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Autore: Calime    26/06/2013    4 recensioni
«Oh, chi non muore si rivede!» sghignazzò una voce roca. «Cosa hai combinato questa volta, Yakumo?»
«Niente.» rispose il ragazzo evasivo con una scrollata di spalle.
«E stai seduto dritto su quella sedia o cadi, stupido moccioso!»

Goto non ancora ispettore, uno Yakumo undicenne e una visita non voluta alla stazione di polizia.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kazutoshi Gotou, Yakumo Saito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: I personaggi non mi appartengono, ma sono di proprietà di Manabu Kaminaga e Suzuka Oda.



Nelle grinfie dell’orso





La stazione di polizia non era certo il suo posto preferito, non che lo fosse il tempio e nemmeno la scuola - ovvio. Se avesse avuto libertà di scelta sarebbe partito per l’Antartide: in fondo la compagnia dei pinguini doveva essere di certo più piacevole di…

«Oh, chi non muore si rivede!» sghignazzò una voce roca. «Cosa hai combinato questa volta, Yakumo?»

«Niente.» rispose il ragazzo evasivo con una scrollata di spalle.

«E stai seduto dritto su quella sedia o cadi, stupido moccioso!»

«Signor Goto, la smette di darmi ordini? Mi hanno portato a forza qui, io stavo tornando al tempio.» Yakumo iniziò a dondolarsi con la sedia. «Tutta colpa del suo collega che mi ha riconosciuto…» si lamentò.

«Mi stai forse provocando?!» digrignò i denti il poliziotto, rompendo la sigaretta che teneva. Imprecando, buttò il mozzicone nel posacenere.

«Posso andarmene adesso?»

«No! Prima spiegami che diavolo è successo e poi forse ti lascerò andare.»

Yakumo sospirò, si sistemò in modo composto sulla sedia e restio alzò il viso tenuto fino a quel momento fuori dalla visuale del poliziotto.

Goto rilasciò un sibilo: l’occhio sinistro presentava una brutta macchia violacea, mentre sul labbro inferiore c’era del sangue ormai rappreso. Comprese subito perché la signora e il collega, che lo avevano portato lì, volevano chiamare un’ambulanza al più presto: l’iride rossa era ben visibile nonostante il gonfiore nascente della palpebra; perciò i due avevano supposto una qualche emorragia.

«Accidenti! Chi è stato?» sbottò avvicinandosi per osservare meglio. «Hai messo del ghiaccio sopra?»

Yakumo scosse la testa.

«Te lo vado a prendere. Tu non muoverti, chiaro?!» se ne andò senza aspettare risposta.

Yakumo si strinse nelle spalle, ripensando a ciò che era successo poco prima. Non era stata la prima volta, né sarebbe stata l’ultima, di questo ne era certo. La gente, semplicemente, non capiva.

Perciò, non aveva senso che prima la signora che l’aveva portato lì e poi il signor Goto si preoccupassero così tanto delle sue condizioni. Per non pensare poi a come l’avrebbe presa lo zio!

In ogni caso, sarebbe stato meglio tornare al tempio che stare lì: non gli piacevano le stazioni di polizia…

«Toh! Chiudi l’occhio e metticelo sopra.» ritornò Goto con del ghiaccio sintetico e una pezzuola.

«Ahio!» si lasciò sfuggire Yakumo per il dolore, quando sentì freddo sull’occhio pesto.

«Che dice tuo zio Isshin?»

Il ragazzo ignorò la domanda del poliziotto, interessato più a tastarsi il labbro per verificare se la ferita stesse ancora sanguinando e quanto effettivamente si fosse gonfiato. Il verdetto fu che le aveva prese, ma di questo ne era già consapevole. Forse aveva anche qualche livido… Sulla coscia destra di sicuro, dove l’avevano colpito con un calcio per farlo cadere rovinosamente a terra, e perciò anche sul sedere. Ma non era importante che il signor Goto lo sapesse, no?

Smise di concentrarsi sulle ferite di guerra quando si sentì strattonare per il colletto della maglietta. Premette involontariamente col ghiaccio sull’occhio contuso.

«Accidenti, signor Goto!!» sibilò protestando per la violenza con cui l’aveva afferrato. Ammutolì quando fissò i suoi occhi fiammeggianti di ira e di preoccupazione malcelata.

