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Autore: skeight    08/01/2008    1 recensioni
Cosa avverebbe se uno shinigami lasciasse cadere il suo death note nel cortile dell'accademia di Ouran?
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Giardini che nulla hanno da invidiare alla reggia di Versailles

Prima di tutto una precisazione.

Questa fanfiction non ha pretese di essere un capolavoro (anche se posso dire di essermi impegnato per cercare di darle una forma decente): l’ho scritta come regalo di compleanno per una mia amica che è una grande fan di due manga, Death Note e Ouran High School Host Club di Bisco Hatori, ed è questo il motivo per cui ho scelto questo cross-over. I personaggi originali che appaiono in questa fanfiction (vale a dire Keito, Meiko ed Hane) sono trasposizioni di persone reali, e lo dico perché altrimenti la loro presenza potrebbe sembrare un po’ strana.

Detto questo, spero che la storia vi piaccia, ma se la giudicate negativamente vi invito ad esprimere ugualmente le vostre critiche senza timore di offendere.

Enjoy!

 

CAPITOLO I

Giardini che nulla hanno da invidiare alla reggia di Versailles.

Edifici magnifici che svettano come giganti del passato, saggi e maestosi, le loro finestre come spalle su cui i nani del presente possono issarsi per guardare in avanti e vedere più lontano nel panorama della sapienza.

Aule di musica il cui ingresso è come una porta verso un’altra dimensione fatta di vibrazioni paradisiache, dove i sensi fluttuano cullati dalle note di Bach, Beethoven, Chopin, Tchaicokvskij.

Corridoi dove bidelli elegantissimi sono pronti a porgere aiuto con il sorriso sulle labbra.

Porticati e gazebo per ripararsi dal sole troppo forte, fontane che danno ristoro dal caldo, allietano la vista e riempiono l’aria del suono fresco dell’acqua che zampilla, panchine lucenti e intarsiate per riposare le membra stanche da ore di studio, stanze ampie e luminose, biblioteche ricche dei tomi più preziosi.

“... e non una cazzo di bancarella da cui sgraffignare una mela”

Il flusso dei pensieri di Keito era l’unica cosa in grado di rovinare la dolcezza che la vista dell’Accademia Ouran sapeva instillare anche nel cuore più duro, ma per fortuna di tutti quei pensieri restavano nel chiuso della sua mente e non erano udibili da alcun essere umano. Del resto, nemmeno lui era visibile ai damerini incravattati e alle ragazze ridicolmente agghindate con abiti dalle gonne gonfie che sarebbero stati fuori moda ai tempi delle loro nonne, e invece lì venivano adottate addirittura come divise scolastiche. Cosa avevano di sbagliato le uniformi alla marinara con minigonne inguinali che erano adottate in tutte le altre scuole del Giappone (stando a quanto dicevano i manga)? Troppo plebee per quella scuola di ricchi? Che visione distorta: non sapevano, quegli amanti del barocco, che nella culla della bellezza moderna, l’Ottocento neoclassico francese, gli uomini e le donne più potenti del tempo posavano senza remora nudi per statue che avrebbero tramandato ai posteri la loro fama? Ovviamente, se a spogliarsi così pubblicamente non fosse stato l’imperatore Bonaparte o sua sorella ma un qualsiasi popolano, delle guardie a cavallo sarebbero giunte per portare l’impudente in una cella per oltraggio alla cristiana morale, ma quello era un altro discorso.

Keito si fermò di fronte all’ingresso dell’Accademia, compiaciuto dalla propria erudizione (che era vasta quasi quanto la sua vis polemica). Nel mondo degli shinigami era tutta sprecata, ma in quello degli umani avrebbe potuto metterla a frutto, in qualche modo. Ma come, se nessuno poteva vederlo, sentirlo o toccarlo?

Un metodo c’era, ovviamente. Il death note.

Keito lo aveva lasciato cadere nel mondo umano, aspettando che qualcuno lo raccogliesse. Quel qualcuno sarebbe stato in grado di vederlo e parlargli, e lui lo avrebbe manipolato a piacimento per i suoi scopi. Un ottimo piano, che però aveva un punto debole: a causa di una delle fisime del vecchiaccio che dettava legge tra gli shinigami, non aveva potuto scegliere a chi dare il quaderno, ma si era dovuto limitare a lanciarlo, lasciando che fosse il caso a decidere il fortunato – o lo sfortunato – scopritore. Keito aveva provato a fare un calcolo inferenziale per determinare la probabilità con cui il death note sarebbe finito nelle mani di una persona adatta, ma dopo qualche ora di emicrania aveva rinunciato: odiava la statistica, e a parte quello il numero di variabili era troppo elevato per riuscire a ottenere qualche probabilità realistica. Così si era affidato al caso incrociando le dita, meno scientifico ma molto più comodo.

