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Autore: Slan Soulblaze    09/01/2008    5 recensioni
Quel giorno, nessuno stava aspettando Godot. (ATTENZIONE: Spoiler pesanti su Trials and Tribulations!)
Genere: Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Godot
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Come se qualcuno avesse tirato d'improvviso un immaginario interruttore dentro la sua testa, l'uomo aprì gli occhi. O meglio, seppe di averli aperti, benché tutto restasse avvolto in una fitta coltre d'impenetrabile oscurità. Era cosciente: tatto e udito stavano tornando lentamente in linea. Restò in ascolto dei rumori attutiti che provenivano dalla strada sottostante e di un suono breve, acuto e regolare molto vicino a lui. Percepì qualcosa di morbido sotto la testa e il corpo e dedusse di essere sdraiato, probabilmente su un letto; ritornando sulle frasi che aveva appena pensato, si chiese perché conoscesse quelle parole e cosa significassero. Qualcosa pungeva nella piega interna del gomito sinistro. Un peso gli gravava sul petto e quando tentò scoprì di non riuscire ad inspirare a fondo, ma sentì ugualmente che nell'aria aleggiava un odore di disinfettanti e medicinali. Aveva la gola secca e, quando se ne rese conto, provò una forte voglia di mandar giù una tazza di buon caffè; tutto d'un tratto capì. Capì dove si trovava, ricordò come e perché c'era arrivato, gli tornò alla mente il dolore insopportabile che lo aveva paralizzato, irradiandosi come schegge di un vetro rotto dal suo stomaco a ogni fibra del suo essere, prima di perdere conoscenza; il proprio nome gli affiorò alle labbra.
Tentò di alzare la testa dal cuscino, ma furono sufficienti pochi secondi perché vi ricadesse totalmente privo di forze, costretto da quella che gli sembrava una mano che facesse pressione sulla sua fronte spingendogli crudelmente la testa verso il basso. Da quanto era disteso lì, visto che era così debole? Una settimana, un mese? Perché era ancora così buio attorno a lui? Si era risvegliato nel cuore della notte? Bel momento aveva scelto per riprendere conoscenza. Ma almeno ora i dottori avrebbero chiamato i suoi conoscenti, magari avrebbe rivisto presto Mia, si sarebbe scusato per averla lasciata sola, povera gattina ancora giovane e inesperta, e le avrebbe detto che l'amava. Fantasticò che si trovasse già lì e che si fosse addormentata, non accorgendosi che nel frattempo lui era tornato nel mondo dei vivi.
"C'è... c'è qualcuno? Mia...?" La voce gli uscì sottile come un soffio, e quasi non la riconobbe come propria. Non rispose nessuno, ma udì i passi di almeno due persone avvicinarsi di corsa dalla sua destra.
"Signor Armando!" Un uomo, forse sulla cinquantina, probabilmente un medico. "Non si sforzi troppo e non si agiti. Come si sente...?" Pur debole, Armando arricciò le labbra nel suo usuale sorriso obliquo e compiaciuto, che sempre gli sorgeva spontaneo in quelle situazioni. Non poteva certo sapere che in quel momento la sua espressione somigliava maggiormente a un ghigno contorto e amaro. "Immagino... meglio di quanto sarebbe lecito... aspettarsi..." Non finì la frase, fu ghermito da un accesso di tosse che gli sembrò interminabile e lo lasciò esausto.
"Parli più lentamente che le riesce e tenga la voce bassa", replicò il medico, con tono che lui interpretò come paterno, mentre gli poggiava le mani sulle spalle e continuava a parlargli. "Dovrà sottoporsi a un periodo di riabilitazione. Dopotutto, è restato in coma per cinque anni... francamente cominciavamo a perdere le speranze".
Momento di gelo. Cinque dannatissimi anni? Gli pareva d'aver dormito un giorno al massimo. "Doppie congratulazioni a me... per questo e per avervi fatto correre qui a notte fonda", rise sommessamente. A questo suo ultimo sussurro sentì una cappa di disagio piombare sull'intera stanza. Il medico restò in silenzo per un pezzo prima di aprir bocca nuovamente; si lasciò sfuggire un sospiro. "Signor Armando", disse poi, pesando con cautela ogni singola parola, "la prego di rimanere calmo. Lei ha subito gravi danni conseguenti allo shock da avvelenamento. Le sostanze tossiche le hanno causato la perdita della vista totale e permanente. Sono... spiacente". Parve inciampare sull'ultima frase, quasi non la considerasse adeguata alla circostanza, e si affrettò subito ad aggiungere: "È mio dovere informarla, comunque, che è stato recentemente messo a punto un dispositivo medico che, se acconsentisse di sottoporsi al trattamento, le permetterebbe di condurre una vita perfettamente normale..."
Armando non rispose. Deglutì una volta, con difficoltà. Poi bisbigliò: "Mia... Mia Fey?"
"Cosa?" Il dottore non pareva aver compreso la domanda. "Mia Fey, dice?" Sembrò pensare un momento, poi: "Mi dispiace, ma non credo d'aver mai sentito questo nome, anche se mi sembra familiare. È una sua conoscente?"
Una seconda voce s'interpose, esitante: una donna che doveva essere un'infermiera.
"Io credo... credo di ricordare il nome", cominciò. "Sarà stato uno oppure due anni fa. Devo averlo letto sui giornali. Potrei sbagliarmi, ma mi sembra fosse la vittima di un famoso caso di omicidio. Il colpevole fu trovato per miracolo da un..."
Ma si interruppe qui. La reazione del paziente a quelle parole costrinse tanto la donna quanto il dottore a precipitarsi verso di lui per prestargli soccorso.

