Avvisi: Song fic, tratta dalla Saga di Kysa.
Desclaimers: Fiction scritta
per il Concorso indetto da Claheaven e Anfimissi, Handle With
Care, in cui Piccola Stella si è piazzata la secondo posto. La
storia originale da cui è tratta questa shot è di proprietà di J.K. Rowling, ma
l’universo che ne consegue è tratto dalla fantasia di un’altra grande
scrittrice, Kysa.
Nessun personaggio mi appartiene.
Per chi mi fa stare male, perché si ricordi com’era tutto un tempo.
Piccola
Stella
[Cosa ci fai
In mezzo a tutta
Questa
gente
Sei tu che vuoi
O in fin dei conti non ti frega niente
Tanti ti
cercano
Spiazzati da una luce senza futuro.
Altri si
allungano
Vorrebbero tenerti nel loro buio...]
Capodanno.
Altri trecentosessantacinque giorni
passati veloci come il battito delle ciglia.
[Di un
cuore.]
Strano.
Il.
Suo.
Neanche.
Batteva.
Un anno privo di
consistenza, di senso.
Privo d’anima.
Caesar Noah Cameron vagava
silenzioso fra tutti i suoi simili.
Un fantasma, uno spirito, un
ricordo.
Il ricordo di un tempo che era stato. Di un tempo in cui la gloria e
l’onnipotenza albergavano in lui.
Il prezioso bagliore di un diamante, tale
lui era.
[Un Diamante che fa luce da solo. Che non ha bisogno di alcun
riverbero per brillare]
Lui.
Bastava.
A.
Se.
Stesso.
La sua
luce era innegabile, come quella del sole.
Emanava forza, grandezza,
potere.
La sua falcata per natura non prestava attenzione a qualsiasi
ostacolo avesse mai potuto frapporsi fra lui e un’immaginaria meta, per questo
camminava come se fosse stato solo nel titanico salone d’ingresso del maniero di
Horus Harkansky, immerso nei boschi verdi e labirintici della Nuova
Zelanda.
Gli Harkansky erano una famiglia numerosa e millenaria. Il loro
progenitore aveva visto la notte dei tempi. Forse la creazione.
Ma la
maestosità di quella casa lo toccava solo in superficie.
Del resto a lui non
importava nulla.
Né del Capodanno né di quella ridicola riunione.
Da anni
per lui niente aveva più sapore. I colori…tutti uguali, tutti grigi.
Il sonno
era sparito, traditore, portandosi via i pochi momenti di oblio.
Tutto da
quando Imperia si era suicidata.
Perciò neanche un nuovo anno, neanche lo
scandire del tempo, poteva dargli sollievo.
Perché tutto era rimasto com’era,
dal momento in cui lei, sua moglie, aveva chiuso gli occhi per sempre.
La sua
figura alta e ben piazzata attirava molti sguardi al suo passaggio, ma chi
conosceva bene lui, la sua fama e la sua storia, sapeva che non era facile
ottenere la sua confidenza.
Da sempre si era attorniato di pochi amici fedeli
e ad ancor meno parenti permetteva di far parte della sua vita.
Per questo
tutti si erano stupiti, specialmente le donne, quando al suo fianco, a quasi
ottant’anni dalla morte di Imperia Glassharm Cameron, sua moglie, era apparsa
un’altra donna.
Chi aveva amato Degona Harkansky, la Corona degli Harkansky,
amò all’istante anche sua figlia.
Lucilla F.A.L. del casato dei
Lancaster.
La neodemone, divenuta tale da appena quattro anni, camminava al
suo fianco.
Con lo stesso passo, lo stesso sguardo di chi ha perso il suo
cuore nell’istante in cui ha perso il suo padrone.
Lui, alto e
cristallino.
Lei, sinuosa e magnifica come un serpente nero.
La coppia
perfetta. La coppia ideale.
[Ma non si
amavano.]
Lei.
Era.
Sua.
Prigioniera.
Veneravano l’uno la
potenza dell’altra, adoravano un sogno.
Entrambi vivendo nel passato. Nel
ricordo.
Perché per loro c’erano solo i ricordi.
Di un’esistenza che un
tempo aveva avuto un significato, un perché.
Che ora invece era pallida,
dall’apparenza satinata ma squallida e indegna, senza una meta.
- Devo
parlare a bassa voce come gli altri?- soffiò Lucilla quando furono in mezzo al
salone tempestato di candelabri e lampadari di cristallo.
