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Autore: Obliviosa Black    28/06/2013    2 recensioni
Il dio meno popolare di Asgard (ma con abbastanza fans da fare invidia a Lady Gaga) ha combinato un piccolo pasticcio che lo porterà nel tempio del consumismo alla ricerca di un nuovo smart-phone tra commessi della Foot-locker troppo insistenti, improbabili rappresentanti di compagnie di aspirapolveri e centri commerciali che assomigliano al labirinto del minotauro.
N.d.A: Questa è la mia prima fanfiction dedicata alla superlativa serie di Kieron Gillen e al personaggio di Kid Loki. Assomiglia più ad una parodia alla Leonardo Ortolani, malgrado la qualità sia di tutt'altro genere. Ammetto di essermi divertita a scimmiottare lo stile da saga epica e spero che nel suo cuore Gillen mi perdoni(caro ti perdono per il finale di JIM), così come spero che facciano Stan Lee ed altri autori di saghe dedicate agli dei asgardiani se mai questa storia dovesse capitare tra le loro mani. Spero che anche voi mi perdonerete per questa lunghissima introduzione e che avrete voglia di leggere e recensire.
Genere: Parodia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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"Alcune cose cambiano.
 Le persone, invece... rimangono uguali.
Ci sono imbrogli che fun­zionano sempre,
altri che vengono inghiottiti anche troppo presto dal tempo e dal mondo."

Mr Wednesday in American Gods, di Neil Gaiman.

N.d.A: questo capitolo è pieno di  riferimenti più o meno casuali e più meno evidenti(probabilmente lo sono solo per la mente contorta dell'autrice. Chi li trova tutti vince un  buono per  una cena gratis al Diner)

