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Autore: Son of a preacher man    25/06/2013    8 recensioni
13/11/13
Hillspborne, NY
04:18 Am
Una fine pioggerellina lo colpiva delicatamente sul volto, infrangendosi sul suo cappotto autunnale come una continua serie di lacrime; le stesse che stavano attraversando i suoi zigomi in quel preciso momento, mentre si avviava con aria distrutta verso la sua destinazione.
Con quella rosa solitaria in mano, di un bianco stranamente acceso. Come se esprimesse la sua innocenza, la sua ingenuità nel voler continuare a vivere...
Cosa che al suo possessore era ormai venuta a mancare.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: Cross-over, Missing Moments, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Terza classificata per il contest "Insegreto" indetto da Shizue Asashi
Quarta classificata al contest "La malinconoia - Flash Contest" indetto da Fanny_rimes
Vincitrice premio speciale Tristezza

Partecipante alla challenge "La sfida dei duecento prompt" di msp17
Prompt Malattia

Autore: Son of a preacher man
Fandom: Glee + Diario di una nerd superstar
Titolo: A story about white roses
Genere: Drammatico, romantico, introspettivo
Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Jenna Hamilton
Avvertimenti: Contenuti forti, coppia slash, OOC
Segreto scelto: #24086
"Aiuto i ragazzi terminali in ospedale col mio nasino rosso. Un ragazzo della mia età mi disse “Mi sto innamorando di te”. Quel giorno mi chiusi in casa a piangere. Lui non poteva arrivare al prossimo mese, e io non potevo portarlo via con me."
Note dell'autore: OOC giustificato. Kurt si scopre malato di cancro in stadio avanzato, non conoscendo Blaine.
Ciò ha provocato molti cambiamenti, in lui (che non trovando mai un ragazzo ha a poco a poco perso la sua sicurezza ed il suo coraggio) e in Anderson (non innamorandosi di Kurt durante il liceo, l'outing con il padre ha avuto effetti negativi che l'hanno convinto a non voler restare in Ohio, portandolo al trasferimento a New York).
Jenna Hamilton ha un ruolo minore in questa ff, ma ho voluto comunque inserirla perchè è un personaggio molto azzeccato alla Klaine (Blaine+Kurt).

Credo sia tutto, buona lettura :)

“A story about white roses”

 


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13/11/13
Hillspborne, NY
04:18 Am

Una fine pioggerellina lo colpiva delicatamente sul volto, infrangendosi sul suo cappotto autunnale come una continua serie di lacrime; le stesse che stavano attraversando i suoi zigomi in quel preciso momento, mentre si avviava con aria distrutta verso la sua destinazione.
Con quella rosa solitaria in mano, di un bianco stranamente acceso. Come se esprimesse la sua innocenza, la sua ingenuità nel voler continuare a vivere...
Cosa che al suo possessore era ormai venuta a mancare.

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16/10/13
Hillspborne’s General Hospital, NY
18:03 Pm

- Buongiorno pirati! – esclamò sorridendo e appoggiandosi sulla testa il cappello da marinaio.
Come ogni giovedì pomeriggio, un’orda di ragazzini gli era saltata addosso strillando e ridendo.
Il giovedì era per Blaine un giorno molto speciale.
Adorava far volontariato, ed aiutare in Ospedale era sempre stato un piacere.
Il reparto di pediatria lo amava.
Ogni giovedì era come se una ventata di aria fresca entrasse e facesse sparire, per quelle due orette, tutta l’ansia provocata da quegli esami e quelle preoccupazioni che nessun bambino dovrebbe conservare.
Blaine era il tipico ragazzo che ci sa fare coi bambini. Sa interagirci, intrigarli e divertirli.
E notare che a poco a poco tutti si affezionassero a lui era una sensazione stupenda.
Gli faceva sorridere il cuore. Era come se la sua mente si riempisse ogni volta di positività e soddisfazione.
Per l’ennesimo giovedì, Blaine versione marinaio con il nasino rosso da clown era stato travolto dai bambini, sotto gli occhi vigili di un ragazzo.
Non era un infermiere.
Era probabilmente un ragazzo di un altro reparto, che ogni volta osservava dal vetro le mosse del finto pirata.
Blaine non credeva volesse farsi notare, inoltre era troppo impegnato a gestire quella quindicina di pargoli urlanti per dare attenzione ad una fonte esterna.
Aveva notato quegli occhi celesti da settimane, ma ogni volta che si rimetteva il giubbetto ed usciva dal reparto, non vedeva nessuno con uno sguardo così luminoso.
Anche quel giorno, uscito dall’Ospedale con un sorrisone sulle sue rosee labbra, non notò nessuno.