Caesar le scoccò
uno sguardo divertito, ma che un estraneo avrebbe giudicato assolutamente
indifferente.
- Stanno spettegolando.-
- Ma dai, non me n’ero accorta.-
gli rispose, posando la mano sul braccio che le porgeva.
- So che
preferiresti essere a casa tua.-
- Immagini bene.-
- Ho promesso agli
Harkansky che ti avrei condotta qui.-
- Ti capisco e ti perdono.- Lucilla si
guardò attorno – Ma questi sono peggio degli umani. Mi guardano come una
formica.-
- Ti guardano gli uomini.- la corresse Caesar – Perché sei uguale a
tua madre. Quando passava lei, tutti tacevano.-
- E quando passi tu tutte le
donne del salone si girano e quasi dimenticano il loro nome.-
Cameron rise
appena, scuotendo il capo.
- E dire che un tempo a queste feste partecipavo
sempre.-
- Strano. Non credevo che tu e tua moglie foste interessati alle
vetrine.-
[Imperia.]
Una lama piantata nel petto, nel bel mezzo del suo
cuore muto e immobile avrebbe procurato meno dolore. Era veleno quel nome. Il
veleno di una vita gettata via, in nome dell’Oltre.
[Imperia.]
C’era
ancora quel nome scolpito a fuoco nel suo cuore muto e immobile.
C’era ancora
il suo tocco, le sue mani e i suoi capelli schiacciati alla sua schiena, come
una donna sfinita da una notte d’amore, abbracciata al suo
uomo.
[Imperia.]
A quella frase lo sentì irrigidirsi, ma a lei, Lucilla,
era concesso tutto.
Anche parlare di Imperia.
Caesar si limitò a
stringersi nelle spalle.
- Neanche lei amava queste feste ma ogni tanto le
faceva bene stare fra i suoi simili.-
- E tu? Come ti senti fra questa
gente?-
- Sento solo un’emicrania crescente.- mormorò, tastandosi le tempie –
E’ peggio di un vespaio.-
- Non c’è nessuno col cervello vuoto? Così ti
appioppo a lui.- lo prese in giro, vagando con sguardo annoiato.
- Hn, mica
male come idea. Hai visto Demetrius o mio fratello?-
- Ho visto qualcuno a
cui presto caverò gli occhi se non la smette di fissarmi in quel
modo.-
Donne, pensò, seguendo i suoi teneri e minacciosi occhi bianchi nella
massa.
Ballerine coperte di veli danzavano come spiriti del vento su alte
colonne, avvolte in seta e organza.
Fra maschere d’oro e ambra, fra il
tintinnare di calici e i soffusi cinguettii di uccelli dal leggendario piumaggio
chiusi in gabbie appese al soffitto, Caesar riconobbe quegli occhi.
Tanti
occhi.
- Sono i Loderdail.- le disse, passandole una mano dietro la schiena e
sospingendola delicatamente in avanti, verso gente che poteva considerare più
amichevole – Una famiglia da cui direi a tutti di stare alla larga.-
- Mai
sentiti.-
- Erano famosi un tempo. Poi ne sono rimasti pochi.-
- Da chi
diavolo mi stai portando?-
- Da Demetrius e mio fratello. Non avranno
cervello, ma potrai stare tranquilla.-
Spiandolo da sotto le lunghe ciglia
arcuate, Lucilla Lancaster lo seguì con fasulla dolcezza – Mi starai appiccicato
tutta la sera?-
- Ti dispiace forse?- ironizzò lui.
- Stando sempre
insieme a me, potresti dare una visione distorta delle cose.-
- Stai cercando
di rimettermi sulla piazza, mia cara?-
La risata argentina di Lucilla fu come
il frusciare della sua magnifica veste, più celestiale della stoffa usata per
dare risalto alla sua pelle di alabastro – Neanche tu puoi stare da solo in
eterno, Caesar. Hermione dovrebbe avertelo fatto capire.-
Un’altra
donna.
[Mai.]
Mai, mai
nessun’altra.
Avrebbe potuto metterci la mano sul fuoco.
Imperia non era
rimpiazzabile.
Demetrius gli disse più o meno la stessa cosa, qualche minuto
più tardi. Stando letteralmente appiccicato a Lucilla, avrebbe tolto tutte le
speranze alle fanciulle presenti.
