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Autore: Azzurraceleste    24/06/2013    6 recensioni
chi è quell'uomo? quell'uomo è solo un domestico, un plebeo.
non è una persona importante. è solo un cane da passeggio. non è importante. un plebeo non potrebbe mai ricoprire una parte essenziale in una storia. egli non potrebbe mai cambiare il corso degli avvenimenti. in fondo i plebei sono nati solo per ubbidire, essi non potranno mai cambiare il mondo...
salve a tutte! mi sono appena registrata ma seguo questo sito da innumerevoli anni. ho scritto questa storia da tempo ma solo ora ho trovato il coraggio di pubblicarla.
la mia ff ha come protagonista André e il suo amore per la bella Oscar. ma l'attore principale sarà André e non mancherà di stupire, deludere, sorprendere, commuovere e far arrabbiare. tutto per conquistare la sua bella e forse...anche i lettori
grazie di cuore se vorrete seguire la mia folle storia
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Fersen era venuto a fare una visita di cortesia a palazzo Jarjayes.
Di nuovo.
Il suo arrivo era stato tanto inaspettato quanto poco gradito. O quanto meno lo era stato per lui.
Non per Oscar. Ovviamente non per lei.
Non appena il cavallo del conte aveva varcato la soglia del cancello del palazzo Jarjayes, il bellissimo viso di Oscar, che arrossato dai raggi del sole e accaldato dai loro quotidiani esercizi di scherma, si era voltato verso l’ingresso.
Con dolore il ragazzo aveva notato il suo viso illuminarsi e un dolcissimo rossore le aveva imporporato le gote altrimenti pallide e tirate in una eterna posa rigida e severa.
Mai per lui, in passato, i suoi occhi si erano accesi o gli avevano sorriso con tale trasporto.
Per il caro e fidato André non c’erano sorrisi e sguardi timidi.
Solo severe tirate, rimproveri e ordini. Ma l’uomo non si faceva false illusioni, non si aspettava altro in questa tetra realtà.
In fondo come darle torto. Era un semplice domestico. Un popolano. Un plebeo.
Che cosa pretendeva? Che una nobile gli riservasse il suo affetto?
Che ingenuo. Che stupido. 
Lui non appartenevo a quel mondo.
Viveva tra le mura aristocratiche, questo era vero, ma non ne faceva parte e non avrebbe mai potuto legittimare la sua presenza tra quelle mura.
Non era un nobile di nascita.
Non apparteneva a nessuna famiglia titolata.
Non aveva lustri natali.
Non era ricco.
Non era snob o spocchioso come i simili di Oscar, o come tal volta lei sapeva essere.
Ma malgrado questa realtà a volte dimenticava troppe volte di essere un servo, privilegiato, certo, ma pur sempre un servo.
Un domestico tutto fare.
Lavorava come scudiero nelle stalle del palazzo Jarjayes. 
Effettuava tutti i tipi di manutenzione che servivano, sia nelle scuderie che in qualsiasi altra parte della vasta proprietà.
Ma il suo ruolo più importante, per quello che era davvero pagato, era di fare la guardia del corpo a Oscar durante tutte le sue spedizioni di servizio.
Un compito rischioso ma non privo di meravigliose avventure.
Ma la bellezza finiva lì. Ad Oscar doveva ben altri servizi, tutti umilmente adatti ad uno come lui. Portarle i panni puliti in camera, per esempio.
Offrirle la tazzina fumante di cioccolata prima di andare a dormire.
Ma ancora le sue mansioni non erano terminate.
Rappresentava il fantoccio migliore per gli allenamenti a scherma per la cara madamigella Oscar, così combattevano a scherma e lei contenta cantava vittoria vedendolo costantemente sconfitto.
Ma André non si lamentava. Anzi era grato per ciò che aveva. Grazie al suo ruolo nel limbo delle differenze di classe vantavo un’istruzione adatto ad un nobile, indossava sempre abiti puliti e molto curati.
Niente divisa o uniformi per domestici e camerieri.