«Non provare mai più a ignorarmi, Yakumo Saito.»

Yakumo sapeva che quando il signor Goto usava il suo nome completo di cognome c’era poco da scherzare. Lo zio Isshin forse aveva ragione a dire che era piuttosto maturo per i suoi undici anni, ma il signor Goto lo trattava sempre come un moccioso – anche in quel momento. Agli occhi del poliziotto non era più il bambino che aveva salvato appena in tempo dalla follia della madre, ma uno dei tanti complessati ragazzi fermati per uso di droga che capitavano lì di tanto in tanto. Si sentiva come uno di loro: se fosse riuscito a giocarsela bene, avrebbe evitato lo strizzacervelli.

«Ti ho chiesto cosa pensa tuo zio Isshin di tutto questo.» scandì il signor Goto a pochi centimetri dal suo volto, liberandolo.

Yakumo ricadde sulla sedia più contuso e dolorante di quanto lo fosse stato pochi minuti prima. Potevano anche punzecchiarsi a vicenda con battutine anche piuttosto acide e scorbutiche, ma mai quando si trattava di argomenti seri e delicati.

«Ti hanno picchiato di nuovo.» continuò il poliziotto in tono serio con le braccia incrociate al petto.

Yakumo non si premurò neanche questa volta di rispondergli: era più che evidente.

«Non è niente. A parte l’occhio nero, il labbro sta già guarendo.» disse calmo dopo qualche minuto di silenzio.

Goto bofonchiò un’imprecazione sulla sua stupidità.

«Cosa devo fare con te?!» si esasperò poi.

«Niente. Si preoccupi piuttosto di sua moglie che lo ha abbandonato, signor Goto.» sviò Yakumo, sapendo che lui avrebbe colto la provocazione.

«E tu come lo sai, piccolo impiccione che non sei altro?!» abboccò infatti Goto.

«Le notizie arrivano e gli uccellini cantano.» sogghignò il ragazzo. «Adesso posso tornare al tempio?»

«Adesso ti porto nel mio ufficio, ti metti a fare i compiti e aspetti che finisca il turno. Poi ti riaccompagno al tempio.» rispose alzando appena il pollice della mano in direzione dell’ufficio.

Yakumo sospirò con irritazione.

«Non sono più un bambino! E lei non è mio padre!» protestò con veemenza. S’incupì, abbassando la mano con cui teneva ancora il ghiaccio sintetico. «Non è neanche mio zio! Ma insomma, che avete tutti quanti??» scoppiò.

Goto rimase ad osservarlo in silenzio, tranquillo, nonostante Yakumo si fosse alzato barcollando per un giramento di testa che non aveva previsto. Lasciò che gli si avvicinasse, che afferrasse il tessuto della maglietta della divisa, che lo stringesse con violenza nei pugni chiusi e sudati, che lo guardasse con disprezzo – No, con disperazione. Furioso come un animale in gabbia, ferito troppo profondamente, appesantito dal fardello di un “dono” non voluto.

Quant’altra sofferenza, dolore, oscurità, avrebbero visto quell’occhio rosso?

«La signora e il poliziotto che hanno voluto portarmi qui a forza, lei, mio zio!!» stava ancora urlando. «Io volevo soltanto essere lasciato in pace! Non è colpa mia se nello scantinato della scuola c’è l’anima di un bambino morto!! Che mi picchino pure, non mi interessa!! Loro non capiscono e neanche mio zio capisce!»

Yakumo s’interruppe, sgranò gli occhi sgomento e indietreggiò, lasciando andare la maglietta del poliziotto.
«Io sto bene. Sto bene!» tremò. «E… è inutile che vi preoccupiate per me!! Siete tutti degli stupidi!!» afferrò lo zaino ai piedi della sedia e con il ghiaccio ancora in mano corse a chiudersi nell’ufficio del poliziotto.

Goto lo seguì con lo sguardo fino a quando non vide altro che la porta rovinata dall’usura e dallo sporco del proprio ufficio, – ufficio era comunque un eufemismo, perché uno sgabuzzino delle scope sarebbe risultato sicuramente più spazioso al suo confronto.

Abbassò gli occhi sul pavimento incrostato qua e là di macchie di caffè, nicotina e altra sporcizia. Be’, l’indomani sarebbe stato giorno di pulizie, ma non era quello il punto. Si accarezzò il mento pungente di un accenno di barba con aria pensierosa.

