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Autore: wolfstar    24/06/2013    2 recensioni
“Basta con i sentimentalismi, Lupin” sibilò con durezza Narcissa, più rivolta a se stessa che al giovane steso al suo fianco. Era sposata con Lucius, ed era felice.
Era sposata con Lucius, e andava bene così.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Narcissa Malfoy, Remus Lupin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Brividi ghiacciati percorrevano il corpo del giovane.

Giaceva su un letto troppo grande per ospitare una sola persona. Le coperte di un nero lucido, fatte di seta, erano troppo eleganti e costose per un poveraccio come lui, che ogni giorno faticava a lottare anche solo per un pasto completo.

Ci mise un po’ a mettere in moto le articolazioni delle braccia e, per qualche ragione, ebbe la sensazione di aver passato una notte abbastanza movimentata. Si stropicciò goffamente gli occhi blu con entrambi i polsi, e si accorse di avere la lingua impastata di un gusto amaro, come se avesse deglutito catrame nelle ultime ore. Ma quando i raggi del sole gli accarezzarono gli occhi cobalto lui li richiuse di scatto, come scottato da quell’improvviso contatto col mondo reale, e pensò che nella catapecchia malandata in cui abitava di solito i raggi del sole non ti schiaffeggiavano già dalla mattina. Davanti alla sua stamberga c’era un albero che, dopo ogni luna piena, faceva danzare i suoi rami al ritmo del vento, impedendo ai suoi occhi del color del mare di scottarsi alla luce del sole.

Realizzò con fatica che quello non era di sicuro il suo letto. Quando si girò su un fianco e assaporò il profumo delicato che emanava il suo cuscino, i ricordi della notte precedente schizzarono senza preavviso da una parete all’altra della sua scatola cranica.

Ricordava un paio di labbra che lo baciavano con veemenza e che lo sporcavano di rossetto –poteva ancora sentirne chiaramente il gusto se si mordeva le labbra. Ricordava –e qui sentì un formicolio bruciante sulla schiena– dieci dita che graffiavano la pelle bianca, all’altezza delle scapole, e sapeva che neanche da lupo mannaro sarebbe riuscito a graffiare dei punti così irraggiungibili. Ma, più di tutti, era il profumo di Narciso quello che gli era rimasto di più impresso. Un fiore nobile e delicato, lo stesso fiore che si fermava spesso a guardare per interminabili minuti. Minuti impiegati a pensare alla persona che in quel momento era distesa –o meglio, seduta– al suo fianco.

Si voltò pigramente e osservò il suo profilo latteo. I capelli di un biondo platinato, che erano sempre pettinati in modo impeccabile, le ricadevano a ciocche disordinate sulle spalle e sulla fronte. I suoi occhi neri e profondi come due pozze di petrolio fissavano ostinatamente un punto imprecisato della stanza, davanti a sé. Il rossetto non si limitava a colorare solo le labbra carnose, ma sfumava leggero anche sul mento e oltre i bordi delle labbra. Ora Narcissa Black –lui per qualche ragione si ostinava ad utilizzare il cognome da nubile– non sembrava composta come al solito, fredda, glaciale, ma sembrava un qualsiasi fiore di Narciso assonnato, sbucato all’alba del mattino.

Il giovane Remus Lupin continuava ad osservarla; ad osservare come la leggera coperta di seta che lei si teneva stretta al petto ricadeva delicatamente sulle curvature dei suoi seni pallidi. Ad osservare come i raggi timidi del sole illuminavano il suo corpo e il suo viso pallido, tanto da renderla accecante alla vista, come una dea irraggiungibile. Narcissa Black le era sempre sembrata irraggiungibile, anche adesso. Anche adesso che tentava di allungare il braccio per toccarla, per constatare che quella davanti a lui non fosse una visione.

Eppure doveva esserne certo. Quella non era affatto la prima volta che si risvegliava intontito con la donna al suo fianco. Anche il letto era quasi sempre lo stesso.

Il letto di lui, pensò il giovane facendo una smorfia.

 

La Blackallungò il braccio sinistro verso il comodino bianco, in cerca di qualcosa. Le sue dita affusolate esitarono prima sullo specchio dai bordi contrassegnati dallo stemma dei Black, ai preziosi gioielli di perle, alla bacchetta di legno flessibile e, finalmente, giunsero al pacchetto semiaperto da cui fuoriuscivano bizzarri oggetti fragili dalla forma cilindrica che Remus non riconobbe fino a quando la donna se ne portò uno alla bocca. Lo scatto metallico dell’accendino sembrò strappare definitivamente il giovane dalle confortanti braccia del sonno.

