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Autore: Selina    09/01/2008    21 recensioni
Roxas doveva dimenticare per poter essere nascosto nella seconda Twilight Town. Ma c'era qualcosa che non era disposto a lasciar andare. [Axel/Roxas]
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Axel, Roxas
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Kingdom Hearts II
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Nota legale:

Kingdom Hearts © Square Enix & Disney. Questa Fan Fiction è stata scritta per puro diletto, senza alcuno scopo di lucro. Nessuna violazione di © è dunque intesa.

Collocazione temporale:

Prima dell’inizio di Kingdom Hearts II.



:: SPARKS ::



Il mondo era racchiuso nel minuscolo cerchio dei loro bisbigli.

Si abbassavano, si scioglievano nello spazio compresso dentro la sua testa, esplodevano assordanti come spari e si stringevano l’uno all’altro come un gioco d’incastri, i bordi taglienti che stridevano al contatto. Nel buio poteva quasi vedere le scintille.

Sulla superficie piattissima della sua memoria, tre voci tenevano in ostaggio la sua esistenza.



«Credi di riuscire a tenerlo sotto controllo?»

«Se anche non ci riuscissi, tu potresti sempre batterlo di nuovo.»

«Stavolta potrei ucciderlo.»

«Non essere così modesto. Hai imparato la lezione. Non dovresti avere dei problemi a controllarti, ormai, quando si tratta di lui

«…»

«Comincia, Naminé.»



Si era aggrappato ad Axel con la fiducia cieca di un cucciolo, abbandonandosi alle sue mani come per imprinting. Sapeva che Axel era meno affidabile di un Nobody Berserk impazzito, ma non gli importava. Non ricordava esattamente perché avrebbe dovuto. Aveva dimenticato che esisteva qualcosa al di là del mondo piccolissimo in cui era stato confinato, qualcosa connesso all’istinto di sopravvivenza, qualcosa legato saldamente alla paura.

Guardò le stranissime creature nere che strisciavano, gli occhi gialli e luccicanti come quelli di un animale. Avrebbe voluto afferrarle per la collottola come gattini e studiarle da vicino. Forse avrebbe sentito la pelliccia sotto le dita, bagnata dalla pioggia battente.

«Ed io dovrei ucciderli?»

Cercò di toccarne uno, ma la sua mano sprofondò in una specie di oscurità collosa ed appiccicosa, e la tirò via di scatto con uno strillo sorpreso. La creatura tentò di attaccarlo, come una bestiola riottosa, e Roxas la scagliò via risentito con un colpo ben preciso del Keyblade. Non ci mise niente ad uccidere anche i pochi altri che si aggiravano nella stradina buia.

Axel rise. Roxas era sicuro che avrebbe ricordato in eterno il modo in cui la sua voce si spezzava tra un fiato e l’altro, il sussurro leggerissimo del respiro. Ogni singolo suono era inciso nella sua mente come un marchio sulla pelle, ma la sua risata scavava profondamente dentro di lui, ogni volta più a fondo. Quando lo sentiva pronunciare il suo nome era come essere toccato su un nervo scoperto ed ipersensibile.

«Non dirmi che li trovi carini, Roxas.»

Rabbrividì. Axel conosceva perfettamente il potere totalizzante della sua voce.

«Non mi sembrano pericolosi» azzardò.

Axel sospirò, sciogliendo le braccia incrociate ed agitando una mano. La pelle bagnata del cappotto fece un rumore scivoloso nel movimento.

«Non lo sono per te. Non hai niente che potrebbero prenderti.»

«Cosa vuoi dire?»

Axel tentennò per un attimo. Poi scosse la testa.

«Niente.»

Era quello che gli dicevano tutti. Era stanco di collezionare niente come qualcun altro avrebbe collezionato biglie.

Si sforzò di folgorare Axel con uno sguardo arrabbiato, di fargli sapere solo con gli occhi e la piega imbronciata delle labbra che ce l’aveva con lui, che era stanco di essere messo a tacere come un bambino, ma Axel rise ed ignorò totalmente il suo pessimo, pessimo umore. Come se non fosse colpa sua.

«Avanti, Xemnas vuole che tu li uccida.»

Roxas picchiò un Keyblade per terra.

«Perché ridi?»

«Uh?»

«Ridi sempre. Gli altri non ridono, nessuno ride. Tu sì. Perché?»