Cosa poteva fare lui se non quello che stava già facendo?

Yakumo era ancora un bambino, troppo giovane e ottuso, nonché scostante e scontroso. Un ragazzo difficile l’avrebbero definito i colleghi – ed anche lui , ma prima di essere un poliziotto era un essere umano e in quanto tale si rifiutava di lasciarlo andare, di abbandonarlo. Certo, non poteva sostituirsi ai suoi genitori né a suo zio, che rispettava molto come persona. Sapeva che nelle mani di uno come Isshin, Yakumo sarebbe stato al sicuro.

Certo, entro le mura del tempio, ma fuori? Fuori era esposto alla curiosità, al disprezzo e alla cattiveria della gente. Il mondo era troppo pieno di sé, le persone troppo egoiste ed egocentriche per curarsi di ciò che dicevano, che facevano, e delle conseguenze che avrebbero potuto provocare in un animo giovane ed ingenuo come poteva essere quello di un ragazzino di appena undici anni. Perché se Yakumo cominciava a capire quanto il mondo fosse crudele, ciò non giustificava il fatto che cadesse vittima di certe situazioni. Come quella appena accaduta: preso a suon di pugni solo per aver detto di aver visto un fantasma.

La paura era davvero una brutta bestia.

E poi, già a quell’età Yakumo mostrava un secco cinismo e un rifiuto totale di affetto – ne aveva appena data dimostrazione.

Non andava per niente bene.

Proprio per niente.

«Maledizione!» imprecò a denti stretti, sbattendo il pugno sul legno della scrivania.

Ci teneva a quel ragazzino. E sapeva che non avrebbe dovuto avere più contatti con lui – chi avrebbe voluto avere quel tipo di legame? Avere accanto la persona che ti ricordava la cosa più atroce che mai sarebbe dovuta succedere ad un bambino... Anche lui sarebbe fuggito disgustato.

E invece, eccoli lì, a pochi metri di distanza e con una semplice porta di compensato a separarli. Non era riuscito a lasciarlo in pace, non dopo aver incrociato nuovamente il suo sguardo bicolore e averci visto la disperazione e una muta richiesta di aiuto.

Con un sospiro stanco Goto si ricompose, passandosi una mano tra i corti capelli scompigliati. Andò al distributore dell’acqua per dissetare la gola secca e prese in considerazione l’idea di accendersi un’altra sigaretta.

Almeno, si rincuorò, non è scappato via.

Dalla tasca dei pantaloni tirò fuori il pacchetto di sigarette e ne prese una tra le labbra.

«Dannazione!» si lamentò non trovando l’accendino.

L’aveva dimenticato nell’ufficio.


*



Due colpi secchi.

«Ehi, Yakumo! Esci fuori che ti riaccompagno a casa!» gridò Goto per farsi sentire oltre l’ostacolo della porta.

Il rumore che avrebbe dovuto sentire attraverso il compensato non arrivò alle sue attente orecchie.

Forse era scappato dalla finestra?

Naaah…

O sì?

Senza pensarci un secondo in più si affrettò ad aprire.

«Yakumo!!»

Subito i suoi occhi lo individuarono sdraiato in modo scomposto sull’unica comodità consentitagli in quella piccola stazione di polizia. La poltrona di un orrendo color marrone – a sentire sua moglie – non era stata sicuramente progettata per dormirci sopra, ma Yakumo doveva averla trovata davvero comoda, oppure era stato così distrutto da quella giornata, che ci si era addormentato così profondamente da non averlo sentito urlare.

«Ma tu guarda…» mormorò con un mezzo sorriso.

Yakumo era rannicchiato su se stesso: la testa su un bracciolo e le gambe a penzoloni sull’altro. La pezzuola e il ghiaccio sintetico, ormai sciolto e inutilizzabile, erano caduti a terra dove avevano lasciato una piccola pozza d’acqua.

Sulla scrivania stavano tutti i rapporti e le carte che avrebbe sistemato l’indomani, perciò suppose che il ragazzo non avesse neanche aperto libro per tutte quelle ore.

Gli si avvicinò.

«Ehi, stupido moccioso. Svegliati, su!» lo scosse da una spalla.

