Serie TV > Teen Wolf
Ricorda la storia  |      
Autore: Phoenixstein    29/06/2013    5 recensioni
Doveva accettare il fatto che, con Stiles coperto di lividi sdraiato sul suo letto, la sua debolezza, la sua paura più grande, era quella di perderlo. E non si dava pena di capire come fosse successo, o quando; teneva a lui più che alla sua stessa vita, c’era solo da prenderne atto.
* ***/// WHAT IF! E se Stiles fosse stato rapito per il sacrificio di vergini? ///*** *
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Don’t die before I do

 

 

 

Con tanto amore dedico questa os a Ilenia,

perché me l’ha chiesta e non potevo proprio dirle di no.

 

 

 

 

Non aveva avuto il tempo di gridare, Stiles. Certo, avrebbe dovuto immaginare che con quello che stava succedendo a Beacon Hills andarsene in giro da solo non rientrava fra le mosse più astute da compiere. Il fatto era che aver visto con i propri occhi il cadavere di Heather aveva costituito uno shock troppo grande. A volte Stiles si rendeva conto di non farcela. La conosceva da quando era una bambina piccola, quella ragazza, da quando sulla faccia del sole disegnava occhi, naso e bocca. Si sentì un po’ sciocco per quello, ma era anche colei che per qualche minuto l’aveva fatto sentire desiderato e le era riconoscente per averlo reso un po’ meno sfigato del solito. Un buon profumo e la consistenza sottile dei suoi capelli biondi, ecco cosa gli rimaneva del loro bacio in cantina; ecco cosa gli rimaneva di lei, insieme a un brivido sensuale che contrastava con l’immagine di lei a sei anni.

Aveva avvertito l’urgenza di fare due passi, di respirare aria fresca e mettersi in pari con quello che doveva affrontare. Non c’era tempo a Beacon Hills per fermarsi a leccarsi le ferite; quindi, prima avrebbe cacciato quella voglia di piangere e meglio sarebbe stato. Sfortunatamente la sua decisione si era rivelata incauta e oltremodo pericolosa. L’avevano acciuffato in due, senza tante cerimonie, e per quanto lui si fosse dimenato per liberarsi e avesse tentato di urlare in cerca d’aiuto, quelli erano stati talmente rapidi a tappargli la bocca e a sollevarlo che l’avevano caricato in macchina in meno di cinque secondi e sbattuto sul tappetino.

«Chi siete?» mugugnò Stiles, nel panico, mentre i due tizi lo tenevano fermo a terra schiacciandogli il torace con i piedi e un terzo faceva partire l’auto sgommando. Avevano il viso coperto da un passamontagna, ma il ragazzo sapeva che non potevano essere semplici criminali. L’unica risposta che ricevette fu un pugno in piena faccia.

Il suono sordo di nocche contro la carne e le ossa, poi il dolore prese a pulsare sulle sue labbra accaldate e bastò un tocco fugace della lingua sul taglio per assaporare il sangue tiepido e dolciastro che le bagnava. Cosa poteva dire, Stiles? “Sono il figlio dello sceriffo!”. No, come se non lo sapessero. E se non lo sapevano, meglio tenerli alla larga da suo padre. “Dove mi state portando?”. No, nessuna domanda sarebbe suonata più stupida. Eppure Stiles voleva urlare, urlare che non bastava picchiarlo per tenerlo buono. «Perché fate questo, eh? Chi è il capo?»

«Tappagli la bocca, T.» ordinò quello alla guida, a uno degli altri. L’uomo alla destra di Stiles si abbassò e gli serrò la gola in una stretta d’acciaio. Aveva una mano grande, forzava quel collo fragile con estrema facilità e gli toglieva il respiro. Stiles non riusciva nemmeno a tossire e si aggrappava a quelle dita troppo forti nel tentativo di levarsele di dosso, annaspando in cerca di aria che non riusciva a raggiungere. Ma lo sconosciuto accentuò la morsa, tranquillamente, come se uccidere non lo turbasse; gli fece sentire quanto potere aveva su di lui che non era nient’altro che un ragazzino spaventato, gli fece credere di potergli togliere la vita stringendo ancora un po’, solo un po’ davvero… E poi lasciò andare, con un sibilo minaccioso: «Hai capito cosa ti succede se parli?»