Pur essendo sera, i lampioni luccicanti donavano alla strada un qualcosa di nuovo.
Blaine, in attesa dell’autobus, si posizionò sotto il tettuccio della fermata.
Non pioveva, ma stare sotto ad un tetto lo aveva sempre fatto sentire al sicuro.
Era completamente deserto.
Nessuna parola, passo, abbaio, ticchettio. Niente.
Il che diede a Blaine il tempo di riflettere.
Mancavano pochi minuti all’arrivo dell’autobus.
Quindi afferrò la sua tracolla in cerca del cellulare.
L’aveva dimenticato nel reparto.
Subito si alzò, imprecando, e corse delicatamente fino all’entrata dell’Ospedale.
Entrò canticchiando. E lo vide.
Era lì, appoggiato alle porte scorrevoli, facendo finta di niente.
Ma lo stava fissando dall’atrio.
Lo studiava, lì. Seduto sotto la tettoia, come se fosse un animale interessante nel moderno zoo urbano newyorkese.
Avevo uno sguardo perso, incantato.
Ma quegli occhi, oh, quegli occhi...
Blaine li riconobbe subito.
Non disse niente, si autoconvinse di non averci fatto caso.
Corse nel reparto pediatria, dove i bambini ormai stavano dormendo e cercò a lungo il cellulare, con passo felpato.
- Cerchi questo? – chiese il ragazzo, da dietro, con in mano un cellulare identico al suo.
- Oh, sì. Ti ringrazio. – rispose Blaine, afferrandolo dalle dita del compare.
Non riusciva a distogliere lo sguardo dai suoi occhi, erano magnetici.
Seguì un lungo silenzio.
Ma non era imbarazzante, da nessuna delle due parti.
Era buio, quasi privo di vita.
Silenzioso, appunto.
Ma era un silenzio di interesse, una sorta di sessione di sguardi incantevoli e perfettamente spontanei.
- Sono Blaine, comunque. – si presentò poco dopo, porgendogli la mano.
- Will. – rispose lui, stringendola debolmente.
Notò solo in quel momento la sua mano, pallidissima.
Seguì la vista del paletto a cui era appoggiato.
Le flebo. Ed i lividi.
Spaventato, Blaine fece un passo indietro.
- D-Devo andare, non voglio perdere il pullman.
- Ciao. – salutò Will, mogio mogio.
Mentre Blaine si allontanava, il ragazzo dagli occhi celesti era in dubbio sul da farsi.
- Ci si vede! – aggiunse poco dopo, mentre il moro stava oltrepassando la soglia delle porte scorrevoli.
Il ragazzo bassino sorrise, e si voltò a guardarlo.
- Ci si vede. – gli disse infine, in modo breve ed efficace, prima di correre verso il bus.
Will abbassò lo sguardo, ridendo felicemente.

 

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23/10/13
Hillspborne’s General Hospital, NY
18:17 Pm

