innamorare. Lo aveva già capito.

Non riusciva a concepire come una persona potesse sentirsi così pazzamente attratta da un’altra.

Orochimaru non aveva altro modo di conoscere quello strano mondo che guardare Jiraiya e Tsunade.

Spettatore attento a quell’irrazionale spettacolo.

 

Una volta Tsunade rifletté sul perché le goffe advances di Jiraya le dessero così fastidio.

Jiraya non era dopotutto così male. Dopo anni che lo conosceva, poteva dire che c’era molto di più in lui dello stupido casinista che era stato un tempo.

Era carino, aveva il dono di farla ridere, era sempre disponibile con lei e non si arrabbiava nemmeno dopo le sue sfuriate più selvagge.

Allora perché?

Forse, si rispose, perché era… mediocre? Comune?

Be’, era vero, Jiraya non sembrava possedere nulla di… speciale. Anormale. Incredibile.

Era piuttosto bravo in questa o quella cosa, ma… non era un fenomeno. In nulla.

Un fenomeno era… qualcuno come Orochimaru.

Non che le piacesse Orochimaru!

Anzi, doveva ammettere che era piuttosto sgradevole alla vista.

Semplicemente… era attratta dalla sua persona così strana, così fuori da ogni canone di normalità.

La interessava. Molto più di Jiraya.

 

Orochimaru non riuscì mai a spiegarsi perché accettasse sempre gli inviti di Tsunade e Jiraya.

Erano sempre incontri non particolarmente avvincenti né interessanti.

Eppure, qualcosa lo spingeva sempre ad andare.

Quel qualcosa era la stessa sensazione che provava nell’allenarsi con loro, nel partecipare passivamente alle loro discussioni, nell’osservarli da lontano.

A volte, quasi, si sentiva parte del loro gruppo.

Non era una sensazione sgradevole, tutt’altro.

Ovviamente non poteva essere sé stesso con loro. Ma non doveva nemmeno fingere più di tanto.

Non aveva paura del loro odio, e qualcosa gli diceva che quei due non si sarebbero impressionati tanto facilmente.

Non c’era alcun bisogno di proteggersi, con loro. Poteva svelare la sua natura, fino a un certo punto.

Ed era una cosa sempre parecchio rilassante.

 

Un giorno chiesero a Sarutobi un giudizio sui suoi allievi.

Il futuro Hokage rispose elencando le capacità e i difetti di ognuno, con la massima sincerità.

Si leggeva una soddisfazione sul suo volto, come se sapesse già allora che ninja straordinari sarebbero diventati.

Solo a uno domanda le sue labbra si incurvarono.

-Hanno tutti e tre ottime capacità, e lei sta facendo un ottimo lavoro… Ma sono amici? Vanno d’accordo?-

Esitò un attimo prima di rispondere.

-Penso che sia Tsunade che Jiraya dedichino molta attenzione a Orochimaru. Anzi, forse è il membro che li affascina di più. D’altronde, quel ragazzo ha qualcosa che attira, è impossibile stargli indifferente. Tuttavia…- sospirò.

-Tuttavia ho paura che un vero rapporto di amicizia si stia formando solo fra Tsunade e Jiraya. Credo che il loro sarà un legame duraturo negli anni, che non si spezzerà nemmeno quando saranno cresciuti. Provano del vero affetto l’uno per l’altra. Ma Orochimaru… Lui non li vede come amici, né come suoi pari. Li sopporta, nulla di più. Non scappa da loro, ma non li cerca. E anche se un giorno dovesse veramente affezionarsi a loro… ucciderebbe quel sentimento. Non permetterebbe mai a sé stesso di provare tali sensazioni.-

 

*********

 

Orochimaru tradì giovane Konoha. Aveva solo venticinque anni quando la lasciò.

Ma i suoi esperimenti sui cadaveri erano iniziati molto prima. All’inizio si accontentava di cadaveri trafugati o di animali morti, quindi nessuno ci aveva fatto caso.

Poi iniziò a rapire piccoli genin e chunin. Sapeva che non poteva durare. La sparizione di così tante persone non passa inosservata.

