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Autore: Helektra    25/06/2013    0 recensioni
...Perché quella era la vendetta che si era concessa: la tortura psicologica, quella portata dal terrore, quella che leva il sonno e che uccide molto più lentamente di un ferro rovente, quella che si infila nei più piccoli spazi tra un pensiero e l’altro e alla fine condiziona tutto l’essere. Una vendetta atroce, senza possibilità di vie di uscita...
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non riesce a capire molto. Passa da uno stato di dormiveglia, in cui percepisce solo poche parole, ad uno in cui c’è solo uno spazio nero e cupo, senza pensieri. Pensa di essere morto anche se non si ricorda esattamente chi o cosa sia. Una mano fresca che si posa su di lui. Dei rumori in sottofondo, forse due persone giovani che litigano, una voce maschile e l’altra femminile.
<< Raphael! Sarebbe morto se l’avessi lasciato lì! >>
<< Ma almeno adesso sapremmo chi ha cercato di ucciderti e perché! >>
<< Non è detto che abbiano tentato di uccidere me, ma lui! >>
<< Sorellina sei cambiata da quando quel ragazzo è entrato nella tua vita. >>
<< Smettila di dire stupidaggini Raph. Io non cambio mai. Io sono morta. >>
Poi di nuovo oblio. Un luogo di pace e di buio, spaventoso e desiderabile allo stesso tempo. Ancora una volta dormiveglia, il suono di una voce dolce e di alcune mani fredde che lo toccano.
 
<< La febbre sta salendo. Dobbiamo chiamare il dottore. >>
<< Lascialo morire. Non ci servirebbe a nulla comunque. >> Un suono. Uno schiaffo, forse.
<< Chiama il dottore Raphael. >>
Il rumore di una porta che si chiude ed un sospiro vicino a lui. Le mani tornano a toccarlo e sente un dolore lancinante da qualche parte del corpo. Geme per il dolore e sente la voce scusarsi. L’oblio è la salvezza dal dolore.

 
Lentamente si rese conto di essere qualcosa di diverso dal semplice dolore. Adesso sapeva di avere delle braccia e delle gambe. Aprì gli occhi, consapevole di averne un paio, e si ritrovò in una stanza illuminata dalla luce del mattino. Mosse la testa e si accorse di trovarsi in un letto enorme, matrimoniale, disteso tra lenzuola e coperte calde e confortevoli. Accanto a lui, sulla destra, c’era un comodino con due cassetti e una lampadina, mentre più lontano da lui c’era un muro coperto da assi di legno e con due porte agli estremi opposti. Di fronte a lui la parete presentava una scrivania enorme, con un computer e diversi documenti sparsi attorno. Quelli che sembravano dei raccoglitori erano disposti su quattro mensole al lato della scrivania. La parete che doveva essere esposta ad est, invece, era composta da un’unica intera vetrata che in quel momento era coperta con semplici tende per evitare che il sole del mattino colpisse direttamente il letto.
Erik continuò a ruotare la testa fino a che non trovò una distesa di capelli castani accanto al suo braccio. Sotto di essi scorse un volto addormentato e sorrise quando gli tornò tutto alla memoria. La giovane doveva averlo salvato dal sicario che lo aveva colpito alla spalla ed evidentemente, a giudicare dal bendaggio, doveva averlo tenuto in vita a costo di spendere molte ore di sonno. Con un leggero brivido si accorse di essere stato mortalmente vicino alla morte e quando si rese conto del suo pensiero represse un sorriso per il suo umorismo alquanto tetro. Si osservò attorno e notò la stanza ordinata, senza vestiti sparsi o ammucchiati da qualche parte, senza niente fuori posto. Guardò nuovamente la ragazza addormentata accanto a lui e si sentì immensamente grato che un’assassina come lei avesse perso del tempo per tenerlo in vita anche se per lei non avrebbe dovuto avere molto valore. Cercò di accarezzarle il volto ma per sbaglio usò la spalla ferita e gli uscì dalle labbra un leggero gemito. A quel suono lei si svegliò e i suoi occhi vigili e perfettamente svegli si posarono su di lui, sondandolo sin nel profondo. Subito dopo si aprì una delle due porte che davano sulla stanza e un bel ragazzo si presentò sull’uscio. Erik si raggelò sul momento e lo fissò, spaventato e immobile come un cervo che avvisti un lupo, ma Methin sorrise come una bambina davanti alle caramelle, tranquillizzandolo e facendolo rilassare un po’.
