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Autore: Ffransis    27/06/2013    0 recensioni
Quinto Severino è un membro dell'aristocrazia romana. Vive a Vienne, una provincia della Gallia Narbonense, al di là delle alpi, dove oggi sorge la provenza. Dovrà combattere contro la Fortuna, il destino, e la forzata condizione di povertà a cui la guerra contro i Galli lo condurrà. Ma non sarà solo, perchè la vita del giovane romano si incrocerà con quella di una comunità di guerriere galliche, in particolare con una di cui si innamorerà perdutamente. La guerra li dividerà e li costringerà su fronti opposti, chissà se davvero amor vincit omnia oppure se saranno destinati a perire in battaglia.
La mia prima fic storica originale. Spero vi piaccia :3
I capitoli sono corti e la lettura scorrevole, mi raccomando recensite altrimenti non ha senso per me continuare la fic. Grazie mille a tutti in anticipo, mwah!
Genere: Avventura, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri
Note: Lemon, Lime, Otherverse | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza | Contesto: Antichità greco/romana
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Capitolo primo

Settembre 56 a.C. (Vienne, sei mesi dopo)

I

Q

uinto era seminudo nel proprio letto, rotolandosi lentamente di lato mentre le coperte gli si torcevano attorno, strusciando al contatto con la pelle e formando delle pieghe. Il sole era già alto in cielo, avvisando tutti che era mattina inoltrata; tuttavia lui non aveva voglia di alzarsi. Aprì gli occhi e vide la propria stanza ormai quasi del tutto spoglia: solo polvere dove prima c’erano mobili antichi, aveva dovuto vendere persino la spada arrugginita del padre per poche centinaia di monete d’argento. La verità era che Quinto non sapeva più che fare dal giorno della morte della madre, avvenuta molti mesi prima.

Quinto non sapeva neppure come amministrare i beni di famiglia, perciò, essendo male esperto, decise di cercare qualcuno in grado di svolgere questa funzione. Che purtroppo per lui andò male. Un certo Attilio Fabio, notaio di professione (o almeno così diceva di essere), aveva risposto all’appello del giovane, ma questi si era preso buona parte dell’eredità che i genitori avevano lasciato al figlio ed era scappato via improvvisamente.

Il ragazzo aveva quattordici anni e ormai viveva solo con il suo schiavo in una piccola domus quasi completamente vuota.

Quinto strizzò gli occhi con le dita per svegliarsi e vide Trebonio, il suo schiavo, sdraiato sul pagliericcio nell’angolo della propria stanza da letto. Anche lui era seminudo, ma al posto del subligar, perizoma indossato solo da membri dell’alta società romana, aveva una sorta di straccio avvolto attorno alla vita.

Provò un moto di affetto per quel giovane che gli era stato vicino per tutto il tempo senza mai lamentarsi, imparando sempre meglio il latino ogni giorno in più che passava. Lo aveva assistito durante i funerali della madre Severa, per cui il figlio aveva speso una fortuna. Funerali molto famosi per la loro magnificenza a cui prendevano parte un gran numero di persone, specie alcune donne pagate profumatamente per inscenare un folle dispiacere, urlando, piangendo e disperandosi, creando un’atmosfera ancora più funerea durante la lunga e lenta processione, che attirava anche estranei come mosche attaccate a una ragnatela. Severa venne sepolta nel cimitero dei ricchi, dietro al Tempio Massimo della città, situato a pochi passi dalla piazza centrale. Una volta finita la cerimonia Quinto si asciugò gli occhi e s’impose di non piangere oltre, non riuscendo tuttavia a tener fede alla promessa. Trebonio gli restava sempre accanto, anche se in silenzio. A un certo punto lo abbracciò da dietro, cosa che non sarebbe stata concessa ad alcuno schiavo, e tuttavia Quinto gli voleva un gran bene ed era felice di sentire del calore umano scorrergli attraverso ogni fibra del suo corpo.

«Mi dispiace signorino» disse piano lo schiavo nordico «Mi dispiace ancora di più se penso che è grazie a sua madre se noi ci siamo incontrati»

«Già» rispose il suo padroncino «Non riesco ancora a crederci. Ormai non mi resti che tu»

Trebonio lo strinse più forte ma Quinto lo scostò con fare circospetto «No. Non davanti a tutti.»

Trebonio annuì e lo seguì a casa, dove Quinto lasciò che egli lo coccolasse finché non avesse versato fino all’ultima lacrima di dispiacere.

Adesso che erano passati sei mesi il dolore si era attenuato, e tuttavia il solo pensiero lo spingeva a sentirne ancora. Finalmente si alzò dal letto, così fece pure il suo schiavo biondo. Quinto lo abbracciò, accarezzandogli il petto nudo e glabro, proprio come il suo, prima di dargli un bacio sulle labbra, cosa che lo schiavo gradì molto.

«Preparami i vestiti adesso, ho bisogno di prendere un po’ d’aria e soprattutto di mettere qualcosa sotto i denti»

«Subito padroncino» disse Trebonio, e corse via portandogli la toga bianca con ricami porpora e i sandali.

   
 
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