3.
Il fuoco crepitava, scoppiettava  mentre abbrustoliva qualcosa che doveva essere stato  uno scoiattolo, un topo o un roditore di quel genere. L’animale era in posa statica, come se gli fosse stata scattata una fotografia nel momento in cui il suo assassino si era precipitato su di lui, in un guazzabuglio di zampe, artigli e occhi che illuminano le tenebre, occhi con quell’inquietante luce rossa di quando non va l’ADSL e stai vedendo l’ultima puntata di Fringe in Streaming.
Lo scoiattolo è lì, in quella posa da modello per Vogue Macabre America, e un bastoncino lo infilza dove non batte il sole per poi sbucare aguzzo dalla sua bocca socchiusa. Il bastoncino sbuca a sua volta da una mano guantata, che lo rigira tra pollice ed indice. A sua volta la mano sbuca da un braccio, leggermente piegato e volto verso il fuoco, che sbuca da un ragazzo.
Dal ragazzo sbucano poi tante cose: un paio di gambe piegate, un altro braccio che le circonda ed una testa. Sembrerebbe sia fissa sullo scoiattolo, in posa per il suo servizio fotografico, ma a tratti scatta in avanti e con un veloce movimento del collo, guarda al di là  delle braci.
Ed intanto parla; gira e rigira lo spiedino, controlla che l’animale sia ben cotto, che il grasso sia colato per terra ed occasionalmente alza la testa.
- Potevo andare a Broxton e procurarmene un altro nel tempo in cui abbiamo discusso. Purtroppo mi manca un requisito essenziale, un requisito che persino le mie doti nell’arte dell’inganno faticano a rimpiazzare così su due piedi.
Le sue parole erano accompagnate da alcune note di una canzone pop, quasi fosse ad un qualsiasi campeggio con gli amici; ma nessuno campeggerebbe lì, non in quella grotta arroccata su una rupe aguzza come l’artiglio di un’aquila, a metà tra l’America e un luogo la cui storia si è persa nei milleni.
Le note della canzone pop erano a loro volta seguite da un ringhiare sommesso e da un urlo roco:- Cibo! Voglio Cibo!
Intanto il ragazzo alzò ancora la testa e il suo sguardo attraversò la grotta, anzi prese l’autostrada, accelerò ed uscì all’unico casello disponibile.
La ragazza  lo ricevette e raccogliendo con le dita affusolate ed appuntite i lembi del suo vestito, si accomodò su una roccia. Con l’altra mano portò alla bocca un collega del roditore sullo spiedino: qualche minuto in suo compagnia sul fuoco non gli avrebbe fatto male, ma la fanciulla non sembrava avere problemi a mangiare al sangue. Addentò molto lentamente l’animale, strappò un pezzo di carne e una goccia di sangue  le sporcò l’angolo delle labbra. Sembrava  una di quelle bambole di porcellana, quelle dai vestiti ridicolmente pieni di sottovesti e dai cappellini ridicolmente pieni di fronzoli. Le mancavano solo i codini, boccoli e cappello, poi era perfetta: lo sguardo vitreo c’era, l’impressione che potesse prendere vita da un momento all’altro e squartarti pure.
In sottofondo continuava il ringhiare sommesso, le imprecazioni contro l’assenza di altri ratti da uccidere e ovviamente le note pop della canzone.
La ragazza strappò un altro pezzo sanguinolento:- Come avevi fatto a procurartelo l’altra volta?
Il ragazzo allontanò lo spiedino dal fuoco, ci soffiò sopra per farlo raffreddare:- Ah, giusto. Tu non c’eri. Gioco d’azzardo coi nani. Mi ero recato lì pensando “Giocherò onestamente. Guadagniamoci qualcosa come tutti, affidandoci al caso, al destino.” Sarebbe stato un bel cambiamento. Ma i nani baravano. E siccome erano pieni di stupidità e birra fino al midollo, ho avuto pietà: ho mostrato loro come si bara veramente.
Era inutile specificare chi avesse vinto.
-Sfortunatamente la somma ottenuta ha coperto tutte le mie- esitò un attimo mentre avvicinava il roditore alla bocca– spese.
Guardò la bambola assassina. Sapeva che si riferiva al conto Diner.
Il ragazzo proseguì tra un boccone di topo e l’altro:- Ma stavolta ho un piano migliore e più veloce. Perché vedi, mia cara, la pietra magica che stiamo cercando non perde mai valore; mai. Alcuni Midgardiani ne controllano il prezzo ogni giorno, tuttavia la maggior parte di loro non reagisce bene alla sua presenza grezza, si spaventa come se avesse visto le Tre madri di mattina, appena svegliate, senza trucco.
La ragazza parve perplessa. Le note della canzone pop erano cessate, sostituite da qualcosa di tintinnava, uno strano frullio ed un assolo di basso.
- Ma allora cosa usano come merce di scambio se la pietra li terrorizza così tanto?
Aveva intravisto le Tre madri di prima mattina ed esteticamente parlando, preferiva di gran lunga il topo che stava gustando.
Il ragazzo mise da parte il suo pasto e frugò nelle tasche di una blusa verde e nera.
Ne estrasse qualcosa di accartocciato, che sembrava un pezzo di pergamena rettangolare.
Quando passò sopra il fuoco la ragazza notò che era bianco con dei dettagli verdi. Lo prese, lo distese e lo osservò per dieci secondi buoni.
Guardò il ragazzo che era tornato al suo topo mentre una batteria e una chitarra si aggiungevano al tintinnio, al frullio e all’assolo di prima.
-Cos’è?- chiese indicando la pergamena da dove un tizio con un parrucca riccia la guardava con aria di superiorità, come se tutti lo conoscessero.
-Sono soldi, Leah.
E Syd Barret cantò:- Money, get away.