 

“Da quanto hai iniziato a fumare?” sussurrò con voce arrochita dal sonno, continuando a fissarla sdraiato su un fianco.

Lei, sempre seduta e con la coperta che le arrivava fino al seno, gli rivolse un breve sguardo disinteressato e tornò a guardare dritto avanti sé.

“Non sono affari tuoi” rispose, ostentando il tono più altezzoso che riuscisse a trovare in quella situazione.

Ma come aveva previsto Narcissa, lo sguardo del giovane Remus Lupin rimase limpido e calmo, il suo volto assunse la solita espressione educatamente perplessa di sempre.

Invece dentro di sé, il ragazzo sorrise. Narcissa non sarebbe mai cambiata. Nonostante una notte di passione dove si lasciava puntualmente andare, il giorno dopo cercava invano di riappiccicarsi al viso la fredda maschera di superiorità che indossava con tutti. Con tutti, ma con lui non funzionava. Lupin, che aveva una capacità di comprensione del prossimo fuori dal comune, riusciva sempre a vedere il vero viso di una persona, sotto la maschera.

“Sono affari miei, invece,” ribatté seccamente poggiando la testa sulla mano e sostenendosi col gomito. “dato che negli ultimi tempi occupo spesso il lato sinistro del tuo letto al posto del tuo caro marito” le servì quel commento pungente con l’espressione più angelica e innocente che Narcissa avesse mai visto. Sapeva che lui amava farlo. Scoccare i commenti più taglienti con un’espressione perfettamente ingenua e angelica. Era questa la principale causa delle sue punizioni a Hogwarts, ricordava; la professoressa McGranitt a volte si infuriava per la sua insolenza dietro una maschera di angelica ingenuità. Era proprio una canaglia, a volte, una piccola peste, ma più dolce. Tuttavia Remus Lupin era sempre stato un ragazzo e tranquillo, uno studente modello, ma troppo acuto per nascondere quello che pensava davanti agli insegnanti. Non che Narcissa si fosse soffermata ad osservarlo troppo a lungo, lei era già promessa ad un altro ragazzo, e Lupin frequentava solo il secondo anno quando lei se ne andò da Hogwarts, con una fede d’oro puro al dito. Era solo un ragazzino perché lei lo notasse, e Lupin pensava, anche se gli costava ammetterlo, che le cose non erano cambiate.

Narcissa inspirò e poi buttò fuori il fumo. Remus osservò la sua espressione piccata con un sorrisetto storto. Poi la donna gli scoccò un occhiata penetrante e disse, con tono di ovvietà:

“Tu non sei mio marito, Remus”.

Era proprio quella la nota dolente, che il ragazzo faticava a realizzare.

Faticava a realizzare che l’anello che la donna portava al dito non era stato pagatori tasca sua (oltretutto non sarebbe mai stato possibile neanche economicamente). La parte del materasso che occupava in quel momento, ospitava di solito il corpo di Lucius Malfoy. E lui non sarebbe mai stato in grado di impedirlo. Non avrebbe mai potuto eguagliarlo, lui, un lupo mannaro, un mostro, non era niente in confronto a uno degli uomini più ricchi della Gran Bretagna.

“Lo so”. Se un’ombra scura attraversò il pallido volto del giovane Narcissa sembrò non notarlo.

“Lo so bene, purtroppo” si lasciò sfuggire in un sospiro. Quando si accorse di aver detto una parola di troppo abbassò lo sguardo sulle coperte di seta nera, evitando gli occhi di Narcissa che si voltò ad osservarlo.

“Non ricominciare, Remus” anche la donna sospirò, liberando una quantità di fumo “ne abbiamo già parlato. Io sto con Lucius” e gli lanciò un’occhiata molto eloquente, che per lui voleva dire “Ma

anche tu sei un bocconcino niente male, quindi quando ne ho voglia gioco un po’ con te”.

Remus sentiva il freddo tessuto di seta scivolargli dalle dita mentre lo stringeva. Un groppo in gola gli impediva di parlare.