<< Raph! Finalmente si è svegliato! >>
Il ragazzo fissò freddamente la giovane che mostrò un’espressione leggermente imbronciata da bambina, mostrando un atteggiamento completamente diverso da quello che aveva sempre mostrato davanti all’investigatore che, dal canto suo, si sentì subito geloso di quel ragazzo, così bello ed evidentemente così al centro della vita di Methin. Però Erik proveniva da una famiglia nobile e la prima cosa che gli avevano insegnato era il contegno, perciò si limitò ad osservarlo freddamente senza mostrare nessuna emozione e cercando di analizzarlo.
 Era coetaneo di Methin o forse più grande, con capelli neri e mossi e profondi occhi verdi. Dal fisico atletico e muscoloso pensò che si allenava tutti i giorni per molto tempo, quindi ipotizzò che potesse compiere lo stesso mestiere di Methin e al quel punto si permise di rabbrividire di paura. Si sentiva come un topo circondato da leoni: era nella stessa stanza con due assassini professionisti, che però, stranamente, l’avevano tenuto in vita.
<< Lo vedo. Sorellina. >> Erik si sentì sospirare con un respiro tremulo, che non si era accorto di stare trattenendo. Perché si sentiva tranquillizzato da come il giovane aveva chiamato Methin?
<< Non fare il freddo con  me Raph. Non cambio idea. >>
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Methin gli sorrise proprio come una bambina davanti ad i genitori e poi tornò a guardare Erik.
<< Sei stato incosciente per due giorni e due notti. Le ferita era più grave di quanto immaginassimo e avevi perso molto sangue, quindi abbiamo dovuto chiamare un medico e farti curare il più in fretta possibile. Mi ha detto che una volta sveglio avresti dovuto cercare di muovere il meno possibile il braccio e la spalla, almeno per i primi tempi. >>
<< Methin ha vegliato su di te per tutto il tempo, rinunciando perfino a dormire, finché non hai cominciato a stare meglio. Non avrebbe dovuto farlo. >>
<< Smettila di rimbeccarmi come se fossi mio padre e vai a farmi un caffè, Raph. >> Il ragazzo la fissò male, sbuffò, ma fece come la ragazza gli aveva ordinato e se ne andò dalla stanza lasciandoli soli, anche se la sua rabbia si poteva intuire sentendo le ante della cucina che sbattevano violentemente.
<< Non mi dà l’idea che mi abbia preso in simpatia. >>
Methin scosse leggermente la testa, cercando di non guardarlo negli occhi, poi osservò il muro come se potesse vedere attraverso di esso fino a scorgere le spalle incurvate di Raph, arrabbiato e triste anche se lei non riusciva a capire perché.
<< Raph odia tutti coloro che non fanno parte della famiglia ma entrano nella mia vita. >> Si soffermò a pensare un attimo e poi sorrise. << A dir la verità prima di te nessuno era mai entrato davvero nella mia vita. >>
Erik la guardò un attimo stupito. << Vorresti dire che hai vissuto da sola fino ad ora? >>
Un’altra anta sbatté in cucina e si sentì la voce di Raph che borbottava a voce troppo alta. 
<< Non da sola. Ho vissuto con mia madre e Raph. >> Erik continuò ad osservarla e le sembrò davvero stanca.
<< Raphael aveva ragione. Avresti dovuto lasciarmi lì. Non dovevi rischiare la tua vita per me. >> A quelle parole la ragazza si girò di scatto verso di lui e lo fissò con occhi di fuoco.