E la testa di Stiles ciondolò in avanti, la bocca spalancata a risucchiare finalmente quanto più ossigeno possibile. Le lacrime si addensavano nei suoi occhi e le tempie pulsavano dolorosamente per lo sforzo a cui era appena stato sottoposto. Ancora una volta, si sentì vulnerabile, c’era abituato. Si ricordò però che adesso era solo: non c’era Scott, non c’era nessuno. Solo. I rapitori lo spinsero di lato, costringendo la sua faccia contro il tappetino. La suola pesante di uno scarpone si adagiava con forza sul suo orecchio e dietro la nuca per tenerlo fermo, la costola gli faceva male e il sangue seccava sul labbro bollente. “Dio” pensava “Dio, morirò senza aver salutato mio padre…”

L’auto incappava in numerose buche, segno che si stavano allontanando dalla città, e Stiles in quella posizione forzosa sentiva tutto sulla faccia, ogni falla dell’asfalto. Ad ogni contraccolpo il piede finiva col calpestare con maggior forza la sua testa. Testa che, diavolo, sembrava scoppiare. Desiderava abbandonarsi ad un pianto ristoratore, un ultimo pianto magari. Ma la gola dolorante si rifiutava di nutrire i suoi singhiozzi. Faceva fatica a respirare, figurarsi a piangere. Quelli che reputava i suoi ultimi pensieri si accalcavano l’uno sull’altro e sbattevano contro le pareti del cervello con ali taglienti. Il cuore dopo un po’ decelerò il battito impetuoso arrendendosi alla prospettiva che non ci fosse alcuno scampo. Sperava solo che la Triplice Morte non facesse male, non così tanto.

 

Le botte, però, quelle sì che facevano male.

«Pessima guida, amico. Potevi fare attenzione a tutte quelle buche.» bofonchiò, sarcastico fino alla fine, mentre dopo averlo bendato lo trascinavano da qualche parte sullo sterrato. Una parola di troppo, l’ennesima che gli era sfuggita, gli costò cara. Appena furono all’interno di un casolare, una pioggia di calci e pugni gli si rovesciò addosso. Stiles accusò colpo su colpo, inerme, raggomitolandosi per istinto come nel grembo materno per offrire meno spazio alle offese. Queste si scaricarono sulla schiena e lungo le gambe e sulle braccia e sulle dita che tentavano di proteggere la faccia. Le percosse infierirono malignamente sulle giunture, a botte poderose aprirono i capillari nella pelle pallida della schiena, ammaccarono i muscoli tesi, raggiunsero il naso e tolsero a Stiles anche la minima volontà di opporre resistenza. Dopo una serie di rumori secchi che ammorbarono l’atmosfera di disfatta, di lui non restò che un cumulo tremante di lividi e lacrime che aveva a malapena la forza di sussurrare“basta, basta” con le labbra imbrattate di sangue.

«Non ti uccideremo, non ora. Ordini dall’alto.» disse uno di quei bastardi prima di chiuderlo a chiave in uno stanzino. Incapace di muoversi, Stiles, sopraffatto dal dolore, umiliato per la propria umana debolezza, si accucciò in quello che aveva tutta l’aria di essere un polveroso ripostiglio vuoto, senza finestre.

Il tanfo di stantio nelle sue narici si mescolava al sapore metallico del sangue che aveva in gola, sulla lingua, addosso. Lo sputò fuori. Il suo intero corpo era intorpidito da una sofferenza incessante, rimarcata a fuoco in alcuni punti. Gli mancava già l’aria e odiava sentirsi piagnucolare per la bassa tolleranza del dolore. Dentro, gli sembrava che spilloni aguzzi risalissero lungo la trachea disseminando sangue e gelo; fuori, fiamme all’arsenico ardevano sulla sua pelle, implacabili, crepitanti.

