Questione di Gusti
“Ciao”.
Dannazione. Di nuovo. Sono
al bar, con le mie amiche, e deve
arrivare lui. Lui, da solo.
Già, perché lui è il
migliore amico di tutte le mie amiche.
Quello che: “Oh, sai cosa mi ha
detto Shika? Ed è contato!
Aveva ragione! Era così logico! Come ho fatto a non pensarci prima? È un genio!”
e deragliamenti del genere. Mi chiedo perché Mister Logica
non sia accoppiato, dato che accoppiare gli altri è diventato il suo sport
preferito.
Quindi, non c’è da stupirsi se un coro di “Ciao” risponde
al suo.
Io non mi volto. Non mi
voglio voltare. No.
Avete presente
quando si dice che quando entra lui la stanza si illumina?
Ecco, tutto il contrario.
Quando entra lui la stanza si rabbuia, e sento un grande occhio di bue puntato
su di me, che mi trapassa la schiena. E mi sento
dannatamente osservata.
Kami, posso visualizzarlo sorridere di quel suo sorriso
monco mentre prende posto dietro a me e appoggia un
piede sulla mia sedia. Esatto, la mia sedia.
Sottolineerei l’aggettivo possessivo. Sottolineerei il fatto che non sono un’oca come credono,
conosco gli aggettivi, tante grazie.
“Ciao, Ino” puntualizza. Bastardo.
“Ciao Shika”
rispondo senza voltarmi. Poi tiro fuori dal portafogli
il necessario per pagare il mio gelato, e faccio per andarmene. E incontro
puntualmente lo sguardo significativo delle mie ex- amiche che mi fanno cenno di
voltarmi.
D’accordo, l’avete voluto
voi.
Mi giro con un sorriso
troppo largo per essere vero, e piego la testa di
lato.
Invece di rispondere
educatamente, lui inarca un sopracciglio.
Elogio della cortesia.
E si domandano perché lo odio.
Anche se fino a un minuto fa mi domandavano se lo amassi.
Particolari.
“Dove
vai?” Mi chiede lui con pronunciata supponenza “Io non ho ancora preso niente.
Un caffè per favore” fa poi in direzione della cameriera.
“Non eri nemmeno stato
invitato in gelateria, se è per questo” rispondo brusca, con lo stesso sorriso
– falso – sulle labbra.
Lui mi ignora,
mormorando: “Quasi quasi prendo anche un gelato…”
Poi mi fissa. Ancora.
“Limone” sentenzia mentre la cameriera gli porta il
suo caffè, e ora sono io ad alzare un sopracciglio.
“Acida come un ⌐ ”cita lui.
“Scorbutico” ribatto.
“Mancante di vitamina C” supplisco, forte delle mie conoscenze mediche.
Lui versa due bustine di
zucchero nel suo caffè.
“Non è un gusto di gelato”
fa poi con tono superiore prendendo a mescolare.
“Affogato al caffè” ritento mentre comincia a bere. “Magari” aggiungo con uno
sguardo velenoso negli occhi.
Sorride.
“Panna montata” ribatte
lui. “Avvenente senza sostanza. Vedi? Gusto e descrizione. È facile.”
Ho come l’impressione che
non stiamo parlando di gusti di gelato.
“Stracciatella” riprendo
io “Bianco, imperfetto, con frammenti di nero assoluto”.
“Che
ti devo dire” sospira lui “gli opposti si attraggono. Scusi signorina?” fa poi
con la cameriera “Stracciatella
e affogato al caffè, per piacere”. Lei sorride, lui le fa
l’occhiolino.
Roteo gli occhi.
Supponente.
“Metto anche la panna
montata?” chiede lei timida.
“Certamente” sorride lui,
guardandomi negli occhi “Adoro la panna montata”.
E, dannazione, arrossisco.
Ma possiamo giocare in due al suo gioco: “Per un
attimo ho temuto che dicessi Bacio”
“La prossima volta, Ino,
la prossima volta”.