<< Non azzardarti neanche a dire una cosa del genere! Non dopo che ho rischiato di morire per difenderti! Non dopo che… >> La voce le mancò e le parole le morirono in gola quando finalmente si rese conto di quello che aveva fatto.
Lei, Methin, ragazza senza cuore, aveva salvato una persona che non faceva parte della sua famiglia, rischiando la sua vita e infrangendo le regole più importanti che la madre le aveva insegnato.
<< Te ne sei pentita? >> La voce di Erik aveva una nota di tristezza ma sembrava anche risoluta. Con movimenti lenti cercò di alzarsi dal letto sperando di non far vedere quanto soffrisse. La stanza cominciò a vorticargli attorno e l’assassina lo prese per le braccia, attenta a non fargli troppo male, e lo fece appoggiare a dei cuscini adeguatamente sistemati in modo tale che potesse stare seduto.
<< No. Non me ne sono pentita. E tu vedi di non cadere ai piedi del letto e fai il bravo paziente. >>
In quel momento tornò Raphael con una tazza di caffè fumante in mano che porse gentilmente all’assassina.
<< Vai a riposarti, qui ci penso io. >>
Methin sorrise mentre beveva il caffè. << Mia la preda, mia la cura. >>
Raphael storse la bocca in una smorfia di disapprovazione e se ne tornò nell’altra stanza dicendo solamente che sarebbe andato ad allenarsi.
La ragazza sbuffò e tornò a concentrarsi sul suo caffè, chiudendo gli occhi e portando indietro la testa, come se stesse davvero godendosi quella bevanda calda. Ora che la osservava bene Erik poté notare dei cerchi scuri sotto gli occhi, segno evidente che aveva davvero vegliato su di lui finché non aveva cominciato a migliorare.
Un rumore strano provenne dal suo stomaco e si accorse di avere fame. Sorrise per scusarsi con Methin e lei sorrise di rimando mentre si alzava e posava la tazza di caffè sulla scrivania.
<< No, tranquilla. Posso aspettare. Tu mi hai salvato la vita, posso permetterti di bere il tuo caffè in santa pace. >>
Lei rise di gusto mentre il caffè le scaldava lo stomaco e il sollievo le alleggeriva il cuore. Non aveva mai usato la sua forza e la sua abilità per salvare delle persone, non così almeno. Sapeva che quello che stava facendo era per tutte le persone che avevano visto la propria vita finire in quelle oscure camere, per tutte le famiglie spezzate e anche per tutti i bambini che così avrebbero potuto vivere una vita felice invece di essere rapiti come lei. Ma non aveva mai e poi mai accudito una persona come aveva fatto con Erik. Perfino quando la mamma si era presentata a casa con Raphael lei non se ne era curata molto all’inizio, anzi lo aveva trattato così male che la mamma non faceva altro che rimproverarla. Solo dopo più di un anno in cui Raph stava a casa loro lei lo aveva finalmente accettato come membro della sua famiglia. Allora cosa c’era di diverso in Erik? Sapeva che lui aveva una famiglia tutta sua, che aveva una madre e delle sorelle e dei fratelli, che non lo considerava un fratello, ma allora perché aveva rischiato la vita per lui? Scosse la testa e quando si accorse che il caffè era finito andò a preparare il pranzo per il suo paziente.
‘ Erik non è un mio paziente e tantomeno è mio. Devo smetterla di comportarmi così. Io sono morta e i morti non provano niente. ‘
 
 
Da quando Erik si era svegliato migliorava a vista d’occhio. Nel giro di due giorni riusciva già ad alzarsi e ad andare in cucina e in bagno senza aiuto. Come aveva avuto modo di notare, la seconda porta della camera di Methin conduceva al suo bagno personale. Dopo una settimana il dottore venne a far loro visita. Era un uomo anziano, sulla cinquantina, con i capelli bianchi, il pizzetto e dei profondi occhi marroni, dolci e gentili che trattava Raphael e Methin come se li conoscesse da tanto tempo.
