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Autore: giambo    30/06/2013    1 recensioni
Storia che narra di Thorin, principe dei nani, e della Battaglia combattuta nella Valle tra le forze di Sauron l'Oscuro Signore e i popoli liberi del Nord alla fine della Guerra dell'Anello.
Estratto:
“Soldati!” urlò Thorin con voce limpida e tonante. “Guardate il nemico! Il loro numero è solamente tre volte superiore al nostro. Ma qui, davanti alle porte del più grande regno della Terra di Mezzo, qui cinquemila nani e tremila uomini bagneranno la terra con il loro sangue! Ed essi lo sanno!”
...
“Alla vittoria!”
Genere: Azione, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Thorin III Elminpietra
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Prima di iniziare a leggere questa storia vorrei specificare che quest'ultima narra non del famoso Thorin Scudodiquercia ma di Thorin III Elminpietra figlio di Dàin e Re sotto la Montagna dopo la Guerra dell'Anello. Ho voluto ripercorre e narrare gli eventi che precedono la battaglia che si tenne nella Valle durante la guerra contro Sauron dato che nessun racconto ne parla e che anche nel Signore degli Anelli sono presenti solo poche righe nell'appendice riguardo questo fatto.

Non essendo descritto in alcun romanzo di Tolkien, ho deciso di dare a Thorin Elminpietra un carattere di mia totale invenzione, così come per Bard II figlio di Re Brand e signore della Valle all'inizio della Quarta Era. Ogni personaggio da me usato in tale storia non appartiene a me ma a J.J.R Tolkien ad eccezione del corvo Tarc che è un personaggio da me inventato. Per il suo nome, e quello degli altri corvi imperiali da egli menzionati, mi sono ispirato ai nomi che compaiono nello Hobbit. Spero che il brano possa piacervi. Qualsiasi recensione, critica e non, è ampiamente accettata e ringrazio in anticipo chi leggerà.

E adesso non ho che augurarvi buona lettura.

 

La carica di Thorin

 

Thorin era inquieto.

Immobile, il nano osservava il paesaggio sotto di lui con occhio spento, mentre un pallido fantasma del sole, che non aveva l'intensità necessaria per riscaldargli la schiena, apparve sulla linea dell'orizzonte, illuminando di una tenue luce un mondo fin lì grigio.

Lo spettacolo che si presentava davanti ai suoi occhi era desolante. L'intera Valle, che lui ricordava verde e rigogliosa, era diventata un'immensa fornace. Fumi scuri, densi e maleodoranti si innalzavano dagli innumerevoli falò accesi dagli sgherri di Sauron. Il loro numero era impressionante. Nonostante le dure perdite che avevano subito dieci giorni prima durante la battaglia della Valle, i servi di Mordor erano ancora in netta superiorità numerica. Numerosi battaglioni di orchi con il rosso occhio dipinto sugli scudi, legioni di feroci Esterling con le loro armature di freddo oro e le lance di crudele ferro, e c'erano anche numerose compagnie di una specie di uomini che Thorin non aveva mai visto prima: erano bassi, più bassi di qualsiasi uomo che avesse mai visto, portavano tutti una lunga ed incolta barba sul petto e maneggiavano asce e balestre con una maestria tale da poter competere con i nani. Tuttavia, pur assomigliando ai nani, essi erano chiaramente uomini.

Ma non era solo il numero dei soldati di Sauron a rendere desolato e triste il paesaggio. L'intera Valle era stata saccheggiata e bruciata. Dove prima sorgevano ricche fattorie ora c'erano solamente nere macerie, l'erba era stata calpestata e bruciata con crudeltà ed i pochi prati rimasti erano grigi e secchi. La ricca e bella città di Dale era stata saccheggiata ed ora della città degli eredi di Bard non rimanevano che poche rovine fumanti. Se Thorin sforzava la vista riusciva a vedere che a sud, in prossimità di Lago Lungo, anche la città di Esgaroth aveva fatto la stessa triste fine.

Thorin appoggiò il mento sul petto mentre il dolore che gli attanagliava il cuore da molti giorni si ripresentò. Il dolore per la perdita di suo padre Dàin era ancora vivo dentro di lui. Se chiudeva gli occhi, il nano poteva ancora vedere suo padre che gli sorrideva tristemente mentre copriva la ritirata dei loro uomini da solo contro gli eserciti di Mordor. Era stato il momento più doloroso della sua vita dover vedere dalle mura di Erebor suo padre venire sopraffatto dagli orchi e fatto a pezzi mentre proteggeva il corpo senza vita di re Brand.