Aveva un ruolo tutto personale tra quelle mura. Una sorta di burattino pronto a seguire quegli ordini piuttosto che altri.
Non mentiva quando affermava con grande sicurezza che era un domestico privilegiato. Privilegiato ma aveva anche lui dei doveri da eseguire e promesse da mantenere.
Come quella che aveva fatto al generale Jarjayes, padre di Oscar.
Ricordava ancora quando all’età di quindici anni, quando ormai il suo corpo stava cambiando, quando la robustezza delle braccia e del petto facevano intendere che stava per trasformarsi in un uomo, il generale Jarjayes, preoccupato dai cambiamenti di André e paventando la sua forza maschile maggiore della figlia, lo aveva intimato senza mezzi termini di non dimostrare la sua abilità con la spada con Oscar, che con il tempo era migliorata e aveva superato grazie alla sua forza quella della figlia. Di non farle mai capire che lui era più forte di lei.
…“Hai capito André! Il tuo ruolo in questa casa è solo accudire e proteggere Oscar e non per dimostrare al mondo che sei più forte e abile di mio figlio. Il tuo compito è solo di farlo allenare e migliorare nello stile. Chiaro?” aveva terminato guardandolo negli occhi sfidandolo a contraddirlo.
“Si, signore” aveva, naturalmente, acconsentito. Non gli importava dimostrare qualcosa di diverso rispetto a quel che gli si diceva di fare.
“Bene. Ti ringrazio André. So che ti sto chiedendo un grande sacrificio ma devi capire. Oscar diventerà comandante delle guardie Reali oltre ad essere il mio futuro erede e non posso sopportare l’umiliazione di vederlo battuto da un semplice domestico” aveva continuato addolcendo il tono e battendogli una pacca sulla spalla.
André, dal canto suo, si era limitato ad annuire con il capo accennando ad un lieve sorriso, ma dentro di lui si scatenava una tempesta di emozioni e pensieri contrastanti e diversi.
Il generale Jarjayes non era cattivo.
Era un uomo buono e generoso, aveva dimostrato la sua grande generosità quando lo aveva accolto nella sua grande e prestigiosa famiglia. Gli aveva donato l’istruzione che spesso si riservava ai nobili, vitto e alloggio e un gran bel stipendio praticamente da sempre.
Era molto in debito con lui. E in fin dei conti gli voleva bene. Per André era sempre stata l’unica figura maschile a cui poter fare affidamento.
In più lo ringraziava ogni giorno la possibilità di avere una vita migliore.
Fino all’età di sei anni aveva vissuto in uno dei tanti quartieri poveri di Parigi, con una povera casa, una famiglia modesta, i quali si potevano vantare solo di un lavoro modesto e un reddito scarso. Ma avevano vissuto felici e appagati.
Ma solo dopo la morte dei propri genitori che la felicità era stata spazzata via da un forte senso di abbandono e disperazione.
La disperazione di cercare l’abbraccio consolatore della propria dolce mamma e non trovarlo. Le lacrime dei vicini che silenziosi guardavano con pietà quel piccolo bimbo lasciato orfano dai genitori stroncati da una brutta infezione ai polmoni.
La confusione, il vuoto, lo sgomento, la paura di un bambino che cercava il papà e la mamma e gridava disperatamente di non coprirli con quel lenzuolo bianco, di non metterli in quel grande cassetto nero.
Quanto aveva pianto.
E pensare che la sua mamma lo aveva sempre rimproverato di essere un bimbo troppo allegro e spensierato, gli aveva sempre ricordato che per diventare un uomo bisognava prendere la vita con serietà e responsabilità.
Oh mamma! se solo mi vedessi adesso? Saresti orgogliosa di me. Sono serio e responsabile,proprio come volevi tu,  raro che un sorriso sfiori le mie labbra. Ma ho paura mamma. Ho paura che questo non basti a far di me un uomo.
Ma nonostante tutto non poteva dirsi infelice.
