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Autore: Pierce    24/06/2013    0 recensioni
Salgo sulla moto ed urlo a Francesco che salta agilmente dietro di me.
“Come cazzo ho fatto a ficcarmi in questo casino?! … Ah sì...”
Genere: Avventura, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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  • Quando te lo dico alzati e piegati verso me poi muoviti con il bacino verso l'esterno – urlo per farmi sentire sopra il rombo della moto, e attraverso il casco .

  • Come sempre Alex , non c'è bisogno che tu lo ripeta ogni volta –

    Dio ma perché non se ne sta zitto e me lo dice dopo ?”

Freno – Vai – mi piego in avanti e compio lo stesso movimento di Francesco . La ruota posteriore si solleva e compiamo un giro di circa 90 gradi sulla ruota anteriore . Francesco spara alle due gomme visibili del furgone blindato mentre io metto il cavalletto e scendo dalla moto.

  • Scusate, nulla di personale – ringhio agli autisti puntandogli le pistole contro. Spero seriamente che il tipo di sinistra non faccia un qualche strano movimento perché mi riesce male sparare di mancina .

Francesco si guarda in giro nervoso – Avevamo un minuto di vantaggio, per quale cazzo di motivo non sono ancora qui? -

Ha ragione , un minuto di vantaggio è quello che il resto della squadra ha. E serve a noi due per arrivare a questo momento. E' tutto perfettamente cronometrato. Dovevano essere qui 13 secondi fa. 16. 17. 18. 19. 20.

Sento un movimento tra i cespugli del burrone. Più o meno dove l'auto di scorta si è rovesciata. Faccio cenno a Francesco di andare a controllare se qualcuno è ancora vivo. Mi lancia uno sguardo supplichevole. Detesta uccidere la gente. Se si tratta di organizzare un omicidio o causare un incidente ci può riuscire ma sparare a sangue freddo non fa per lui.

  • Va bene – acconsento. Si sposta davanti a me e mi porge la sinistra dove lancio una pistola.

Mi dirigo verso il rumore e, grazie alla debole luce lunare, intravedo un uomo che sta uscendo dall'auto catapultata. È a circa 4 metri da me. Scendo lentamente verso lui con l'intento di vederlo in faccia reggendomi ad un albero : è incredibilmente ripido.

  • Ti prego non uccidermi – piagnucola – Ho una famiglia -

OMIODIO!

Riconosco quella voce; la riconoscerei tra mille. L'ho cercato per tre mesi senza risultato e adesso che avevo perso le speranze me lo trovo davanti.

Mi tolgo il casco e i capelli mi cascano morbidi sulla schiena. Lo guardo meglio. Mi aspettavo un uomo muscoloso, pelato, sulla quarantina, con una t-shirt nera o bianca. Un tipo alla The Rock insomma. Colui che vedo invece è un giovane che ha, forse, 30 anni, capelli biondi e pettinati a spazzola… abbronzato ed è abbastanza muscoloso. Mi ricorda Chris Hemsworth. Apro

la bocca per parlare ma seriamente non so cosa dire. Cosa dici a l'uomo che ha sparato a tuo padre e portato tua madre ad avere un infarto ?

  • Anche mio padre l'aveva : aveva una figlia e una moglie – mormoro con un sorriso terribilmente dolce -ma ciò non ti ha impedito di programmare ed attuare il suo omicidio – concludo con una smorfia di disprezzo.

 

Sgrana gli occhi terrificato – Alessandra – Siamo incredibilmente vicini.

Alzo un sopracciglio – Sai chi sono? -

  • Tuo padre mi aveva detto che lo avresti vendicato – sussurra – e così ti ho tenuta sott'occhio per un po'. Ho pensato che non costituissi un pericolo e allora ti ho lasciata in pace -

Parla con concisione : spera che se farà tutto ciò che voglio si salverà . Povero stupido.

  • Non ti ucciderò – soffio “farò molto peggio”.