- Sai quanto me ne importa.- commentò
apatico, fermando un valletto e prendendo due coppe di rame, contenenti una
viscida sostanza color miele. Dette un calice a Lucilla – E’ Ambrosia, bevila.
Adesso puoi.-
- Disgustosa.- commentò la Lancaster – Non c’è del vino?-
-
O magari qualcosa con le olive.- tubò Leiandros – Lucilla, te li ho presentati
gli amici che frequento da poco?-
- Intendi quel Portalista che ti ha
riportato al castello l’altra notte, quando eri ubriaco?- replicò la demone –
Quello che imprecava in russo?-
- Se chiami qui Vlad ci ritroveremo sommersi
anche dai Romanov.- lo fermò Caesar, assumendo la sua consueta espressione
d’irritazione perenne – No, grazie. Non ho voglia di risse stasera. I padroni di
casa poi se la prendono per niente.-
- Allora lustrati gli occhi sulla nipote
di Arsenius De Blanchet.- Demetrius, indicandogli qualcuno alle loro spalle con
uno sguardo, emise un risolino – Quel francese impettito l’ha condotta qua
sperando di sposarla presto.-
- Improbabile.- celiò Leiandros – La fanciulla
la loquacità di una mummia egiziana.-
- E sembra pronta a fuggire.- notò
Lucilla – Mi pare giovane.-
- Ha almeno un secolo e mezzo più di te, amore.-
frecciò Caesar.
- Cos’è, il mercato delle “appena maggiorenni”?-
- Può
anche darsi.- rispose l’altro, passandole protettivamente un braccio attorno
alle spalle – I vecchi sono soliti accasare subito quelle giovani che potrebbero
dare problemi. Ritieniti fortunata che tuo nonno sia troppo preso dalle sue
amanti...a quest’ora avrebbe potuto spingerti fra le braccia di chiunque.-
-
Se papà avesse il buon gusto di spingere te a fare un po’ di sesso, magari.-
sospirò Leiandros desolato, verso il fratello maggiore – Possibile che non c’è
nessuna donna che ti attiri Chichi?-
- Pensa ai cazzi tuoi e smettetela tutti
con questa fissa di trovarmi una
scopata.-
Assurdo.
Donna.
Amante.
Compagna.
Tutte assurdità!
A
lui non interessava niente e nessuno. Tantomeno una donna...
Nessuna poi, in
quella dannata dimora, riluceva ai suoi occhi.
Nessuna...
[Ti brucerai
Piccola stella senza cielo.
Ti
mostrerai
Ci incanteremo mentre scoppi in volo
Ti scioglierai
Dietro a
una scia, un soffio, un velo
Ti staccherai
Perchè ti tiene su soltanto un
filo, sai]
Perle.
Diamanti.
Madreperla.
Opulenza nei
capelli, tessuti in fili d’argento e neve d’alta quota.
Semplicità in un
abito color piombo.
[Una stella.]
Piccola e brillante.
Troppo
piccola.
E troppo accecante.
Distogli lo sguardo, si
ammonì.
Distoglilo.
[La vita che ti sei costruito è un
comandamento.]
Non trasgredire.
- Stai bene?- gli chiese Lucilla, con
espressione interrogativa – Caesar?-
- Si, sto bene.- bofonchiò, affondando
il naso nella coppa d’Ambrosia – Ma queste feste mi annoiano.-
- Perfetto,
andiamocene.-
- Voi due non andate da nessuna parte.- li ammonì Leiandros –
Lucilla, devi ancora salutare i tuoi e poi tu Chichi non hai ancora visto mamma
e papà, poi finisce che se la prendono con me se sparisci. Non li vedi
mai.-
- Che aria da spiritato.- ridacchiò invece Dimitri, spiandolo
attentamente – Ex amante in giro?-
- Ma quali amanti, fa voto di castità da
anni.- sbuffò seccato il fratello minore.
- La finite o no?- sbottò
inferocito, ringraziando dell’arrivo di altri invitati che deviarono gli sguardi
di tutta la sala, la sua compresa, verso spazi diversi.
Quando osò spostare
di nuovo i nivei occhi verso il centro del salone, la creatura che aveva
attirato i suoi sguardi era sparita.
Era stata un’illusione.
Che
altro?
Discutere di sciocchezze, di guerre passate, di antiche relazioni, di
noioso pane quotidiano per lingue impigrite. Ecco perché disertava la sua
gente.
