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Autore: Hacate Sanghurst    12/01/2008    2 recensioni
Fiction classificata Seconda nel Concorso Handle With Care indetto da Anfimissi e Claheavan. La storia e i personaggi non mi appartengono, Piccola Stella è una spin off che sta a cavallo fra i Figli della Speranza e TMR, dell'autrice Kysa e narra il primo incontro fra il demone più venerato di tutta la storia delle fiction Dramione e la sua amata, dopo anni di cupo dolore. Per Axia.
Genere: Romantico, Commedia, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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piccola stella

 

Avvisi: Song fic, tratta dalla Saga di Kysa.

 

Desclaimers: Fiction scritta per il Concorso indetto da Claheaven e Anfimissi, Handle With Care, in cui Piccola Stella si è piazzata la secondo posto. La storia originale da cui è tratta questa shot è di proprietà di J.K. Rowling, ma l’universo che ne consegue è tratto dalla fantasia di un’altra grande scrittrice, Kysa.
Nessun personaggio mi appartiene.

Per chi mi fa stare male, perché si ricordi com’era tutto un tempo.

Piccola Stella









[Cosa ci fai
In mezzo a tutta
Questa gente
Sei tu che vuoi
O in fin dei conti non ti frega niente
Tanti ti cercano
Spiazzati da una luce senza futuro.
Altri si allungano
Vorrebbero tenerti nel loro buio...]