Quando iniziò, aveva già intenzione di andarsene. Sapeva che era iniziato il suo conto alla rovescia.

E il jonin Orochimaru, grande e potente ninja, si sarebbe tramutato in un pericoloso e malato traditore.

Quei pochi mesi di concentrato studio gli servirono a molto, comunque.

Quei cadaveri erano mille volte più interessanti degli animali morti.

 

Alcuni se lo domandarono, dopo la sua fuga.

“Com’è possibile?”

Sì, com’era possibile? Perché nessuno se ne era accorto? Perché nessuno notava nulla di strano in lui? Dov’erano gli altri jonin mentre quel pazzo uccideva quei poveri bambini?

La risposta che si riceveva era sempre uguale.

“Non ho mai parlato con Orochimaru.”

“Ha sempre avuto quel carattere fin da piccolo.

“Si è sempre comportato stranamente.”

“Era un mostro, ma pensavamo stesse dalla nostra parte.

“Non lo conoscevo, lo vedevo di sfuggita alle riunioni.

E la gente di Konoha iniziò a sfogare il proprio odio.

“Lo sapevo che sarebbe successo, non mi è mai piaciuto, quello lì.

“Fin da bambino era un autentico demonio.

La si vedeva scritta in volto, la sua malvagità!”

E Sarutobi! Sarà anche un grande ninja, ma… doveva affogarlo subito, quel mostro, invece che allenarlo!”

“Lo sapevamo che sarebbe successo.”

“Lo sapevamo.”

“Lo sapevamo.”

“Sì, lo sapevamo tutti.”

 

Tsunade e Jiraya furono sorpresi e scossi da quelle notizie come tutti.

Molti li fermavano irati per la strada.

“Non eravate amici suoi?! Perché non l’avete fermato!”

Amici suoi. Avrebbero potuto spiegare. Ma sarebbe stato troppo lungo. E complesso.

Preferivano un rapido “No, non lo eravamo. Ci vedevamo solo agli allenamenti da genin e alle missioni da chunin. Dopo non ci siamo più incontrati, se non di sfuggita. Non ci salutavamo neppure.”

Erano entrambi contrari agli insulti e alle accuse che la gente muoveva a Sarutobi, ma capivano. Lasciavano fare.

E intanto, pensavano a dove avevano sbagliato.

 

Anche loro sapevano che c’era qualcosa di sbagliato in Orochimaru.

L’avevano sempre saputo.

Quando la settenne Tsunade guardava da lontano quel bambino che spaventava tutti, lo avvertiva già.

Quando il piccolo Jiraya guardava il coetaneo allontanarsi in solitudine “nessuno sa bene dove”, se ne rendeva già conto.

Forse era solo a livello sublimale, un presentimento di cui non erano coscienti.

Negli anni la sensazione aveva continuato a aumentare.

Più crescevano e più si rendevano conto che esisteva una grande differenza.

Da una parte c’era Orochimaru. Dall’altra tutti gli altri.

Poi erano finiti in squadra insieme.

Ne erano stati delusi?

No.

Certo, un po’ di paura l’avevano provata.

Solo per la prima mezz’ora circa.

In breve anche la diffidenza aveva iniziato a sparire.  Tempo di poche settimane.

Poi, si erano trovati bene. Fino a quei tragici fatti, ne erano addirittura orgogliosi.

Certo, Orochimaru li batteva. Nelle tecniche come nelle arti marziali.

Imparava tutto velocemente. E aveva sete di conoscenza.

Si poteva dire un allievo modello.

Ma Jiraya e Tsunade sapevano che non era vero.

La sete di Orochimaru era troppo disperata per essere senza secondi fini.

La sua voglia di spingersi al limite, di provare tecniche sempre più complesse fino a urlare di dolore non poteva essere salutare.

Ci doveva essere qualcos’altro. Un desiderio malato. Un’inclinazione maligna.

Ci doveva essere un motivo per la sua brama di forza.