Dopo un’altra settimana Erik fu un grado di camminare tranquillamente anche se non poteva ancora muovere il braccio che rimaneva coperto da alcune bende. Da quello che diceva il dottore entro un mese la ferita si sarebbe quasi del tutto rimarginata e nel giro di qualche altro tempo avrebbe potuto ricominciare a muovere l’arto, anche se non avrebbe potuto sforzarlo, ma avrebbe cominciato la fisioterapia e presto avrebbe riacquistato tutte le normali funzionalità. Erik non sapeva come passare le giornate: dopo un po’ stare a letto lo annoiava e non se la sentiva di interferire con le missioni e gli affari di Methin e Raphael, perciò la maggior parte del tempo si metteva in giardino a leggere o a fare esercizio fisico che non richiedesse l’uso dell’arto lesionato. Un giorno Raphael lo vide fare i suoi esercizi e uscì in giardino sorridendo e con l’aria di sfida.
<< Perché ti dedichi all’esercizio fisico? >> Gli aveva chiesto con un sorrisetto ironico sulle labbra.
<< Perché voglio dare una mano a te e a Methin. >>
A quel punto Raphael era scoppiato e ridere così tanto che si era dovuto sedere a terra.
<< Ma ti prego! Non ci riuscirai mai! >>
Il giovane si era arrabbiato e gli aveva rivolto uno sguardo di fuoco e di sfida che avrebbe spaventato tutti. Tutti tranne un assassino addestrato, naturalmente.
<< Vedi non puoi farlo per due motivi. Il primo è che prima o poi la tua famiglia verrà distrutta dalle nostre azioni e tu non potrai aiutarci. Per il secondo motivo… beh… seguimi e lo vedrai con i tuoi occhi. >>
Raphael si era alzato da terra con un movimento fluido ed elegante che aveva lasciato Erik di stucco, poi gli aveva fatto cenno di seguirlo. Si muoveva come un serpente: senza fare rumore strisciava e attendeva il momento propizio per attaccare.
Erik lo osservò mentre lo conduceva al piano inferiore della casa, dove il giovane ferito non era mai stato, fino ad una porta di ferro molto pesante che il ragazzo aprì come se fosse pesante quanto una piuma. I due si ritrovarono in un’ampia sala divisa in due zone; la prima era attrezzata come una normale palestra con pesi e accessori vari per potenziare la muscolatura, la seconda invece aveva un tatami enorme al posto del pavimento e tutte le pareti erano riempite con ogni tipo di arma. Al centro del tatami l’assassina stava ripassando delle mosse di arti marziali si bloccò quando entrarono i due giovani. I capelli erano raccolti in una coda di cavallo, tranne per alcune ciocche ribelli che erano sfuggite al laccio, mentre un leggero strato di sudore imperlava la fronte della ragazza che sorrise allegra quando vide i due uno accanto all’altro.
<< Vedo che finalmente state facendo amicizia! >> Raphael mentì spudoratamente alla sorella, mentre il suo sorriso diventava un ringhio.
<< Volevo mostrare al ragazzo la casa ma visto che ci siamo, ti dispiace se facciamo un combattimento? >>
Methin annuì felice e, mentre il giovane dalla chioma corvina si toglieva la giacca di pelle che aveva portato, la ragazza prese un secondo elastico e intrappolò la chioma fluente in un chignon, rispondendo allo sguardo interrogativo di Erik.