- Ehi, scusa il ritardo!
La ragazza bruna si voltò immediatamente, notando Blaine tutto indaffarato a vestirsi.
- Tranquillo Anderson, sbrigati però che i bambini stanno morendo dalla voglia di ved... merda.
Jenna Hamilton, nuova arrivata del personale, doveva ancora abituarsi ad avere a che fare con bambini che in un modo o nell’altro sarebbero deceduti in pochi mesi.
Tipiche espressioni come “morire dalla voglia di” erano inammissibili, lo stava capendo a forza di occhiatacce.
Bel sorriso, occhi color nocciola e indole da madre chioccia. Perfino nei confronti di Blaine.
Quest’ultimo, che le sue parole fece finta di non aver sentito, si avviò nella stanza tutto di corsa.
- Cosa interpreti oggi?
- Aladdin.
- Oh. – rispose Jenna, brevemente.
In pochi minuti, i bimbi cominciarono a salire sui letti come se fossero tappeti volanti.
- E’ proprio una brava persona. – commentò Jenna al ragazzo che stava spiando Blaine.
Will non la considerò, continuò imperterrito a studiare ogni singola mossa del ragazzo.
- Uno di questi giorni ti denuncerà per stalking, Josh. – gli disse poco dopo, ridendo.
Lui subito si voltò, ridendo.
- Ti piace, eh? – gli chiese infine, prima di allontanarsi notando il suo silenzio imbarazzato.
- No, Jenna, aspetta!
- Dimmi.
- ... Che ci posso fare? – gli chiese, debolmente.
Lei, scrollando le spalle, emanò una parola.
- Provaci.
Josh non era mai stato in grado di tentare.
La paura lo aveva bloccato da sempre.
Ed il cancro, preso geneticamente dalla madre, fu l’ultima goccia.
Non sarebbe più riuscito a fare qualcosa senza aiuto, senza qualcuno che gli indicasse la retta via.
E poi, in questi dilemmi esistenziali, notava Blaine.
Così sicuro di sé, della sua vita, dei suoi ideali.
E quel viso, gli piaceva da matti.
- Ehi Will! – s’introdusse Blaine, mezzora dopo essere uscito dal reparto.
- Will? – chiese Jenna, incerta.
- Ah. Eh. Ciao. – salutò il malato, sorridendo spontaneamente.
Il suo vero nome non era Will. Nemmeno Josh.
Ma per ammazzare il tempo in ospedale, si divertiva a confondere medici ed infermieri cambiando nome ogni due per tre.
- Comunque... com’è andata? – chiese la signorina Hamilton, incrociando le mani sorridente.
- Sono fantastici. E’ sempre molto divertente.
Si girò un attimo, e salutò dei bambini che dal vetro gli mostravano la manina.
- Ti piacciono i bambini, vedo... – notò Kurt, azzardando un mezzo sorriso.
- Sono in un’età adorabile.
Di quella frase, il ragazzo dagli occhi celesti sentì solo la prima e l’ultima parola.
Sorrise nuovamente, abbassando il capo.
Seguì un silenzio.
Jenna continuava a tirare delicate gomitate al presunto Will, mentre Blaine lo fissava con aria incuriosita.
Era un personaggio strano.
- Jenna, hai finito di decapitare le mie costole?
Blaine rise, mentre la brunetta alzò gli occhi.
- Beh, io vado. Ci vediamo giovedì prossimo, Jenna. - la salutò lui, per poi fissare Kurt.
- Alla prossima, Will.
- Alla prossima. – rispose il ragazzo, sorridendogli.
C’era qualcosa.
Un’alchimia imponente, la scintilla accecante...
Chiamatela come vi pare.
Ma c’era qualcosa di nuovo.
Da parte di entrambi.
- Dovevi invitarlo a cena.
- Sì, con un cancro terminale ho proprio voglia di una pizza enorme. – disse Kurt, ridendo.
Usava spesso l’autoironia per tirarsi su di morale.
Il tempo passava, le condizioni peggioravano... ma lui continuava a sorridere.
Voleva bene a Jenna, nonostante fosse nuova, inesperta ed a volte fuori luogo.
La considerava una ragazza molto dolce, sensibile. Che lo consigliava, seppur con idee impossibili.
- Puoi uscire fuori dall’Ospedale in questi giorni, lo sai.
- No, Jenna. Non ce la posso fare. – la interruppe lui, abbassando la testa e soffocando un singhiozzo.
Appoggiandosi alla barella poco distante, si allontanò.
Jenna capì che non poteva consolarlo.
Decise di stare ferma, dietro al bancone, facendo finta di niente.
Non che non le importasse, ma per quel poco che lo conosceva, aveva capito che Kurt voleva, e per certi versi doveva, stare solo.