Capodanno.
Altri trecentosessantacinque giorni passati veloci come il battito delle ciglia.
[Di un cuore.]
Strano.
Il.
Suo.
Neanche.
Batteva.
Un anno privo di consistenza, di senso.
Privo d’anima.
Caesar Noah Cameron vagava silenzioso fra tutti i suoi simili.
Un fantasma, uno spirito, un ricordo.
Il ricordo di un tempo che era stato. Di un tempo in cui la gloria e l’onnipotenza albergavano in lui.
Il prezioso bagliore di un diamante, tale lui era.
[Un Diamante che fa luce da solo. Che non ha bisogno di alcun riverbero per brillare]
Lui.
Bastava.
A.
Se.
Stesso.
La sua luce era innegabile, come quella del sole.
Emanava forza, grandezza, potere.
La sua falcata per natura non prestava attenzione a qualsiasi ostacolo avesse mai potuto frapporsi fra lui e un’immaginaria meta, per questo camminava come se fosse stato solo nel titanico salone d’ingresso del maniero di Horus Harkansky, immerso nei boschi verdi e labirintici della Nuova Zelanda.
Gli Harkansky erano una famiglia numerosa e millenaria. Il loro progenitore aveva visto la notte dei tempi. Forse la creazione.
Ma la maestosità di quella casa lo toccava solo in superficie.
Del resto a lui non importava nulla.
Né del Capodanno né di quella ridicola riunione.
Da anni per lui niente aveva più sapore. I colori…tutti uguali, tutti grigi.
Il sonno era sparito, traditore, portandosi via i pochi momenti di oblio.
Tutto da quando Imperia si era suicidata.
Perciò neanche un nuovo anno, neanche lo scandire del tempo, poteva dargli sollievo.
Perché tutto era rimasto com’era, dal momento in cui lei, sua moglie, aveva chiuso gli occhi per sempre.
La sua figura alta e ben piazzata attirava molti sguardi al suo passaggio, ma chi conosceva bene lui, la sua fama e la sua storia, sapeva che non era facile ottenere la sua confidenza.
Da sempre si era attorniato di pochi amici fedeli e ad ancor meno parenti permetteva di far parte della sua vita.
Per questo tutti si erano stupiti, specialmente le donne, quando al suo fianco, a quasi ottant’anni dalla morte di Imperia Glassharm Cameron, sua moglie, era apparsa un’altra donna.
Chi aveva amato Degona Harkansky, la Corona degli Harkansky, amò all’istante anche sua figlia.
Lucilla F.A.L. del casato dei Lancaster.
La neodemone, divenuta tale da appena quattro anni, camminava al suo fianco.
Con lo stesso passo, lo stesso sguardo di chi ha perso il suo cuore nell’istante in cui ha perso il suo padrone.
Lui, alto e cristallino.
Lei, sinuosa e magnifica come un serpente nero.
La coppia perfetta. La coppia ideale.
[Ma non si amavano.]
Lei.
Era.
Sua.
Prigioniera.
Veneravano l’uno la potenza dell’altra, adoravano un sogno.
Entrambi vivendo nel passato. Nel ricordo.
Perché per loro c’erano solo i ricordi.
Di un’esistenza che un tempo aveva avuto un significato, un perché.
Che ora invece era pallida, dall’apparenza satinata ma squallida e indegna, senza una meta.
- Devo parlare a bassa voce come gli altri?- soffiò Lucilla quando furono in mezzo al salone tempestato di candelabri e lampadari di cristallo.
Caesar le scoccò uno sguardo divertito, ma che un estraneo avrebbe giudicato assolutamente indifferente.
- Stanno spettegolando.-
- Ma dai, non me n’ero accorta.- gli rispose, posando la mano sul braccio che le porgeva.
- So che preferiresti essere a casa tua.-
- Immagini bene.-
- Ho promesso agli Harkansky che ti avrei condotta qui.-
- Ti capisco e ti perdono.- Lucilla si guardò attorno – Ma questi sono peggio degli umani. Mi guardano come una formica.-
- Ti guardano gli uomini.- la corresse Caesar – Perché sei uguale a tua madre. Quando passava lei, tutti tacevano.-
- E quando passi tu tutte le donne del salone si girano e quasi dimenticano il loro nome.-
Cameron rise appena, scuotendo il capo.
- E dire che un tempo a queste feste partecipavo sempre.-
- Strano. Non credevo che tu e tua moglie foste interessati alle vetrine.-
[Imperia.]
Una lama piantata nel petto, nel bel mezzo del suo cuore muto e immobile avrebbe procurato meno dolore. Era veleno quel nome. Il veleno di una vita gettata via, in nome dell’Oltre.
[Imperia.]
C’era ancora quel nome scolpito a fuoco nel suo cuore muto e immobile.
C’era ancora il suo tocco, le sue mani e i suoi capelli schiacciati alla sua schiena, come una donna sfinita da una notte d’amore, abbracciata al suo uomo.
[Imperia.]
A quella frase lo sentì irrigidirsi, ma a lei, Lucilla, era concesso tutto.
Anche parlare di Imperia.
Caesar si limitò a stringersi nelle spalle.
- Neanche lei amava queste feste ma ogni tanto le faceva bene stare fra i suoi simili.-
- E tu? Come ti senti fra questa gente?-
- Sento solo un’emicrania crescente.- mormorò, tastandosi le tempie – E’ peggio di un vespaio.-
- Non c’è nessuno col cervello vuoto? Così ti appioppo a lui.- lo prese in giro, vagando con sguardo annoiato.
- Hn, mica male come idea. Hai visto Demetrius o mio fratello?-
- Ho visto qualcuno a cui presto caverò gli occhi se non la smette di fissarmi in quel modo.-
Donne, pensò, seguendo i suoi teneri e minacciosi occhi bianchi nella massa.
Ballerine coperte di veli danzavano come spiriti del vento su alte colonne, avvolte in seta e organza.
Fra maschere d’oro e ambra, fra il tintinnare di calici e i soffusi cinguettii di uccelli dal leggendario piumaggio chiusi in gabbie appese al soffitto, Caesar riconobbe quegli occhi.
Tanti occhi.
- Sono i Loderdail.- le disse, passandole una mano dietro la schiena e sospingendola delicatamente in avanti, verso gente che poteva considerare più amichevole – Una famiglia da cui direi a tutti di stare alla larga.-
- Mai sentiti.-
- Erano famosi un tempo. Poi ne sono rimasti pochi.-
- Da chi diavolo mi stai portando?-
- Da Demetrius e mio fratello. Non avranno cervello, ma potrai stare tranquilla.-
Spiandolo da sotto le lunghe ciglia arcuate, Lucilla Lancaster lo seguì con fasulla dolcezza – Mi starai appiccicato tutta la sera?-
- Ti dispiace forse?- ironizzò lui.
- Stando sempre insieme a me, potresti dare una visione distorta delle cose.-
- Stai cercando di rimettermi sulla piazza, mia cara?-
La risata argentina di Lucilla fu come il frusciare della sua magnifica veste, più celestiale della stoffa usata per dare risalto alla sua pelle di alabastro – Neanche tu puoi stare da solo in eterno, Caesar. Hermione dovrebbe avertelo fatto capire.-
Un’altra donna.
[Mai.]
Mai, mai nessun’altra.
Avrebbe potuto metterci la mano sul fuoco.
Imperia non era rimpiazzabile.
Demetrius gli disse più o meno la stessa cosa, qualche minuto più tardi. Stando letteralmente appiccicato a Lucilla, avrebbe tolto tutte le speranze alle fanciulle presenti.
- Sai quanto me ne importa.- commentò apatico, fermando un valletto e prendendo due coppe di rame, contenenti una viscida sostanza color miele. Dette un calice a Lucilla – E’ Ambrosia, bevila. Adesso puoi.-
- Disgustosa.- commentò la Lancaster – Non c’è del vino?-
- O magari qualcosa con le olive.- tubò Leiandros – Lucilla, te li ho presentati gli amici che frequento da poco?-
- Intendi quel Portalista che ti ha riportato al castello l’altra notte, quando eri ubriaco?- replicò la demone – Quello che imprecava in russo?-
- Se chiami qui Vlad ci ritroveremo sommersi anche dai Romanov.- lo fermò Caesar, assumendo la sua consueta espressione d’irritazione perenne – No, grazie. Non ho voglia di risse stasera. I padroni di casa poi se la prendono per niente.-
- Allora lustrati gli occhi sulla nipote di Arsenius De Blanchet.- Demetrius, indicandogli qualcuno alle loro spalle con uno sguardo, emise un risolino – Quel francese impettito l’ha condotta qua sperando di sposarla presto.-
- Improbabile.- celiò Leiandros – La fanciulla la loquacità di una mummia egiziana.-
- E sembra pronta a fuggire.- notò Lucilla – Mi pare giovane.-
- Ha almeno un secolo e mezzo più di te, amore.- frecciò Caesar.
- Cos’è, il mercato delle “appena maggiorenni”?-
- Può anche darsi.- rispose l’altro, passandole protettivamente un braccio attorno alle spalle – I vecchi sono soliti accasare subito quelle giovani che potrebbero dare problemi. Ritieniti fortunata che tuo nonno sia troppo preso dalle sue amanti...a quest’ora avrebbe potuto spingerti fra le braccia di chiunque.-
- Se papà avesse il buon gusto di spingere te a fare un po’ di sesso, magari.- sospirò Leiandros desolato, verso il fratello maggiore – Possibile che non c’è nessuna donna che ti attiri Chichi?-
- Pensa ai cazzi tuoi e smettetela tutti con questa fissa di trovarmi una scopata.-
Assurdo.
Donna.
Amante.
Compagna.
Tutte assurdità!
A lui non interessava niente e nessuno. Tantomeno una donna...
Nessuna poi, in quella dannata dimora, riluceva ai suoi occhi.
Nessuna...