Una fanficition di
OBLIVIOSA BLACK

con
LOKI LAUFEYSON
LEAH DI HEL
THORI
E la straordinaria partecipazione di
IKOL LA GAZZA

In
LA PIETRA MAGICA.
Vol.1

 

Zobediah Peck si sentiva come un adolescente. Non perché fosse in forma smagliante quel giorno, tutt’altro, bensì perché gli pareva di essere tornato ragazzo, quando si divideva tra la scuola e il lavoro alla fattoria del padre.
Quanto era dolce il ricordo di quegli anni! Quasi quanto le crostate cucinate dalla madre e gli sguardi adoranti  che gli scoccavano le ragazze; quella stessa dolcezza  che lo aveva sostenuto durante i lunghi mesi nei fangosi campi francesi, all’epilogo della guerra.
Tuttavia c’era una sola cosa che macchiava quegli anni, come una goccia d’inchiostro fuori posto su un testo scritto in un elegante ed elaborato corsivo: la totale avversione di suo padre per ogni sua iniziativa personale.
“Padre che ne diresti se provassi a guidare io l’auto per fare quella consegna?” chiedeva il piccolo e ambizioso Zob;  “Padre, non sarebbe utile se iniziassi anche io ad avere a che fare con i clienti?” chiedeva il ragazzino che sognava di gestire la propria fattoria senza stare sotto le direttive di nessuno, mentre riverniciava lo steccato come gli aveva ordinato papà.
Col passare di varie vicissitudini nei suoi ottantasei anni, il testo si era scolorito, l’inchiostro un po’ scrostrato e per vedere la macchia bisognava avvicinare il viso alla macchia e strizzare gli occhi.
Quel giorno però era stato come se qualcuno avesse messo a Zobediah gli occhiali da presbite che tanto si ostinava a non indossare. Quel qualcuno erano i suoi figli.
L’anziano appoggiò la cassetta degli attrezzi  davanti ad un armadio che in quanto a vicissitudini e macchie varie gli dava del filo da torcere; a coronare l’apparenza- e l’essenza- di vecchiume contribuiva un’anta che sembrava un uomo sul bordodi un grattacielo, in procinto di buttarsi. Ogni volta che si apriva o si chiudeva l’anta era come se l’uomo si sentisse punto sul vivo, si voltasse e dicesse “Hei, stai pronto che ora  mi butto”.
Durante la cena di Natale suo figlio John aveva notato le condizioni dell’armadio e si era  subito offerto di venirlo a riparare prima di rientrare al lavoro. Zob aveva ribattuto che non doveva preoccuparsi,  che aveva già tante cose per la testa e grazie a Dio che aveva le vacanze per passare del tempo coi bambini, che sai, sono piccoli, chiudi gli occhi e in un attimo crescono mentre tu sei troppo preso da armadi rotti e questa sarebbe stata una buona battuta di uscita se non fosse intervenuta la figlia Kirsten.   Aveva richiamato sull’attenti il marito – che discuteva della sua nuova televisione in 3D con il cognato più giovane- e aveva detto al suocero che Bob era a casa fino a gennaio, non aveva nulla da fare, salvo testare qualche ridicola funzione di quella televisione esageratamente cara.
Avevano discusso dieci minuti buoni su chi dovesse riparare l’armadio ma su una cosa concordavano: non potevano lasciare che il vecchio riparasse l’anta da solo.
Così come suo padre non si fidava ad affidargli le mansioni più complesse, i suoi figli non lo ritenevano più  capace di riparare un mobile, anzi ciò significava che era ormai considerato un nonnetto rincitrullito e pappamolla, il che era persino peggio.
Preso dalla foga di quel pensiero Zobediah estrasse un cacciavite dalla cassetta degli attrezzi e frugò come un avvoltoio nei resti di una carcassa, per portare alla luce una vite.
L’uomo si mise all’opera: aprì l’armadio con un inquietante cigolio – avrebbe fatto bene a dare un po’ di olio, finito il lavoro- ed esaminò il punto che congiungeva il cardine all’anta dove le viti stavano cedendo. Si stava dando il suo bel daffare con il cacciavite quando cambiò qualcosa nella fioca luce della stanza. Sentì un risucchio, come quando togli il tappo dal buco del lavandino e l’acqua scende in un mulinello e poi la sua mano, il cacciavite, le viti e il legno assunsero una sfumatura verdastra.
Zob si voltò in direzione di quel rumore ma, incredibilmente visto che aveva chiuso le finestre, una folata di vento fece sbattere l’anta contro la sua faccia, bloccandogli la visuale e schiacciando il dito della sua mano sinistra, rimasto in prossimità della fessura tra sportello e scaffale.