Certo, non poteva nemmeno dire di essere felice, ma a volte per non cadere nel baratro della disperazione bisognava aggrapparsi a brevi istanti di felicità.
E il ricordo della sua infanzia con i suoi genitori erano tra questi istanti rari.
Non ricordava molto di quel periodo ma la sensazione che gli donava il ricordo di quei momenti lontani e appannati era di una grande felicità e senso di appartenenza. Sensazioni che quasi mai provava in quella casa.
Poteva ancora saggiarne quelle dolci emozioni solo quando si trovava con Oscar nella natura sconfinata di Arras, nella villa in Normandia dove André e Oscar passavano l’estate lontani da ogni impegno e responsabilità.
Solo in quei momenti André si sentiva libero e felice.
Non provava quelle brutte sensazioni di non sentirsi a casa propria, la sensazione di sentirsi un intruso, che tutto quello che vedeva e toccava gli era stata concessa solo grazie alla grande bontà del padrone di casa e non per diritto.
Il generale Jarjayes era stato sempre un brav’ uomo ma la brutta sensazione di provare del risentimento profondo per lui non lo abbandonava mai.
Odiava la sua stoltezza, la sua arroganza e prepotenza.
Aveva sempre odiato la sua decisione di far crescere Oscar come un uomo.
Oscar che un uomo non era.
Era una femmina, e con il tempo era cresciuta diventando una donna.
Una donna che parlava, pensava come un uomo ma che il suo cuore le ricordava continuamente di essere una donna.
E anche una bellissima donna.
Bella come nessuna poteva essere.
Lunghi capelli biondi incorniciavano l’ovale perfetto del suo viso. Ciglia folte che ombreggiavano luminosi occhi color del cielo e labbra rosse che immaginava avessero lo stesso gusto succoso e proibito delle fragole.
Bella e irraggiungibile come le stelle la sua amica di infanzia Oscar.
La sua dolce amica che con gli anni era sempre più convinta, non meno stolta del padre, di continuare il folle progetto di proseguire una brillante carriera militare nella corte di Francia.
E la parte più divertente era che ci riusciva in modo eccellente.
Mai la sua Oscar era sembrata goffa o disagio in un mondo spiccatamente maschile.
Oscar sapeva essere un comandante rigido e giusto, ferreo nelle decisione ma equilibrato nelle punizioni.
Un soldato perfetto tranne che per… per quel orribile verità che ormai gli era visibile come a lei. Oscar si era innamorata.
Di un uomo.
Non un uomo qualsiasi.
No. Un conte straniero. Svedese.
Il conte di Fersen.
E non semplicemente un conte qualsiasi.
L’amante della regina Maria Antonietta.
Non una regnante severa e distante come tante, no, era una vera e propria amica per Oscar. Forse non la migliore, perché quel ruolo sperava di averlo ancora lui, André, ma, comunque, una grande amica.
Sorrise tra se e se osservando la sua Oscar che faceva convenevoli al conte rubacuori.
Sperava ancora di ricoprire il ruolo di migliore amico di Oscar ma molto nel suo atteggiamento gli lasciavano un fastidioso gusto amaro in bocca.
Da qualche tempo, aveva notato,  con lui appariva distante e fredda.
Sembrava che non trovasse mai il tempo per stare insieme.
O se accadeva di passare del tempo vicini, durante le loro lunghe cavalcate lei si manteneva distante e persa nei suoi pensieri.
Già… la sua Oscar era molto cambiata negli ultimi tempi.
Era diventata rigida e severa con chiunque le girasse attorno. Da tempo ormai la sua voce non si tingeva più di toni caldi e umani. E da altro canto nemmeno André era stato risparmiato dal suo cattivo carattere. Talvolta sapeva anche essere crudele.
Poco importava se si conoscevano da quando lui aveva sei anni e lei appena quattro.
Poco importava se avevano condiviso il buono e il cattivo tempo.
Sempre insieme. Amici da una vita. Complici di tutto.
Niente importava.
Lui era un domestico e lei una nobile appartenente alla famiglia più antica e illustre di tutta la dannata corte francese.
