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Autore: HeavenIsInYourEyes    29/06/2013    5 recensioni
Aveva sempre avuto un difetto di pronuncia, Sehun. Quella maledetta S blesa era stata la sua croce.
Non ricordava precisamente quando aveva optato per il silenzio o per i discorsi brevi e sottovoce; forse quando si era stancato delle risate soffocate, quando le imitazioni frivole dei compagni lo avevano esasperato, quando si era accorto che udirsi lo irritava.
Sehun non amava parlare, ma da un po’ di tempo non riusciva a stare in silenzio e i motivi erano due.
Uno: il suo psicologo personale -Lu Han- aveva professato che solo parlando l’imbarazzo verso quel tanto odiato difetto di pronuncia sarebbe svanito.
Due…
Due… Jongin.
Una volta gli aveva detto che il suo difetto era carino. Che lo rendeva unico.
E da allora, Oh Sehun non si era più stancato della propria voce.

{Sekai. Con accenni Hunhan. Le note all'interno}
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kai, Kai, Kris, Kris, Lay, Lay, Lu Han, Lu Han, Sehun, Sehun
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Leggere attentamente le avvertenze. Non somministrare ai bambini sotto i dodici anni.
Prima fanfiction che pubblico nel fandom degli EXO *ansia da prestazione vattene, te ne prego*, prima slash che scrivo in assoluto *morte per ansia da prestazione ciao, ben arrivata*. Perché slash? Perché ammettiamolo, gli EXO trasudano gaiezza da ogni poro, si shippano tra di loro che è una meraviglia e sembrano fatti apposta per essere slashati. E poi ho scoperto EFP anni orsono grazie alle Yaoi, non potevo non cimentarmici almeno una volta. Ciò premesso, se mai vi venisse voglia di dirmi cosa pensate di Absentia, siate clementi e brutali.
Vorrei non dilungarmi, ma credo che qualche nota introduttiva sia d’obbligo prima che vi gettiate in questa… Cosa
Sekai, principalmente. Con accenni –accenni un paio di palle- Hunhan, perché Lu Han è una primadonna e quando non è impegnato a giocare alla play, con i cubi di Rubik o ad infrattarsi da qualche parte con qualche membro X degli EXO all’urlo di Gotta Catch ‘hem all! , monopolizza Sehun. E con la gentile partecipazione di Lay e Kris. In realtà avrei voluto creare una Sekailu degna di tal nome, ma: 1) il mondo non è pronto a tale meraviglioso sfoggio di gaiezza3; 2) la Sekai è la mia OTP sacra, non potevo non dedicarle questa scemenza; 3) in geometria faccio schifo. Non oso immaginare che porcheria sarebbe potuta uscire.
Storia nata dopo aver passato tre ore (3 ORE FILATE!!!) ad imparare i nomi degli EXO, con missioni aggiuntive quali: 1) distinguere Sehun da Lu Han; 2) non urlare quando l’immagine sfuocata di Kris compariva random –non me ne vogliano le fan di Kris, ma mi è stato proposto in versione John Travolta in Grease. Abbiate pietà-; 3) non innamorarsi follemente e perdutamente di Sehun. Le prima due sono andate a buon fine –oddio, Kris ancora mi inquieta un pochetto-… L’ultima è stata un Game Over colossale. Così, quando Kai mi è apparso in sogno e ha detto: Senti, io voglio farmi Sehun. Scrivimi una Sekai., non mi sono potuta tirare indietro. E’ la parola di Kai contro la mia! Perciò per qualsiasi lamentela rivolgetevi a lui. Nah, sono aperta a qualsiasi tipo di critica; non vedo che male possano fare se servissero a migliorarmi :)
Preparatevi a chili di pensieri; amo scavare nella psicologia dei personaggi, non posso farne a meno. E preparatevi ad eventuali capitoli che sembrano infiniti; quando distribuivano il dono della sintesi, probabilmente ero a guardare l’opuscolo informativo gentilmente concessomi da sua maestà la Pigrizia. Anzi, facciamo che mi scuso sin da ora per questo, così da lenire un po’ il senso di colpa D:
Il rating è arancione perché quello rosso mi ha chiesto il divorzio. Si lascia solo leggere dalla sottoscritta ma quando si tratta di lasciarsi scrivere, mi chiude le porte in faccia.
Per quanto sia contro la nota OOC quando si parla di persone reali, mi è sembrato doveroso aggiungerla. Semmai procederete con Absentia, perfino quel parente alla lontana che pensa che il Kpop sia una marca di patatine si renderà conto di come i caratteri dei personaggi poco ci azzecchino con quelli veri. Per farla breve: dubito che Lulu, SehunLaPrincipessa e KaiSonoFigoESoDiEsserlo siano degli psicopatici.
Ok, penso di aver finito con queste note introduttive –che tra poco sono più lunghe del prologo stesso, so sad…-, perciò non mi resta che augurarvi una buona lettura, con la speranza di ritrovarvi a fine capitolo


 

A F. Che mi ha costretta a pubblicare le mie storie quando volevo tenerle nascoste nel Pc, che ancora si chiede perché io scriva su “band coreane composte da ragazzi che paiono minorenni” ma mi lascia fangirleggiare senza fiatare, che c’è sempre quando non so da che parte sbattere la testa. E più di tutto, non mi fa mai sentire “indietro”.