<< Quando combatti e sei una donna o tieni i capelli corti o li leghi in modo tale che il nemico non li possa usare contro di te. I capelli lunghi nel corpo a corpo sono uno svantaggio perché diventato come un altro braccio con cui puoi essere presa dal nemico, ma che non può essere usato per attaccare. >>
Detto questo si mise in posizione e attese l’attacco di Raphael che cominciò a girarle attorno come avrebbe fatto un predatore con la sua preda, cercando un punto difensivo. Erik notò le labbra incurvate dell’assassina che evidentemente sapeva che si sarebbe divertita, ma quando lo scontro cominciò rimase completamente senza fiato. Nonostante le apparenze, se Raphael era un serpente, agile e flessuoso, l’assassina si muoveva come una leonessa: non sprecava nessun tipo di attacco e si muoveva con velocità e forza che non avrebbe mai visto in una ragazza. Ruotava su se stessa e si spostava quando l’avversario tentava di colpirla, cercando di sfruttare non solo la sua forza ma anche quella del fratello per vincere. I colpi si succedevano senza un attimo di tregua mentre il sudore cominciava ad imperlare la pelle di entrambi. Ad un tratto perfino Erik notò che Raphael aveva fatto un passo falso, lasciando scoperto il fianco sinistro e Methin ne approfittò e tentò di colpirlo. Ma era solo una finta e la ragazza se ne accorse troppo tardi quando oramai l’avversario aveva parato il colpo e si apprestava a darle un pugno in faccia, sfruttando il suo sbilanciamento. Ma Methin era un’assassina che lavorava sul campo, abituata a quel tipo di lotta, mentre Raphael non combatteva quasi mai se non con lei. Quando si accorse della mossa di Raph, semplicemente sfruttò il suo sbilanciamento per buttarsi a terra usando come perno la spalla destra e rotolando. Quando si rialzò in ginocchio mirò un pugno allo stomaco dell’avversario, abbastanza forte da farlo indietreggiare di un passo, poi con una spazzata lo fece cadere rovinosamente a terra ed infine tirò fuori un pugnale da chissà dove e lo puntò alla gola del fratello.
<< Ho vinto io! >> L’urlo contento di Methin risuonò nella palestra, come se fosse una bimba di cinque anni che avesse appena vinto il peluche tanto desiderato.
Erik si sentiva pietrificato. Fu quello il momento in cui non solo comprese le parole che gli aveva rivolto prima Raphael, ma anche i suoi sentimenti.
Erik sarebbe stato quasi del tutto inutile in un combattimento, soprattutto in confronto all’addestramento di Methin e del fratello che probabilmente era durato anni e anni. Inoltre molto probabilmente Raphael aveva ragione: i due assassini puntavano all’uccisione di qualcuno o qualcosa e di mezzo c’era anche suo padre. A favore di questa ipotesi non c’erano solo gli amici di famiglia e del padre uccisi dalla persona che aveva di fronte, ma anche la paura di Lucan, l’uomo freddo come il ghiaccio, che aveva deciso di parlare al figlio dopo anni di silenzio per prendere l’assassino che lo aveva spaventato.
Di mezzo a tutto quello c’era lui. Il solito ragazzo scontato, il figlio che nessuno avrebbe voluto avere: ribelle e odioso, ricco ed intelligente e donnaiolo che non aveva fatto altro che causare problemi alla sua famiglia e che in quel momento avrebbe dovuto decidere se rimanere dove era e contribuire all’uccisione del padre o se andarsene e denunciare Raphael a Methin, con la certezza che loro sarebbero morti, prima o poi, ma anche con la sicurezza che Erik non se la sarebbe mai perdonato. Non perché sapeva cosa era giusto e cosa sbagliato, no. In quella storia non aveva capito ancora quasi niente ed era fortunato se, per qualche strano motivo, Methin non aveva deciso di ucciderlo quando aveva scoperto che l’aveva vista compiere la propria vendetta.
No.
Vedendola combattere aveva cominciato a capire cosa si agitava dentro di lui. Senza rendersene conto aveva cominciato a pensare a Methin come alla ragazza più bella che avesse visto, non solo per l’aspetto fisico, senza dubbio eccezionale, ma anche per come era lei. Era una guerriera con le idee ben chiare di cosa fosse giusto e sbagliato, di cosa fosse disposta a compiere per una giustizia che apparteneva solo a lei e al fratello. Non era il genere di ragazza che aveva incontrato fino a quel momento: ragazzine abituate ad avere il mondo ai propri piedi, che non sapevano come comportarsi alla prima avversità e finivano nelle mani della droga o dell’alcool.
No.
Methin era diversa. Era un’assassina, una ragazza capace di ridere e scherzare come le altre, ma anche capace di mettere la propria vita da parte per la vendetta.