 


[Ti brucerai
Piccola stella senza cielo.
Ti mostrerai
Ci incanteremo mentre scoppi in volo
Ti scioglierai
Dietro a una scia, un soffio, un velo
Ti staccherai
Perchè ti tiene su soltanto un filo, sai]






Perle.
Diamanti.
Madreperla.
Opulenza nei capelli, tessuti in fili d’argento e neve d’alta quota.
Semplicità in un abito color piombo.
[Una stella.]
Piccola e brillante.
Troppo piccola.
E troppo accecante.
Distogli lo sguardo, si ammonì.
Distoglilo.
[La vita che ti sei costruito è un comandamento.]
Non trasgredire.
- Stai bene?- gli chiese Lucilla, con espressione interrogativa – Caesar?-
- Si, sto bene.- bofonchiò, affondando il naso nella coppa d’Ambrosia – Ma queste feste mi annoiano.-
- Perfetto, andiamocene.-
- Voi due non andate da nessuna parte.- li ammonì Leiandros – Lucilla, devi ancora salutare i tuoi e poi tu Chichi non hai ancora visto mamma e papà, poi finisce che se la prendono con me se sparisci. Non li vedi mai.-
- Che aria da spiritato.- ridacchiò invece Dimitri, spiandolo attentamente – Ex amante in giro?-
- Ma quali amanti, fa voto di castità da anni.- sbuffò seccato il fratello minore.
- La finite o no?- sbottò inferocito, ringraziando dell’arrivo di altri invitati che deviarono gli sguardi di tutta la sala, la sua compresa, verso spazi diversi.
Quando osò spostare di nuovo i nivei occhi verso il centro del salone, la creatura che aveva attirato i suoi sguardi era sparita.
Era stata un’illusione.
Che altro?
Discutere di sciocchezze, di guerre passate, di antiche relazioni, di noioso pane quotidiano per lingue impigrite. Ecco perché disertava la sua gente.
Ed ecco perché evitava di uscire dal suo palazzo.
Lì rinchiuso avrebbe potuto scordare per sempre il lutto.
E al contempo non dimenticare mai sua moglie.
[Imperia.]
Si.
Il.
Tuo.
Nome.
Fa.
Male.
L’Ambrosia sul suo palato divenne amaro fiele.
Ora non stava pensando a Imperia.
Ma girava ossessivamente su se stesso.
Aveva visto un angelo, prima.
Una ninfa.
Una fata.
Un Demonio.
Non sapeva dirlo.
[Chi era?]
[Dov’era?]
Eccola...
Il richiamo lo raggiunse dall’altra parte della titanica sala da ballo...