 

Il ruggito dei Troll che schiacciavano ogni cosa che si poneva d'innalzi a loro, il nitrito dei cavalli che caricavano, le urla roche dei guerrieri che assalivano le urlanti schiere di Mordor, l'odore pungente del sangue che pervadeva l'aria, le urla disperate dei moribondi che imploravano pietà mentre si tenevano le mani su ferite orrende e invocavano la propria madre prima di abbandonare questo mondo.

E poi c'era lui.

Suo padre, imbattibile nonostante l'età, che gli sorrideva con quello sguardo limpido ed orgoglioso di ciò che vedeva. Lui, suo figlio. Colui che sarebbe diventato Re sotto la Montagna in una nuova era di pace e prosperità.

 

Suo padre che sorrideva.

 

Suo padre che andava incontro alla morte con cuore sereno.

 

Suo padre morto.

 

“Thorin!”

Thorin si riscosse, ritornando con la mente alla realtà. Fu con sorpresa che scoprì di avere le mani strette a pugno con talmente forza da essersi ferito a sangue i palmi. Scosse la testa cercando di liberarsi dai ricordi. Si sentiva il sapore metallico del sangue sulla lingua, mentre le narici gli pizzicavano dall'odore nauseabondo di viscere ed interiora di uomini, nani, orchi e cavalli.

Una mano si appoggiò sulla sua spalla. Con uno scatto il nano si voltò divincolandosi con forza dalla presa mentre la sua mano correva all'ascia che gli pendeva dalla cintura. Fu solamente quando aveva già estratto l'arma per metà che si accorse di avere davanti a sé il vecchio Glòin. Con un sospiro, Thorin ripose l'arma mentre rilassava i muscoli delle braccia e le spalle.

“Scusami. Mi hai spaventato.”

Glòin sorrise con fare comprensivo mentre si avvicinava al parapetto delle mura di Erebor affianco al suo principe. Il vecchio nano osservò con occhio triste il desolato spettacolo che si estendeva sotto di lui. Era peggio di quando ad Erebor abitava ancora il vecchio Smaug.

“Cosa c'è Glòin? E' successo qualcosa?”

“Sono venuto a cercarti Thorin. Ormai era da parecchio che eri sparito. E nessuno di noi dovrebbe rimanere da solo in momenti come questi. E tu meno di tutti.”

“Ad Erebor non ci sono nemici Glòin.” rispose con tono inespressivo il nano più giovane mentre riprese ad osservare con occhio spento il desolante spettacolo.

“Non parlavo dei nemici là fuori” dichiarò Glòin. “Ma dei nemici qua dentro.” si picchiettò un dito tozzo e nodoso sulla fronte.

Thorin lo fissò sorpreso. Davanti all'espressione del giovane principe, Glòin rise. Una risata aspra, secca e roca. Lo stesso rumore che si otterrebbe sfregando una lamina di ferro su una vecchia pietra.

“Mio caro Thorin, credevi veramente che nessuno di noi avrebbe compreso o anche solo sospettato cosa ti lacerava l'animo in questi ultimi giorni? I nani saranno anche cupidi ed avidi come dicono gli elfi, ma abbiamo anche noi orecchie ed occhi per ascoltare e vedere. So benissimo cosa ti tormenta Thorin, so perché cerchi la solitudine su questo parapetto ogni giorno, ma nonostante questo non puoi lasciare al dolore la possibilità di distruggerti. Molte cose dipendono da te. Tu sei la speranza del nostro popolo, la punta della nostra lancia, e se tu perderai forza e vigore lasciandoti attanagliare dalla disperazione, allora tutto il nostro valore sarà vano. E noi cadremo, raggiungendo i nostri padri nelle sale di Aule, mentre i nostri corpi ritorneranno ad essere pietra.”

