Anonymous
C’è qualche problema?
Un pregio che Kise
aveva sempre apprezzato di Aomine era la sua
incapacità di portare rancore. Nonostante i battibecchi, le litigate o gli
screzi, ad Aomine bastavano due giorni per
dimenticare tutto e non darci più peso. Forse perché non attribuiva tanta
importanza alle parole.
Dal canto suo, Kise non
era una persona che amava tenere il broncio con qualcuno. Di solito era sempre
lui quello che faceva il primo passo per riappacificarsi. Queste loro qualità
si erano intrecciate alla perfezione fin dalla prima controversia nata durante
una partita di allenamento.
Quella volta però la cosa era molto più seria… o
almeno lo era per Kise. Non aveva intenzione di manifestare
alcuna volontà di riconciliarsi con Aomine, perché
era certo di avere ragione.
Questo era il suo proposito per quella mattina fino
a quando non passò davanti la sua aula. Discernette la voce scherzosa di Aomine nella giungla di risate civettuole di un gruppo di
sue compagne di classe. Sapeva il significato intrinseco di quei suoni, perché
solitamente erano rivolti a lui. Futili tentativi di compiacere un ragazzo solo
per mostrare il proprio interesse.
Sentire e vedere simili atteggiamenti rivolti ad Aomine gli fece contorcere lo stomaco fino a rischiare di
rimettere la sua frugale colazione.
Ed eccolo lì, Aomine,
seduto con una gamba sul davanzale, in una posa da playboy consumato, pascersi
tra quattro studentesse dagli sguardi infuocati.
L’aveva detto che la storia yaoi
gli aveva donato nuovo fascino agli occhi delle ragazze, ma vederlo era molto
peggio di quel che Kise aveva immaginato.
“Ah, eccolo lì. Ohi, Kise.
Stavamo giusto parlando di te! Vieni qui.” Il richiamo di Aomine
lo destò dai suoi tetri pensieri. Era rimasto imbambolato davanti alla porta
dell’aula senza rendersene conto.
E poi, aveva sentito bene? Aomine
stava parlando di lui? Cioè, in mezzo a un gruppetto di ragazzine adoranti
aveva uscito proprio Kise Ryota
come argomento di conversazione? La voglia di chiedergli spiegazioni era molto
forte, ma si ricordò della discussione avvenuta solo il giorno prima e
l’orgoglio prese le redini del suo cervello. “Tra un po’ suonerà la campanella:
è meglio che vada in classe.”
Le ragazze emisero all’unisono un sospiro di
delusione.
Aomine
però non demorse. Scese dal davanzale con un saltello, gli si avvicinò e gli
passò un braccio attorno alle spalle. “Stavo raccontando di come ogni sera,
dopo gli allenamenti, mi supplichi di giocare almeno una decina di one-on-one, e soprattutto di come
ti metti in ginocchio pur di fartene concedere un altro ogni volta che perdi”
disse come se nulla fosse.
In pratica stava sfruttando ogni loro tipo di interazione
per fomentare qualsiasi fantasia yaoista nelle menti
delle sue spettatrici. Kise si chiese se Aomine comprendesse appieno gli esplosivi effetti delle sue
parole. Probabilmente no.
Non sapeva se essere sorpreso del fatto che il
compagno avesse dimenticato ciò che era successo il giorno prima tra di loro o
essere arrabbiato per averlo ridicolizzato.
Mai come in quel momento desiderò che la campanella
suonasse il prima possibile.
“Questa sera possiamo venire a vedervi?” chiese una
delle compagne di classe di Aomine.
Kise
cercò di rispondere prima che lo facesse l’altro, ma fu battuto sul tempo. “Ci
piacerebbe molto…” Aveva usato il
plurale? “… ma preferiamo restare da soli.”
Kise
poté quasi vedere nelle pupille eccitate delle ragazze ogni oscenità possibile avente
loro due per protagonisti. Nonostante il permesso negato, sembrarono al settimo
cielo. “Oh, d’accordo. Non vogliamo certo disturbarvi.”
Non gli piacque il tono malizioso dell’ultima parola, come se si supponesse che
loro facessero ben altro che giocare a basket.
Il suono della campanella fu rassicurante come il
gorgoglio di una sorgente d’acqua nel deserto.
Dopo essersi deterso il sudore in
eccesso con l’asciugamano, Aomine lo sistemò nel
borsone. Bevve qualche sorso d’acqua dalla borraccia e ripose anche questa.