Che possibilità poteva mai avere, che assurdità anche solo pensarci.
Doveva far finta che stava bene, che non soffriva quando lei gli gridava ordini con voce secca, che gli rivolgesse sguardi di sufficienza o che dedicasse tutta la sua preziosa attenzione a quel conte tanto affascinante e ammaliante.
Tutte le donne a corte erano innamorate di lui. Del suo accento straniero, dalla sua bellezza nordica e dai suoi caldi occhi grigi.
E anche Oscar non era riuscita a resistergli.
Era una donna Oscar, era una donna a tutti gli effetti. Questo non doveva dimenticarlo.
E André non lo dimenticava mai.
Studiava sempre con molta attenzione la sua figura slanciata e esile. Era quasi eterea nella sua perfezione.
Anche in quel momento, proprio mentre lei non lo guardava che lui si permetteva il lusso di ammirarla in silenzio e in disparte.
I suoi bellissimi capelli color dell’oro, lunghi riccioli morbidi e lucidi come seta che scivolavano tra le dita come oro colato. I suoi intelligenti occhi azzurri, dal taglio allungato, seducenti come quelli di un gatto, ma innocenti come quello di una cerbiatta.
Labbra rosee e carnose, il viso ovale e il collo esile e flessuoso.
Del suo corpo poco si intravedeva. Il seno piccolo era sempre schiacciato da crudeli fasce strette attorno al petto per mortificarne la bellezza.
La vita era sottile ma spesso la divisa ne annullava la dolce curva. Solo il suo sedere e le sue gambe erano tranquillamente visibili dai pantaloni stretti e aderenti. Fasciavano curve longilinee. Le gambe erano tornite, le cosce muscolose e i fianchi stretti. Il suo sedere era alto, rotondo e piccolo. Una vera delizia per gli occhi.
E lui, spesso soleva deliziarsi di quello spettacolo.
Sorrise sotto i baffi e tornò ad addentare la mela che stringeva tra le mani.
Intanto i due rampolli avevano deciso di duellare con le spade tra risate e battute scherzose.
Scosse leggermente il capo infastidito.
Alzò gli occhi e osservò con occhio critico i due duellanti che si sfidavano con le spade.
Oscar era sempre abile e elegante come una fatina ma Fersen sembrava proprio un pezzo di legno. Era maldestro e lento nei riflessi.
Che assurdo militare. E pensare che quello era il colonnello del corpo di guardia svedese.
Che assurdità.
Se solo André avesse potuto sfidarlo per davvero, dimostrargli la sua vera abilità con quell’arma, così  anche con tutte le altri armi, forse quel sorrisino da idiota sarebbe sparito.
Rise di se stesso e tornò a concentrarmi sul frutto rosso.
Dopo qualche ora, i ragazzi si ritrovarono a chiacchierare amabilmente in salotto.
“Non sono venuto per parlarvi di qualcosa in particolare, Oscar. Ma solo per misurarmi con voi. Era da tempo che non usavo la spada e devo dire che con voi c’è sempre da imparare” rise Fersen stiracchiandosi davanti alla finestra da dove stava guardando il sole morente.
Oscar era seduta alle sue spalle al tavolino mentre sorseggiava la sua cioccolata.
Lo ascoltava, stava molto attenta a quello che diceva il conte ma mai rispose al suo blaterare infinito.
André si limitava a restare seduto negli ultimi scalini che davano al piano di sopra osservandoli apparentemente con sufficienza. Studiava la scena con intensità cercando di scoprire cosa esattamente Fersen volesse comunicare dietro quel sorriso gentile.
Forse accortosi del suo sguardo insistente Fersen si girò verso l’attendente di Oscar e gli rivolse un sorriso altezzoso, dedicato solo a chi era inferiore di rango, uno come lui, appunto.
“André, ho sentito che sai tenere testa ad Oscar con grande resistenza. Questo vuol dire che sei molto bravo. Vorrei confrontarmi con te un giorno di questi” disse con un sorriso.