Sinceramente, non avevano avuto nessuna fretta di scoprirlo e avevano pregato perché non venisse mai rivelato.

 

Ovviamente, Orochimaru non si aspettava che loro capissero.

Nessuno poteva, nessuno era come lui.

Chi altri avrebbe guardato la morte sul viso di quei bambini affascinato da quel mistero?

Chi avrebbe potuto ascoltare i gridi di agonia attento solo ai tessuti che si inzuppavano di sangue in eccesso?

Chi altri avrebbe avuto il coraggio di sfidare ogni limite e barriera, alla ricerca di cose nuove e proibite?

Molti desideravano astrattamente la vita eterna, ma chi aveva il coraggio di volerla davvero?  Di consacrare a questo tutta la propria esistenza?

Nessuno, tranne lui.

 

Tutte le azioni di Orochimaru erano sempre studiate e precise, non lasciava nulla al caso o all’impulso.

Aveva organizzato la sua fuga da Konoha nei minimi dettagli.

Aveva considerato ogni pro e contro.

Per esempio, sapeva che abbandonare ed inimicarsi uno dei paesi più potenti non sarebbe stato privo di rischi.

Ma decise che i vantaggi erano notevolmente maggiori.

Nel prendere le sue decisioni, mentre sezionava cadaveri e ascoltava di persona i frenetici battiti dei muscoli cardiaci farsi sempre più lenti, pensò un’unica volta a Jiraya e Tsunade.

Pensò che, anche se gli erano entrambi inferiori, erano comunque ninja potenti e capaci.

Per un attimo rifletté che forse sarebbero potuti essergli utili.

Forse sarebbero potuti venire insieme a lui.

Fu solo uno stupido pensiero, probabilmente nato a causa del troppo lavoro e della disattenzione.

Ricordò immediatamente tutte quelle cose.

Quelle cose che li legavano e che li avrebbero appesantiti per sempre.

La fedeltà totale a Konoha, il potere nato per difendere le persone care, il rispetto della gente, la fiducia nell’Hokage, la fede in quegli alti e incomprensibili valori morali e cose simili.

No, loro non l’avrebbero mai seguito. E non gli sarebbero neppure stati d’aiuto.

Loro, rifletté mentre apriva il petto di un ragazzino di massimo undici anni, non erano come lui.

Lui era un genio. Loro no.

Era questa la barriera che avvertiva fin da quando era un bambino. Era questo che l’aveva sempre distinto da tutto e da tutti. Era questa differenza che lo avrebbe sempre separato dai suoi compagni di squadra.

 

Il giorno del funerale collettivo, omaggio a tutti i giovani ninja uccisi da Orochimaru, Jiraya e Tsunade parlarono, e non fu facile.

-Ehi, Jiraya…-

-Sì?-

-Chi era per te… Orochimaru?-

Silenzio.

-Non mi vuoi rispondere, vero?-

-E per te chi era, Tsunade?-

La jonin scosse la testa.

-Te l’ho fatta prima io la domanda, rispondi.-

-Tsunade, non prendiamoci in giro. Nessuno di noi sa chi era Orochimaru. Certo, ci piacerebbe molto dire che era nostro amico, anche per alleggerirci la coscienza… Ci piacerebbe dire che abbiamo fatto tutto il possibile per renderlo “umano”, ma sarebbero tutte bugie.-

Tsunade sospirò, come per supplicare Jiraya di smetterla.

-Pensavo di conoscerlo, io. Davvero.- mormorò con voce tremante.

-Forse abbiamo voluto vedere solo quello che desideravamo. Ci siamo illusi di essere… importanti, per lui.-

-E noi lo consideravamo nostro amico, vero? Solo che quella persona… era falsa. In verità…-

-Sì, in verità noi non abbiamo mai conosciuto il vero Orochimaru.-

Tsunade si passò nervosamente le mani fra i capelli biondi.

-Stai dicendo che dobbiamo stare tranquilli? Che abbiamo la coscienza a posto, che non siamo mai stati amici di un assassino? Che non potevamo accorgerci di nulla?-

Jiraya sospirò.