 



 

Guardami...
Sono qui...









[Tieniti su le altre stelle son disposte
Solo che tu
A volte credi non ti basti
Forse capiterà che ti si chiuderanno gli occhi ancora
O soltanto sarà
Una parentesi di una mezz'ora]






L’Ambrosia tornò a sciogliersi come cioccolato fuso sul suo palato.
Strinse il calice fra le dita e fra miriadi di volti, occhi tutti uguali, bianchi e appannati, fra maschere d’oro e argento, fra piume di setoso tulle nero, lo sfolgorante scintillio di quella piccola stella tornò a richiamarlo.
Era Angelo e Demonio.
[Brillava per attirarlo.]
Seguendo il suo sguardo, Dimitri incontrò un gruppo di giovani demoni che parlavano fra loro.
Per Lucilla forse sarebbe stata una compagnia migliore della loro, pensò Lord Demetrius, ma era interessante scorgere un certo vago sentimento nella persona di Caesar Cameron.
Si conoscevano dalla nascita. Un millennio quasi.
E in fondo, neanche il più grande empatico della terra poteva celare tutti i suoi segreti.
- Forse dovremmo presentare Lucilla ai ragazzi.- propose di punto in bianco.
La Lancaster parve non capire, così Dimitri e Leiandros le indicarono il gruppetto.
- Sono gli amici di cui ti dicevo prima. Winyfred, tua cugina, sta spesso con loro. Ha anche smesso di vivere negli anni ’80 di questo secolo per frequentarli!-
- Oh.- Lucilla si strinse nelle spalle – Come vi pare. Io andrò via presto comunque, non è necessario che mi facciate costantemente da balia.-
- Sono simpatici, giuro.- rise Leiandros – Pure Chichi li sopporta!-
- Davvero?- sogghignò la Lancaster, rivolgendosi al maggiore dei Cameron – Sei riuscito a farti degli amici? Domani avverrà l’Apocalisse allora.-
- Molto divertente.- replicò lui, gelido, indurendosi di colpo – Quelli portano solo danni.-
- Però ce n’è una che non conosci.- perseverò Demetrius, restando in attesa – La nipote di Seal e Sapphyre Loderdail. E’ minorenne, ma dicono che abbia un potere straordinario simile al tuo.-
- E allora? Chissene frega dei poteri dei minorenni.- Caesar posò il calice sul vassoio di un valletto – Io mi sto rompendo, vado a fare un giro fuori. Non perdete Lucilla, se torno e non la trovo finirete la vostra miserabile esistenza sul marmo di questa catapecchia.-
E con quell’ultimo accenno di grazia e cortesia, Caesar Noah Cameron si fece largo, attraversando la grande stanza da ballo come se non ci fosse stato nessuno presente.
Oltre lui.
E.
Oltre.
Lei.
[Smettila di guardarmi.]
Non guardarla, si ordinò.
Non starla a sentire.
- Ma che gli prende? Questi sbalzi d’umore non sono normali.- disse Lucilla, sospirando paziente.
- Col cavolo, aspetta di conoscerlo per più di due secoli e poi vediamo se lo dirai ancora.- ridacchiò Demetrius – Quel povero ragazzo passa troppo tempo da solo.-
- Ha appena detto che non vuole che gli troviate una compagna.- fece notare la Lancaster.
- Si, ma io non ascolto mai quello che dice.- tubò Leiandros, prendendola sotto braccio – Vieni, ti presento a Vlad e Brand, il ragazzo di Winyfred.-
- Io intanto vedo di andare a trovare Caesar.- fece Demetrius, afferrando due calici pieni di Ambrosia – Magari se lo faccio sbronzare diventa più simpatico.-
- Figurati.- fece il minore dei Cameron con fare gioviale, mentre lui e la Lancaster venivano inghiottiti dalla folla – Ha anche la sbronza triste. Il destino ce l’ha con lui!-
Forse era vero, pensò Lord Demetrius.
Forse il destino non guardava in faccia a nessuno.
Ma non si poteva dire che Caesar però sapesse cogliere i doni che il Fato gli piazzava sul suo cammino. Caesar li considerava mazzette, per farsi perdonare di ciò che gli era stato portato via.
Caesar ancora credeva che avrebbe potuto fare qualcosa, per impedire a Imperia di uccidersi.
Ancora non capiva che il suicidio era un atto di puro libero arbitrio.
Imperia aveva desiderato la morte più di quanto avesse amato lui.
La realtà [la verità] per quanto dolorosa fosse, era questa.
Imperia non l’aveva [cattiva] amato abbastanza da vivere solo per lui.
Ma poi, osservando Leiandros presentare Lucilla a quel gruppetto di giovani demoni, Demetrius si accorse di un fatto...in cui non centrava il destino.
Solo l’attrazione.
Quella che divora e colpisce a prima vista.
Lei non c’era più.
Demetrius ne conosceva il nome.
Si chiamava Denise Axia Psiche Loderdail.
Ed era una Ladra Spirituale.
E alla fine, forse, anche l’unica che si fosse attirata le ire di Caesar solo con uno sguardo.
Per Demetrius, questo significava per più di una festa nel cuore per mille anni.