Thorin distolse lo sguardo dal compagno per rivolgerlo di nuovo alla vallata. No, non era solo la morte di suo padre a non dargli requie. Non era solo la consapevolezza che adesso toccava a lui guidare il suo popolo. C'era qualcos'altro che lo turbava. Un sentimento di dolore, tristezza, rabbia e pazzia mischiate insieme in un mix letale che gli scorreva nelle vene. Addormentandogli i sensi, facendogli desiderare di finirla in quell'istante con la sua vita, prendendo l'ascia in mano e correndo urlando contro gli eserciti di Sauron, desideroso solamente di uccidere più nemici possibili per poter poi raggiungere i suoi padri nei saloni di Aule a Valinor e poterli guardare in faccia a testa alta senza vergogna.

In una frase: Thorin voleva morire.

La guerra a cui aveva partecipato gli aveva prosciugato ogni desiderio di vita dentro di lui. Aveva sentito molte volte suo padre ed altri nani narrare e cantare della Battaglia dei Cinque Eserciti, alle porte di Erebor, in cui era morto Thorin Scudodiquercia e molti altri valorosi guerrieri. E sentendo tali racconti e canti il suo cuore era bruciato di orgoglio per la stirpe da cui discendeva e gli aveva acceso nell'animo una voglia sfrenata di poter anche lui scendere un giorno in battaglia per difendere lo stendardo del Regno della Montagna Solitaria.

Ma i canti non narravano del terrore che attanaglia le budella né delle urla disperate dei moribondi. I racconti non parlavano delle orrende pile di cadaveri che si accrescono di minuto in minuto né dell'odore del sangue, di paura, di urina e feci che pervade l'aria, né avevano mai parlato della terribile sensazione di essere sperduto. Di non capire più nulla, rendendosi conto di avere una paura fottuta. Del non sapere più perché sei lì, cosa fai, perché non puoi nasconderti pregando i Valar di salvarti. No, questo i canti e i racconti non l'avevano detto a Thorin.

Era stato un trauma per lui, giovane principe dei nani ed erede al trono di Erebor, dover uscire dall'ovattata e tranquilla vita di corte che aveva condotto fino a quel momento ed affrontare la crudeltà e gli orrori della guerra. Era come se fosse vissuto per anni con delle bende attorno agli occhi ed intorno alla mente quando, all'improvviso, qualcuno gliele aveva tolte. Lasciandolo sperduto e confuso davanti ad un mondo diverso ed ostile rispetto a quello che conosceva.

No, Glòin si sbagliava se credeva che era solo la morte di suo padre a turbarlo. C'era dell'altro dentro di lui che lo rendeva cupo e taciturno, privo di volontà e forza. Era come se dopo la battaglia della Valle una parte di lui avesse deciso di non vivere più. E del resto, come dargli torto? Per quale motivo avrebbe dovuto continuare a lottare per quel mondo? Dopo aver visto tutto quello che credeva bello e magnifico ridotto in cenere con tanta facilità, dopo aver osservato con orrore con quanto semplicità una vita poteva essere spezzata, Thorin si domandava perché avrebbe dovuto andare avanti. A che pro? Cosa rimaneva da salvare in quel mondo? Ormai esso era vecchio e decaduto, e presto un'onda di odio e malvagità l'avrebbe sommerso, facendolo bruciare e consumare fino a creare una gigantesca ed ininterrotta landa desolata, dove la Morte e la Disperazione sarebbero diventate le fredde ed altere regine e compagne dell'unico incontrastato signore: il Male.

Il nano sospirò. Doveva smetterla di fare certi pensieri. Non l'aiutavano né aiutavano il suo popolo. Ma non era facile cercare di avere speranza quando di speranza non c'è ne era più.

“Hai più avuto notizie di tuo figlio?” domandò Thorin, cercando di scacciare i propri pensieri cupi parlando. “Ormai è da molto che non abbiamo più sue notizie.”

Il volto del vecchio nano si rattristò. Lentamente, Glòin si avvicinò al parapetto delle mura, appoggiando i suoi palmi callosi sulla liscia e fredda pietra.

“No. È da molto tempo ormai che non ricevo più notizie. Gli ultimi messaggi parlavano del suo passaggio, insieme agli altri membri della sua compagnia, nella terra di Lòrien.”

“Lòrien...” il nano più giovane si ripassò quel nome sulla lingua come se fosse un sapore sconosciuto. “Di rado i figli di Durin hanno visitato i regni nascosti degli elfi. Verso strani paesi l'hanno condotto i suoi piedi.”