Al buio, la disperazione era più nera, cruda, asfissiante.

Allungò la mano dietro di sé, verso la tasca posteriore dei pantaloni e gemette. Anche un minuscolo movimento richiedeva un grande sforzo muscolare e acuiva il supplizio. Il cellulare, benedizione, c’era ancora. Una flebile speranza gli fece mancare un battito. Osservò lo schermo. Ovviamente, ovviamente era troppo bello, troppo facile per essere vero. Non c’era campo. Si lasciò scappare un lamento di frustrazione e continuò a fissare il simbolo sullo schermo pregando che comparisse anche solo una tacca. “Per favore, per favore, per favore”. Niente, niente, niente. Voleva morire. Ironia; tanto, sarebbe morto comunque. Lo spense, lo riaccese, ultima spiaggia. E sì, sì, una piccola tacca solitaria comparve facendogli esplodere il cuore. Aprì la rubrica e chiamò il primo numero che gli venne in mente, mentre lacrime di sollievo solcavano copiose le sue guance.

 

«Stiles?»

«Derek.» il ragazzo sussurrò nel ricevitore, terrorizzato all’idea che i rapitori potessero sentirlo «Oh mio dio, mi hanno… mi hanno rapito.»

L’Alpha sbatté le palpebre, la mano che si chiudeva con veemenza attorno al telefono «Cos- Sai dove ti hanno portato?»

«So solo che dev’essere fuori città. Dieci minuti di strada oltre la periferia, credo.» ansimò Stiles.

«A nord, a sud? DOVE.» domandò l’altro, feroce.

«Non lo so. Era una strada piena di stramaledette buche. Ti prego, Derek.»

«Ti troverò.»

«Fai presto, mi uccideranno. Non so per quanto tempo potrò resistere.»

«Stiles…»

«Dico sul serio. I sacrifici umani! Derek… ho solo…»

«Sto arriv-.»

E la linea, già debole e frusciante, cadde.

 

Nel penoso silenzio che lo avvolgeva, Stiles cominciò a pregare. Nessun dio, ma l’Alpha. Pregò che Derek riuscisse a trovarlo in tempo.

Quando l’aveva appena conosciuto non si sarebbe mai sognato in una situazione del genere di chiedere aiuto proprio a lui, ad una persona di cui aveva paura e di cui non si fidava; da allora però erano cambiate parecchie cose.

Sfibrato nel corpo ma rinfrancato nello spirito, si raggomitolò sul pavimento e chiuse gli occhi. Lo spasmo di un colpo di tosse si irradiò lungo tutte le sue membra, sprigionando un’esplosione più pungente di dolore arroventato che lo indusse a nuove lacrime. Era a pezzi, in bilico fra la vita e la morte, in mano a dei pazzi che trattavano la gente come carne da macello. Mentre respirava a fatica l’aria fetida di quello spazio angusto si tenne ancorato ad una speranza di nome Derek Hale.

 

Derek salì a bordo della Toyota e cercò di sgomberare la mente da un’apprensione che l’avrebbe portato ad errare. Non c’erano chances da giocare, non sapeva di quanto tempo disponesse prima della fine e aveva un solo indizio: strada piena di buche che conduceva fuori città. Dedusse che poteva trattarsi di una diramazione della provinciale a sud, dallo stesso lato della riserva, dove viuzze malmesse serpeggiavano fino alle colline.

Avvertendo la rabbia che affondava i denti nel suo cuore, si chiese chi mai avesse osato rapire Stiles. Ad ogni modo, chiunque fosse stato, non ne sarebbe uscito indenne. Derek fremeva dal desiderio di squarciar loro il petto con gli artigli. Inesorabilmente, sentiva l’animale farsi largo nella sua coscienza.

Preferì non dire niente a Scott ed Isaac, che si stavano occupando di Boyd e Cora. Derek aveva già tenuto il cadavere di Erica fra le braccia e pianto l’ennesima perdita, non aveva intenzione di ripetere l’esperienza mentre era già spaccato in due dal dolore. Premette a fondo il piede sull’acceleratore e abbassò il finestrino. L’unico modo per trovare Stiles era rintracciarlo dall’odore. Un odore che la memoria olfattiva di Derek non avrebbe confuso con nessun altro.