Purtroppo, anche inefficace.

Infatti il quaderno era finito in quella scuola assurda, dove tutti sembravano così incredibilmente ricchi e sfaccendati, nonché viziati all’inverosimile, che ben difficilmente avrebbe trovato qualcuno per lui utile. Anzi, forse avrebbe avuto difficoltà anche solo a trovare chi accettasse la sua esistenza senza fuggire urlando. Però ormai era andata in quel modo e non serviva a niente fasciarsi la testa prima di essersela rotta: avrebbe cercato la persona che aveva trovato il death note, e poi l’avrebbe valutata.

Con un sospiro, Keito varcò l’ingresso dell’Accademia di Ouran.

 

Con qualche perplessità, Ayanokouji si rigirava tra le mani quello strano quaderno che aveva trovato nel cortile della scuola.

La copertina era totalmente nera, tranne che per una scritta, “Death note”, che in inglese doveva significare qualcosa come quaderno della morte. Una di quelle stravaganze crasse e volgari dei quaderni plebei, che invece di avere sobrie copertine bianche o con motivi floreali liberty farcivano le pagine di riferimenti agli argomenti più disparati, dallo sport alla musica passando per telefilm di successo e altre cose simili. E però, se era davvero quello il caso, i grafici avevano davvero esagerato, visto che oltre a quel primo tocco gothic dark, avevano anche aggiunto delle pagine interne con fantomatiche “istruzioni per l’uso” a dir poco inquietanti: l’umano il cui nome sarà scritto su questo quaderno morirà; questo quaderno non farà effetto a meno che chi scrive non abbia in mente il viso della persona mentre scrive il suo nome. Quindi, persone che condividono lo stesso nome non verranno colpite; se la causa della morte viene scritta entro 40 secondi dopo aver scritto il nome della persona, si verificherà; se la causa della morte non è scritta, la persona morirà semplicemente di infarto… e ce ne erano altre, in un tripudio di cattivo gusto.

Ma non era semplicemente quello. Fosse stato solo un esempio di kitsch, Ayanokouji si sarebbe limitato a gettarlo senza più pensarci, ma quel quaderno esercitava su di lei un fascino strano. A volte si sorprendeva a pensare che forse era davvero un quaderno in grado di uccidere, anche se sapeva benissimo che era impossibile. E allora perché non lo buttava? Sarebbe stata la cosa più sensata, dato che bastava la vista di quell’oggetto a renderla inquieta al punto da impedirle di studiare o anche solo di concentrarsi e seguire le lezioni.

Ripose il quaderno nel vano sotto il suo banco, e cercò di tornare a seguire la professoressa di storia, ma senza successo. Così iniziò a vagare con lo sguardo, fino a che i suoi occhi non si posarono su ciò che accadeva al di là delle finestra, nel cortile interno. E lì lo vide.

Era un uomo… un uomo? Forse era più corretto dire un essere, perché anche se aveva attributi chiaramente umani – gambe e braccia, viso, andatura eretta, dei vestiti e persino un tatuaggio I fuck dead girls – il suo aspetto complessivo non poteva definirsi tale, e anche quegli elementi che lo accomunavano agli uomini sembravano essere qualcosa d’altro piegato con la forza ad assumere una parvenza antropomorfa: era alto almeno due metri e mezzo, e questo anche senza considerare le gambe arcuate e il busto proteso in avanti. Le braccia gli arrivavano alle ginocchia, una lunghezza scimmiesca, anche se le dita delle mani – artigliate – si muovevano in continuazione in un gesto da sgraffigno molto poco da primate. Aveva la barba, lunga e divisa in tante treccine che arrivavano al petto. Sia la barba che i vestiti, che sembravano usciti da un film western, erano di color rosso bordeaux, mentre rossa, ma di una tonalità più accesa, era la pelle. Infine, il volto, in cui sembrava concentrarsi il contrasto tra l’umanità e la mostruosità di quella creatura: occhi grandissimi dalle pupille feline, orecchie a punta, naso schiacciato praticamente ridotto a due fori, bocca cristallizzata in un ghigno beffardo.

La cosa che più sconvolgeva Ayanokouji era che quell’essere camminava nel cortile della scuola senza che nessuno tra i ragazzi e le ragazze lì presenti reagissero minimamente. Se lei, dalla finestra del terzo piano, aveva potuto osservarlo in tutti i dettagli ricavandone uno spavento terribile, si aspettava che quelli più vicini come minimo fuggissero a gambe levate. Almeno alcuni.