Axel ci pensò sopra a lungo, seriamente. Alzò gli occhi, come se da qualche parte sopra la sua testa fosse sospesa la risposta, tra i grattacieli di World That Never Was. Roxas osservò la pioggia infiltrarsi sotto il cappuccio e scendergli in rigagnoli lungo il collo.

Axel sogghignava, quando tornò a guardarlo.

«Perché ti trovo divertente, credo.»

«Cosa vuol dire?»

«Uh… che ti sto offendendo.»

«Offendendo?»

«Gli altri si arrabbiano, quando qualcuno ride di loro. Lo trovano umiliante.»

«Non capisco.»

Axel sospirò.

«Non ho mai capito neanch’io. Nemmeno prima. Però finiscono per non parlarti più e per tenerti il broncio. Devono farti capire che gli hai fatto male, sai, e pensano che queste manifestazioni fastidiose ti spingano a chiedergli scusa.»

«Funzionano?»

«A volte.»

Roxas aggrottò la fronte per la frustrazione, appoggiandosi ad un muro. Aveva fatto sparire i Keyblade. C’erano pochi Heartless vicino al castello, come se fiutassero il pericolo.

«Continuo a non capire. Tu mi chiederesti scusa, se io non ti parlassi più?»

Axel inclinò la testa. Ci stava pensando seriamente, e Roxas lo conosceva abbastanza da essere abituato a questa sua strana percezione dell’importanza delle cose. Rifletteva di più su questioni che a lui sembravano stupide che sugli ordini di Xemnas.

«Forse.»

«Allora lo farò.»

«Mi costringeresti a cercare Demyx per parlare con qualcuno?»

«Ricorda che sono offeso.»

«Credo che ti manchi il senso delle proporzioni.»

Roxas si strinse nelle spalle e si inoltrò nella città deserta. Dopo un attimo la voce di Axel lo raggiunse.

«Roxas?»

«Sì?»

«Mi dispiace.»

Roxas decise di imitare Axel e rise. Era la prima volta che ci provava. Non credeva che la sua voce potesse modellarsi in quel modo, spezzando il suono ad ogni respiro. Non capiva perché Axel si ostinasse a farlo, ma sperava che non smettesse. E se avesse imparato anche lui, forse non l’avrebbe fatto. Voleva sentire ancora sulla pelle la potenza annichilente della sua voce, e ancora, e ancora.

«Penso di trovarti divertente anch’io.»

«Sei una mia pessima imitazione.»

«Però sarebbe una punizione più proporzionata, no?»

«Per costringermi a cercare Demyx dovresti almeno aspettare che ti tagli via un braccio.»

«Lo faresti?»

«Non credo. Potrebbe sempre servirmi.»

«Servirti

Axel ghignò senza rispondere e Roxas lasciò perdere. Non aveva voglia di combattere le stupide battaglie verbali che Axel lo costringeva ad affrontare quando girava attorno ad una cosa che lui voleva sapere per il puro gusto di prenderlo in giro.

«Quindi ora che facciamo?»

«Che dovremmo fare?»

«Qualcosa. Per… attestare che non sono più arrabbiato con te. Basta che lo dica?»

Axel rise forte, fortissimo, e Roxas gli si avvicinò, indeciso su come dovesse sentirsi. Era abbastanza per essere, come diceva lui, offeso? Non voleva essere offeso. Poi avrebbe dovuto di nuovo dichiarare che era arrabbiato con lui e Axel avrebbe dovuto dichiarare che era dispiaciuto e lui avrebbe dovuto dichiarare che l’aveva perdonato e visto che Axel rideva in continuazione gli sembrava una cosa lunga.

«Roxas, il tuo è chiaramente un tentativo di uccidermi.»

«Non credo di volerti uccidere. Rispondimi, dai, non posso perderci tutto il giorno.»

Axel finse di pensare con gli occhi al cielo e si toccò il mento con un dito.

«Se ci tieni, possiamo fare pace. È così che fanno tutti gli altri, quando non sono più arrabbiati.»

«È una cosa molto lunga?»

Offendersi si stava rivelando piuttosto controproducente.

«Dipende, credo.» Gli si avvicinò, costringendolo ad alzare il viso per guardarlo, e Roxas non si mosse quando Axel si chinò per baciarlo. Una cosa stranamente fugace, difficile da ricordare, come il rumore sdrucciolevole dei loro cappucci che si toccavano. «Questa è la versione breve.»