“In quel caso, posso solo dire che mio figlio è stato più fortunato di me.” ribatté Glòin. “L'unica dimora degli elfi che ho visitato è stata una fredda ed umida prigione.”

Thorin non rispose. Con un sospiro, il nano più giovane appoggiò le mani sulle mura, mentre i suoi occhi osservavano gli accampamenti nemici prendere vita.

“Dimmi Glòin, come siamo messi in fatto di uomini?”

“Credevo che la nostra situazione ti fosse nota.”

“Non abbastanza da poter dare un giudizio. In questi giorni tu ti sei dedicato a tali questioni meglio di me.”

Glòin si accarezzò la candida barba con una mano per qualche secondo prima di rispondere. “E' difficile fare una stima esatta. Molti feriti potranno riprendere l'uso delle armi, ma non certo in tempi brevi. Inoltre la perdita di uomini è stata molto alta tra i nostri alleati. Quindi, se dovessi fare una stima, direi che potremmo mettere in campo cinquemila nani e forse, con un po' di fortuna, tremila uomini.”

“E i nostri parenti dei Colli Ferrosi? Se non erro c'erano anche le loro truppe a darci manforte nella Valle.”

“Sì, ma il loro numero è stato decimato dalla carica dei troll che li ha colpiti in prima linea.” rispose Glòin “Dei tremila nani che sono giunti dalle nostre dimore sui Colli Ferrosi solamente poco più di mille sono rimasti vivi o capaci di maneggiare un'arma. Non possiamo chiedere altro da loro.”

“E gli uomini? Qual è la loro situazione?”

Con un sospiro, Glòin rispose grattandosi una guancia barbuta “Le donne, gli anziani e i bambini si erano rifugiati nella Montagna prima dell'arrivo del Nemico, in quanto ai soldati di Bard...” scosse la testa. “La maggior parte di loro non sono soldati di professione. Sono principalmente coscritti e milizie addestrate sommariamente. In linea di massima, come ho detto prima, direi che possono aiutarci con tremila uomini, ma di questi saranno capaci di maneggiare una spada decentemente forse in cinquecento.”

Thorin annuì. Sapeva che gli uomini della Valle non erano guerrieri di professione. In linea di massima essi erano commercianti, agricoltori e cacciatori. La maggior parte di loro sapevano maneggiare l'arco con grande perizia, ma di soldati veri e propri ne avevano sempre avuti pochi, essendo il loro un popolo pacifico e disposto ad usare la diplomazia piuttosto che la spada per risolvere le proprie controversie. Inoltre, la vicinanza con il potente regno alleato di Erebor, li aveva sempre permesso di trattare con i propri vicini da una posizione di forza.

“Dimmi Glòin, quante possibilità abbiamo secondo te di vincere questa guerra?” domandò Thorin con gli occhi che continuavano a fissare gli accampamenti nemici.

La risposta si fece attendere. Per alcuni minuti l'unico rumore udibile sul parapetto furono i rumori dei nemici nella Valle, e il vociare dei rifugiati dentro la montagna che si svegliavano. Poi, alla fine, la fatidica risposta arrivò.

“Non credo che possiamo vincere questa guerra da soli.” dichiarò con voce tombale Glòin. “Il nemico ha subito molte perdite, esattamente come noi. Ma il suo numero resta di molto superiore. Troppo superiore al nostro. Possiamo resistere dentro la Montagna per molto tempo, ma se quest'estate non riprenderanno i commerci, preferirei morire con una spada nel petto piuttosto che trovarmi nella situazione che si verrà a creare il prossimo inverno. A meno che non giungano aiuti inaspettati, siamo destinati alla sconfitta.”

Thorin annuì. “Già, siamo messi male.” dichiarò con tono cupo.

In quell'istante, un grande corvo volo sopra le teste dei due nani. L'uccello volteggiò sopra di loro per qualche minuto, poi lentamente scese ed atterrò sul duro parapetto osservando con i suoi freddi ed intelligenti occhi Glòin e Thorin. Era un esemplare grande e fiero, con lucide penne del colore della notte, artigli affilati sulle zampe ed ali possenti per sostenersi in volo.