 


 

[Ti brucerai
Piccola stella senza cielo
Ti mostrerai
Ci incanteremo mentre scoppi in volo
Ti scioglierai
Dietro a una scia, un soffio, un velo
Ti staccherai
Perchè ti tiene su soltanto un filo, sai]







I giardini degli Harkansky erano un tripudio di piante e fioriture del tutto fuori stagione.
Grandi fiori rossi, gialli, [caldi come il sole] oppure bluastri, violacei, anche neri [letali come veleno] erano ricoperti di neve.
C’erano varietà infinite di flora in quei parchi che attorniavano il palazzo e statue, mezzibusti che rimembravano i grandi antenati di quella famosa famiglia che deteneva il potere sul Tempo e lo Spazio.
Lucilla avrebbe dovuto sentirsi onorata di appartenere a quella...gente...
Ma no. Perché ti racconti bugie?
Quando sei giovane il nome, il sangue e il lignaggio posso sembrare tutto.
[Un universo intero.]
Poi perdi ciò che è davvero importante...e niente ha più senso.
Poggiò entrambi i palmi aperti sulla balaustra in stile classico di quella terrazza sui giardini.
Era solo.
Dall’interno delle ampie porte finestre, proveniva il suono di magistrali violini.
Un tempo aveva ballato.
Un tempo gli era piaciuto ballare.
Ora neanche quello importava più.
Inspirò a fondo, si appoggiò di peso alle sue mani, sentendosi le braccia rigide, interi fasci di nervi.
Fissò la mano sinistra. C’era ancora il segno della fede nuziale.
[Patetico Caesar.]
Piangi.
Una.
Donna.
Che.
Non.
Ti.
Amava.
Oh, Imperia lo amava.
Lo aveva sentito.
Ma...non abbastanza .
- Hai intenzione di stare qua a piangerti addosso per tutta la sera?-
Non si mosse, sentendo Demetrius accostarsi alla balaustra con la schiena. Diede una coppa di Ambrosia a Caesar, che la prese e la buttò giù d’un fiato.
- L’idea di tuo fratello non è male.- borbottò Dimitri – Non vuole farsi i cazzi tuoi...ma forse il chiodo scaccia chiodo non è poi un’ipotesi così assurda.-
- Nessuna può prendere il suo posto.- sibilò Caesar.
- Il Diavolo ce ne scampi.- replicò l’amico – Un’altra Imperia. No, grazie. L’adoravo, lo sai. Ho pianto quando è morta.-
- Appunto, è morta.-
- S’è suicidata Caesar.-
- Ti delizia il rammentarmelo?-
- No, amo ricordarti che lei non ti ha lasciato solo. E che ti serve una compagna. Qualcuno con cui dividere la vita.-
- Ho già te e Leiandros, è una tortura più che sufficiente.-
- Ne sono lusingato, ma parlo di una femmina.-
- Non voglio nessuno.- replicò l’altro, lugubremente.
- Che ne sai, se non provi?-
In procinto di scoppiare, Caesar scagliò il calice di rame svuotato d’Ambrosia in cielo. Avrebbe voluto farlo saltare in aria, ma qualcuno d’abbasso alla loro terrazza lo precedette.
Cameron, in un brevissimo istante prima che lui stesso allungasse una sfera di fuoco e fiamme su quella coppa, vide un braccio esile e inanellato di perle e cristalli saettare in aria.
Il calice saltò miseramente in pezzi e seguirono urla di giubilo.
Imprecando, capì che erano il gruppetto di marmocchi amici di suo fratello.
- Centro piccola!- ridacchiò Leiandros stesso, battendo le mani – Ehi Chichi! Hai altro da lanciare?-
Chichi.
No.
Lo stava chiamando Chichi di fronte a lei...
[Lei.]
Era stata lei a precederlo.
Lei che con rabbia aveva distrutto quella coppa.
Sempre poggiato alla balaustra, Caesar rimase a sentire le grida di divertimento che giungevano dal giardino. Un gruppetto nutrito di giovani. Pochi superavano i duecento anni. Lucilla era con loro.
Le scoccò una breve occhiata e subito un imperioso quanto esasperato ordine gli giunse alla testa.