Roxas si toccò le labbra, come se potesse memorizzare il ricordo delle sue con il tatto, attraverso i guanti di pelle.

«Capisco.»

«Ti serve altro?»

Axel stava sogghignando, come se trattenesse dietro i denti qualcosa di divertente da dire. Roxas avrebbe voluto costringerlo a parlare, ma non sapeva come. Non conosceva nessuna domanda che potesse dargli quelle risposte, così si limitò a scuotere la testa, un po’ frustrato.

«Non credo.»

«Allora andiamo. Xemnas vuole che ti accompagni.»

Roxas annuì e gli andò dietro, addentrandosi con lui nella città silenziosa. Gli sembrava di conservare sulle labbra un eco del suo calore, come se soltanto adesso, a distanza, riuscisse a ritrovare sulla pelle il ricordo della sua bocca.

Forse offendersi non era una totale perdita di tempo.



«Hai vinto, alla fine.»

«Mi avevi detto che ti serviva Roxas per risvegliarlo. Adesso ce l’abbiamo.»

«Il prezzo è stato alto. Ne è valsa la pena?»

«Mi stai chiedendo se me ne pentirò?»



Era seduto sul suo letto quando Axel, senza motivo, si era accoccolato alle sue spalle. L’aveva inglobato tra le sue gambe lunghissime ed aveva costretto la sua schiena ad aderirgli al petto. Le mani avevano raggiunto le sue, che teneva abbandonate sulle cosce, e le avevano toccate pensosamente.

Gli sembrava di ricordare che quelle si chiamassero carezze.

«Axel…?»

«Ti do fastidio?»

Esitò. Non era quello il punto.

Il punto era che non capiva. Non capiva perché Axel lo toccasse, lo baciasse, lo stringesse, lo accarezzasse. Non capiva perché Axel continuasse a cercarlo, come non capiva la pioggia battente di quel mondo, il motivo per cui Xemnas gli ordinasse sempre e comunque di uccidere Heartless, il modo in cui il numero II giocava con lui come se fosse una bestiola curiosa ed il comportamento senza senso del numero IX. Non capiva perché era lì, ed ormai aveva collezionato così tante domande senza risposta che aveva smesso di chiedere.

Però Axel non gli dava fastidio, ed in fondo, da qualche parte dentro il suo corpo, qualcosa supplicava perché non smettesse di fare quelle cose senza senso come regalargli un gelato al sale marino quando era triste e condividere il suo calore con lui quando aveva freddo. Senza nessuna ragione.

«No. Resta.»

Axel mugugnò in segno d’assenso e posò il mento sulla sua spalla. Roxas aspettò un attimo, come per assicurarsi di non essere scoperto, poi si rilassò contro il suo petto ed appoggiò il capo contro il suo.

Axel prima o poi si sarebbe rotto a forza di piegarsi in quel modo per abbracciarlo. Però era piacevole essere inglobato da lui, sopiva almeno un po’ la sensazione di solitudine desolante che agonizzava dentro il suo petto.

Poi Axel strofinò la tempia contro i suoi capelli e sospirò.

«Sei cambiato.»

Suonava come un’accusa, e Roxas si irrigidì.

«Non è vero.»

«Sì, invece. Non lo capisco. Noi non possiamo cambiare.»

Si agitò tra le sue braccia, mentre gli angoli delle sue labbra, senza controllo, slittavano verso il basso. Axel lo chiamava mettere il broncio. A lui non piaceva, gli sembrava una cosa da bambini, ma purtroppo gli capitava spesso, e non poteva farci niente. Detestava non avere il controllo sul suo corpo, era orribile.

Lo consolava un po’ sapere che Axel invece lo trovasse… come diceva?... carino.

«Se non ti piaccio più posso sempre andarmene.»

La risata liquida di Axel scivolò nel suo orecchio come una cascata, accompagnata dal calore umido del suo respiro, e trattenuto tra le sue braccia lunghe Roxas si calmò. Si lasciò stringere, dolcemente, e quando fu convinto di non essere visto si aggrappò alle mani che Axel gli aveva allacciato attorno alla vita.

Non sapeva perché, ma gli sembrava che nonostante Axel avesse cercato di dissimularlo le sue parole fossero state incredibilmente tristi.



«In fondo è solo l’ultimo anello di una catena di pezzi smarriti.»