“Un corvo imperiale.” mormorò il nano più vecchio osservando con curiosità il volatile. “O amico del popolo di Durin, perché sei qui? Da molte settimane non avevamo più avuto notizie del tuo popolo, dato che fuggiste dall'Ombra dell'Est, e ormai avevamo perduto le speranze di vedervi tornare qui alla Montagna.”

Thorin rimase in silenzio. L'arrivo del corvo imperiale l'aveva riscosso dai tetri pensieri e dalle cupe sensazioni che vivevano in lui ed ora la sua attenzione era rivolta al volatile. Una delle prime cose che un nano di Erebor imparava era che bisognava sempre ascoltare con attenzione un corvo imperiale quando essi decidevano di usare il linguaggio degli uomini per comunicare con i loro alleati ed amici nani.

“Sono stato mandato” dichiarò il corvo con la sua voce che assomigliava al roco gracchiare che usava per comunicare con le altre beste “Da Barc figlio di Roac, capo dei corvi imperiali. Il mio nome è Tarc figlio di Grarc. Per due giorni ho viaggiato ininterrottamente per ritornare ad Erebor dato che il nostro popolo ora si è rifugiato nel freddo nord, dove l'oscurità ancora non può arrivare. Ma il mio messaggio era urgente ed io ho fretta di parlare con il Re di Erebor. Quindi dimmi Glòin figlio di Gròin, dove posso trovare il Re che governa sotto la Montagna? ”

“C'è l'hai davanti.” dichiarò cupo Thorin rompendo il proprio silenzio. “Mio padre, Re Dàin II Piediferro è morto dieci giorni fa durante la battaglia della Valle ed ora sono io, suo figlio, Thorin III Elminpietra a governare il popolo di Erebor.”

Il corvo non rimase sorpreso di tale notizia dato che continuò a parlare con la sua gracchiante voce come se nulla fosse.

“Tali notizie rattristeranno sicuramente Barc. Egli era amico di Dàin, così come lo era suo padre, ed egli è una grave perdita per gli eredi di Durin dato che era un re saggio e giusto.”

“Conoscevo mio padre, e non c'è bisogno che tu ne ricordi la memoria corvo.” dichiarò stancamente il principe dei nani. “Ora parla e dicci qual è il tuo messaggio. Tale fretta fa presagire senza dubbio notizie di grande importanza.”

“Sei acuto Thorin figlio di Dàin.” replicò il corvo, infastidito per essere stato interrotto in maniera tanto sgarbata. “Ma tutto il tuo acume non ti ha permesso di capire che grandi eventi sono accaduti nel lontano Sud. Eventi che un attento osservatore avrebbe certamente già colto nell'aria e nella terra dacché anche gli elementi del mondo stanno gioiendo.”

“Gioiscono? E per cosa?” domandò Gloin.

Tarc gonfio il petto ed arruffò le penne dandosi un'aria di importanza.

“Tale notizia non ti verrà rivelata da me Glòin figlio di Gròin. Barc mi ha ordinato espressamente di comunicare tale notizia solo al Re di Erebor e al Signore della Valle. Dopo toccherà a loro decidere chi dovrà saperlo e chi no. Perciò Thorin ti consiglio di mandare a chiamare Brand, Re della Valle, o chi ne ha preso il posto dato che il mio istinto mi suggerisce che egli non è più qui tra noi.”

“Il tuo istinto ha ragione Tarc figlio di Grarc.” dichiarò Thorin. “Re Brand è morto anch'egli durante la battaglia nella Valle ed ora è suo figlio Bard II a governare gli eredi di Bard l'Arciere.”

“Allora vai a chiamarlo, affinché possa ascoltare a nome del suo popolo ciò che devo dirvi.” dichiarò con fare altezzoso Tarc.

Glòin andò a cercare Bard mentre Thorin rimase solo con il corvo. Tarc sembrava del tutto dimentico della presenza del principe. Si pulì le penne della coda con il becco, ripulendole dalla sporcizia del lungo viaggio, con aria tranquilla, ignorando del tutto il nano.