E a Shinushio. Senza la quale non saprei nemmeno che faccia abbia Sehun e perché ha visto nascere questa storia. Ma ancora più importante… Mi ha fatto riscoprire l’amore per lo yaoi che credevo ormai morto e sepolto.

Grazie, ma grazie di cuore

 

 

 

Absentia

 

La coppia è per definizione un insieme di tre persone

di cui una è momentaneamente assente.”

                                                               David Riondino

 


 

Prologo

(Di birre, sbornie e Lui che ritorna)

 

 

10 dicembre 2012. Ore 7.32

Seoul. In una stanza qualunque (o forse no)

 

 

Era una stanza qualunque.

La luce filtrava dalle finestre aperte disegnando arabeschi spaiati sulle pareti azzurrognole che stonavano con quelle bianco ospedale, solite ingarbugliarlo ogni mattina. L’aria fresca di un dicembre ormai inoltrato cullava il suo cercare di capire perché il proprio letto fosse diventato più piccolo e lungo, perché la parte destra di quel materasso fosse calda, come se qualcuno avesse vegliato al suo fianco per tutto il tempo. Forse stava ancora dormendo e nei suoi sogni le pareti erano colorate e tutto era distorto. I polpastrelli strisciarono lentamente sul tessuto ruvido, allungandosi verso il comodino che nascondeva stralci del suo passato, rattoppi di un presente tedioso e un futuro ancora da definire. Come ogni risveglio lo avrebbe aperto e la foto dei suoi genitori sorridenti gli avrebbe ricordato che ancora non aveva risposto al messaggio in segreteria che sua madre gli—preservativi… Da quando teneva dei preservativi nel comodino? Anzi, da quando aveva dei preservativi?!

Lo chiuse di colpo, cadendo di peso sul letto che copriva le sue gambe nude, la schiena scoperta su cui avvertiva ancora dita tracciargli meticolosamente l’ossatura della spina dorsale. Gli occhi bruciavano, come se avesse pianto ininterrottamente, la bocca impastata sapeva di alcool. Più cercava di ricordare cosa fosse accaduto, più la mente si ostinava a dolere, proteggendolo da scomodi e amari ricordi. O forse erano piacevoli? Poco importava, entrambi avrebbero fatto male solo poi.

Sehun stropicciò il volto intorpidito e massaggiò la testa che continuava a proiettare immagini sfuocate, confuse, che avevano però la forza di un pugno allo stomaco. Si affacciò nuovamente in quella realtà scombinata e cominciò a metterla a fuoco.

Quella non era una stanza qualunque. Aveva qualcosa di familiare.

Ma non era la propria.

E non era neppure una stanza d’albergo. O forse sì? Difficile a dirsi, anche perché gli eventi della notte appena ecclissatasi con i clacson della città in subbuglio continuavano a nascondersi dietro sequenze che non riconosceva. Gli parve di aver partecipato ad un film senza nemmeno sentirsi il protagonista: c’erano piatti sporchi e scatole di takeaway scadente, bottiglie di birra consumate come acqua e passi di danza improvvisati mentre due mani delicate stringevano la sua vita esile.

E la propria voce. Incrinata, tremante, protetta da una mano che troppo spesso andava a riparargli il volto, quasi volesse nasconderlo. Ma da cosa? Da chi?

Un brivido scorse lungo la schiena mentre si metteva a sedere, osservando le mura spoglie della camera da letto disordinata e che ben sembrava dipingere il caos dei propri vaneggi. Un paio di camice erano morte sul pavimento; lui non avrebbe mai lasciato le camicie per terra, le avrebbe piegate e riposte nell’armadio. Non avrebbe mai lasciato che una scarpa giacesse vicino al cestino e la sua compagna morisse vicino alla porta, le avrebbe accoppiate perché così non sarebbero state separate. Da bambino aveva sempre creduto che gli oggetti, mentre non c’era o dormiva, si animassero e vivessero una vita decisamente più interessante della propria. Lu Han diceva che aveva visto troppe volte Toy Story, lui rispondeva che aveva troppo buon cuore per permettere che la Nike destra ululasse disperata alla ricerca della Nike sinistra. E poi c’erano libri accatastati, fogli sparsi, caos dappertutto. Solo una borsa da ginnastica se ne stava immacolata sulla sedia, quasi fosse la cosa più importante fra quelle pareti azzurrognole che stavano cominciando a colorare i suoi ricordi ora un po’ più nitidi.

