Viola aprì lentamente gli occhi. Bruciavano ancora. Cercò di resistere alla tentazione di strofinarli e dopo aver sbattuto le palpebre più volte si decise ad aprirli completamente. Era mattina. Già mattina. Si mise seduta sul letto guardandosi intorno senza avere la forza di alzarsi. La sua camera sembrava la tana di qualche animale selvatico: tazze con residui di caffè si aggiravano ovunque, vestiti sparsi per terra, libri e fotocopie invadevano minacciosi la scrivania. Avrebbe dovuto studiare, quantomeno provarci, ma il ricordo della sera precedente annullò immediatamente ogni buon proposito. La sua voce rieccheggiava, dolce e crudele, ancora nelle orecchie e quel saluto così pacato e lontano l’aveva tramortita. In fondo avrebbe dovuto aspettarselo, era passato troppo tempo, lui non poteva averla aspettata. Le sarebbe piaciuto che così fosse stato, ma era stata brutalmente disillusa. Lo odiò dal più profondo del suo cuore pur sapendo che le sarebbe bastato rivedere quella vecchia foto sgualcita per tornare ad amarlo di nuovo follemente. Alzandosi lentamente dal letto prese il cellulare poggiato sul comodino lì accanto; nulla,né un messaggio, né una chiamata. “Meglio così”, pensò Viola tra sé buttandolo sul letto. Poco lontano da lei qualcuno la stava cercando.