-Uomo di Midgard, mostrati!- esclamò una voce- Asgardia chiede il tuo aiuto.
Zobediah sgusciò fuori dall’armadio tenendosi il dito dolorante e gemendo. La luce verde era intensa, sembra di essere in piena estate invece che in inverno e l’uomo dovette strizzare gli occhi per mettere  a fuoco la figura che emergeva da un globo di luce, sospeso a mezz’aria e formato da volute verdi che giravano pigramente.
-Chi sei?- chiese Zob.
In mezzo al globo una gazza sbatteva pigramente le ali, fluttuando come un aquilone nero  in mezzo ad un cielo dalla sfumatura altrettanto insolita, una gazza. Il vecchio rimase sorpreso quando la vide aprire il becco e dare risposta alla sua domanda.
-Io sono un umile messaggero di Asgardia. Sai quella città sospesa con tizi vestiti strani che sembra essersi fermata all’anno mille…
Zobediah annuì; anche se per i suoi figli era ormai un vecchio rincitrullito, gli era impossibile ignorare la presenza di quel luogo, di quegli esseri alti come una montagna che sovente camminavano per le strade di Broxton, commentando estasiati le automobili, le antenne sulle loro case, i drive-in ed esprimendosi in un inglese pressoché incomprensibile a  causa dei continui “invero” “Oh, figlio di (inserire il nome di una divinità norrena a caso)” “Midgard” “orsù” “possente” e altri epiteti dal significato oscuro.
-Ebbene Asgardia ha bisogna del tuo aiuto Broxtoniano- gracchiò la gazza.
L’uomo rimase sorpreso. Da quando gli dei – se poi dei erano veramente- aveva abitato la piana deserta attorno a Broxton, lui e i suoi amici pensionati passavano i pomeriggi ad osservare la città sospesa, criticando come fossero costruiti quei pinnacoli o la mancanza delal giusta quantità di calcestruzzo nella ricostruzione di un palazzo.
Molti dei suoi coetanei non sopportavano gli Asgardiani, considerandoli alla stregua degli immigrati messicani, invece Zobeadiah li trattava con indiferrenza e sovente con indulgenza, soprattuto quando uno di “quei poveri figlioli” non riusciva ad aprire la lattina di Budwaiser che avevano ordinato. Tuttavia la sua connessione con quel mondo terminava lì.
-Davvero?- chiese.
-Invero, si. Il grande Odino, il padre di tutti...
Un coro di voci giovanili fece da eco:-Il padre di tutti...
-Vita e morte di Asgard...- proseguì l’uccello.
-Vita e morte di Asgard...- replicò il coro.
-è in esilio-concluse finalmente  la gazza – e non può muoversi. Tuttavia la sua fornitura di salmone è appena arrivata dalla Norvegia e deve essere pagata. Ma è addolorato nel ricontrare che non può affidarsi ai suoi figli perché tra di loro serpeggia l’avidità, il dissenso e la cucina vegana.
Ma degli umani...
La gazza avanzò e si posò sulla spalla di Zobediah. L’uomo notò che gli occhi della gazza erano verdi, di un verde limpido e compatto, molto più umano che animalesco, il che lo lasciò perplesso visto che ricordava fossero neri.
-Degli umani si può fidare. Non come i suoi figli, che inviati in New Mexico per prendere una bevanda calda alla locande della Donna Medusa, così da allietare il sonnellino pomeridiano del Padre, non sanno fare altro che farsi ripetutamente investire, ricoverare in ospedale, farsi requisire le proprietà di Asgard da dei paranoici vestiti di nero ed utilizzarle per farsi scaramuccie a vicenda, al futile fine di decidere chi sarebbe stato l’eletto, colui che avrebbe portato la sacra bevanda al capezzale del padre.
E poi aggiunse sottovoce:- Ovviamente spettava al fratello minore; era molto più figo. Lo dicono pure su Tumblr.
-Oh, che sciagurati- concordò Zobediah – Ma guardi, con i figli è sempre così. Se al suo padre, vita e morte eccetera eccetera serve una mano, chieda a me. Quando mia nipote Tiffany piangeva perché non voleva andare all’asilo, dicevo a mia figlia:” Portala qua da me. Vedrai poi come avrà voglia di andare all’asilo”
La gazza non proferì ulteriori parole e si limitò ad osservare l’uomo con uno sguardo che sopperiva la mancanza di una mimica facciale umana talmente bene, da rendere il suo disappunto palpabile.
-Quindi un uomo come te...
-Di carattere- sottolineò Zobediah; amava definirsi così quando i suoi figli gli facevano notare quanto fosse cocciuto o logorroico o entrambe le cose.
-Di carattere- disse il coro di voci giovanili, seguito da un ululato.