Thorin era rimasto perplesso e fortemente incuriosito dalle oscure parole del corvo. Quali eventi potevano essere mai accaduti per richiede tutta questa segretezza? Thorin non credeva che fossero buone notizie. Da molto tempo non esisteva più speranza per il Nord di vivere in pace dacché il loro numero era troppo esiguo per poter sperare di rompere le linee di Mordor e dei suoi alleati. Per adesso solo le robuste porte di Erebor avevano permesso ai nani ed ai loro alleati di salvarsi. Ma era una salvezza temporanea. La Montagna era assediata. E prima o poi le loro scorte di viveri sarebbero terminate, obbligandoli ad un assalto disperato oppure a morire di fame. In entrambi i casi sarebbe stato il Nemico ad ottenere la vittoria.

In quell'istante arrivò trafelato Bard. Era un uomo giovane, aveva superato da poco la trentina, di grande altezza e vigore. Aveva gli occhi neri mentre i suoi capelli, raccolti in una fluente coda, erano marroni come la barba che gli copriva parte del volto. Indossava un pettorale di cuoio lavorato, guanti d'acciaio e stivali di pelle. Portava un lungo arco di tasso, inscurito dal passare degli anni, a tracolla, mentre una lunga spada gli pendeva al fianco da un fodero sobrio. Thorin riconobbe le due armi: erano l'arco e la spada di Bard L'Arciere che venivano tramandati da padre in figlio e che dimostravano che colui che li portava era il Signore della città di Dale e della Valle. Dàin aveva preso quelle armi dal corpo di Brand e le aveva affidate a Bard prima di ingiungergli di portare i suoi uomini all'interno della Montagna. Da allora Thorin aveva visto Bard animarsi di un'energia incredibile mentre aiutava come poteva il proprio popolo: creava giacigli improvvisati per gli ammalati, aiutava le vedove ed i feriti nei lavori pesanti, condivideva il proprio cibo e i propri privilegi di re con i più bisognosi. Thorin non poteva fare a meno di ammirarlo. Sembrava che la morte di suo padre gli avesse centuplicato le energie e reso la sua volontà più dura dell'acciaio temprato. Ma il nano si ricordava l'urlo disperato del giovane quando il padre era caduto né aveva dimenticato le lacrime che gli rigavano il volto sporco di terra, sangue e sudore quando aveva voltato di malavoglia le spalle al nemico ed ordinato ai suoi uomini la ritirata.

“Thorin! Si può sapere cos'è successo? Il vecchio Glòin ha detto qualcosa a proposito di un corvo e di notizie oscure. Ebbene, si può sapere cos'è capitato?”

Per tutta risposta, Thorin indicò con un cenno del capo Tarc. “C'è l'ho dirà lui.”

Bard rivolse i suoi occhi a Tarc. Grande fu la sua sorpresa quando vide il corvo parlare il linguaggio cantilenante della sua gente dato che egli mai aveva udito parlare dei grandi ed intelligenti corvi imperiali.

“Ti saluto Bard figlio di Brand, Signore della Valle e della città di Dale. Io sono Tarc, figlio di Grarc. Vengo da parte di Barc, capo dei corvi imperiali di Erebor. Avevo conosciuto tuo nonno Bain e tuo padre, ed essi erano uomini fieri e valorosi, degni eredi di Bard l'Arciere. Ma in te, o valoroso figlio del Nord, risiede grande valore e molta saggezza. Si dice che noi corvi di Erebor sappiamo vedere dentro l'animo delle persone e giudicarle. Ebbene, non so se tale potere sia vero o meno, ma posso dirti che tu rappresenti degnamente il casato del sommo Arciere, e che era dai tempi dell'Uccisore del Drago che non si vedeva un uomo così valoroso calpestare questo antico suolo.“

“Che stregoneria è mai questa?” domandò stupefatto Bard spalancando gli occhi. “Corvi che parlano il linguaggio degli uomini? Che sia un maleficio del Nemico?”

“Nessun maleficio!” dichiarò Thorin con voce cavernosa. “Da tempo immemorabile questa stirpe di grandi corvi nordici dimora nei crepacci e nei picchi della Montagna Solitaria. Quando Thràin I fondò il regno di Erebor, i corvi si rivelarono a noi, dimostrandosi intelligenti e benigni. E noi stringemmo amicizia con loro, insegnandoli ad usare il linguaggio degli uomini. Essi sono i messaggeri del Re sotto la Montagna. Le orecchie del regno dei nani. Poche cose sfuggono al re della nostra razza proprio perché i corvi volano per tutto il nord, raccogliendo notizie per esso e per il nostro popolo.”