Invece non solo nessuno fuggiva, ma nemmeno lo osservavano; persino quelli a cui la creatura passava vicinissimo non si scomponevano, come se non si accorgessero della sua presenza. Ayanokouji iniziò a pensare di essere vittima di una allucinazione, ma anche se sbatteva le palpebre o se distoglieva un po’ lo sguardo per poi tornare a guardare il cortile, la creatura era sempre là, anche se ogni volta in un punto diverso, e si muoveva sempre in direzione dell’ingresso dell’edificio fino a che non scomparve dal campo visivo di lei. A quel punto la ragazza si impose, con grande difficoltà, di non pensare a quella apparizione e di seguire la professoressa.

Ma al termine della lezione, quando tutti gli studenti abbandonarono le aule per raggiungere la mensa, l’essere riapparve a Ayanokouji, e stavolta molto più vicino a lei: nel corridoio del terzo piano.

Quando se lo vide arrivare incontro, la ragazza fremette di terrore, sia perché da vicino era ancora più orripilante, sia perché era chiaro che era lei il suo obiettivo. Tuttavia, in qualche modo riuscì a non gridare né a scomporsi: era ormai sicura che solo lei riusciva a vederlo, e allora se si fosse messa ad urlare o scappare tutti l’avrebbero presa per pazza, e non avrebbe ricevuto alcun aiuto. Così si girò e tornò verso l’aula. “Ho dimenticato un libro, vi raggiungo dopo” disse alle amiche che la guardavano interrogative.

Pochi minuti dopo, come aveva previsto, l’essere mostruoso era di fronte a lei, nell’aula. Poteva sentire il sudore colarle lungo la schiena.

L’esordio del mostro, tuttavia, fu alquanto spiazzante.

“I miei omaggi, milady” disse infatti, abbozzando un grottesco inchino. La sua voce era rauca, sembrava il growl di certi cantanti metal.

“Co… come?” balbettò Ayanokouji, sconcertata.

“Non è così che ci si saluta fra voi umani dell’alta società?”

“Sì, ma…” si interruppe, temendo di offenderlo se gli avesse spiegato che quella formula era del tutto incongrua nel contesto. Comunque, fu l’essere a toglierla dall’imbarazzo portando il discorso su binari più concreti.

“Ti starai chiedendo chi e cosa sono”

“Eh… infatti”

“È presto detto. Io mi chiamo Keito, e sono uno shinigami”

“Shinigami?”

“Sì, un dio della morte. Nel nostro mondo mi chiamano tutti Keito, in quello degli umani, che poi è questo, solitamente mi chiamano Shinigami Keito o, per abbreviare, Skeito. Però se vuoi chiamarmi semplicemente Keito mi va benissimo”

“D’accordo, ma… perché sei qui?”

Perché tu hai preso il death note, ovvio”

Ayanokouji ripensò al quaderno e le mancò il fiato.

“Vu… vuoi dire che davvero…?”

“Davvero che?”

“Davvero quel quaderno può uccidere la gente?”

“Per la precisione, si può usare quel quaderno per uccidere altre persone, nel rispetto delle regole scritte in esso

“Oddio… se avessi scritto qualche nome sarai diventata un’assassina…”

“Beh, che c’è di male?”

“Come sarebbe a dire che c’è di male?!”

“Quello che ho detto. Intanto, usando il quaderno nessuno potrebbe risalire a te, no? Quindi ad usarlo non corri alcun rischio”

Keito cercava di incoraggiarla ad usare il death note. Quando l’aveva vista tra la folla degli studenti aveva pensato di non essere stato così sfortunato: la ragazza aveva l’aspetto di una disposta ad usare ogni mezzo per raggiungere i suoi scopi. Naturalmente tra il dire e il fare c’è la stessa differenza che separa gli shinigami dagli umani, ed era normale che la prospettiva di uccidere la mettesse a disagio, ma Keito pensava di poterla convincere: se lei si fosse rifiutata di usare il death note, lui non avrebbe potuto manipolarla ai propri fini.

“Non è questione di essere scoperta” disse Ayanokouji “è proprio l’idea di commettere degli omicidi che non posso accettare”

“Suvvia, non mi dirai che una ragazza intelligente come te ha paura”

“Ma che paura e paura!” scattò lei “E poi perché fai questi discorsi? Vuoi che io uccida qualcuno?”

“No, ti propongo uno scambio”

Che scambio?”

“Io ti do il quaderno, e quindi la possibilità di uccidere chi vuoi, e in cambio tu accetti di agire per conto mio in alcuni affari che, a causa della mia natura di shinigami, non posso condurre autonomamente”

“Che genere di affari?”