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30/10/13
Hillspborne’s General Hospital, NY
17:42 Pm

Jenna, mentre stava firmando alcune scartoffie da passare alla collega poco distante, notò la chioma riccia e mora di Blaine invadere l’atrio.
- Orcocazzo, Blaine in anticipo. – disse lei in tono giovanile, ridendo sorpresa.
Il ragazzo si grattò la nuca, sfoggiando un sorrisetto imbarazzato.
- La chitarra è per i bambini? – chiese Jenna, notandola attaccata ad una striscia attorno al suo petto.
Lui annuì.
- Non volevo vestirmi in modo strano oggi.
- Come mai?
Mentre stava per risponderle, notò Kurt uscire dal corridoio con in mano un bicchierino di caffè.
Nell’ultimo periodo era dimagrito drasticamente.
Non che prima fosse normopeso, ma ora stava raggiungendo livelli preoccupanti.
Appena vide Blaine, fece finta di niente e cercò di tornare indietro, pensando di non essere stato notato.
- Ehi Will!
Lui chiuse gli occhi.
Non voleva essere visto così; soprattutto da Blaine.
Voleva che vedesse il ragazzo di qualche mese fa, quando c’erano ancora speranze.
- Ehi. – gli rispose, avvicinandosi.
- Beh, ragazzi, vi lascio soli. – informò Jenna, sorridendo ed allontanandosi nonostante gli occhi celesti del malato la pregassero di rimanere.
Nascondendosi dietro al corridoio, pensava forse di non essersi fatta notare.
- Beh, eccoci. – disse lo pseudo-Will, abbassando la testa.
Si vergognava.
Delle occhiaie, dei capillari rotti, della pelle troppo pallida, delle venature troppo visibili, delle labbra screpolate, delle costole, dei braccini, delle dita scheletriche.
Era tutto sbagliato. Soprattutto il contesto.

Ma Blaine?
Blaine era quello giusto, no?
Era la persona perfetta capitata nel momento sbagliato.

Ma era esattamente ciò che desiderava.

Era però lo stesso Blaine che non sapeva nemmeno il suo vero nome.
Tantomeno che a distanza di poche settimane non ci sarebbe più stato nessun Kurt Hummel.
Con tutta la forza che avrebbe potuto avere, si sarebbe comunque spento.
Ormai era ad un punto di non ritorno.
Non che avesse mai deciso di lottare, ma se mai avesse optato per una scelta last-minute, beh...
Sarebbe stato in qualsiasi caso troppo tardi.
- Blaine, possiamo parlare? – gli chiese lui, espiando tutti i suoi dubbi in una frase.
Senza neanche accorgersene, era pieno di lacrime sul volto.
Il moretto diede uno sguardo di sfuggita al reparto di pediatria, per poi guardare l’orologio.
In pochi minuti sarebbe dovuto entrare.
- Ora? – chiese lui, spaventato.
Kurt annuì.
- Andiamo.
Blaine lo prese per mano, e lo fece uscire dalla porta sul retro.
C’era una leggera pioggerellina, piacevole anche in quel momento molto confuso.
- Cosa c’è, Will?
- Mi chiamo Kurt, Blaine. Kurt Hummel.
Subito Blaine lo fissò, sconcertato e non certo meno spaventato di prima.
Il ragazzo dagli occhi azzurri si sedette a terra, sugli scalini.
Blaine scese di due gradini, così da essere sul suo stesso piano.
- Cosa c’è, Kurt?
Lui sospirò, cercando di calmarsi.
Passarono pochi minuti.
- Kurt, spiegami. Cosa succede?
- Credo di amarti. – rispose lui, di scatto.
Blaine rimase a bocca aperta.
Quelle parole erano come fiondate dalle sue orecchie al suo cuore, facendolo implodere.
Non se l’aspettava.
Cioè, sì, ma non così presto.
E lì, cominciò a capire.
La causa di questa sua dichiarazione, di questa fretta.
Indietreggiò.
- Blaine, ti prego.
Corse via, piangendo.
Continuò a fuggire, a scappare il più veloce possibile.
Dall’Ospedale, da lui, dalla città.
Sotto la pioggia, ormai divenuta temporale, lui corse come mai fatto in vent’anni.
Quell'incasinato acquazzone non era nemmeno paragonabile alla confusione che aveva in testa in quel momento.
Ma poi si fermò, sotto una tettoia.
La sua casa. Il suo posto sicuro.
Rifletté; si chiese da cosa stava scappando.
Da Kurt, era ovvio.

