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Autore: Gravirei    28/06/2013    9 recensioni
Dalla storia: "Cominciò come una normale giornata di sole a Dressrosa." Ma come può, per uno come Doflamingo, una giornata essere normale? Questa in particolare si evolverà in un modo del tutto inaspettato, come un fulmine a ciel sereno. Ed ecco che il nostro fenicottero preferito si ritroverà ad affrontare, dopo cinque anni, un passato a cui aveva cercato di scappare. Imparerà che dalle proprie responsabilità non si può scappare?
Genere: Angst, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Donquijote Doflamingo, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Cominciò come una normale giornata di sole a Dressrosa.
Sempre che la routine di una persona come Donquijote Doflamingo potesse essere considerata tale.
Alzataccia all’alba dell’una del pomeriggio -aveva voluto strafare, quel giorno-, colazione/pranzo/brunch (anzi, facciamo pure tutto insieme), una capatina in ufficio per fare un paio di chiamate di qua e di là, giusto per ricordare ai suoi sottoposti quanto poteva fargli paura, una pucciata in piscina e, per riprendersi da tutta quella fatica, un bel sonnellino sul divano.
Fantastico.
Una vita cullata dal far niente, piena di buon cibo, belle donne e tanti soldi da poterli usare come asciugamano.
Qualcuno, magari qualche sciocco moralista, con le sue fumose teorie su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, avrebbe potuto definirla vuota.
Niente di più errato.
«Io sto bene così. Problemi grazie, ma no grazie!», ripeteva spesso, anche se creare problemi era il suo mestiere. Ma poteva permettersi questo ed altro.
«Altro vino, signore?»
Doflamingo sollevò lo sguardo per posarlo sulla cameriera, una delle tante che aveva al suo servizio, che gli offriva un bicchiere.
Sorrise.
Già, tutto fantastico.
 
«Dressrosa…Dressrosa…mi scusi, sono sull’isola giusta? Sono tutte uguali, ho paura di sbagliare strada, non voglio perdermi…sto cercando un signore, si chiama…euh…»
La bambina estrasse con fatica un bigliettino piegato e ripiegato dalla tasca dei suoi pantaloncini logori e lo lesse, strizzando gli occhietti.
«Don…Donquijote Do…flamingo. Saprebbe dirmi dove abita, per favore?»
All’ennesimo ‘no’, scosse la testolina, abbattuta. “Perché nessuno vuole dirmi niente? Sembra che abbiano tutti paura di qualcosa”.
Era arrivata su quell’isolotto solo in mattinata, piccola clandestina a bordo di un mercantile carico di pesce puzzolente, e, senza nemmeno saperlo, aveva già capito come andavano le cose da quelle parti; quando qualcuno ti chiedeva informazioni, o stavi zitto, o stavi zitto. «Vorrà dire che dovrò cavarmela da sola.»
Presa questa decisione ripiegò nuovamente il bigliettino con cura e si rimise in spalla lo zaino che si portava appresso, grande praticamente tre volte lei e sicuramente altrettante volte più pesante. Sbuffando e barcollando, camminò per un breve tratto di strada, cercando un posto da dove iniziare la sua ricerca.
Si guardò intorno per un po’, ma non vide nulla che attirasse particolarmente la sua attenzione.
Solo case e casette tutte colorate, strade lastricate di mattoni e qualche albero. Insomma, niente di straordinario.
Ma poi, puntando gli occhietti azzurri davanti a sé, dovette ricredersi.
«Quella sì che è una casa grande!», esclamò fischiando. «Comincerò da là allora. Qualcosa la dovranno pur sapere, su questo tizio.» Detto questo, rivolgendosi più a se stessa che non a qualcuno in particolare, ricominciò ad arrancare sotto al solleone, dirigendosi verso l’enorme villa che troneggiava proprio al centro di Dressrosa.
 