“Non pensare a patti faustiani, sono molto più materialista: voglio giocare nella finanza! Le mie conoscenze e intuizioni sui movimenti di capitale globali sono infinitamente superiori a quelli di qualsiasi affarista umano. In più, la mia profonda preparazione in antropologia e sociologia mi permettere di valutare perfettamente gli impatti sociali delle scelte economiche, e quindi so dove e come investire al meglio. Per farla breve, se agisci in economia seguendo le mie indicazioni diventerai ricca sfondata… o meglio, diventeremo, visto che la maggior parte dei soldi me li prenderò io, ma comunque anche un venti per cento dei profitti ti basterà a superare in ricchezza la tua stessa famiglia”

“Addirittura?”

“Noi shinigami, a differenza degli umani, siamo perfettamente consci delle nostre capacità, per cui non pecchiamo di spacconeria, almeno nei nostri rapporti con voi. Ma se anche non mi credi, considera che comunque non ci perderesti niente. Alla fin fine, a te conviene accettare lo scambio”

Ma che cosa se ne fa dei soldi un dio della morte?”

“Dei soldi in sé, niente. Ma di certe cose che posso comprare con il denaro, molto”

Ayanokouji pensò a misteriosi strumenti demoniaci o a sostanza magiche. In realtà, Keito aveva in mente solo vagonate di mele.

“Lo scambio sembra vantaggioso” disse la ragazza “Ma proprio non me la sento di uccidere qualcuno per interesse”

“Ovvio, se pensi ad uccidere in generale. Ma prova a pensare a qualcuno che per te merita di morire, e vedrai come tutto sembrerà più facile”

Ma chi…” iniziò ad obiettare lei, ma si bloccò. Qualcuno che per te merita di morire, e la sua mente iniziò a riempirsi di istantanee che credeva di aver rimosso.

Un ragazzo dal volto femmineo che le aveva rubato il suo lord.

Un sapientone dallo sguardo di ghiaccio e due gemelli diabolici che l’avevano innaffiata d’acqua in pubblico.

Il lord che avrebbe dovuto amarla ed invece l’aveva umiliata di fronte a tutti.

L’associazione che aveva ardito di trattarla come una donnetta da poco: l’Host Club.

Loro meritavano di morire. Morire sotto i suoi occhi.

Quell’insulso Honey con il suo gigante stupido. Quegli orribili gemelli. Quel nero demonio di Kyouya. E soprattutto loro, quel maledetto Haruhi e Tamaki, il traditore.

Avrebbero dovuto essere uccisi tutti.

Poteva farlo lei?

Ancora non aveva formulato la domanda nella sua mente e già sapeva di poterlo fare. Di volerlo fare.

Alzò lo sguardo sullo shinigami.

“Accetto”

Gli occhi di Keito si accesero di trionfo. Aveva vinto, era stato più forte del caso lo aveva dirottato su quella scuola di fighetti, il suo piano era iniziato.

“Allora uccidi” disse.

Ayanokouji non se lo fece ripetere due volte. Estrasse il death note dalla borse e lo aprì alla prima pagina, ancora intonsa. Poggiò con feroce delicatezza la punta della sua Monte-Blanque sul foglio, e iniziò a scrivere.

Tam

Si fermò a metà del nome.

Keito immaginò che fosse un residuo della riluttanza precedente, e pensò a qualche frase di incoraggiamento, ma poi lo guardò in volto e vide un’espressione di gioia sadica che non poteva conciliarsi con alcuna indecisione.

Perché non scrivi?”

Che fretta c’è?” rispose lei.

Perché ucciderli così, su due piedi? Non si sarebbe goduta la sua vendetta. Ma non sarebbe stato abbastanza piacevole nemmeno vederli agonizzare per ore. Era altro, quello che lei voleva. Voleva vedere l’Host Club disfarsi lentamente e sotto i suoi occhi, voleva vedere i gemelli vivere l’esperienza della separazione e del rimorso (Kaoru morto per colpa di Hikaru, perché no?), Kyouya perdere la sua sicurezza e dibattersi impotente, Haruhi subire il disprezzo che lei stessa aveva sperimentato e tornare, prima della morte, a quello che era il suo posto naturale, la plebe.

E infine Tamaki… lui non sarebbe morto. Sarebbe precipitato in un tunnel nero vedendo la sua creazione in rovina, avrebbe gustato la prostrazione più profonda, assaggiato un dolore inimmaginabile. E, una volta toccato il fondo, sarebbe tornato strisciando da lei, dalla donna che aveva umiliato pubblicamente, supplicandola di perdonarlo. E Ayanokouji sarebbe tornata la principessa incontrastata dell’accademia di Ouran.

“Diamo il via alle danze” mormorò sorridendo.

 

   
 
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