«Non me ne pentirò.»

«Se funzionerà, intendi?»

«Se funzionerà, ne sarà valsa la pena.»



La savana sembrava non avere fine.

Gli ricordava il mare, nella linea sottile che divideva la terra dal cielo. E quando il sole gigantesco scendeva oltre il confine del mondo era come se si tuffasse nell’oceano.

Si grattò il naso con una zampa, traballando incerto sulle quattro gambe di quella nuova forma, e guardò risentito il grosso leone dall’appuntita criniera rossa che si stirava all’ombra di una pianta.

«Perché mi hai portato qui? Non mi sembra che Xemnas ce l’abbia ordinato» si lamentò, scacciando una mosca con la coda e trotterellando verso di lui.

Axel si accucciò sull’erba rada e fece un enorme sbadiglio, facendolo assistere controvoglia all’esibizione di tutte le sue zanne. Poi strofinò la testa contro le zampe e ce l’appoggiò sopra, chiudendo gli occhi.

Roxas sospirò. Come al solito Axel non aveva voglia di rispondergli, e così, offeso, iniziò a guardarsi attorno. Gli altri animali vagavano per la savana un po’ incerti, come se si fossero appena svegliati da un sonno lunghissimo.

Era saltato su un sasso e stava osservando da lontano alcune gazzelle che si stavano riunendo spaventate attorno ad una pozza d’acqua, quando Axel si decise a degnarlo della sua attenzione.

«Smettila di girare in quel modo, vieni qui» brontolò, a voce bassa ed un po’ impastata.

Roxas si girò a guardarlo, mentre sonnecchiava vicino al vecchio albero nodoso, e dopo aver riconosciuto che quella che gli brontolava nello stomaco a guardare le gazzelle era proprio fame trottò fino a lui. Era un piacere notare che diventava più esperto nell’uso di quella forma ad ogni minuto che passava.

«Che c’è?» domandò, avvicinandosi al leone accucciato. Non pensava che potesse essere un pericolo, non in quelle condizioni, ma quando Axel lo catturò con una zampa grande la metà del suo intero corpo rivalutò in un attimo tutte le proprie opinioni.

«Preso.»

«Ehi!» si lamentò Roxas, dibattendosi, mentre Axel se lo tirava vicino e lo incastrava tra il proprio corpo e la zampa caldissima che lo tratteneva.

Pensava che quello fosse il massimo dell’umiliazione che sarebbe stato costretto a subire, almeno fino a quando Axel non iniziò a leccargli pigramente la testa con una lingua calda e ruvida che affondava tra i suoi capelli, grattandogli la cute.

«Smettila subito! Che schifo!» strillò, tentando pateticamente di imitare un ruggito, ma Axel lo ignorò. Roxas cercò di liberarsi ancora un po’, almeno per salvaguardare quello che restava della sua dignità, ma poi realizzò che era meno umiliante subire. Così si arrese e si accoccolò meglio contro il suo petto, e come premio Axel iniziò a mordicchiargli la pelle sensibile della nuca. Roxas si rilassò totalmente e chiuse gli occhi.

«Perché sembrano tutti un po’ spaesati, in questo mondo?» domandò dopo un po’, pigramente. Per rispondergli, Axel smise di leccargli il collo, e Roxas ne sentì la mancanza.

«Perché sono appena tornati.»

«Che significa?»

Axel tentennò un attimo, e poi sospirò.

«Lascia stare.»

L’ultimo vicolo cieco di un’intera città di vicoli ciechi.

Roxas fece per protestare, ma Axel lo lasciò andare di scatto e si alzò, come se si fosse dimenticato qualcosa di importante. Improvvisamente lontano dal calore bruciante del suo corpo, Roxas fu costretto a lottare per non rimettersi subito a cercarlo.

Si rialzò anche lui, un po’ risentito.

«Almeno puoi dirmi perché siamo qui?!»

Axel lo guardò, sogghignando, e Roxas pensò che il suo sorriso affilato sembrava nato sul muso di un leone.

«Perché pensavo che in questa forma saresti stato incredibilmente carino. Fa piacere sapere che non mi sbagliavo.»

Roxas soffiò, e colpì il suo muso sogghignante con una zampata.



«Quanto ci vorrà?»

«Non lo so. I suoi ricordi…»

«Sono diversi da quelli di un essere umano?»