“Con grande gioia conte” rispose silenziosamente con un luccichio malizioso negli occhi. Gli sarebbe piaciuto molto umiliarlo dimostrandogli la sua più completa inconsistenza.
André si accorse dello sguardo di Oscar che lo osservava con un sopracciglio inarcato e un’espressione severa.
Annuì al conte con fare dimesso.
“Perché non rimanete a desinare con noi. Sarà come ai vecchi tempi. Una ottima occasione per parlare come vecchi amici” gli disse Oscar cercando di convincerlo mentre lo osservava salire sul suo cavallo, qualche ora dopo.
Quel giorno Fersen era stato molto strano. Non aveva voluto cenare con loro. Subito dopo una tazza di cioccolata aveva espresso il desiderio di tornare a casa.
Oh che piacere infinito!
“No, vi ringrazio madamigella Oscar, ma questa volta preferisco di no. Vi auguro una buona serata” e li salutò con un cenno della mano.
André si fermò a guardarla e vide con una stretta al cuore come Oscar fosse rimasta male dal suo rifiuto.
A lungo andare quel conte l’avrebbe fatta soffrire. E lui non poteva fare nulla per evitarlo.
“Io credo che Fersen non se ne renda conto, ma a Parigi e forse in tutta la Francia parlano di lui. Sta diventando un personaggio molto impopolare” annunciai osservandola da sottecchi.
Oscar lo guardò ma non disse nulla. Prese la mela che le porse e lo seguì senza proferire verbo.
Oscar addentò la mela e masticando seguì André a testa bassa.
Si sedetti al tavolo dove Oscar poche ore prima era seduta, posò i gomiti sul tavolo e le labbra sulle dita intrecciate.
Alzò gli occhi e li puntai sulla schiena di Oscar che silenziosa come un fantasma guardava fuori dalla finestra scorgendo ancora la figura lontana di Fersen che si allontanava.
Non riuscì a trattenere la lingua e disse: “Corrono molte voci. Dicono che la regina Maria Antonietta si sia innamorata del bellissimo conte e che si incontrino furtivamente nei luoghi più impensati” parlò con un tono indifferente rilassandosi contro lo schienale della sedia guardando fisso davanti a se.
“A lungo andare tutto ciò può diventare molto pericoloso” chiuse gli occhi e continuò: “Comunque oggi ho notato uno strano sguardo negli occhi di Fersen. Sembra che questo grande amore gli dia più sofferenza che gioia. Ecco… io ho l’impressione che si senta in colpa per quello che sta accadendo”
Si zittì. Poggiò i gomiti sulle ginocchia e piegò il viso fissando per terra. I suoi capelli neri gli scivolarono sulla fronte ombreggiando le sue ciglia nere.
Non sapeva di che cosa stesse blaterando ma la gelosia, l’odio per quell’uomo lo facevano comportare male. Voleva che Oscar sapesse che Fersen era già innamorato di un'altra, che non c’era posto per lei nel suo cuore. Voleva che sapesse che tipo di rapporti ci fossero tra lui e la regina di Francia.
Abbassò il viso e pensò al grande errore che stava facendo Fersen nell’innamorarsi della regina. Era un amore impossibile. Non poteva amarla. Era proibito.
Improvvisamente sentì una strana sensazione di similitudine con Fersen.
Soffriva per amore quel conte, non importava quanto si fosse ricchi o di nobili natali, anche ai nobili non era permesso di essere felici.
André  lo sapeva bene, ma lui non avrebbe fatto il suo stesso errore. Non poteva amare Oscar e questa verità gli avrebbe avvelenato l’esistenza per sempre, che lo volesse o no.
“Doveva soffocare l’amore” cominciò parlando più a se stesso che con Oscar: “C’è gente che ama una persona tutta una vita senza che questa persona lo sappia” sussurrò con occhi tristi.
Oscar sbarrò gli occhi e si girò verso André guardandolo interrogativa.
E lo vide. Chino, con lo sguardo perso nel vuoto e le labbra strette in una smorfia di tristezza.