La gazza ruotò la testa in direzione del globo e mormorò qualcosa come “Idioti”.
-Quindi, un uomo di carattere come lei- riprese l’uccello –Può benissimo pagare antipacitamente i 300$ per la fornitura del Padre di tutte le cose. Un Broxtoniano, che segue l’esempio del suo pastore, immolatosi alla persecuzione della forma senza fame e stanchezza dell’araldo di Galactus.
Gli occhi di Zob si illuminarono: parlava del Reverendo.
Quell’uomo davanti all’incognita degli dei aveva provato a rassicurare tutta la comunità, tentato di aprire un dialogo con quella gente e per trasformarsi infine in un mostro argentato che viaggiava su – tenetevi forte- una tavola da surf nello spazio.
Lui e i suoi amici – quando non erano troppo presi dall’edilizia asgardiana- ne discutevano dal barbiere, al bar e quel ragazzo di colore, che aveva lasciato il posto al reverendo, aveva tentato di spiegar loro qualcosa a proposito dello spazio profondo, della velocità della luce, dell’energia cosmica, della difficoltà di un certo Galactus nel trovare un ristorante che lo sazi come si deve ma loro lo avevano zittito con un cenno secco e qualche borbottio ; non puoi dare peso ad un barman che non sa farti un whiskey decente.
Alla fine di quelle chiacchierate, Zob ammirava sempre di più il gesto del loro pastore: egli aveva dimostrato che se un uomo accorato e di chiesa come lui poteva accettare, gestire e fare persino parte di quel gran casino fatto di entità stellari e divine, allora pure loro potevano farlo.
- Conferirvi una forma del genere non nella giurisdizione di colui che tutto vede, come rettificato dall’articolo 21.3a bis del codice D.A.S.Q.E.C.*; tuttavia si premurerà di resituire la somma corrispondente, aggiungendo la quantità equivalente al suo peso in oro.
Inoltre, come ringraziamento per questo servigio alla sua immortale persona, il mio signore vi promette qualsiasi cosa voi desideriate e che sia sotto la giurisdizione dei suoi poteri, come si legge nella postilla trentasette dell’articolo 22.9 bis del codice D.A.S.Q.E.C.*
Zobediah si era perso alla menzione di un certo articolo 21 e qualcosa, ma le parole oro, desideri, somma resero la proposta ancora più allettante di quanto già fosse e lo convinsero ad accettare.
-Affare fatto. Pago direttamente a te? O devo fare una di quelle cose in banca?
La gazza chinò la testa:- Le pratiche sono parzialmente avviate ed Asgardia non vuole disturbare ulteriormente i vostri affari; basterà consegnarmi il contante.
Zobediah trascinò la sua carcassa stanca ed ammaccata fino alla camera da letto dove, frugando in un cassetto del comodino, estrasse dei soldi.
-Tenete- disse infilando il denaro nel becco della gazza- E salutatemi il vostro padre. Sembra una così brava persona.
La gazza spalancò le ali e si librò in aria mentre la luce verde del globo fendeva le sue piume nere.
Quello spettaccolo ricordò a Zob quelle figure intagliate nel legno dei vecchi film sugli indiani d’america – come si chiamavano?- e si chiese come quel semplice uccello, che si definiva come un umile messaggero, potesse suggestionarlo a tal punto.
La gazza osservò per qualche istante l’uomo con quegli occhi che luccivano febbrili e poi si rituffò nel globo dal quale era uscita. Le volute di luce iniziarono a girare, prima piano, poi veloce e sempre più veloce, mentre la macchia nera dell’uccello scemava nel verde fino a non lasciare più traccia della sua presenza.
Per un istante, Zobediah parve scorgere delle ombre, di un verde più scuro e opaco; strizzò gli occhi chiedendosi se stesse diventando miope o se quella era veramente una mano ossuta e se quello era il profilo di un uomo, o forse un ragazzino; no, era un viso, un viso nelle cui ombre si scorgeva una bocca che si stirava, si incurvava, evidenziando gli zigomi e fossette quasi infantili, si alzava scoprendo appena i denti.
Il gorgo scomparve in un lampo di luce bianca accecante e per qualche secondo l’uomo vide solo dei fastidiosi pallini sovrapporsi al suo soggiorno, al vecchio armadio, alla cassetta con tutti gli attrezzi nelle scatole sbagliate.
Poco dopo l’effetto dovuto al passaggio dalla luce al buio scomparve ma  quella notte Zobediah Peck sognò quel ghigno senza volto che, avvolto da spirali verdi, pareva beffarsi di lui.