«Non lo so. Non credo sia questo. Gli anelli che li legano sono così stretti…»

«Stretti? Che significa?»

«Io… credo che non voglia perderli.»



Roxas abbassò il cappuccio e tirò giù la zip, sconfitto dal caldo tremendo di quel mondo.

Invidiava Axel, che invece sembrava perfettamente a proprio agio. Si era tolto gli stivali e stava agitando i piedi nudi nell’acqua, seduto su un sasso, mentre osservava il deserto che si perdeva in lontananza, oltre gli alberi verdi dell’oasi.

«Sei già stato qui?» gli domandò, arrancando sotto un albero lì vicino e lasciandosi cadere a peso morto.

«Qualche volta.»

Roxas appoggiò la testa al tronco ruvido della palma e chiuse gli occhi, ascoltando il suono dei piedi di Axel che sguazzavano ed il respiro leggerissimo del vento.

Poi aprì gli occhi a mezzo, pigramente, e chiese: «Tu ricordi qualcosa di prima

«Prima di cosa?»

«Prima del tuo nuovo nome.»

Axel tentennò.

«Qualcosa.»

«Quindi sai da dove vieni.»

Non era una domanda, ed Axel non esitò.

«Certo.»

«E potresti tornarci, se lo volessi.»

«Potrei.»

Roxas accarezzò il manto lussureggiante d’erba su cui era seduto, e dopo un lungo attimo, finalmente, lo domandò: «Perché non lo fai?»

La risata di Axel era bassa, liscia come seta.

«A che scopo? Nessuno si ricorda di me. Del vecchio me.»

«Come fai a saperlo?»

«Lo so e basta.»

Roxas chiuse gli occhi. Pensava che fosse una cosa triste, anche se Axel non lo era affatto.

«Io non potrei mai dimenticarti.»

Axel ghignò: «Siamo Nobody. Per noi che non abbiamo un cuore, dimenticare è come morire.»

«Io non ti dimenticherò» ripeté, con voce più sicura, e sentì Axel ridere forte.

«Dimenticarmi sarebbe l’unico modo che avresti per uccidermi!»

Roxas, lentamente, sorrise.

«Non ti dimenticherò.»



È una promessa.



«Divertente. Un Nobody che si aggrappa all’unica cosa che ha.»

«Sarà un problema per lui

«…hai paura che Sora possa ricordare qualcos’altro, Riku?»



Il verde profondo dei suoi occhi sembrava incandescente, mentre gli afferrava il cappotto e lo attirava tra le sue gambe. Roxas lo lasciò fare, avvicinandosi fino a quando non sentì un ginocchio sbattere contro l’asse del letto su cui Axel era seduto.

Axel voleva qualcosa da lui. Era chiaro, dal modo in cui lo fissava, ma Roxas non capiva cosa cercasse nei suoi occhi. Solo quando iniziò ad abbassargli la zip, lento come se si aspettasse un rifiuto, capì che gli stava silenziosamente chiedendo il permesso.

E Roxas, sentendo di avere quello che avrebbe potuto definire il cuore di Axel nel palmo di una mano, gli accarezzò le labbra con la punta delle dita.

Sentì Axel sorridere sotto i polpastrelli, mentre gli abbassava il cappotto come se avesse avuto paura di romperlo. Poi, con devozione, gli accarezzò le spalle e si protese a baciargli una clavicola, e nonostante fosse seduto non dovette neanche faticare per arrivarci.

La sensazione delle sue labbra sulla pelle nuda era come una scossa elettrica. Lo toccava, profondamente, come se scavasse nella pelle e sciogliesse la carne, i muscoli e le ossa. La sua bocca era bollente.

E quando Axel lo attirò verso il basso, facendolo sedere su una coscia come se fosse stato una bambolina, non oppose resistenza.

Roxas si protese verso di lui, un po’ incerto, ed Axel colse la sua muta richiesta e lo baciò. A lungo, gentilmente, perdendo tempo a leccargli le labbra per farle schiudere e cercandogli la lingua.

Poi Roxas gli appoggiò la testa contro una spalla, ed Axel, che gli stava facendo scendere il cappotto lungo la schiena, si fermò.

«Hai paura?»

Roxas si aggrappò al cuoio ruvido dei suoi vestiti, mentre chiudeva gli occhi.

«No.»

Fu la prima volta che sentì la dolcezza nella sua risata aguzza.

«Bugiardo.»