André si rese conto che stava ancora nella stessa stanza con Oscar e arrossendo si girò a guardare Oscar temendo di essersi tradito con le sue stupide parola cariche di rimpianto. Vide che la ragazza lo guardava con fare accigliato.
Improvvisamente si sentì in trappola. Come mai lo era stato nella sua vita. Cercò una scusa, una giustificazione plausibile per quelle parole così cariche di dolore. Frugò velocemente nella sua testa ma sembrava che la sua mente avesse smesso di funzionare.
Accidenti alla sua linguaccia lunga!
“Prendi la tua spada André. Voglio battermi ancora” lo tolse così dall’imbarazzo rivolgendosi a lui con voce dura.
André annuì prontamente e contento di essersi salvato con così poco la seguì in cortile.
“André! Farò sul serio stavolta!” lo avvertì brandendo la sua spada.
“Come vuoi Oscar” rispose e con sorrise pensò che comunque sarebbe andata lui sarebbe stato sempre al suo fianco, che avrebbe fatto qualunque cosa per lei.
Durante il duello Oscar dimostrava una determinazione nei movimenti, una furia che spiegava quanto il suo cuore fosse afflitto dal suo amore per il conte.
André scansava i suoi affondi, provando a volte a rispondere, non con la stessa intensità ma anch’essi determinati.
Oscar dimenticalo. Dimentica il conte di Fersen. Voglio che tu non pensi più a lui, ti prego!
 
***
 
Stavano passeggiando per i giardini di Versailles. Oscar davanti, con il suo solito portamento eretto e anche un po’ impettito, André qualche passo dietro di lei a testa china. Da quando erano diventati grandi e lui aveva ottenuto il ruolo di attendente di Oscar lui era praticamente la sua ombra.
La cosa non gli pesava se la si metteva in questo piano. Ma odiava abbassare lo sguardo quando incrociava i simili di Oscar. I suoi pari. La nobiltà.
Odiava quegli sciocchi che tanto si sentivano superiori a lui o agli altri domestici. Odiava essere considerato il cagnolino fedele di Oscar.
I pari di Oscar erano degli esseri meschini e inutili. Passavano la loro misera vita tra balli e a spettegolare.
Il loro unici obiettivi erano contrarre un buon matrimonio e cercare un amante da sfruttare nelle sere solitarie. Tutti. Senza distinzione tra uomo e donna. Spendevano il loro denaro in modo indegno e trattavano alla stregua di animali i loro dipendenti.
Come avrebbe voluto togliere quel sorrisino soddisfatto nei loro visi imbellettati.
“Comandante Oscar” la chiamò il conte de Mercy consigliere della regina austriaca.
“Parlate”
“Siete convocata dalla regina. Vi prego di affrettarvi a raggiungerla. Mi ha pregato di dirvi che è una cosa urgente”
Oscar lanciò uno sguardo ad André che ricambiò inarcando un sopracciglio ma non disse nulla.
“Volevate parlarmi mia regina” chiese Oscar dopo essersi inchinata davanti alla regina una volta fatta entrare nelle stanze private .
“Si madamigella Oscar. Vi ringrazio per la tempestività con cui vi siete precipitata. Voi potete andare” si rivolse la regina Maria Antonietta alle sue dame di compagnia.
Aspettò che le donne si fossero congedate e poi la donna sospirò. Sembrò crollare davanti agli occhi stupiti di Oscar che la guardava senza riuscire a capacitarsi di quello che stava vedendo. Poi gli occhi azzurri di sua maestà la regina Maria Antonietta si riempirono di lacrime e con un singhiozzo si coprì gli occhi come se fosse una bambina.
Il cuore di Oscar si riempì di tenerezza. Strinse i pugni. Sapeva perché piangesse. A volte anche a lei veniva la voglia di farlo.
“Madamigella Oscar ho bisogno di voi. Oscar io…” fu interrotta da forti singhiozzi che rischiavano di farle scoppiare il cuore.