*Dèi Altruisti Solo Quando E’ Comodo


Spazio autore (o qualcosa che ci assomiglia. Da lontano. Di notte. In una notte, molto buia e nebbiosa).
Oh, miei prodi recensori , penso che sia arrivato il momento in cui io torno da voi con la coda tra le gambe e vi faccio un sermone degno della maestosità di Thor e con la stessa proprieta dialettica di Demostene. Ebbene, mie care, vi devo delle scuse: non per la mia lontananza dal regno di EFP, per carità, ci sono così tante regioni da esplorare ed avventure da affrontare, bensì per la mia pigrizia. Ahimé, ero schiava della tiranna Madre, che mi sfidava ogni giorno con prove domestiche da casalinga cintura nera, nonché dell'infida Afa Padana (spero che non viviate in Pianura Padana: l'umidità in estate è talmente pesante che ti schiaccia al suolo).
Complice il ribasso delle temperature, sono riuscita a fare ordine tra le varie idee per questo capitolo, sintetizzare il succo, spalmarlo per bene su carta e ritoccare qua e là la forma.
Ora che la mia pessima arringa e la mia valanga di frottole sono terminate, vi lascio con un'avvertenza: questa è solo la prima parte del capitolo terzo. Ho preferito dividerlo per vari motivi: in primis, volevo dedicare il giusto tempo alla ricerca del denaro, visto che le successive fasi della missione di Loki &co occuperanno almeno due capitoli ciascuna; inoltre, mi sono resa conto di essere stata eccessivamente prolissa: ciò era già successo nel secondo capitolo ma ero riuscita a tagliare più facilmente inutili descrizioni, cosa che,  forse per mia cocciutaggine, non mi è stata possibile fare qui. Infine, sto scrivendo due versioni diverse del Vol. 2 poiché voglio trovare la strategia narrativa migliore per rendere la storia piacevole ed interessante.
Ma per fare questo, ho anche bisogno di vostre critiche e consigli: forza, ragazze, mettetevi al lavoro con quelle tastiere.
Obliviosa Black

  
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