Attese di sentire da un momento all’altro la voce squillante di Kise chiedergli di restare ancora un po’ per qualche one-on-one, ma non giunse nulla.
Perplesso, fece vagare lo sguardo per tutta la
palestra, ma la testa bionda del compagno non sbucò da nessuna parte.
“Kise-kun è già andato
via” lo informò Kuroko, materializzatosi al suo
fianco.
Ormai era da un bel po’ che Aomine
aveva imparato a non farsi prendere alla sprovvista, tuttavia la ricerca di Kise lo aveva distratto al punto di non accorgersi della
presenza della sua ombra. Almeno non saltava più per lo spavento come le prime
volte.
“Andato via? Quando?”
“Poco dopo che l’allenatore ha detto che per oggi
avevamo finito.”
Aomine,
confuso, si grattò la testa. “Capito.”
“Avete litigato?” indagò Kuroko.
“Certo che no!”
Kuroko
lo fissò insistentemente come se cercasse di leggergli nel pensiero, o peggio,
come se sapesse la verità e volesse costringerlo a dirla. Aomine
si sentì molto a disagio. “Be’, abbiamo discusso di una cosa, ieri. Sai… quella
storia di me e lui e del giornaletto scolastico… però alla fine abbiamo
risolto.”
“Aomine-kun.”
“Sì?”
“Sei proprio stupido.” Era disarmante il modo in cui
Kuroko riusciva a dire le peggiori cattiverie con
tanta naturalezza. Parlava come se quello che diceva non fosse una sua semplice
deduzione, ma un vero e proprio dato di fatto, inconfutabile, come dire che uno
più uno fa due e non si discute.
“Come diavolo ti viene in mente?”
“Forse quello che a te sembra un problema risolto
non lo è altrettanto per Kise-kun.”
Aomine
ci pensò su due secondi e, proprio quando sembrò raggiungere l’illuminazione,
disse: “No, non credo sia questo. Sicuramente aveva solo un impegno, stasera.
Meglio per me… oggi c’è Mai-chan in TV!”
Al terzo giorno consecutivo in cui Kise sembrava svignarsela non appena gli allenamenti
finivano, Aomine iniziò ad avere il leggero sospetto
che qualcosa non andasse. Conoscendo il compagno, come minimo gli avrebbe dato
una spiegazione per il suo comportamento, prodigandosi in mille scuse, quasi
fosse lo stesso Aomine quello che smaniava per un one-on-one in più. Per di più,
anche durante gli allenamenti, Kise era scostante ed
evitava di parlare con lui se non quando strettamente necessario.
“Sai una cosa, Tetsu?”
disse all’amico prima di andare in palestra. “Forse avevi ragione tu.”
Kuroko
lo guardò con la sua solita espressione neutra. “E cosa intendi fare?”
“Non saprei. Persino mia madre, vedendomi tornare
prima a casa in questi giorni, ha pensato che ho litigato con Kise. Comunque se lui non mi vuole parlare ci sarà un
motivo, solo che non riesco a capirlo. Potrei aspettare che gli passi.”
“Potresti andargli a parlare” suggerì Kuroko.
“E che gli dico?”
“Non saprei. Sei tu quello che gli ha fatto
qualcosa.”
“Lo sai che sei proprio un piccolo… Dai per scontato
che sia io ad avere torto!”
“Ho i miei motivi per pensarlo. Comunque sembra che
ti dispiaccia.”
“Non dire stronzate simili. Da quando quello è
entrato in squadra non ho avuto più pace. Ho ripreso un po’ di fiato…”
Kuroko
gli lanciò un’occhiata perplessa.
“Che c’è?” chiese Aomine
sulla difensiva.
“Sembrava che volessi aggiungere qualcosa.”
“No… niente… è solo che… boh, è strano…”
“Strano cosa?”
“Senti… questo discorso è strano! Fra trenta minuti
ci vediamo per gli allenamenti” disse frettolosamente Aomine,
abbandonando Kuroko sulla strada per la palestra.
Era strano non sentire più la voce argentina di Kise invitarlo (per non dire costringerlo) a giocare
insieme, od offrirgli un gelato, o dirgli qualsiasi cosa. E Kuroko
di certo non lo aiutava.
Si diresse verso il tetto della scuola. Un pisolino
di una mezz’ora lo avrebbe aiutato a schiarirsi le idee. Quali idee poi?