Ed ecco perché evitava di uscire dal suo palazzo.
Lì rinchiuso
avrebbe potuto scordare per sempre il lutto.
E al contempo non dimenticare
mai sua
moglie.
[Imperia.]
Si.
Il.
Tuo.
Nome.
Fa.
Male.
L’Ambrosia
sul suo palato divenne amaro fiele.
Ora non stava pensando a Imperia.
Ma
girava ossessivamente su se stesso.
Aveva visto un angelo, prima.
Una
ninfa.
Una fata.
Un Demonio.
Non sapeva dirlo.
[Chi
era?]
[Dov’era?]
Eccola...
Il richiamo lo raggiunse dall’altra parte
della titanica sala da ballo...
Guardami...
Sono qui...
[Tieniti su le altre stelle son disposte
Solo che
tu
A volte credi non ti basti
Forse capiterà che ti si chiuderanno gli
occhi ancora
O soltanto sarà
Una parentesi di una mezz'ora]
L’Ambrosia tornò a sciogliersi come cioccolato fuso
sul suo palato.
Strinse il calice fra le dita e fra miriadi di volti, occhi
tutti uguali, bianchi e appannati, fra maschere d’oro e argento, fra piume di
setoso tulle nero, lo sfolgorante scintillio di quella piccola stella tornò a
richiamarlo.
Era Angelo e Demonio.
[Brillava per attirarlo.]
Seguendo
il suo sguardo, Dimitri incontrò un gruppo di giovani demoni che parlavano fra
loro.
Per Lucilla forse sarebbe stata una compagnia migliore della loro,
pensò Lord Demetrius, ma era interessante scorgere un certo vago sentimento
nella persona di Caesar Cameron.
Si conoscevano dalla nascita. Un millennio
quasi.
E in fondo, neanche il più grande empatico della terra poteva celare
tutti i suoi segreti.
- Forse dovremmo presentare Lucilla ai ragazzi.-
propose di punto in bianco.
La Lancaster parve non capire, così Dimitri e
Leiandros le indicarono il gruppetto.
- Sono gli amici di cui ti dicevo
prima. Winyfred, tua cugina, sta spesso con loro. Ha anche smesso di vivere
negli anni ’80 di questo secolo per frequentarli!-
- Oh.- Lucilla si strinse
nelle spalle – Come vi pare. Io andrò via presto comunque, non è necessario che
mi facciate costantemente da balia.-
- Sono simpatici, giuro.- rise Leiandros
– Pure Chichi li sopporta!-
- Davvero?- sogghignò la Lancaster, rivolgendosi
al maggiore dei Cameron – Sei riuscito a farti degli amici? Domani avverrà
l’Apocalisse allora.-
- Molto divertente.- replicò lui, gelido, indurendosi
di colpo – Quelli portano solo danni.-
- Però ce n’è una che non conosci.-
perseverò Demetrius, restando in attesa – La nipote di Seal e Sapphyre
Loderdail. E’ minorenne, ma dicono che abbia un potere straordinario simile al
tuo.-
- E allora? Chissene frega dei poteri dei minorenni.- Caesar posò il
calice sul vassoio di un valletto – Io mi sto rompendo, vado a fare un giro
fuori. Non perdete Lucilla, se torno e non la trovo finirete la vostra
miserabile esistenza sul marmo di questa catapecchia.-
E con quell’ultimo
accenno di grazia e cortesia, Caesar Noah Cameron si fece largo, attraversando
la grande stanza da ballo come se non ci fosse stato nessuno presente.
Oltre
lui.
E.
Oltre.
Lei.
[Smettila di guardarmi.]
Non
guardarla, si ordinò.
Non starla a sentire.
- Ma che gli
prende? Questi sbalzi d’umore non sono normali.- disse Lucilla, sospirando
paziente.
- Col cavolo, aspetta di conoscerlo per più di due secoli e poi
vediamo se lo dirai ancora.- ridacchiò Demetrius – Quel povero ragazzo passa
troppo tempo da solo.-
- Ha appena detto che non vuole che gli troviate una
compagna.- fece notare la Lancaster.