Ma voleva fuggire dal suo tumore, dal suo amore... o da entrambi?
Era forse un ostacolo troppo abissale per poter essere affrontato?
O forse scappava da un possibile ricordo che lo avrebbe ucciso dal dolore in pochi giorni?

Il ricordo di un amore tanto perfetto quanto impossibile, sommato ad un’attrazione innegabile, rovinata da una sorte malvagia.

Ecco tutto.

Ma non era giusto.
Kurt non si meritava questo. Blaine neppure.
Capì che avrebbe comunque dovuto dar senso alla sfortuna, seppur un apparente senso essa non ne abbia.
Ritornò sui suoi passi, correndo sempre più veloce.
Non poteva permettersi di perderlo senza nemmeno aver provato a farlo veramente felice.
Ritornò sulle gradinate posteriori all’Ospedale.
Lo vide, in piedi, appoggiato alla ringhiera.
In tutto quel tempo era riuscito ad alzarsi e superare soltanto alcuni gradini.
Era diventato troppo debole. Per tutto.
In lacrime, stava per rientrare.
Ma il ricciolo lo raggiunse velocemente e lo afferrò per una mano.
Kurt mise la sua attorno al suo collo.
E spinse le sue violacee labbra su quelle di Blaine.
Lo baciò, senza nemmeno guardarlo.
Con gli occhi chiusi, stavano sorvolando sulle centinaia di picnic, lotte col cibo, anniversari ed appuntamenti che avrebbero potuto avere in un altro mondo.
I baci, i messaggi, le tenute di mano, le litigate, gli abbracci, le gelosie... e le lacrime.
Le lacrime che rigavano i loro volti, anche in quell'istante; sembravano congiungersi in un perfetto mix tra amore e disperazione.

In un semplice e spontaneo contatto si dissero migliaia di parole.
Parole non esprimibili a voce o a penna.
Parole particolari.
Parole d’amore. D’amore vero.
Tutto questo, in un bacio.


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- Ti piace il bianco, vero? – chiese Blaine entrando nello stanzino.
Kurt sorrise, ancora nel letto.
- E’ il mio colore preferito, lo sai.
- Certo che lo so. E ricordi che giorno è oggi?
- Il nostro anniversario. – rispose Kurt, alzando gli occhi continuando a sorridere.
Blaine si avvicinò al letto, mise il vassoio con la colazione sull’addome del marito, e accarezzò un petalo della rosa bianca vicina al bicchiere di spremuta.
Quel pallidume ricordava la pelle del ragazzo, anche se ormai le venature erano rientrate e la carne ben in vista. Era misteriosamente guarito.
- Oggi che hai intenzione di farmi fare? – chiese Kurt, mangiando un pancake.
- Gita sul lago. Poi andiamo a trovare Jenna.
- Adoro il lago!
- Lo so, amore, quindi sbrigati!
- Anche tu sei ancora in pigiama, eh. E devi ancora svegliarti!
- Svegliarmi?
- Certo. Dovrai riaprire gli occhi prima o poi.