-Forse l’abbiamo sempre trovato troppo interessante, per affezionarci a lui. Era… un fenomeno. Di un fenomeno puoi avere rispetto, soggezione, paura, stima, ma non ne puoi provare vero affetto.-

Tsunade strinse i pugni, senza ancora guardare negli occhi Jiraya.

-Sento la rabbia che mi scorre dentro. Vorrei tanto arrabbiarmi con qualcuno, con qualcosa, e colpirlo finché non l’avrò fatto a pezzi. Forse, dopo, starei meglio.-

Aprì le braccia, come ad indicare il prato vuoto intorno a loro.

-Ma qua non c’è nulla. Nulla!-

Jiraya sollevò lo sguardo verso il cielo.

-Senti rabbia, Tsunade? Allora odia lui, perché d’ora in poi saremo comunque costretti a farlo. Non pensare a lui come un compagno di infanzia, ma solo al mostro che ha dimostrato di essere. Odialo. Poi sarà più facile, vedrai.-

Tsunade annuì, mentre le lacrime sgorgavano fastidiosamente dai suoi occhi.

-Certo… così sarà più facile.-

Dopo, alla cerimonia, entrambi pensarono che quel funerale non era solo per quei ninja morti per esperimenti negromanti. Era anche quello di Orochimaru.

Il loro compagno come l’avevano conosciuto lì moriva. E non sarebbe più risorto.

Se ne sarebbero fatti una ragione, un giorno.

Della sua morte volontaria.

 

********

 

Una volta, durante un allenamento, quando ancora non avevano compiuto i tredici anni, i tre genin erano rimasti bloccati in una stretta spaccatura di roccia. Una minuscola caverna.

Jiraya e Tsunade avevano diverse ferite e non riuscivano a muovere le gambe. Probabilmente si erano rotti qualche osso. Orochimaru era rimasto illeso, ma aveva deciso di rimanere lì con loro.

Era notte, e gli unici rumori che si udivano erano il ticchettio ininterrotto dell’acqua e i gemiti di dolore dei piccoli ninja feriti.

Il silenzio era durato per parecchi minuti, finché Tsunade non aveva spezzato il silenzio, per lei minaccioso.

-Che cosa farai da grande?- aveva chiesto a Orochimaru.

E lui aveva sorriso prima di rispondere, con quel ghigno inquietante che non usava quasi più con i suoi compagni.

Sembrava che già sapesse tutto. Che fosse già a conoscenza del fatto che avrebbe ucciso genin e chunin innocenti, che la brama di potere e conoscenza gli avrebbe divorato l’anima, che avrebbe tradito quel mondo che tanto malvolentieri lo aveva accolto, che sarebbe diventato uno spietato e leggendario ninja, che un giorno i suoi compagni (quei bambini che ora avevano l’ardine di schiaffeggiarlo) l’avrebbero guardato con odio.

Li aveva guardati entrambi negli occhi, e un brivido freddo li aveva trapassati.

Orochimaru avrebbe giurato che sarebbero scappati entrambi, se solo ne avessero avuto l’opportunità.

E alla fine aveva risposto.

-Io? Io sarò un ninja che si spingerà oltre ogni confine, creerà nuove e potenti tecniche, arriverà a un livello tale di conoscenza a cui nessuno si è mai avvicinato.- e aveva fatto una pausa teatrale.

-E avrò potere. E conoscenza. Non mi fermerò davanti a nulla. E tutti avranno paura e soggezione di me. E infrangerò qualsiasi cosa pur di raggiungere i miei scopi. Non mi importa di cosa verrà distrutto per fare posto a me.-

Gli altri due ninja avevano tremato a queste parole, anche se non ne capivano completamente il senso.

Ma avvertivano d’istinto che era un desiderio negativo espresso da una mente malata.

Tsunade e Jiraya si erano guardati negli occhi, come a volervi cercare una sicurezza che non c’era.

Orochimaru si era goduto quella visione per qualche secondo, poi il suo sorriso si era sciolto in qualcosa di più umano.