Era fatto a pezzi, distrutto, sgretolato.

Si aggrappava ad ogni frammento, mentre dall’alto, impietosa, una mano terribile e bianchissima gli strappava di mano ogni singolo relitto che riuscisse a stringere.

Era strano che qualcosa di tanto crudele sembrasse così tremendamente triste.



«Avanti, Naminé. Rompi le catene dei suoi ricordi, e finiamola con questa storia.»

«Ma Riku…»

«Smettila. Non sono più Riku.»

«Riku. Vuoi fare questo all’altra metà di Sora?»

«…quello non è Sora. Sora è chiuso nel pod, ricordi? Ed io farò di tutto perché si risvegli.»



Stavano litigando per una sciocchezza. Poi, improvvisamente, Roxas aveva scagliato entrambi in quella terra di nessuno che non dovevano mai calpestare.

«Qual è il senso di questa guerra? Chi sono io, davvero? Perché ho il Keyblade?» Strinse le mani a pugno, mentre la sua voce riecheggiava per tutto il Belvedere sul Crepuscolo. «Chi è Sora? Chi è Sora

Non avrebbe mai dimenticato la sfumatura di totale, vulnerabile impotenza nello sguardo di Axel, quando aveva abbassato le braccia che stava agitando nella foga della discussione ed aveva scosso la testa.

Erano rimasti in silenzio a lungo, dopo quello, ma quando Axel aveva cercato di avvicinarsi e di toccarlo Roxas l’aveva fulminato con lo sguardo ed era indietreggiato.

Non ricordava di aver mai visto i suoi occhi così tristi.

«Quand’è che sei diventato così freddo?»

Roxas aveva abbassato gli occhi.

«Non ricordo.»

Avrebbe dovuto saperlo che si stava avvicinando la fine.



«Credo che dovremmo dirgli cosa lo aspetta.»

«Perché? Persino gli animali vengono storditi prima di essere macellati. Non ha senso prolungare la sua agonia.»

«Dovrebbe poter ricordare quello che era. Forse sceglierebbe spontaneamente di riunirsi a Sora. Così riavrebbe un cuore…»

«Il cuore di Sora è solo suo. Non ho riportato indietro il suo Nobody per costringerlo a dividerlo con qualcuno.»

«Tu dovresti sapere molto bene cosa si prova, non è vero?»

«Non sono affari che ti riguardano, DiZ. Naminé?»

«Non ho scelta, vero?»

«Dobbiamo risvegliare Sora.»

«Consolati, Naminé. Non sei l’unica a non avere scelta. Non ho ragione, Riku?»



Poteva contare sulla punta delle dita le volte che Axel si era svegliato dopo di lui.

Forse c’era un motivo per cui quella volta, proprio il giorno in cui sarebbe sceso nella Dark City senza più tornare indietro, era riuscito ad osservarlo per un’ora intera prima che i suoi occhi si aprissero sul bianco accecante di Castle That Never Was.

Axel dormiva sempre sulla schiena. Probabilmente lo faceva per essere pronto a reagire in caso di pericolo, e quella era la posizione meno svantaggiosa, ma a lui piaceva pensare che lo facesse per permettergli di rannicchiarsi nella tana calda e confortevole del suo braccio, da dove poteva scaldarsi il naso sfregandolo contro il suo petto.

Raggomitolato sul letto, abbracciando le ginocchia premute contro il torace, Roxas lo studiò in silenzio, a lungo. Non lo toccò, perché sapeva che se solo l’avesse sfiorato Axel si sarebbe svegliato. E c’erano cose che poteva pensare soltanto guardandolo senza essere guardato.

C’erano così tante domande che avrebbe voluto fargli, domande che sapeva sarebbero rimaste senza risposta. Ma quelle che premevano contro le sue labbra chiuse, quelle che sarebbero rimaste per sempre senza voce, non riguardavano né Kingdom Hearts, né i Keyblade, né Sora.

Se dirmi la verità bastasse a farmi cambiare idea, lo faresti?

Iniziava a pensare che non ci fosse più nulla a trattenerlo, su quel relitto scuro e buio che di mondo aveva soltanto il nome.

Se dovessi decidere di andarmene, mi tratterresti?

Stava andando alla deriva, e l’unica fune a cui riusciva ad aggrapparsi si stava inevitabilmente logorando.

Se scegliessi di lasciarti, mi chiederesti di restare?