Un rumore di pentole ridestò la sua intontita attenzione. Quel Chi o Cosa era ancora lì e faceva un casino atroce che non aiutava il suo lancinante mal di testa. Sehun si guardò attorno con aria assonnata, alla ricerca di particolari che potessero aiutarlo a ricordarsi come avesse fatto a finire in quel bozzolo di coperte anonime senza le sue stampe a fumetti... Nudo. Sapevano di buono, di fresco, sapevano di corpi che si cercavano e si perdevano in un piacere che ancora poteva avvertire sulla propria pelle chiara, come se i segni fossero ancora lì a rammentargli che per un po’ la felicità lo aveva sfiorato. Una felicità che aveva occhi allungati e scuri, labbra carnose e capelli morbidi come seta che le sue dita non avevano abbandonato per un istante.

La felicità aveva un nome, lo aveva pronunciato per tutta la notte, ancora poteva avvertirne il dolce retrogusto sul palato. Ma dirlo di nuovo, da sobrio… Gli parve impossibile, addirittura surreale.

-Cazzo…- soffiò coprendosi il volto pallido, passandosi una mano fra i capelli scompigliati prima di circondare le gambe con entrambe le braccia.

Com’è che era finito a casa sua con un sacchetto del takeaway dietro casa e bottiglie di birra? A Sehun nemmeno piaceva la birra. Però a lui sì. E gli aveva detto che se fosse stato pronto ad ascoltarlo, a lasciarlo spiegare, sarebbe bastato correre da lui con dell’ottima Cass. Ricordava la pioggia che scrosciava sul cappuccio sollevato, le lacrime che non volevano saperne di scendere ma che avevano premuto sugli occhi quando lui gli aveva aperto la porta e lo aveva guardato con sorpresa. Ricordava di come gli avesse dato la sua felpa preferita, un asciugamano, una birra a cui poi era seguita una seconda e una terza forse pure una quarta, una spalla su cui piangere e una mano da stringere mentre la voce di un attore sconosciuto proveniente dalla tele accesa si spargeva nell’aria, mescolandosi alla propria.

Già, la propria voce…

Com’è che aveva monopolizzato tutta la serata con i propri discorsi? A Sehun nemmeno piaceva parlare.

Aveva sempre avuto un difetto di pronuncia, Sehun. Quella maledetta S blesa era stata la sua croce, fonte di continue prese in giro e di consigli su come un buon logopedista potesse aiutarlo a eliminare quell’unico neo che l’invidiosa madre natura aveva deciso di dargli per scalfire la sua perfezione, come aveva suggerito sua zia durante l’ultima riunione di famiglia. Non ricordava precisamente quando aveva optato per il silenzio o per i discorsi brevi e sottovoce; forse quando si era stancato delle risate soffocate, quando le imitazioni frivole dei compagni lo avevano esasperato, quando si era accorto che udirsi lo irritava.

O quando si era reso conto che lui, con le parole, non sapeva giocarci. Perché Sehun non c’era proprio portato.

Non andavano d’accordo, si rifiutavano di corrergli in soccorso e quando lo facevano, procuravano solo dolore. Sehun era portato per gli occhi pieni di discorsi impronunciabili ma che con un solo sguardo dicevano tutto, per le mani che sfiorandolo gli strappavano il respiro, per labbra spaccate da parole in fila mai gettatesi nell’aria, che sapevano di pollo fritto e sorrisi consumati, ma mai sprecati. Era per le spiegazioni fra i sospiri, per i ricordi messi su fogli di carta e appesi al frigorifero -perché nemmeno con la memoria andava d’accordo-, per l’amore silenzioso che mescolava il nero e bianco delle sue giornate. Per quell’amore che colorava il monocromatismo della sua esistenza. Era per i baci sulla fronte che sapevano di sbadigli mattutini soffocati, per i Buongiorno che odoravano di caffè, per i Resta non detti ma che si avveravano sempre e per i Buonanotte che sapevano di Lui. Era per i sorrisi imbarazzati catturati dal flash della propria macchina fotografica, per il rumore di passi che danzavano sul tappeto mentre la musica inondava quel minuscolo appartamento di periferia, per le liti fatte di piatti rotti e che si concludevano con i cocci calpestati per raggiungersi.