Come avesse fatto a passare attraverso le inferriate altissime che proteggevano l’entrata come cani da guardia con uno zaino gigantesco in spalla, nessuno lo seppe mai con esattezza. Solo, ci riuscì. Non senza una certa fatica, incespicando nei propri piedi, arrivò sino alla porta d’ingresso. Bussò, timorosa; il campanello era troppo in alto, lei troppo minuta per arrivarci.
Trovò molto buffo che la signorina che le aveva aperto (“Un po’ troppo svestita”, riflettè aggrottando la fronte) non l’avesse vista immediatamente; aveva guardato a destra, poi a sinistra, poi davanti a sé. Quando, confusa, stava per richiudere la porta, la bambina decise che sarebbe stato meglio attirare la sua attenzione. Così strillò: «Signorina! Scusi, sono qui!» La cameriera aveva abbassato lo sguardo e si era ritrovata davanti un disordinatissimo, minuscolo fagottino di stracci. «Posso…posso aiutarti?», le aveva chiesto, arricciando un po’ il naso. «Sì! Sto cercando un uomo, il suo nome è…aspetti eh…» Tirò di nuovo fuori dalla tasca il suo fogliettino e lesse a fatica: «Donquijote Do…Doflamingo. Sa dove abita?» La guardò, speranzosa. «Certo, abita qui. Ma non riceve nessuno se non su appuntamento.» La bambina protestò vivacemente. «Ma devo vederlo! È importante!» La donna scosse la testa. «Spiacente», si limitò a dirle. E richiuse la porta. La piccolina, disperata, pestò un piede a terra. «Ma c’ero così vicina! Così vicina! E adesso, come faccio?» Quasi per caso, alzando lo sguardo, adocchiò una finestra. Sospirò, allargando le braccia. «Mi toccherà sbrigarmela da sola. Devo solo ricordarmi di non guardare giù…»
 
Caso volle che Doflamingo fosse proprio in quella stanza. Aveva in mano il suo lumacofono e parlava in modo concitato: «No, non mi interessa. Non c’è bisogno di chiamarmi per ogni scemenza che combinate. Io non devo in alcun modo essere coinvolto, capito?» Si alzò dal divano. «Se per caso qualcuno verrà a darmi noia, vi riterrò personalmente responsabili. Oh, sì, mi arrabbierò molto.» Un sorriso sinistro si allargò sul suo volto. «E naturalmente sai cosa può succedere, nel caso io mi arrab- INSOMMA, CHI FA QUESTO CHIASSO? SONO AL TELEFONO!» Si voltò verso la fonte del rumore- un irritante sorta di ‘toc toc’ che ormai andava avanti da ben cinque minuti- e mancò poco che gli cascassero gli occhiali dalla sorpresa. C’era una bambina, alla sua finestra, con il nasino schiacciato contro il vetro, e stava bussando, picchiettando le sue piccole nocche contro il vetro. “Ma…ma siamo al secondo piano!” Lo Shichibukai non seppe spiegarsi perché, in quel frangente, decise di aprire la finestra. Né perché decise di far entrare quell’affarino tutto voncio e le permise di calpestare il suo tappeto pulito. Né perché non chiamò la sicurezza. Forse fu semplicemente perché era davvero molto, molto curioso di sapere cosa diamine ci facesse lì. Sicuramente non viveva da quelle parti. Tutti quanti sapevano che non era affatto una cosa saggia importunarlo. O introdursi in casa sua, per quel che valeva. La bambina si spolverò un po’ la canottierina, liberandosi dall’intonaco bianco di cui si era macchiata arrampicandosi e lo guardò attentamente. Prima su, poi giù poi di nuovo su. Poi emise un lungo fischio. «Accidenti, signore, quanto sei alto! La tua mamma ti faceva mangiare le montagne quando eri piccolo?» L’uomo scosse la testa, scioccato da una parte dalla situazione surreale in cui si trovava e dall’altro dalla domanda che gli era stata appena rivolta, totalmente priva di senso logico. «Scusa?», le fece, instupidito. Lei fece un gesto con la mano. «Non importa. Grazie per avermi fatto entrare, la signorina del piano di sotto non ne voleva sapere. Sto cercando una persona che vive qui, si chiama…mi scusi un secondo…» Di nuovo estrasse il suo sacrosanto foglietto. «…Donquijote Doflamingo. Ecco. Sa dove posso trovarlo?» Abbassò la voce con fare cospiratorio. «Non gli dirò che è stato lei a dirmelo, promesso!» Lui si portò le mani sui fianchi, sospettoso. «Si dà il caso che Donquijote Doflamingo sia io. E tu invece chi sei, si può sapere?» La bambina, per tutta risposta, si fregò le manine insieme per pulirle e gliene tese una. «Tanto piacere, mi chiamo Hachidori, ho cinque anni e sono tua figlia.»
E chissà che spavento si presero gli abitanti di Dressrosa, quando sentirono l'urlo disumano che si sollevò dalla villa del loro principe appena due secondi dopo.
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nota dll'autrice: ok, ok. Non ho la più pallida idea di come questa...cosa sia uscita fuori, lo giuro. Volevo scrivere qualcosa di diverso dal solito e volevo ficcarci dentro qualcuno di nuovo. Che volete, tanto amore per gli OC. Non so nemmeno se lo continuerò o meno. Ma dipenderà da ciò che mi direte voi, penso. Oh, beh. Alla prossima!
Gravirei
  
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