Le labbra si erano curvate in modo più naturale, e si era lasciato cadere per terra, all’altezza dei compagni.

-Ma va’. Io diventerò un jonin, come tutti gli altri, cercando di fare il meglio possibile il mio lavoro di jonin.-

La tensione si era frantumata come una lastra di vetro.

Tsunade e Jiraya avevano riso nervosamente, quasi a voler frantumare i cocci di ansia rimasti.

Ma quando Sarutobi arrivò a prenderli, lodando Orochimaru per non aver ricevuto nemmeno una ferita, erano ancora profondamente scossi.

Qualcosa gli diceva che avrebbero dovuto dirlo a qualcuno, informare il loro sensei, fare qualcosa.

E invece non tentarono nulla, faticosamente autoconvinti che quello era stato solo uno scherzo, una frase grossa detta tanto per dire.

Per molti giorni ancora guardarono con soggezione il compagno, poi tutto tornò alla normalità.

Ma quel giorno si era creato un nuovo legame, fra loro.

Orochimaru aveva deciso, scioccamene, di rivelargli una parte di sé.

E loro, altrettanto scioccamente, decisero di non svelarla a nessuno, mantenendo volontariamente quel tremendo segreto.

 

Forse gli era stata data l’opportunità di cambiare qualcosa, di estirpare sul nascere una pianta malefica.

Ma cosa possono fare due bambini?

È inesatto dire che preferirono non vedere cosa avevano sotto gli occhi.

Altrettanto inesatto sarebbe affermare che credevano che tutto andasse bene.

La verità è che lo squilibrio nella mente di Orochimaru l’avevano sempre percepito.

Solo che credevano che la pazzia si sarebbe spenta da sola, come un fuoco senza abbastanza legna da bruciare.

Solo che credevano che Orochimaru non avrebbe mai fatto quelle scelte.

Forse si erano semplicemente fatti influenzare troppo. Forse avevano avuto troppa fiducia in lui.

Ma la verità fu che, da quel giorno, entrambi pregarono spesso, affinché lui non intraprendesse strade sbagliate.

Ma a volte le preghiere di due bambini non sono sufficienti.

 

******

 

-Quando accettai di allenare quell’orfano, nonostante molti dicessero che era una pazzia, ci credevo veramente.-

Il volto venne oscurato da un’ombra di amarezza.

-Credevo veramente che sarei riuscito a spremergli tutto ciò che di buono possedeva, impedendogli di usare quella malvagità innata. Ma ho fallito. Ho fallito.-

C’era buio, né TsunadeJiraya riuscivano a vedere chiaramente il suo viso.

-Ora anche se tornassi indietro… non se avrei il coraggio di rifiutarlo, di non allenarlo, di…- sospirò di nuovo.

-Alcuni dicono che avremmo dovuto sopprimerlo subito, senza dare il tempo a quel seme malvagio di germogliare. Ma non penso che sarei riuscito ad ucciderlo. No, non penso…-

Tsunade e Jiraya scostarono lo sguardo, nonostante la scarsa visibilità. Forse il loro maestro voleva piangere. E loro non avevano il diritto di guardarlo.

-Sarutobi-sensei- mormorò dopo qualche minuto Jiraya -Non è colpa sua.-

-Già, nessuno avrebbe potuto prevedere cosa sarebbe successo.- Tsunade gli strinse la mano, come a fargli forza.

-Giusto. E la colpa… non è sua, davvero. Lei ha fatto tutto quello che poteva.-

-La vera colpa…- sussurrò Tsunade cercando di non farsi sentire dal maestro, indicando sé stessa e Jiraya -è di noi due.-

Per non averlo fermato.

Per non aver visto il vero Orochimaru dietro la falsità.

Per non averlo mai davvero capito.

Perché a noi era stata data la possibilità di farlo cambiare. Perché per un attimo abbiamo visto la sua vera natura.

Perché noi non abbiamo e non avremo mai il coraggio di ucciderlo…

 

 

 

 

 

Strange Inside, fanfictions by Asmesia alias Scintilla

  
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