 

«Tiralo fuori di lì. Abbiamo ricevuto l’ordine. Il sacrificio va compiuto adesso.»

Quando le orecchie di Stiles captarono quelle parole oltre la porta, il senso di panico lo attanagliò allo stomaco e si espresse fisicamente col frizzare elettrico delle ferite. “No, no, no, no.” si ripeté, incredulo. «Derek…» piangendo mormorò il nome dell’Alpha, come se quello potesse sentirsi chiamare, anche con un filo di voce; come se esprimendo un ultimo desiderio, il lupo sarebbe potuto apparire magicamente per salvare il suo patetico culo. Ma Derek non arrivava, e il rumore dei passi che si avvicinavano allo stanzino aumentava d’intensità. Odiava quegli scarponi che l’avevano massacrato, facevano un baccano assordante sul pavimento.

Pensò a troppe cose tutte insieme, Stiles, quando la porta fu aperta e uno dei loschi figuri si stagliò dinanzi a lui in controluce. Pensò alle persone che aveva conosciuto, le vide accavallarsi davanti ai suoi occhi sottoforma di colori, suoni, sensazioni… Suo padre, Scott, Lydia, Allison, Isaac, Melissa, Peter, Danny, Erica, Boyd, Heather, Jackson che era a Londra, gli Alpha che sembravano degli psicopatici… Passanti, il tizio del bar, le drag queen, gli Argent, la sua vicina di casa, il tipo che faceva jogging la mattina alle sei… Pensò a sua madre, ai suoi abbracci che gli erano stati sottratti troppo presto. Pensò ai sogni segreti che non aveva rivelato neppure a Scott, pensò alla voglia di riscattarsi che non avrebbe mai trovato soddisfazione, pensò agli ostacoli che con costanza aveva superato solo per cadere alla fine in una morte da perdente. Pensò al compito di chimica per il lunedì, al suo banco che sarebbe stato vuoto, a chi non avrebbe nemmeno notato la sua assenza. Pensò alla figura di Derek, a come nel tempo erano cambiati i sentimenti nei suoi confronti e al fatto che comunque era stato la speranza a cui si era aggrappato negli ultimi minuti di vita…

Poi delle gomme frenarono di botto sullo sterrato, là fuori a pochi metri di distanza. Lo sentì benissimo. In una frazione di secondo la porta della casa si aprì di schianto e il ringhio possente di Derek lacerò le sue paure. Sì, era Derek. Stiles sapeva che era Derek. La gioia deflagrò in lui, viscerale, potentissima.

Il rapitore si precipitò in soccorso degli altri due complici che, a giudicare dal gran baccano di assi fracassate, erano piombati contro il tavolo. «Derek!» urlò Stiles, tirandosi su almeno con la schiena e addossandosi faticosamente al muro. Le ginocchia gli cedettero, sudava freddo, nel cuore una turbina impazzita pompava sangue tanto veloce da dargli i capogiri. «Derek!» gridò ancora, strisciando verso l’uscio aperto.

Udì altri ringhi, altri tonfi, l’inequivocabile brusca melodia di una lotta, della vittoria incontrastata di un Alpha su tre miserandi esseri umani. Non aveva mai ascoltato niente di più bello.

 

«Stiles! Andiamo via di… qui.» la voce di Derek s’incrinò non appena l’ebbe raggiunto. Gli bastò un’occhiata per capire che l’avevano conciato davvero male. «Riesci a camminare?»

Stiles tentò di ergersi in piedi ma era come se nessuna parte del suo organismo volesse obbedire ai comandi impartiti dal cervello. Si trascinò appena, scosse la testa, poi lasciò ricadere il capo sul pavimento, avvilito.