L’unica cosa di cui ormai era quasi certo era che Kise
ce l’avesse con lui. Davvero si trattava del fatto che avesse rinunciato
all’idea di cercare l’autore della storia yaoi? Non
c’era scritto mica da nessuna parte che dovevano farlo insieme. Non gli aveva impedito
di continuare ad indagare da solo. Se Kise voleva per
forza un compagno per fare qualsiasi cosa, be’, questi erano problemi suoi:
doveva imparare a cavarsela senza nessuno.
Aomine
arrivò a questa consapevolezza non appena spinse la porta per accedere al tetto
della scuola. Si era già preparato all’idea di trovarsi nel più completo relax,
senza nessuno che lo disturbasse con domande strane o subdoli interrogatori, ma
dovette ben presto abbandonare quell’idillio.
Il tetto era già occupato da ben cinque ragazzi.
Cazzo, addio al suo pisolino! Stava già per andarsene intento a pensare ad un
altro posto dove poter essere lasciato in pace, quando, osservando meglio gli
altri studenti, riconobbe un viso familiare: Kise.
Aveva un livido piuttosto vistoso sullo zigomo
destro. Il cravattino dell’uniforme era allentato. La posa bellicosa con cui
fronteggiava gli altri non lasciò più adito a dubbi: si era lasciato
coinvolgere in una rissa.
A giudicare dallo schieramento, il compagno era solo
contro gli altri quattro. Uno di questi aveva un rivolo di sangue che gli
usciva dal naso e tutti avevano le uniformi piuttosto stropicciate. Nonostante
l’inferiorità numerica, Kise era riuscito a tener loro
testa egregiamente, ma non sarebbe durato a lungo. Aomine
si sarebbe complimentato con lui per il coraggio, ma gli avrebbe anche fatto volentieri
una lavata di capo per la sua stupidità.
Nessuno si era accorto di lui, ma l’idea di allontanarsi
e far finta di nulla non gli passò minimamente per la testa. Avrebbe potuto
approfittare dell’effetto sorpresa, ma
se lo bruciò lasciandosi trasportare da un sentimento molto simile alla paura.
“Che sta succedendo?”
I ragazzi si voltarono all’istante verso di lui.
Dalle facce fu facile dedurre che temevano di essere stati beccati da un
professore. Quando identificarono Aomine, si
rilassarono e ostentarono dei sorrisi di scherno. “Ehi, Kise,
hai visto? Il tuo fidanzato è venuto a salvarti!”
“Il suo cosa?” gli fece eco Aomine.
“Avete rotto con questa storia!” si infervorò Kise.
“Guarda come si agita! Neanche avessi insultato tua
madre.”
Aomine
non aveva bisogno di sentire altro. La situazione era piuttosto chiara. Non
stavano offendendo solo il suo amico, ma anche lui stesso. “Ehi, teste di
cazzo” disse tranquillo, senza nessuna incrinatura nella voce.
Kise
lo guardò preoccupato, come a intimargli di non lasciarsi coinvolgere e di
scappare finché era in tempo, ma ormai aveva capito che era troppo tardi.
“Che hai detto? Un frocio come te ha chiamato me ‘testa
di cazzo’? Cos’è, un modo per dirmi che ti piaccio?
Tu sei frocio e a te piacciono i caz…” Le
provocazioni furono drasticamente interrotte da un pugno di Aomine
sul naso. Fu così potente che riuscì a sentire la cartilagine del setto nasale
rompersi sotto le nocche. I compagni, dopo un attimo di sbalordimento per
quanto successo, si avventarono su di lui come iene su una carogna.
Il ragazzo colpito si accasciò a terra coprendosi il
naso con la mano, ma l’emorragia era troppo forte per essere contenuta.
Imprecava per il dolore e si dimenava come un ossesso.
Intanto, Aomine riuscì ad assestare
un calcio ben piazzato agli stinchi di uno degli assalitori, costringendolo a
mettersi in ginocchio. Uno degli altri due riuscì a immobilizzarlo da dietro,
bloccandogli la braccia dietro la schiena in una presa ferrea, mentre l’altro
lo ricambiò con la stessa moneta. Gli sferrò un cazzotto in pieno viso, ma non
fu preciso allo stesso suo modo e colpì la guancia.
Le nocche impattarono contro l’osso dello zigomo e
il ragazzo agitò la mano per lenire il dolore.