- Si, ma io non ascolto mai quello che
dice.- tubò Leiandros, prendendola sotto braccio – Vieni, ti presento a Vlad e
Brand, il ragazzo di Winyfred.-
- Io intanto vedo di andare a trovare
Caesar.- fece Demetrius, afferrando due calici pieni di Ambrosia – Magari se lo
faccio sbronzare diventa più simpatico.-
- Figurati.- fece il minore dei
Cameron con fare gioviale, mentre lui e la Lancaster venivano inghiottiti dalla
folla – Ha anche la sbronza triste. Il destino ce l’ha con lui!-
Forse era
vero, pensò Lord Demetrius.
Forse il destino non guardava in faccia a
nessuno.
Ma non si poteva dire che Caesar però sapesse cogliere i doni che il
Fato gli piazzava sul suo cammino. Caesar li considerava mazzette, per farsi
perdonare di ciò che gli era stato portato via.
Caesar ancora credeva che
avrebbe potuto fare qualcosa, per impedire a Imperia di uccidersi.
Ancora non
capiva che il suicidio era un atto di puro libero arbitrio.
Imperia aveva
desiderato la morte più di quanto avesse amato lui.
La realtà [la verità] per
quanto dolorosa fosse, era questa.
Imperia non l’aveva [cattiva] amato
abbastanza da vivere solo per lui.
Ma poi, osservando Leiandros presentare
Lucilla a quel gruppetto di giovani demoni, Demetrius si accorse di un
fatto...in cui non centrava il destino.
Solo l’attrazione.
Quella che
divora e colpisce a prima vista.
Lei non c’era più.
Demetrius ne conosceva
il nome.
Si chiamava Denise Axia Psiche Loderdail.
Ed era una Ladra
Spirituale.
E alla fine, forse, anche l’unica che si fosse attirata le ire di
Caesar solo con uno sguardo.
Per Demetrius, questo significava per più di una
festa nel cuore per mille anni.
[Ti brucerai
Piccola stella senza cielo
Ti
mostrerai
Ci incanteremo mentre scoppi in volo
Ti scioglierai
Dietro a
una scia, un soffio, un velo
Ti staccherai
Perchè ti tiene su soltanto un
filo, sai]
I giardini degli Harkansky erano un tripudio di piante
e fioriture del tutto fuori stagione.
Grandi fiori rossi, gialli, [caldi come
il sole] oppure bluastri, violacei, anche neri [letali come veleno] erano
ricoperti di neve.
C’erano varietà infinite di flora in quei parchi che
attorniavano il palazzo e statue, mezzibusti che rimembravano i grandi antenati
di quella famosa famiglia che deteneva il potere sul Tempo e lo
Spazio.
Lucilla avrebbe dovuto sentirsi onorata di appartenere a
quella...gente...
Ma no. Perché ti racconti bugie?
Quando sei giovane il
nome, il sangue e il lignaggio posso sembrare tutto.
[Un universo
intero.]
Poi perdi ciò che è davvero importante...e niente ha più
senso.
Poggiò entrambi i palmi aperti sulla balaustra in stile classico di
quella terrazza sui giardini.
Era solo.
Dall’interno delle ampie porte
finestre, proveniva il suono di magistrali violini.
Un tempo aveva
ballato.
Un tempo gli era piaciuto ballare.
Ora neanche quello importava
più.
Inspirò a fondo, si appoggiò di peso alle sue mani, sentendosi le
braccia rigide, interi fasci di nervi.
Fissò la mano sinistra. C’era ancora
il segno della fede nuziale.
[Patetico
Caesar.]
Piangi.
Una.
Donna.
Che.
Non.
Ti.
Amava.
Oh,
Imperia lo amava.
Lo aveva sentito.
Ma...non
abbastanza .
- Hai
intenzione di stare qua a piangerti addosso per tutta la sera?-
Non si mosse,
sentendo Demetrius accostarsi alla balaustra con la schiena. Diede una coppa di
Ambrosia a Caesar, che la prese e la buttò giù d’un fiato.
- L’idea di tuo
fratello non è male.- borbottò Dimitri – Non vuole farsi i cazzi tuoi...ma forse
il chiodo scaccia chiodo non è poi un’ipotesi così assurda.-
- Nessuna può
prendere il suo posto.- sibilò Caesar.