Un mostro come lui poteva solo sognarsi di guardare da lontano una donna del rango di Narcissa Malfoy. Lui lo sapeva, e si malediceva di non riuscire a togliersela dalla testa una volta per tutte. Aveva sempre trovato divertente l’impacciato tentativo di Narcissa di indossare una maschera di freddezza e superiorità davanti a lui, lui che riusciva ad indovinare i pensieri e le emozioni quasi come un Legilimens. E quando Narcissa sbuffava indispettita dai suoi sorrisi (“Mi stai prendendo in giro, ragazzino?”) Remus trovava che quella smorfia buffa e altezzosa avesse uno strano effetto su di lui.

Ma Narcissa era chiaramente fuori dalla sua portata, e lui continuava a ricordarsi di essere un orribile mostro.

Narcissa Malfoy era lucente come una dea, su quel letto, la pelle pallida baciata dei raggi del sole; irraggiungibile.

Era un Narciso, con i suoi petali bianchi ed eleganti, sbocciato su una roccia troppo lontana per essere colta dalle mani di Remus Lupin.

E lui sentiva le sue braccia insolitamente corte.

“So anche questo” mormorò il giovane dopo aver mandato giù quell’insopportabile groppo in gola. “Ma dopotutto non riesco a smettere di sperare, Narcissa” disse malinconico, e le lanciò uno sguardo dal basso. Il suo sorriso, il suo sguardo, notò la donna, erano intrisi della dolcezza più triste e gentile che avesse mai visto in ventisette anni. Le sue labbra rosse e sottili erano increspate in un sorriso delicato e infinitamente dolce. Lo guardò intensamente e considerò, per un millesimo di secondo, l’idea di lei e Remus Lupin uniti in matrimonio.

“Basta con i sentimentalismi, Lupin” sibilò con durezza Narcissa, più rivolta a se stessa che al giovane steso al suo fianco. Era sposata con Lucius, ed era felice. Era sposata con Lucius, e andava bene così.

Il ragazzo arricciò il naso con un’espressione vagamente divertita, come se si fosse accorto che i pensieri della donna avevano vacillato. Avvicinò il viso alla sua spalla e sussurrò, le labbra rosse premute sulla sua spalla lattea “Da quand’è che mi chiami per cognome, Narcissa?”.

Aveva sussurrato il suo nome con voce talmente roca e profonda che la donna dovette trattenersi con tutte le sue forze per non saltargli addosso.

Si limitò ad emettere un sospiro di desiderio, anche se le labbra del ragazzo bruciavano contro la sua pelle.

“Da quando voglio mettere un po’ di distanza tra di noi” l’ultima parola fu detta quasi in un sussurro, come se avesse paura del suo significato. Cosa ci poteva essere tra lei e Lupin? Niente. Solo sesso. O almeno, per lei era così. Ma ogni volta che incontrava il suo sguardo vi scovava un luccichio amorevole e inequivocabilmente dolce, il che le faceva dubitare che per lui fosse lo stesso.

Nonostante le parole pronunciate, la donna si avvicinò all’incavo tra il collo e la spalla del giovane, e cominciò a mordere e a succhiare quella pelle candida. La sigaretta abbandonata a consumarsi sulle lenzuola di seta.

“Oh, certo” gemette Lupin “Allora sappi che mettere le distanze non è esattamente il tuo forte” commentò, alludendo alla velocità con la quale la donna si era avventata sul suo collo.

Narcissa non ebbe il tempo di rispondere a quel commento sarcastico perché una serie di rumori spostarono la sua attenzione dal collo del giovane alla porta chiusa della sua stanza. Si voltò di scatto e la trapassò con lo sguardo come se potesse guardare oltre e individuò istantaneamente la fonte del trambusto in corridoio.

Riconobbe le vocine stridule e petulanti degli elfi domestici mescolarsi agitate e frementi, e il familiare zampettare di quegli esseri patetici, come se mille topi eccitati si fossero riuniti.

Erano due le occasioni in cui più di tre elfi domestici accorrevano nella stessa stanza. O per servire grandi portate all’ora di cena (quando avevano ospiti importanti), oppure…

Prima che Remus potesse chiederle il perché di quel trambusto, Narcissa scaraventò le coperte all’aria e agguantò i suoi vestiti. “Lucius!” sibilò mentre si infilava nella sua veste da strega, lanciando a Remus i suoi vestiti sgualciti e rattoppati.