Derek sembrò valutare il da farsi solo per pochi secondi. Poi, senza dire nulla, si piegò sulle ginocchia e sollevò Stiles di peso, conducendolo fuori di lì. Mentre correvano verso la macchina, Stiles –che non aveva neppure la forza di reggersi a lui– percepiva il respiro affannato di Derek solleticargli la fronte. E lì per lì non capì perché. I poteri sovrannaturali dell’Alpha non lo rendevano immune ad una così piccola fatica? «Grazie.» mugolò soltanto, felice di essere ancora aggrappato ad un barlume di vita, di essere sorretto dalle braccia forti e sicure di Derek e di poter respirare l’aria pulita della sera e il profumo impigliato nella sua maglietta. Quando quello lo caricò sul sedile posteriore dell’auto, adagiandolo con gentilezza, Stiles si rese conto che non l’aveva mai visto comportarsi in maniera tanto delicata. «Grazie.» ripeté, non appena Derek prese posto alla guida e mise in moto la Toyota.

«Hai chiamato la polizia?» domandò l’Alpha, asettico, combattendo contro le proprie emozioni. Non riusciva nemmeno a voltarsi per guardare Stiles in faccia, non poteva permettere di lasciarsi soggiogare da quel vortice di dolore che gli risucchiava il cuore. Grazie al cielo era arrivato in tempo. Grazie al cielo quel ragazzino rompiscatole poteva sfinirlo ancora di chiacchiere. Ma intanto l’avevano tartassato di colpi, e già quello non sarebbe dovuto accadere.

«No, perché ero sicuro che mi avrebbero ucciso e non sopportavo l’idea che mio padre mi avrebbe trovato in quello stato.» ansimò Stiles, sbattendo le palpebre. Le lacrime asciugate dall’aria pizzicavano sulla pelle. Chiuse gli occhi, tranquillo, mentre l’auto percorreva la stessa strada dell’andata con la differenza che lui ora non sentiva nemmeno una di quelle dannate buche.

«Ma la polizia avrebbe potuto rintracciare facilmente la telefonata! Io ti ho trovato per miracolo. Perché hai chiamato me?»

Stiles deglutì. Scavò dentro di sé alla ricerca di risposte. Quando le trovò, cercò di essere un uomo, di non piangere di nuovo. «Perché a te non importa se vivo o muoio,» rantolò «o se mi riempiono di tante botte che non riesco nemmeno a camminare. Mio padre sarebbe impazzito nel vedermi così, non volevo procurargli ferite più profonde di quelle che già ha.»

Nell’abitacolo calò il silenzio. Derek si fingeva concentrato esclusivamente sulla guida, Stiles riposava. «Non portarmi in ospedale, per favore.» disse soltanto ad un certo punto il ragazzo «Non voglio che mio padre si preoccupi.»

E a quel punto a Derek, per esaudire la richiesta, la miglior cosa da fare parve una sola.

 

Quando l’Alpha fece il suo ingresso nel proprio appartamento con Stiles fra le braccia, Isaac spalancò gli occhi e gli corse incontro, preoccupato. «Cosa gli è successo?»

«S-sto bene, amico.» mormorò Stiles, per niente convincente.

«Isaac, per favore. Va’ a comprare cerotti e bende.» disse Derek in tono asciutto. Una scorta di simili oggetti non rientrava di certo fra gli effetti personali di un lupo mannaro.

«Vado!» esclamò il Beta, gli occhi chiari baluginanti, avvolgendosi una sciarpa attorno al collo «Cora dorme nella mia stanza, comunque. E Boyd è con Scott.»

Derek annuì, soddisfatto del lavoro svolto dai due, pregò Isaac di sbrigarsi e poi condusse Stiles su per la scala a chiocciola. La tapparella della sua camera era abbassata. Posò il corpo malconcio del ragazzo sul letto disfatto e non pronunciò una singola parola. Come sempre, toccò all’altro.

«Puoi accendere la luce? Non voglio stare al buio…» chiese Stiles. Ne aveva avuta abbastanza di oscurità impregnata addosso.