Era per i discorsi che non nascevano e quando lo facevano, si consumavano nei gemiti sotto le coperte mentre i corpi si attorcigliavano.

Sehun non amava parlare, ma da un po’ di tempo non riusciva a stare in silenzio e i motivi erano due.

Uno: il suo psicologo personale -Lu Han- aveva professato che solo parlando l’imbarazzo verso quel tanto odiato difetto di pronuncia sarebbe svanito.

Due… Due

 

-Oh, buongiorno!- la tonalità bassa di quella voce l’avrebbe riconosciuta fra milioni ma Sehun decise comunque di voltarsi, così da stemperare il ricordo confuso della nottata trascorsa con quell’unico che mai sarebbe sbiadito. Che era rimasto uguale, non era mutato. La memoria spesso tradiva, la sua poi gli giocava sempre brutti scherzi, facendolo arrivare tardi dal dentista o facendogli perdere due lezioni di fila; la sua memoria cambiava il colore di una camicia e la forma di un auto, distorceva la realtà che aveva vissuto in qualcosa che avrebbe voluto vivere. Ma con Lui… Con lui era rimasta fedele. Sempre.

-Ehi…- alzò un poco la mano, portandola subito alla testa. Dio, ma che cazzo aveva combinato? –Che è successo? Mi scoppia la testa.-

Il ragazzo appoggiato allo stipite rise un poco –Si chiama post-sbronza- con un cenno del mento indicò alcune bottiglie di birra vuote che giacevano sulla scrivania –Ci hai dato dentro ieri sera.-

E forse anche noi, avrebbe voluto ironizzare, guardando di sfuggita il proprio corpo nudo che bruciava a contatto con le candide coperte, ora tirate su a mo’ di bozzolo. Le stesse che avevano avvolto le loro pelli che si mischiavano, un gioco di incastri che non era più stato lo stesso da quando aveva trovato LA foto sul cuscino. E come un flash, le immagini della sua notte brava tornarono a tormentarlo, sospinte da un silenzio che gli stava facendo montare l’ansia.

Senti, io ora devo scappare, ho una visita dal fisioterapista. Intanto tu puoi dormire o guardare la tele- si morse il labbro inferiore; anche lui glielo aveva morso poche ore prima, poteva sentirne ancora la consistenza -O vomitare.-

Sehun arcuò un sopracciglio prima di cercare con lo sguardo i propri vestiti -No, grazie. Credo che—

-Ma torno…- si irrigidì, assaporando il retrogusto amaro dell’ennesima promessa che non sarebbe stata mantenuta –Torno per pranzo.- il ragazzo recuperò la borsa immacolata e zampettò verso di lui; un leggero bacio che sapeva di menta sfiorò le sue labbra. Un gesto che gli aveva sempre dato la forza per affrontare un nuovo giorno e che quando era venuto a mancare lo aveva gettato in un baratro di sconforto e rancore.

La felicità gli sorrise, gli carezzò una guancia. E il cuore di Sehun fu sul punto di esplodere.

Quando l’amore lo abbandonava nell’assenza, che fine faceva?

Arrivava senza avvertire, lo faceva parlare di più e piangere di meno, spariva lasciando una foto nel silenzio dei suoi sogni. Lo guardava con lo zaino calato su di una spalla, in attesa che il suo mondo si muovesse.

Attendeva.

Sehun morse l’interno delle guance prima di stringersi nelle spalle, a disagio –Jongin, senti--

 –E’ bello riaverti, Sehun.- se ne andava con un sorriso promettendogli di ritornare. Questa volta per davvero.

 

Due… Jongin.

Una volta gli aveva detto che il suo difetto era carino. Che lo rendeva unico.

E da allora, Oh Sehun non si era più stancato della propria voce.


 


 


 


Inutili note conclusive:

Avendovi ammorbato ad introduzione capitolo, non è che ora abbia granché da dire. A parte che questo è solo il prologo, che è corto, ma solitamente do il meglio/peggio di me nei capitoli. E' una minaccia? No, io la vedrei più come una preparazione psicologica.

Ah, sì, e che ho una paura boia per aver iniziato questa nuova storia perché non so fino a dove mi porterà, perché ho abbandonato il fandom madre e mi sono gettata un po' in un buco nero e perché a volte mi pare di scrivere scemenze abissali. Confido nella vostra buon'anima. Così come confido nella mia acerrima nemica ispirazione affinché non migri come è solita fare. Per ora cercherò di essere costante -sanità mentale permettendo-.

E niente, se voleste lasciare un segno del vostro passaggio io non potrò che esserne contenta e grata :) Ciritche di qualsiasi tipo sono sempre ben accette ^^


 

Alla prossima!

HeavenIsInYourEyes.

   
 
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