Furono pochi i secondi in cui Lupin rimase adagiato confuso e interdetto sul materasso. Comprese il pericolo di quella situazione e si apprestò ad inforcare gli indumenti. Ma la velocità con cui si stava rivestendo non era niente in confronto a quella di Narcissa; dopotutto lui non aveva poi tutta quella gran fretta.

Se Malfoy li avesse scoperti non era comunque affar suo. Narcissa sarebbe stata lasciata da quell’uomo, quindi tanto di guadagnato. Certo, con l’influenza che Lucius Malfoy aveva sul Ministero della Magia Remus avrebbe potuto trovarsi in qualche guaio in più (come se la società non lo odiasse già abbastanza), ma…

“Più svelto. Muoviti!”. Narcissa aveva finito di vestirsi e faceva rimbalzare lo sguardo furtivo ripetutamente dalla porta al ragazzo. Aveva cominciato a spingerlo verso la finestra quando lui doveva ancora mettersi il mantello.

Remus sembrò non notare le intenzioni di Narcissa. “Narcissa, io…” disse confusamente voltandosi verso di lei. Ma la donna lo interruppe brutalmente e solo quando Remus sentì la brezza fresca sferzargli i folti capelli castani le intenzioni di Narcissa divennero palesi.

“Sbrigati” lo intimò, gettando ancora uno sguardo alla porta, e poi guardando di sotto, oltre la ringhiera del balcone. Poi notò la sua espressione accigliata e perplessa e aggiunse “Non dovrebbe essere un salto tanto pericoloso, per un lupo mannaro”.

La stanza matrimoniale si trovava al primo piano della villa. Alcuni metri separavano il balcone dalla terra fresca e curata del giardino.

Era chiaro che neanche un lupo mannaro sarebbe stato allettato dalla proposta di buttarsi da un balcone, ma Remus sapeva di meritarselo. Era questo il trattamento designato a chi puntava troppo in alto. Prima o poi ci si sfracellava al suolo se non si volava basso. Desiderare una donna come Narcissa –ricca, bella, imperiosa; una dea– era davvero troppo per un lupo mannaro, un misero licantropo, respinto ai limiti della società.

Te lo sei proprio meritato, Moony disse tra sé, con una voce che non seppe identificare tra la sua o quella di Sirius. Ma quel salto non doveva essere poi tanto pericoloso, in fondo erano alcuni metri. Anche se a dir la verità avrebbe preferito prendere le scale.

Si mise il mantello in spalla e rivolse a Narcissa un ultimo sguardo eloquente. Poi sospirò e, dopo aver esitato leggermente, scavalcò agilmente la ringhiera facendo leva sulle braccia e saltò.

Un attimo prima che l’immagine del suo corpo sfracellato a terra gli attraversasse la mente, atterrò coi piedi sull’erba fresca e poi barcollò in avanti cadendo sulle ginocchia per lo slancio.

Rimase immobile per qualche secondo, giusto il tempo di alleviare il dolore alle ginocchia, e poi si rialzò cautamente.

Si chiese se un normale essere umano sarebbe riuscito a saltare dal primo piano di una villa rialzandosi pochi secondi dopo e poi pensò che se i licantropi avevano abilità amplificante rispetto agli umani non era sicuramente il suo caso; se così fosse stato, avrebbe avuto abbastanza buonsenso da smetterla di giocare col fuoco con Narcissa.

Si spolverò brevemente i vestiti con le mani e sospirò, un po’ tristemente in verità, poi volse lo sguardo blu alla villa alle sue spalle. Narcissa non era sul balcone, a quanto pare non si era preoccupata minimamente di quello che poteva rimanere di lui dopo un salto simile.

Sospirò di nuovo, affranto, e s’incamminò lentamente verso il cancello di una delle abitazioni che finora aveva frequentato maggiormente in ventidue anni.

Sarebbe stato meglio per lui e per Narcissa se avessero smesso di vedersi alle spalle di Malfoy. Se fossero stati scoperti sarebbe stato un grosso problema per Narcissa –e per lui, ma Remus non faceva mai troppo caso a sé stesso.


E non voleva far del male a nessuno, lui. Nessuno doveva soffrire a causa sua.



Ma quando mise distrattamente le mani nelle tasche, e notò che erano vuote, ebbe la certezza che quella non sarebbe stata l’ultima volta che metteva piede in villa Malfoy.

Intanto Narcissa sorrideva contro la spalla del marito, guardando di sottecchi la bacchetta che Lupin aveva dimenticato sul comodino.
   
 
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