Avverto il suo respiro rallentare – no? -

Gli porgo la mano – Vieni ! - lo aiuto ad uscire dall'auto e noto che ha alcune ferite sanguinanti sulle braccia e su una spalla. Lo spingo vero la strada ed avverto le sirene della polizia in arrivo. “MERDA”. Mi guarda con circospezione mentre si arrampica fino all'asfalto. Appena anche lui sente le sirene mi fissa curioso. L'assenza di paura mi dice che se dovesse finire nei guai ne uscirà senza problemi. “CAZZO Alessandra fatti venire qualcosa in mente”.

Salgo sulla moto ed urlo a Francesco che salta agilmente dietro di me.

Come cazzo ho fatto a ficcarmi in questo casino?! … Ah sì...”

 

Sette mesi prima …

 

Sento la porta di camera aprirsi e passo dal dormiveglia in cui ero a causa del mal di testa all'essere completamente sveglia.

  • Papà – dico non troppo sorpresa appena mio padre entra in camera.

  • Ehi piccolina – sussurra dolce – mi hanno chiamato dal distretto – sembra che abbiamo trovato il covo di quegli spacciatori di cui ti ho parlato. Lo perquisiremo tra due ore -

  • Quanto è pericoloso ? E non dirmi che non lo è perché se hanno chiamato a te dopo che avevi chiesto di non essere disturbato per tutta la notte vuol dire che lo è -

Mi guarda, curioso di sapere come faccia a sapere quelle cose – Ti ho ascoltato mentre chiamavi in distretto quando sei tornato e ci hai trovate malate – spiego. Sorride – abbastanza pericoloso ma sarò prudente,te lo prometto! Tua madre dorme di sasso e non ho avuto cuore di svegliarla. Se si sveglia e non sono ancora tornato dille che mi hanno chiamato per un interrogatorio e non farla preoccupare ok ? -

  • Ah devo mentirle, ho capito – rido.

  • Alessadraaaa … - mi riprende bonario. Poi mi da un bacio sulla fronte – Ti voglio bene-

  • Anch'io papà – gli sorrido.

Non riesco a chiudere occhio per tutta la notte e quando guardo la sveglia e vedo che sono le cinque decido di alzarmi. Papà se n'è andato da circa 4 ore e non capisco perché ancora non mi neanche scritto un messaggio per rassicurarmi. Una perquisizione non può durare più di mezz'ora. Comincio a preoccuparmi. Decido di scacciare via i brutti pensieri con qualcosa di più costruttivo. “Studiare? Troppo impegnativo per una mente così facilmente distraibile in questo momento. Leggere? Non mi viene in mente nulla di allettante”.Prendo l'i-pod e scorro le tracce fino a quando non trovo quella che più rispecchia il mio umore attuale. Nulla,non c'è nulla che mi vada di ascoltare . Il cellulare sulla scrivania si illumina. Corro a vedere. Un messaggio. Wind. “MaVaiAFanculo!”Accendo la tv e passo rapidamente a rassegna tutti i canali. Alla fine decido per degli stupidi sketch vecchi di almeno quindici anni. Neanche un'ora dopo il telefono di casa squilla. Non mi piace. Non mi piace per niente. Nessuno chiamerebbe a casa a quest'ora ed io non ho sentito papà. Al terzo squillo rispondo riconoscendo il numero della centrale. “No, ti prego!”

  • Pronto ?- sussurro per non svegliare mamma. Tentativo inutile dato che la sento schiarirsi la gola dietro di me. Mi giro e la trovo decisamente sveglia con i capelli in disordine e gli occhi preoccupati. Deve essersi accorta che metà letto è vuoto e deve aver fatto due più due.

  • Stefania ? Sono Marianna... - la voce della più affezionata collega di mio padre mi dice che, veramente, c'è qualcosa che non va.

  • Sono Alessandra, Marianna... - rispondo cortese.

  • Alex … grazie al cielo sei tu. Si tratta di tuo padre! - Sta usando il tono professionale. Non lascia intendere nulla.

  • No – gemo.

  • Siediti! - mi ordina. Riesce ad essere autoritaria anche al telefono. Eseguo.