Le uniche domande che non avrebbe mai fatto.

Le uniche risposte di cui avesse davvero paura.

Nel momento in cui fu catturato dalla corrente, il suono della fune che si spezzava sembrò sgretolare il mondo.



«Basta. Se vado avanti… se continuo a distruggere gli anelli che collegano i suoi ricordi… la sua mente potrebbe collassare.»



World That Never Was fu il primo ad andarsene.

Il bianco che si affievoliva, sprofondando nel grigio informe.



«Con Sora l’hai fatto.»



La sua stanza che si annebbiava.



«Sora aveva anche un cuore.»



Il suono della pioggia battente della Dark City che diventava sempre più leggero, fino a morire.



«Sii ragionevole, Naminé. Non possiamo lasciarlo libero, se ricorda cos’è e cosa è capace di fare. È troppo pericoloso.»



I volti conosciuti che si oscuravano sotto i cappucci.

Il grigio che inghiottiva ogni forma.



«Fallo e basta. Non puoi scegliere, esattamente come lui.»



Axel che gli diceva di non tradire l’Organizzazione.

Axel che gli diceva di non andare.

Troppo tardi.

Troppo tardi.



«Non posso. Non posso!»



Si stava perdendo.

Rimaneva solo una figura su una torre, ancora distinguibile nella nebbia. Rosso su nero. Vivida come un fiore velenoso. L’unica cosa definita, in un universo mutevole che stava perdendo i suoi contorni.



Il suo strano modo di sedere gli era rimasto impresso.

Il suo corpo sproporzionato era scavato nella sua testa.

Le sue braccia lunghissime e le sue mani, che ricordava, non volevano andare via.

«Credi che questo cambierebbe, se avessimo un cuore?»

Avrebbe voluto potergli rispondere.

Avrebbe voluto dirgli che non aveva mai avuto un cuore, ma sapeva, sentiva, che non avrebbe fatto differenza. Non avrebbe potuto essere più importante di così per lui.

Ma la sua figura si affievoliva, i suoi contorni sfumavano, ed alla fine rimasero soltanto i suoi occhi verdi a scintillare in quel mondo indistinto come un acquerello bagnato. E pian piano, anche loro finirono per stemperarsi nel grigio.

Avrebbe voluto chiamarlo, ma non ricordava nessun nome con cui farlo.

Avrebbe voluto riprenderselo, ma non ricordava nessuna formula magica per riportarlo indietro.

Tese le mani per aggrapparsi alla sua immagine che svaniva, ma non riuscirono a raggiungerlo.

Rimasero a brancolare nel grigio informe, come le ali impazzite di un uccellino.



Il grigio era diventato sempre più scuro, sempre più denso, sempre più pesante. Vedeva scintillare una fiammella, oltre la portata delle sue braccia, ma più si dibatteva per afferrarla e più il grigio gli si attorcigliava addosso e lo trascinava in basso.

Si stava inabissando, quando tese le mani un’ultima volta.



Aveva promesso che non l’avrebbe dimenticato. L’aveva detto tre volte, come un giuramento.

Ma non riusciva a ricordare…



Nel silenzio, una ragazzina piangeva così forte da spezzare il cuore. La sentiva dentro, come una percussione.

Come potevano gli altri essere sordi ai suoi lamenti strazianti?



«Mi dispiace. Mi dispiace…»



Fu come se due dita la schiacciassero. Il fiore tremolante della fiammella, che riusciva quasi a toccare con le mani, si spense.



Il filo della sua memoria che veniva reciso.



Il grigio lo inghiottì, e lui, dibattendosi, annegò.



__________________________________________



Note dell’autrice:

Awn ;_; *commento sensato* L’AkuRoku è così triste, come si fa a non amarlo? ;_;

Ho scritto questa shot in una serata, e mi è uscita con una facilità sorprendente. Evidentemente dovevo scrivere qualcosa di tristerrimo su Axel e Roxas, solo che non lo sapevo ;_;

Se avete appena letto questa fic ringraziate Caska, tanto per cambiare, visto che è stata lei a linkarmi l’AMV AkuRoku BELLISSIMO che mi ha ispirata, con relativa canzone annessa. Poi ovviamente se l’è anche letta in anteprima perché è una raccomandata<3

Mi raccomando, lasciatemi un commento se passate di qua ;_; Non mangio nessuno, giuro.

Seli



  
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