Yakumo mugugnò infastidito, socchiudendo appena gli occhi. Quando andò a sfregarli con una mano chiusa a pugno, si dimenticò di andarci piano con quello pesto e sussultò per il dolore e per la sorpresa di trovarlo più gonfio di quanto si fosse aspettato.

Sbadigliò.

«Avanti, torniamo a casa. Tutti e due.» Goto gli diede una piccola pacca sulla spalla.

«Non è casa mia. È il tempio di mio zio.» puntualizzò Yakumo stiracchiandosi.

«È casa tua, invece, testone. E farai bene a tenertela cara.» replicò Goto, aiutandolo ad alzarsi.

Yakumo allontanò la sua grande e callosa mano, troppo orgoglioso per ammettere di aver bisogno di quella piccola gentilezza.

Goto abbozzò un mezzo sorriso, alzandosi per mettere a posto il ghiaccio sintetico nel freezer e la pezzuola sulla scrivania.

«Cosa fa adesso? È passato alla compassione?» chiese Yakumo in modo brusco, ricordandosi di cosa fosse successo qualche ora prima.

«Ah, quanto fai il difficile, ragazzino!»

Per ripicca Goto gli si avvicinò nuovamente e lo afferrò con entrambe le mani dalla vita sollevandolo di peso. Yakumo lanciò un urlo preso alla sprovvista e si affrettò a tenersi dalle forti braccia del poliziotto.

Tenendolo sospeso sopra di sé e guardandolo dal basso verso l’alto, Goto sghignazzò.

«Sei ancora uno scricciolo!» rise per la leggerezza del suo peso. «Mangi abbastanza?»

«Eh?!» si indignò Yakumo, scalciando per obbligarlo a farlo scendere. «Mi metta giù! Signor Goto!!»

Goto se lo caricò in spalla come un sacco di patate, prese la giacca della divisa e lo zaino di Yakumo e uscì dall’ufficio, chiudendo la porta a chiave.

«Prima di andare al tempio, passiamo a mangiare qualcosa. Ho già avvertito tuo zio, mentre tu ronfavi nel mio ufficio.» rise. «Che ne dici di un bel cheeseburger? Con tante patatine e un bel gelato!» si entusiasmò ignorando palesemente le proteste e i pugni di Yakumo.

«Un giorno la denuncerò per maltrattamenti!!» lo minacciò.

Goto lo ignorò nuovamente, continuando a camminare con un ghigno divertito.

Eh sì, voleva davvero bene a quel moccioso.


















Buongiorno!!

Siete già in vacanza?! Beati voi, io sono leggermente presa dagli esami universitari… Appunto perché sto fondendo, mi sono decisa a pubblicare qualcos’altro.
Scusate, ma solo a me sono venuti i lucciconi agli occhi nel volume 5 a leggere e vedere quella scena in macchina tra Yakumo e Goto??? Non voglio fare spoiler, però a me è piaciuta davvero tanto tanto. Che poi, ovviamente, non riescono a stare seri per più di qualche pagina senza che uno dei due non rovini il tutto xD
Vabbè, passiamo alla one-shot...
Goto è poliziotto perché penso sia plausibile che quando Yakumo avesse l’età in cui ho ambientato la storia, non fosse ancora stato promosso, no? In ogni caso, siate clementi e datemela buona x)
Yakumo è più scostante del solito oltre che arrogante e un po’ impulsivo e irascibile, diciamo. Però, ce ne vuole per superare quello che ha passato lui, quindi me lo sono immaginato come un ragazzo difficile ma non troppo.
Non ho indagato a fondo i pensieri e la psicologia di entrambi e neanche ho spiegato per bene tutta la dinamica del piccolo incidente di Yakumo, perché non era quello che mi interessava... Ho voluto semplicemente cogliere un momento tra i due: perché non c’è solo l’aspetto romantico con Haruka, ma anche questo rapporto bellissimo che Yakumo ha con l’ispettore.
Morale della favola: ho inventato tutto di sana pianta! Non sapendo cosa sia effettivamente successo da quando Goto lo ha salvato, ho dovuto per forza di cose inventare.
Ho cercato di mantenere l’IC per quanto possibile, appunto perché la one-shot è ambientata anni addietro ai fatti del manga.
Sperando che vi sia piaciuta almeno un pochino, vi ringrazio dal cuore per aver letto :)

Alla prossima,
Calime


   
 
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