  • Marianna... -

  • Siamo entrati nel covo convinti di non trovare nessuno. Invece erano rimasti due uomini di guardia. Non capisco, avevamo controllato – si scusa.

  • MARIANNA! - urlo. Non me ne frega un cazzo delle sue spiegazioni. Voglio sapere il perché di quella chiamata. Anzi lo so ma non voglio ammetterlo. Almeno non fino a quando non me lo dirà lei.

Mia mamma scivola contro il muro, gli occhi nel vuoto immaginando il peggio.

  • Lui era avanti a tutti e gli hanno sparato. È grave. Un'auto delle nostre sarà lì tra 10 minuti per portarvi in ospedale. Volevo avvertirvi prima. Come amica- credo che anche lei stia piangendo ma non ne sono sicura. Il telefono mi cade a terra e guardo mia madre. Il volto rigato dalle lacrime – Era in servizio e gli hanno sparato – singhiozzo. Non so se mi ha capita ma continuo – E' grave -.

Scoppia in un pianto ed io mi trascino vicino a lei abbracciandola. Quando arrivano i colleghi di mio padre siamo sempre così. Strette l'una all'altra piangenti. Suonano brevemente ed aspettano per un po'. Non so quanto. Poi suonano nuovamente. Più a lungo questa volta. Nessuna delle due si muove. Sento il rumore di una chiave e poi di una serratura che gira. Hanno le chiavi.

Quando aprono ci vengono incontro seri. Ligi al dovere non lasciano trasparire alcuna emozione.

 

  • Signora e Signorina Gredia . Suppongo che siate già state informate dell'accaduto- “perspicace il tipo” - Abbiamo il dovere di accompagnarvi all'ospedale.

Annuisco asciugandomi le lacrime e mi alzo in piedi – Mamma – la chiamo dolcemente – Guardami- le prendo la testa – Starà bene – tira su con il naso – E' papà – dico come se questo spiegasse tutto. E spiega tutto per noi.

Si alza e si dirige in camera. Ci cambiamo e usciamo di casa. “Fa freddo”noto con tristezza. Mi stringo il cappotto addosso. “E' pur sempre metà dicembre”.

Il viaggio fino all'ospedale è breve e silenzioso. Interrotto solo dai brevi singhiozzi della mamma che mi abbraccia forte. Roma è tranquilla come poche volte. Appena arrivati noto diversi giornalisti: si tratta di quattro persone . Due inviati e due camera-man.

  • Sono qui per lui?- chiedo.

Uno degli agenti, credo si chiami Riccardo, si gira e segue il mio sguardo – Non credo -

L'auto si ferma davanti all'ospedale e mentre l'uno ci apre la portiera e ci scorta all'interno dell'ospedale, l'altro parcheggia.

Vedo i giornalisti parlottare fra loro mentre gli passiamo davanti ma nessuno fa domande. Riccardo ci conduce al 4 piano, dove, agitate, in una sala d'attesa vicino alla sala operatoria attendiamo notizie insieme a molti colleghi di papà, tra cui Marianna che si avvicina a noi e ci abbraccia. Appena un infermiera esce la mamma si precipita a riempirla di domande a cui lei risponde con un – Il chirurgo è il solo a poterle rispondere e lo farà ad intervento finito. Fino ad allora attendete pazientemente – La mamma si arrabbia. Le urla che è la moglie del paziente e che pretende di sapere cosa stanno facendo a suo marito. La abbraccio e cerco di calmarla ma non serve a placarla ed inizia ad offendere pesantemente il personale ospedaliero. Le vado a prendere un thè e noto che sono le sei passate. Decido di chiamare Giovanni, ormai sicuramente sveglio a causa della nostra corsa mattutina. Giovanni. E' il mio ragazzo da quasi due anni ed il mio vicino di casa. Mi sorprende che non si sia accorto di nulla. Risponde subito. - Ehi amore buongiorno. -

  • Ehi...- lo saluto

  • Che succede?- Si è allarmato lo sento. Non siamo soliti sentirci. Ci ritroviamo fuori dalla porta alle sei e venti ogni mattina senza che ci sentiamo e se lo faccio il mio buongiorno non è certo quello.