Blaine si svegliò.
Teneva ancora la mano a Kurt, sdraiato sul letto dell’Ospedale.
Stava tremando, dal nervoso.
Il malato aveva accusato un malore poche ore prima, quindi si erano accomodati nella sua stanza ospedaliera dopo un'ora di chiacchierata.
Sembravano conoscersi da anni, come se avessero pareggiato la sorte in quei pochi momenti passati insieme.
Nello stanzino non c'erano fiori, bigliettini, infermieri...
Solo Blaine. E Kurt, che stava dormendo col sorriso sulle labbra.
- Kurt, ho fatto un sogno fighissimo.
Non rispose.
- Praticamente eravam... Kurt?
Gli diede qualche scossone.
- Kurt!
Continuò a non rispondere.
- ... Kurt, svegliati.
Niente.
- Kurt?
- Kurt, ti prego.
Non ce l’aveva fatta.
- Kurt.
Il corpo senza vita sostava lì, freddo e cupo, poco distante da Blaine.
Nonostante i numerosi tentativi, Blaine continuò a chiamarlo.
Lo nominava, sepolto da lacrime così dolorose che sembravano esser composte di sangue.

Decesso: 23:45 del 31/10/13

E’ proprio vero.
Pur sapendo che qualcosa succederà non riusciamo
a rendercene davvero conto
finché quel
qualcosa non accade veramente,

distruggendo, come un tornado,
ogni cosa.


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13/11/13
Hillspborne, NY
08:18 Am

Una fine pioggerellina lo colpiva delicatamente sul volto, infrangendosi sul suo cappotto autunnale come una continua serie di lacrime; le stesse che stavano attraversando i suoi zigomi in quel preciso momento, mentre si avviava con aria distrutta verso la sua destinazione.
Con quella rosa solitaria in mano, di un bianco stranamente acceso. Come se esprimesse la sua innocenza, la sua ingenuità nel voler continuare a vivere... Cosa che al suo possessore era ormai venuta a mancare.
Nascondeva un sorriso, segno di un ricordo che stava vivendo nella sua mente.
La pioggerellina, il bacio.
La felicità, l’amore.
Quel senso di pace, di equilibrio.
Ottenuto con Kurt.

E’ incredibile quanto i ricordi possano farti stare meglio per qualche istante
e poi rovinarti nel momento in cui sei costretto a tornare alla realtà.

Blaine, ormai arrivato all’ingresso del cimitero, lo sapeva bene.

Carl Johnson. Diciannove anni.

Non poteva dimenticarlo.

Yoan Smith. Diciotto anni.

Ma non poteva nemmeno stare male per ciò che Kurt gli aveva regalato.

Cassandra Van Rafaèl. Diciotto anni.

Baciò la rosa, davanti a quella tomba. Come ogni giorno.

Kurt Elizabeth Hummell. Ventuno anni.

Ma cosa gli aveva donato veramente Kurt?
L’amore?

Lo si può definire come tale?
E’ possibile innamorarsi in poche settimane, senza parlarsi;
senza conoscersi veramente?

Fissandosi incuriositi e scoprendo la passione reciproca, si può definire amore?

Amore a prima vista, forse?
E questa tipologia può rientrare nella categoria degli amori veri?

Sono quesiti che oramai non ossessionavano più il ricciolo.
Non gli interessava di ciò che pensasse la gente.

Blaine amava Kurt e Kurt amava Blaine, al limite del possibile.
Punto.


"Impossibile in sole tre settimane, se non di meno!"
"Si sono parlati per neanche tre giorni, in fondo."

Quindi un vero amore non può ridursi a semplici sguardi condivisi in pochi momenti, giusto?
Sì, è davvero impossibile.

Ma sapete un’altra cosa?

Per il calabrone è scientificamente impossibile volare.
Ma pensate un po’, lui vola comunque.

 

Blaine appoggiò la rosa davanti all’epitaffio, ancora in lacrime.
Ma con un sorriso sulle labbra.
Si alzò da terra e si diresse all’uscita.
Si girò un’ultima volta, come se in tal modo potesse tornare a quella notte in cui si erano incontrati.
Gli occhi vigili di Kurt erano stati una perdita tanto veloce quanto disastrosa.
Ma, in fondo, Blaine era a conoscenza che l’avrebbe visto ovunque.
Quello sguardo, quei suoi occhi così pieni di sfumature e di vita.
Vita che oramai aveva perso.
Vita che viveva nei ricordi prima del decesso.
Blaine non poteva permettere che la morte di Kurt significasse la morte dei suoi ricordi.

Ed infatti, non l’avrebbe mai permesso.
Fine.

   
 
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