Non un lamento di sofferenza uscì dalla bocca di Aomine, solo ringhi animaleschi per la rabbia di non
riuscire a liberarsi da quella trappola. L’adrenalina che gli scorreva nel
sangue non gli faceva sentire il dolore e lo incitava a lottare ancora.
Si preparò a ricevere il secondo pugno, ma questo
non arrivò mai. Kise aveva bloccato il braccio del
ragazzo e gli assestò una ginocchiata allo stomaco, facendolo accasciare su sé
stesso con le braccia strette attorno all’addome. Rimasto solo, l’ultimo degli
avversari lasciò andare la presa su Aomine e fece
qualche passo indietro, terrorizzato all’idea di essere indifeso.
“Sparite tutti e quattro finché avete le gambe che
vi funzionano ancora!” sbraitò Aomine e il ragazzo
non se lo fece ripetere due volte.
Prese l’amico con il naso rotto sulle spalle e
invitò gli altri ad andarsene con lui. Fuggirono come cani con le code in mezzo
alle gambe.
Quando il pericolo fu passato, Aomine
sembrò accusare tutto d’un tratto la dolenza alla guancia. Si portò la mano al
viso che bruciava e formicolava: di certo sarebbe uscito un bel livido.
Si girò verso Kise e
rimasero in silenzio a fissarsi. Nessuno sapeva cosa dire all’altro, sebbene di
cose ce ne erano parecchie.
Kise
iniziò dalla più semplice. “Grazie.”
“Di niente.”
Poi, dopo altri secondi di interminabile silenzio,
giunse la spiegazione. “Stavo camminando per i fatti miei e li ho sentiti che
mi chiamavano frocio. Mi è salito il sangue alla testa.”
Aomine
assentì con la testa. Anche se mettersi contro quattro ragazzi era stato molto
rischioso e molto stupido, non poteva rimproverarlo: in fondo, lui aveva fatto
la stessa cosa.
“Sai… ti stavo giusto cercando” disse come se fosse
qualcosa di poco conto.
Vide Kise sussultare come
colpito da una scossa elettrica. Di sicuro era l’ultima cosa che si sarebbe
aspettato di sentire. “Per dirmi cosa?”
Quella sì che era una bella domanda. Se Kuroko fosse stato lì lo avrebbe spronato a parlare chiaro,
schietto e diretto. Provò a seguire quel consiglio non detto. “C’è qualche
problema?” chiese, ma dalla faccia interrogativa del compagno capì che doveva
essere più specifico. “Tra noi, intendo.”
“No, nessuno” la risposta fu troppo tempestiva per
essere considerata sincera.
“E perché sono tre giorni che mi eviti?”
Kise
diede chiari segni di agitazione. Sì, c’era qualche problema, ma voleva evitare
di parlarne. “Non ti sto evitando, ho solo avuto molto da fare. Il lavoro, lo
studio… cose così.”
“Cose così?” Aomine non si
reputava un ragazzo troppo fantasioso, ma Kise era
anche peggio di lui quanto a inventiva.
Era evidente che non intendeva dare una spiegazione
plausibile al suo allontanamento, e Aomine non era
tipo da pregare le persone per avere delle informazioni. Almeno non poteva
rimproverarsi di non averci provato, anche se il risultato era stato deludente.
“Vado al club di giornalismo.”
“Per fare cosa? Avevi detto che non volevi saperne
più niente.” Ecco il nodo gordiano. L’eccessiva loquacità di Kise lo aveva tradito. A quanto pare era come aveva detto Kuroko: ciò che per Aomine
sembrava risolto, non lo era altrettanto per Kise.
“Questa volta ce la siamo cavata solo con qualche
livido, ma la situazione rischia di peggiorare. Intendo porre fine a questa
pagliacciata!” disse con impeto, rientrando nell’edificio.
Kise,
basito da quella decisione fulminea, fu travolto da una valanga di domande, tra
cui la più prepotente fu: Aominecchi è preoccupato
per me?
Note dell’autrice
Capitolo più lungo questa volta. Fa
schifo, ma con i tempi che corrono è già tanto se ho trovato il tempo di
scriverlo >.<
Secondo voi Aomine
ce la farà a contrastare il potere dello yaoi? L’importante
è crederci nella vita!
Sono molto laconica in questa
storia, non so perché. Ok, al prossimo capitolo allora e mi raccomando recensite
;)