  • Mio padre -

  • Alex...- mormora

  • Gli hanno sparato ed io … - Comincio a piangere – Giovanni...- piagnucolo come se potesse leggermi nel pensiero perchè non ho voglia di parlare.

  • Dimmi in quale ospedale siete ed arrivo subito-

Prendo il thè e salgo. La mamma sta ancora piangendo e si è rintanata in una angolo con Marianna. Le porgo la bevanda - mamma – mormoro dolcemente. Alza la testa per guardami. Poi guarda il thè e fa cenno di no. Lo appoggiò su un anonimo tavolinetto in plastica. Anonimo. Sembra essere la parola d'ordine degli ospedali. Anonime porte grige o bianche. Anonimi pavimenti. Anonime camere da ricovero a dir poco deprimenti. Anonimi quadri che cercano di dare un po' di colore e vivacità senza riuscire nell'intento perché quattro quadretti rosa blu e verdi in un intero piano grigio non fanno nulla. Il reparto pediatria è un po' più carino e anche le persone sono più gentili. Ma non è abbastanza carino per i bambini che sono abituati alle cose colorate.

  • Alessandra!-

Mi girò e mi accorgo di essere inginocchiata davanti al thè. Giovanni mi guarda spaventato, deve avermi chiamato diverse volte senza che lo sentissi. -

  • Ehi ciao. Scusa- mormoro.

  • Nulla- mi sorride dolcemente e mi bacia sulla fronte .

Uno dei rari momenti di dolcezza di Giovanni. Litighiamo spesso per la sua mancanza di tatto e il suo dover sempre dimostrare di essere ganzo. In queste dimostrazioni di solito succede che mi risponde male o mi da buca, solo per far vedere ai suoi amici che lui è superiore a me e non mi deve nulla. Il fatto poi che fa di tutto per farsi perdonare è un altra cosa. Una cosa che non racconta in giro e neanche io. Non mi interessa di come la gente ci vede. Ossia come la ragazza carina che sta con il ragazzo carino dal quale si fa prendere sotto i piedi.

  • Hai chiamato i tuoi zii e i tuoi nonni?- chiede. Sospirò perché no, non l'ho fatto e neanche voglio.

  • Se vuoi li chiamo io – si offre come se mi avesse letto nel pensiero. E lo fa molto spesso. Ormai mi conosce bene e conosce i miei parenti e sa che in una situazione del genere sarebbero tutt'altro che d'aiuto.

  • Grazie – dico riconoscente. Si allontana discreto. Cerco di immaginarmi la conversazione. Giovanni che chiama a casa di mia zia Elena, la sorella di papà e chiede di parlare con Luca suo figlio. Perchè con lui ha confidenza dato che entrambi hanno vent'anni, bocciati due volte, amanti del rap, delle auto e della libertà. E perchè una notizia del genere deve essere data alle persone più vicine alla … cosa vittima? … con calma e guardandoli in faccia. Poi Luca andrà dai nonni e dallo zio Nando e da lì la notizia si diffonderà.

Giovanni torna poco dopo e mi trova sempre in ginocchio benché girata verso la porta.

  • Non stare in terra. Vieni, mettiti qui – Mi tira su di peso e mi mette su una sedia mentre io mi chiedo cosa ci sia di strano a stare seduti in terra.

La porta della sala operatoria si apre di nuovo ed esce un uomo sulla cinquantina con una mascherina, una tuta blu e sopra una specie di grembiule bianco. Ha anche una bandana in testa e per un momento mi ricorda un medico di Grey's Anatomy. Ci guarda tutti e individua mia madre che è sempre nell'angolo a piangere ma si degna di farlo silenziosamente mentre il dottore è lì. Lui mi guarda e una smorfia gli attraversa il volto.

  • Dottore- lo chiama Marianna – allora? -

  • Mi dispiace – fa lui. 

  
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