Oscar strinse forte le labbra cercando di non lasciarsi prendere anche lei dall’emozione.
“Vorrei che faceste una cosa per me madamigella Oscar. Siete l’unica persona di cui mi fidi veramente. So che non mi tradirete mai. Vorrei…vorrei che gli diceste in gran segreto che non posso vederlo stasera” pianse ancora nascondendo il viso vergognosa tra le mani: “Mi ero completamente dimenticata che devo stare al fianco del re sua maestà che riceverà l’ambasciatore di non so quale importante nazione. La mia presenza è indispensabile a corte. Non posso assolutamente mancare. Voi dovreste farmi la cortesia di avvertirlo. Vi prego Oscar ditemi di si altrimenti non avrò più la forza di guardarvi negli occhi!” e continuò a singhiozzare come una bambina molto triste.
Oscar si intenerì e con dolcezza si avvicinò alla regina le prese le mani tra le sue e le disse: “Vi prego ora sollevate lo sguardo maestà”
Ella obbedì con labbra tremanti.
“Sapete che non potrei mai rifiutarvi il favore che voi mi chiedete”
“Oh madamigella Oscar. Vi ringrazio. In questo momento siete l’unica persona che mi sia rimasta fedele” e le sorrise asciugandosi il viso con una mano.
Oscar era ancora impietrita e incredula per cosa la sua regina singhiozzante le aveva chiesto di compiere quel compito orribile. Certo sarebbe stato solo un leggero fastidio se fosse stato qualcun altro a chiederglielo ma adesso, la regina, chiedeva a lei di recapitare un messaggio per disdire un appuntamento romantico con l’uomo che lei amava?
Sperava che il pavimento si squarciasse e la divorasse per sparire per sempre ma mantenne la sua posa rigida e celando i suoi sentimenti disse: “Come volete vostra maestà. È sempre un piacere servirvi”
“Grazie Oscar. Grazie ancora Oscar!”e le sorrise tra le lacrime.
Che stupido André a parlar male della regina.
Che stupida la corte di considerare superficiale e poco adatta a governare la loro regina.
Che stupido il popolo ad odiare quella donna tanto adorabile ma tanto fragile.
Era una donna. Era solo una giovane donna in balia dei suoi sentimenti. A dover gestire da sola un potere e delle responsabilità talmente grandi per un semplice essere umano erano al di là di ogni logica. Era una donna affettuosa e dolce e come tale era tanto vulnerabile agli attacchi della gente meschina che non credeva in lei e non la conosceva come le conosceva lei.
Si inchinò e si allontanò dalla stanza.
Avrebbe fatto quel favore alla regina. Ne avrebbe fatti altri mille per lei. Per la dolce donna che stava vivendo una tragedia per il cuore. Un dolore e una consapevolezza tale da distruggere anche persone meno forti.
Lei era la regina. Non poteva amare il conte di Fersen, un semplice conte. Per loro non sarebbe esistito nessun lieto fine, nessun e vissero felici e contenti.
Con le lacrime agli occhi scese verso la stalla dove sorprese André aspettarla fumando una sigaretta.
Si era preso quel vizio da poco e la puzza di tabacco stava incominciando a infastidirla, ma lo ignorò e salì in groppa al suo cavallo già sellato.
“Che voleva la regina? Niente di grave spero” chiese André sorridendole affettuoso.
Lei non gli rivolse la parola e tirando le redini partì al galoppo senza aspettarlo.
“Oscar! Oscar! Ma che ti prende! Oscar!” la chiamò inutilmente André gridando al vento.
“Precedimi a casa André!” urlò prima di sparire.
André alzò gli occhi al cielo e vide che questi veniva squarciato da un lampo. Presto si sarebbe messo a piovere.
“Dove diavolo sei scappata Oscar?” chiese tra sé e sé scuotendo la testa.
La seguì al galoppo senza però farsi sentire da lei, che veloce come il vento galoppava come se fosse inseguita dal diavolo in persona.