- Il Diavolo ce ne scampi.- replicò
l’amico – Un’altra Imperia. No, grazie. L’adoravo, lo sai. Ho pianto quando è
morta.-
- Appunto, è morta.-
- S’è suicidata Caesar.-
- Ti delizia il
rammentarmelo?-
- No, amo ricordarti che lei non ti ha lasciato solo. E che
ti serve una compagna. Qualcuno con cui dividere la vita.-
- Ho già te e
Leiandros, è una tortura più che sufficiente.-
- Ne sono lusingato, ma parlo
di una femmina.-
- Non voglio nessuno.- replicò l’altro, lugubremente.
-
Che ne sai, se non provi?-
In procinto di scoppiare, Caesar scagliò il calice
di rame svuotato d’Ambrosia in cielo. Avrebbe voluto farlo saltare in aria, ma
qualcuno d’abbasso alla loro terrazza lo precedette.
Cameron, in un
brevissimo istante prima che lui stesso allungasse una sfera di fuoco e fiamme
su quella coppa, vide un braccio esile e inanellato di perle e cristalli
saettare in aria.
Il calice saltò miseramente in pezzi e seguirono urla di
giubilo.
Imprecando, capì che erano il gruppetto di marmocchi amici di suo
fratello.
- Centro piccola!- ridacchiò Leiandros stesso, battendo le mani –
Ehi Chichi! Hai altro da lanciare?-
Chichi.
No.
Lo stava chiamando
Chichi di fronte a lei...
[Lei.]
Era stata lei a precederlo.
Lei che
con rabbia aveva distrutto quella coppa.
Sempre poggiato alla balaustra,
Caesar rimase a sentire le grida di divertimento che giungevano dal giardino. Un
gruppetto nutrito di giovani. Pochi superavano i duecento anni. Lucilla era con
loro.
Le scoccò una breve occhiata e subito un imperioso quanto esasperato
ordine gli giunse alla testa.
Guardami.
Sono qui.
[Ti brucerai
Piccola stella senza cielo
Ti
mostrerai
Ci incanteremo mentre scoppi in volo
Ti scioglierai
Dietro a
una scia, un soffio, un velo
Ti staccherai
Perchè ti tiene su soltanto un
filo...]
Piccola Stella, Ligabue
Denise Axia Psiche Loderdail.
Aveva un viso
d’angelo. Lunghi capelli bianchi, con fili argentei, imprigionati in una
preziosa ragnatela di gemme che a lui pareva una gabbia. Come sarebbe stato
scioglierle quelle chiome?
Come sarebbe stato liberarle con le sue
mani?
Dal basso, come una patetica parodia di Romeo e Giulietta, lei non
distoglieva lo sguardo.
Una piccola stella brillante, ancorata a una famiglia
che avrebbe tentato di spegnere la sua luce. Una luce preziosa, piena di vampe,
sicura di ciò che desiderava.
L’aveva trovato nella folla.
In quella folla
di facce, comprese Caesar. Come lui, quando l’aveva scorta.
Visi, sguardi,
occhi e cuori incatenati.
Andiamo Caesar, cosa fai?
[Colpo di
fulmine.]
Non dirmi che ci credi
ancora.
Non.
Esiste.
Il.
Colpo.
Di.
Fulmine.
[Il tuo cuore
non è d’accordo.]
Lei lo fissava.
E non pensava ad altro.
- Devo
presentartela?- gli chiese Demetrius al suo fianco, quasi
sorridendo.
No.
Di bocca gli uscì un basso lamento. Non una
negazione.
Era tanto che una donna...non aveva occhi che per lui.
Perché
lei non distoglieva mai il viso. Chi la cercava a parole, si scontrava con un
muro di silenzio. Sembrava non le importasse che ora tutti si fossero accorti
della sua attenzione rapita.
Era giovane.
E sembrava non avere più niente
in testa, se non lui.
[Che dici Caesar, ti piace come scommessa?]
-
Caesar?-
Ignorò Demetrius, ignorò l’espressione basita di suo
fratello.
Fece finta anche di non vedere il sorriso sulle labbra rosse di
Lucilla, mentre si allontanava.
- Caesar? Ti senti bene?-
Mai più
bene.
[Cos’è bene?]
Una parola neutra. Che non da gioia né dolore.
Bene
è bianco. Bene è candore.
Ma quella piccola stella non era
neutra.
Bruciava e brillava di luce propria.
[Denise.]
Un bel
nome.
Stavolta Caesar Cameron si chiese quanto gli sarebbe costata la
fuga.
Fuggire da un fantasma dilaniava.
Fuggire da un cuore vero e
pulsante...era tutt’altra dannazione.
The End or...not.
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