 


Guardami.
Sono qui.


 

 

 





 


[Ti brucerai
Piccola stella senza cielo
Ti mostrerai
Ci incanteremo mentre scoppi in volo
Ti scioglierai
Dietro a una scia, un soffio, un velo
Ti staccherai
Perchè ti tiene su soltanto un filo...]
Piccola Stella, Ligabue




 

 



Denise Axia Psiche Loderdail.
Aveva un viso d’angelo. Lunghi capelli bianchi, con fili argentei, imprigionati in una preziosa ragnatela di gemme che a lui pareva una gabbia. Come sarebbe stato scioglierle quelle chiome?
Come sarebbe stato liberarle con le sue mani?
Dal basso, come una patetica parodia di Romeo e Giulietta, lei non distoglieva lo sguardo.
Una piccola stella brillante, ancorata a una famiglia che avrebbe tentato di spegnere la sua luce. Una luce preziosa, piena di vampe, sicura di ciò che desiderava.
L’aveva trovato nella folla.
In quella folla di facce, comprese Caesar. Come lui, quando l’aveva scorta.
Visi, sguardi, occhi e cuori incatenati.
Andiamo Caesar, cosa fai?
[Colpo di fulmine.]
Non dirmi che ci credi ancora.
Non.
Esiste.
Il.
Colpo.
Di.
Fulmine.
[Il tuo cuore non è d’accordo.]
Lei lo fissava.
E non pensava ad altro.
- Devo presentartela?- gli chiese Demetrius al suo fianco, quasi sorridendo.
No.
Di bocca gli uscì un basso lamento. Non una negazione.
Era tanto che una donna...non aveva occhi che per lui.
Perché lei non distoglieva mai il viso. Chi la cercava a parole, si scontrava con un muro di silenzio. Sembrava non le importasse che ora tutti si fossero accorti della sua attenzione rapita.
Era giovane.
E sembrava non avere più niente in testa, se non lui.
[Che dici Caesar, ti piace come scommessa?]
- Caesar?-
Ignorò Demetrius, ignorò l’espressione basita di suo fratello.
Fece finta anche di non vedere il sorriso sulle labbra rosse di Lucilla, mentre si allontanava.
- Caesar? Ti senti bene?-
Mai più bene.
[Cos’è bene?]
Una parola neutra. Che non da gioia né dolore.
Bene è bianco. Bene è candore.
Ma quella piccola stella non era neutra.
Bruciava e brillava di luce propria.
[Denise.]
Un bel nome.
Stavolta Caesar Cameron si chiese quanto gli sarebbe costata la fuga.
Fuggire da un fantasma dilaniava.
Fuggire da un cuore vero e pulsante...era tutt’altra dannazione.







 

The End or...not.

 

 

 

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