Oscar correva a perdi fiato cercando in tutti i modi di smettere di soffrire, di dimenticare il suo cuore di donna, il suo sentimento per un uomo che non la vedeva per quello che era davvero.
Una donna.
Quella donna che per anni aveva cercato di nascondere.
Di sopprimere.
E che adesso bramava per mettere in mostra per scoprire su di se uno sguardo di Fersen diverso. Come se fosse ammaliato di lei.
Ma era impossibile.
Arrivò ai piedi della Senna e guardando il sole tramontare si rivolse ad esso, cedette per la prima volta a lacrime da troppo tempo tratteneva. Si rivolse al sole morente e con le lacrime agli occhi sussurrò: “Regina, mia amata regina. Vorrei dirvi soltanto queste parole. In qualunque momento della vostra vita che sia esso lieto o triste voi non dovete mai dimenticare di essere la regina di Francia. Quando voi mi avete pregato di avvertire Fersen vi siete nascosta il viso tra le mani come una donna  qualsiasi. Io mi rendo perfettamente conto che state soffrendo ma vi prego voi … voi non dovete mai dimenticare chi siete. E poi…poi soffre di più chi ama senza essere ricambiato” e con un singhiozzo soffocato si sedette sull’erba e si nascose il viso tra le mani.
Una figura silenziosa la osservava di nascosto appoggiato al tronco di un albero. Gli occhi verdi si adombrarono e l’uomo si allontanò attento a non farsi sentire.
Dopo qualche tempo Oscar si svegliò e confusa cercò di capire dove si trovasse.
Si guardò in giro e notò di essere ai piedi della Senna rannicchiata per terra. Si asciugò gli occhi e si guardò in giro preoccupata che qualcuno possa averla vista. Si alzò e stiracchiandosi si avviò al suo cavallo.
Doveva eseguire il suo compito come promesso.
 “Devo vedere il conte di Fersen con la massima urgenza” ordinò con autorevolezza Oscar alle guardie fuori della residenza francese dal conte svedese.
Alzò gli occhi al cielo e sentì le prime gocce bagnarle il viso.
Abbassò gli occhi e vide Fersen spuntare dalla porta d’ingresso con una candela in mano seguito da un preoccupato maggiordomo.
“Oscar voi qui?” chiese confuso e sorpreso l’uomo avvicinandosi al cavallo.
Erano entrambi bagnati fradici quando Oscar terminò: “E alla fine ha aggiunto: rimandiamo ogni cosa al ballo della prossima settimana. È tutto” il suo sguardo era vuoto e assente. Sentiva i capelli schiacciati sul viso e sulla testa. Ma non la preoccupava, non aveva occhi che per Fersen e la sofferenza che vedeva dipinta nei suoi occhi.
“Vi ringrazio di cuore madamigella Oscar” e serio in volto la guardò sentendosi in colpa perché quella donna tanto corretta e rigida nei suoi valori venisse da lui per comunicargli le date dei suoi appuntamenti clandestini con la sua regina. Che vergogna!
Oscar gli lanciò un lungo sguardo e girò il cavallo.
Era contenta che non le avesse chiesto di entrare, di riscaldarsi, di asciugarsi, che non si preoccupasse per il suo stato di salute. Non aveva importanza. Avrebbe solo reso le cose più difficili.
Scappò al galoppo con il suo cavallo inondando il suo viso di lacrime copiose che si mischiavano alla pioggia che  le schiaffeggiava la faccia.
Sentì il galoppo di altri zoccoli che calpestavano il terreno con la stessa furia e sperò che fosse Fersen che fosse tornato da lei ma alzando il viso i suoi occhi si illuminarono di gioia.
André. André che con un bel sorriso portava un mantello impermeabile.
I loro cavalli in corsa si incrociarono e non riuscì André a darle il mantello al volo.
Girò il cavallo e in corsa le diede il mantello cingendoglielo tra le spalle. Lei gli sorrise riconoscente e il sorriso dolce che le rivolse le sciolse il cuore e improvvisamente il mondo le sembrò meno brutto e più sopportabile.
 
 

    

  
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