Derek si sporse verso il comodino e lasciò che la lampada proiettasse fiochi raggi di luce giallastra su Stiles. L’Alpha aveva fatto di tutto per non guardarlo, ma non poteva sottrarsi a ciò che aveva davanti. Il sangue incrostato disegnava rivoli sinistri sull’occhio destro, sotto il naso e sul mento, lo zigomo era livido e graffiato, il labbro tumefatto. Su quel viso familiare era scomparsa ogni traccia di spensieratezza e di ironia, cedendo il passo a una smorfia di dolore che rendeva Stiles la più triste delle maschere.

«Non avrei dovuto ascoltarti. Dovevo portarti in ospedale.» bofonchiò l’Alpha, scuotendo la testa.

«No. Non ho niente di rotto.»

Derek volle accertarsi dei danni. Serrando le labbra, si avvicinò a lui e gli sollevò la maglietta trascurando gli “ahia” di protesta. Il petto e il costato di Stiles erano disseminati di ematomi. «Girati.» ordinò, gelido, accompagnando delicatamente il movimento del ragazzo. La schiena era addirittura messa peggio, una mappa di colpi inferti senza coscienza.

«F-finito con la visita medica? Sto bene.» borbottò quello in un sospiro spossato.

«Non dire idiozie, se potessi vederti ti renderesti conto che non stai affatto bene!» ringhiò Derek. L’atteggiamento caparbio di Stiles lo irritava. Cos’era tutto quello per lui? Un gioco? Sembrava non comprendere la gravità della situazione. Derek addirittura non voleva accettare l’accaduto; il fatto che quel ragazzo fosse stato picchiato, il fatto che ora si trovasse sotto la sua protezione, il fatto che sembrasse così fragile, lo rendevano a dir poco nervoso. Si stropicciò la faccia con le mani, ritrovandosi ancora una volta messo con le spalle al muro dai sentimenti. Lui ci provava, davvero, ad essere l’Alpha che ci si aspettava che fosse, sicuro e calcolatore, ma c’era sempre qualcosa in cui falliva, sempre un motivo d’indecisione, sempre un tentennamento da correggere. Doveva accettare il fatto che, con Stiles coperto di lividi sdraiato sul suo letto, la sua debolezza, la sua paura più grande, era quella di perderlo. E non si dava pena di capire come fosse successo, o quando; teneva a lui più che alla sua stessa vita, c’era solo da prenderne atto.

«Stiles… per quello che mi hai detto prima, in macchina…» sospirò, a braccia conserte.

«Cosa…?»

«Mi importa se vivi o muori, altrimenti non sarei venuto a cercarti.» disse, sedendosi sul bordo del materasso. Mosse la mano verso di lui e il cuore di Stiles si agitò violentemente fra le costole, convinto che Derek Hale volesse accarezzarlo. Invece l’Alpha fece qualcosa di diverso; gli sfiorò la guancia con gentilezza, le dita che lambivano l’orecchio e il collo, e lo guardò dritto negli occhi mentre assorbiva il dolore dal suo corpo. Stiles percepiva quel venefico calore abbandonarlo poco a poco, lo sentiva fisicamente strisciare via e sparire nella mano di Derek, mentre il battito cardiaco correva sfrenato nel silenzio che li circondava. E il licantropo poteva afferrarlo, quel suono, il più toccante che avesse mai ascoltato: il piccolo cuore umano di Stiles che impazziva per lui, per la loro vicinanza. In quel momento realizzò che se l’altro non avesse avuto il labbro spaccato, l’avrebbe baciato finché entrambi non avrebbero perso il fiato. Si accontentò di tenere acceso il contatto visivo, di lasciarsi cadere nelle iridi profonde e umide di Stiles via via più sgombre dalla sofferenza. Dannato ragazzino, non si fosse azzardato a morire prima di lui, per nessuna ragione al mondo!

 

 

 

 

 

Spero di non aver deluso le tue aspettative, Ile.

Ho fatto il possibile, honey ç.ç

 

Un bacio a tutti,

Phoenixstein

   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Teen Wolf / Vai alla pagina dell'autore: Phoenixstein