No. Non era possibile. Mentre la osservava combattere aveva capito che avrebbe distrutto tutto ciò in cui aveva sempre creduto, aveva compreso che quella ragazza eccezionale era arrivata fino a lui per un motivo ben preciso: aprirgli gli occhi. E lui, figlio ripudiato di un criminale, rampollo di una famiglia che non aveva mai compreso, si stava innamorando di un’assassina.
Non fu per il bene ed il male che decise, ma fu per amore di quella ragazza, quella donna, che si mise seduto a terra e continuò ad osservarla mentre si scambiava colpi con il fratello, sapendo di aver condannato il padre, lui, tutti.
Il giorno dopo nella casa c’era aria di novità. Sin da quando si era alzato dal letto Erik se ne era reso conto: Methin sembrava allegra e la sentiva canticchiare mentre Raphael lo trattava meno male del solito. All’improvviso la ragazza entrò nella sua camera da letto di corsa, accese il computer e cominciò a picchiettare delicatamente sulla tastiera, prendendo ogni tanto appunti su un foglio bianco.
<< Raph! Vieni a vedere! >> Di corsa l’assassino entrò nella stanza senza badare al giovane seduto sul letto che li guardava incuriositi. Le teste dei due assassini erano vicine l’una all’altra e li sentiva borbottare tra loro mentre a turno indicavano qualcosa sullo schermo del computer.
<< Le perlustrazioni hanno dato buon esito. Qui c’è un’entrata. Potrei... >> Il resto della conversazione si perse mentre Methin indicava altri punti e bisbigliavano fra loro di qualche missione.
<< I documenti sono qui. Abbiamo bisogno dello schermo grande per prepararci. >> La ragazza in quel momento si ricordò di Erik e si voltò verso di lui sfoderando un sorriso caldo e gioioso prima di dargli una spiegazione.
<< Abbiamo avuto un ingaggio dopo tanto tempo. E la casa dove devo rubare contiene anche dei documenti importanti sugli spostamenti del nostro prossimo target!>> Erik la guardò con aria ancora più incuriosita di prima.
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Raphael lo guardava con un sorriso di scherno e derisione, mentre prendeva qualcosa dalla tasca dei pantaloni e se la rigirava tra le dita. Erik impallidì quando notò che quello con cui giocava Raphael era il suo tagliacarte, scomparso pochi giorni dopo aver conosciuto Methin, pochi giorni dopo averla vista uccidere.
In quel momento si sentì nella stanza un respiro strozzato da parte di Methin che rimase raggelata davanti allo schermo del computer. Subito Raphael si girò verso la sorella e il più velocemente possibile Erik si diresse verso i due, cercando di capire cosa stesse succedendo.
All’inizio non riusciva a capire cosa stava succedendo. C’era una sua foto sullo schermo del computer e accanto la vista di una ricompensa con un numero di zeri che a lui parevano infiniti.
<< Cosa sarebbe?>>
Methin si voltò verso di lui. Aveva gli occhi spalancati ed era mortalmente pallida. << Erik… c’è… c’è una taglia su di te. Qualcuno ti vuole morto. Maledettamente morto. >>







Note d'autrice:
Scusate se ci ho messo tanto a caricare, ma lo studio e gli esami mi hanno impegnato tantissimo e questo è stato il primo giorno libero dopo tanti passati a studiare come una matta :S Per tutti i ragazzi e le ragazze che stanno affrontando gli esami: "in bocca al lupo ragazzi! E non dimenticatevi che dovete sempre leggere! (Non necessariamente la mia storia, anzi un bel libro, con delle pagine vere magari è meglio :p) 
Per tutti i ragazzi e le ragazze che invece hanno avuto gli esami... beh! che dire? godetevi le vacanze, il mare, il sole, il caldo e i libri che potete leggere in santa pace! 
Spero di riuscire a caricare presto un nuovo capitolo :) 
Ci vediamo presto!
-Hel
  
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