***

E così, nell'archivio del dipartimento di polizia, la sua ricerca era conclusa per sempre. Per anni era rimasto sospeso tra la vita e la morte mentre Mia lottava sola, e ora che lui si era risvegliato per lei, solo per lei, non aveva ritrovato la sua mano a trarlo fuori dalle tenebre e la sua luce a rischiarargli il cammino. Tutto era scritto su quel documento, nero su bianco: parole sterili e impersonali, quasi che la tragedia che raccontavano non le riguardasse, quasi che avessero fretta di terminare per dedicarsi ad altro. Parole che, lette attraverso la luce rossastra del visore, avevano rosicchiato via il suo ultimo, labile legame col mondo. Ma adesso che era giunto il momento di farlo, quando Diego Armando sapeva che sarebbe stato giusto perché tanto le sue regole quanto i suoi sentimenti glielo dettavano, i suoi occhi ciechi non piansero. Il diritto di versare lacrime gli era stato strappato a viva forza, e per riprenderselo avrebbe dovuto combattere. No, ecco, non era ancora tutto finito: quel Phoenix Wright, che con la propria inettitudine aveva permesso che la sua unica luce si spegnesse, l'avrebbe pagata. L'avrebbe pagata cara, e sul terreno che più gli stava a cuore...
Rimise il fascicolo dove l'aveva trovato, si passò una mano tra i capelli, ridotti a candidi fili di ragnatela, e lasciò la stanza nel silenzio più assoluto.

NOTE A MARGINE: Sì, lo so che una persona appena risvegliata da un coma in teoria non dovrebbe essere in grado di parlare e di muoversi come se si fosse addormentata cinque minuti prima (Kill Bill docet! XD ). Tuttavia ho immaginato che le "avvisaglie" del risveglio (il risveglio da un coma, specie se di lunga durata, è preceduto da brevissimi momenti di "coscienza" che si ripetono nei giorni immediatamente precedenti) fossero già occorse. A parte questo... povero Diego. Non ho nient'altro da dire in proposito. :( Questa fic è nata pensando e ripensando alla sua sofferenza e, come tale, il suo intento è rendere in termini quanto più "fisici" e crudi possibile la sua salute distrutta. Non so se ci sia riuscita o meno, ma spero che almeno agli altri questo effetto venga trasmesso, tutto o in parte che sia. Ringrazio, come al solito, i miei amici e amiche per il sostegno perenne e indefesso (anche quando li tengo lontani per prevenzione spoiler)! E un grazie particolare a crimsontriforce, fida beta dei miei "cosi" PW-related! <3

DISCLAIMER: I personaggi presenti in questa storia sono proprietà di Capcom e degli aventi diritto. La storia stessa non è stata scritta per fini di lucro.

  
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