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Autore: Jo_March_95    23/06/2013    0 recensioni
"Sono un soldato, sono l’orgoglio della nazione, sono il bersaglio dei vietcong, sono la star dei documentari strappalacrime, sono colui che salverà il culo ad un altro o che verrà salvato, sono marcio e sono vecchio senza avere ancora vent’anni, sono solo e sono morto e non so cosa si sia rotto in me che mi fa continuare a respirare."
Genere: Drammatico, Guerra, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Il Novecento
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Li riconosci subito, quelli come me.
E’ come se avessimo stampato un marchio invisibile sulla fronte, negli occhi, sulle braccia.
Ogni minimo centimetro di pelle scoperto emana  un olezzo di morte, raccontiamo con le mani callose le stragi cui miracolosamente siamo sopravvissuti.
Fanno documentari su di noi, vedete le nostre madri saltarci addosso e bagnarci le camicie appena stirate dell’esercito con lacrime d’apprensione, gioia, incredulità.  Le nostre compagne si stringono la faccia tra le mani e vorrebbero strizzarsi fuori da quei corpi e volare da noi, i bambini non ci riconoscono quando torniamo eppure qualcosa li spinge a buttarsi tra le nostre braccia dove restano inermi, non si muovono, cercano di appartenerci.
Al telegiornale siamo chiamati eroi, ma solo dopo che qualcuno di noi è bello che seppellito sotto un cumulo di carne essiccata e trasportata dal vento.
Imbracciamo i fucili e cantiamo stupide canzoni per ricordarci di avere ancora una voce, corriamo la mattina come se dovessimo imparare a scappare e invece ci buttiamo a capofitto nel punto più nero e maligno del cancro che è la guerra.
La sera, in caserma, scattato il coprifuoco, non dorme nessuno.
Ognuno di noi trema soffocando le lacrime, rotolandosi tra le coperte senza fare rumore perché nel nostro accampamento siamo tutti nemici, che se stringi dei legami è solo per poi perderli il giorno dopo.
Nessuno crede più in questa stupida guerra, eppure ci impacchettano e ci spediscono come fuochi d’artificio per i vietcong.
Quando chiudo gli occhi le palpebre mi inghiottiscono, quando chiudo gli occhi sento sempre un muso giallo che mi punta un coltello alla gola, sento un rivolo di sudore sulla fronte e mi chiedo come mai questa volta non ce l’ho fatta a farla franca, perché in quell’intreccio di corpi su altri corpi sono io quello più prossimo alla morte.
Quando apro gli occhi le palpebre mi sputano alla vita e mi ritrovo spiaccicato sul mio letto che sembro un insetto sul parabrezza, allora arriva il Sergente e siamo tutti in piedi e io ripenso al vietcong e al fatto che non l’ho mai guardato negli occhi perché se l’avessi fatto avrei affondato io stesso il coltello.
Musi gialli o bianchi siamo tutti marionette nelle mani dei potenti, siamo tutti partiti con un lavaggio del cervello che dura da generazioni e la cosa buffa è che potremo tornare solo quando quello stesso cervello sarà volato via dal cranio e lasciato ad essiccare su un masso. Nessuna lacrima o bandiera lo rimetterà al suo posto, nessun orgoglio varrà la pena di aver passato la vita ad aspettare la morte.

Nessuno prega mai ad alta voce, ma tutti si appellano a qualcosa di più grande perché tutta questa paura che abbiamo addosso è troppa per una persona sola, figurati amplificata ad un intero reggimento.
Siamo in guerra con noi stessi, in guerra con la vita, in guerra con la paura, in guerra con la speranza, in guerra con Dio, in guerra con la mamma che ci aspetta con il polpettone appena sfornato, con la nostra ragazza che forse ci tradisce o forse ha dimenticato come si ama, con i nostri figli che imparano a conoscerci attraverso fotografie sbiadite di ciò che eravamo un tempo, siamo in guerra con la guerra.
E in ultimo siamo in guerra con i vietcong. Che alloro volta sono in guerra con …

Quando torno a casa sono il figlio perfetto che mio padre ha sempre desiderato, il nipote impeccabile che mio nonno ha indirettamente fatto nascere, il cocco di mamma che è dimagrito troppo e la cotta segreta della figlia della vicina che mi porta sempre un po’ di caffè e per farlo si mette il rossetto rosso.
Quando torno a casa non abbraccio mai mio padre e non saluto mio nonno.
Loro lo sanno, lo sanno cos’è quel posto, lo sanno che le stesse braccia muscolose in cui mia sorella si getta a peso morto hanno strangolato, ucciso, pestato, sudato, abbracciato cadaveri, strisciato, sollevato corpi, scavato tunnel sotterranei, si sono fatte strada tra la cenere e hanno rubato la fiamma degli altri.
Loro lo sanno che ogni nuovo distintivo in realtà è un muto: “Ehi ci si rivede ancora vivo, figliolo? Quando ti sbrighi a crepare che abbiamo centinaia di bare già pronte, che ci manchi solo tu dentro.”
Loro lo sanno che infilarmi in abiti da civile è traumatico, che quando sento una forchetta graffiare il piatto la mia mano corre alla pistola che non ho e prima di rendermi conto di essere al sicuro ho già elencato in ordine alfabetico i modi più rapidi per suicidarmi pur di non cadere in mani nemiche.
Loro sanno tutto perché hanno occhi  spenti e le mani tremano prima ancora di bere il caffè.
Perché il tic all’occhio sinistro io lo so che il nonno non lo aveva prima di partire in guerra, perché mio padre quando si tocca il viso vorrebbe averle tutte e due le orecchie, perché si ostinano a non raccontarmi cos’è successo laggiù. Forse pensano sia troppo per me, da sapere. Forse hanno paura che non sia nulla in confronto a quello che vivo io tutti i giorni.

Sono un soldato, sono l’orgoglio della nazione, sono il bersaglio dei vietcong, sono la star dei documentari strappalacrime, sono colui che salverà il culo ad un altro o che verrà salvato, sono marcio e sono vecchio senza avere ancora vent’anni, sono solo e sono morto e non so cosa si sia rotto in me che mi fa continuare a respirare.
  
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