“Avevo sentito parlare delle orecchie e degli occhi del Re sotto la Montagna.” replicò Bard “Ma credevo che fossero semplici leggende. Chiacchiere da taverna da parte di nani di passaggio troppo ubriachi per capire quello che dicono, dacché nessuno, neppure mio padre che era il re, aveva mai saputo qualcosa di tali prodigiosi uccelli.”

“Tuo padre sapeva di noi Bard figlio di Brand.” gracchiò Tarc. “Era consuetudine che i Signori della Valle fossero a conoscenza della nostra esistenza dato che anche loro nei tempi antichi, prima della venuta del Drago, si servivano dei nostri servigi. Tuttavia, quando i vostri regni furono restaurati, Roac, l'allora capo dei corvi imperiali, chiese a Dàin di mantenere il segreto su di noi dacché eravamo pochi all'epoca e Roac temeva che presto molti avventurieri sarebbero venuti a nord per catturare esemplari della nostra razza se la voce della nostra esistenza si fosse sparsa. Dàin acconsentì, anche se di controvoglia, ma quando Barc succedette a suo padre egli permise a Dàin di rivelare la nostra esistenza al Signore della Valle come era consuetudine fare in passato. All'epoca era tuo nonno Bain a regnare nella Valle. Quindi non sorprenderti di non essere stato a conoscenza di noi Bard. Tuttavia, ora che hai ereditato i titoli di tuo padre, è giusto che tu sappia della nostra esistenza. Puoi considerarci tuoi amici, dato che serviremo volentieri il tuo popolo in futuro proprio come abbiamo fatto in passato.”

Bard rimase in silenzio per qualche istante. Poi, con un profondo inchinò, ringraziò il corvo,

“Ti ringrazio Tarc figlio di Grarc. Accetto i servigi del tuo popolo. Possiate d'ora in avanti essere sempre i benvenuti tra le mura di Dale.”

“Sempre che un giorno possa essa essere ricostruita.” borbottò Thorin.

“E ciò è probabile che accadrà molto presto.” ribatté Tarc. “Le notizie che porto stanno facendo il giro del mondo sulle ali dei venti. E' molto probabile che mentre noi parliamo, tali notizie siano già giunte alle orecchie del re degli elfi che dimora nei boschi.”

“Quali notizie? Si può sapere di cosa stai parlando?” domandò con impazienza Thorin.

“Parlo della caduta di Sauron, l'Oscuro Signore!” e sotto gli sguardi sbigottiti di Bard e Thorin, Tarc narrò tutto quello che le aquile avevano detto ai corvi. Parlò loro delle grandi battaglie che si erano svolte a Rohan e a Gondor, narrò della decisione dei capitani dell'Ovest di marciare fino al Morannon e al Nero Cancello, e narrò anche loro dell'Anello del Potere e di come la sua distruzione da parte del Portatore avevano determinato la caduta di Sauron e la dispersione dei suoi alleati. Quando il corvo ebbe finito di parlare, il sole era ormai alto e luminoso nel cielo, seppure i fumi degli sgherri di Mordor ancora insozzavano l'aria sopra la Valle.

“E'...è una cosa incredibile!” esclamò alla fine Bard. “Mi sembra impossibile che possa essere vero: L'Oscuro Signore sconfitto e i suoi eserciti sbaragliati. E a Gondor è tornato un re!” improvvisamente, si elevò in tutta la sua statura con gli occhi che gli brillavano. “Ora abbiamo finalmente la possibilità di vendicare i nostri caduti.”

Thorin non disse nulla. Il nano si limitava a fissare la Valle stringendo forte il manico dell'ascia.

“Senza dubbio ciò che dici si avvererà Bard.” dichiarò Tarc. “Ma se mi consentite di darvi un suggerimento vi consiglierei di aspettare prima di attaccare. Ormai tali notizie si stanno diffondendo assai velocemente, ed è probabile che i vostri nemici, una volta apprese, fuggano in preda al terrore consentendovi di spezzare l'assedio senza subire altre perdite.”

“E' anche possibile che re Thranduil, una volta apprese tali novità, vi invii degli aiuti dato che le forze del Nemico che erano di stanza nel Bosco Atro sono state sgominate. In ogni caso, io vi consiglierei di evitare un attacco frontale.”

“Senza dubbio tali suggerimenti verranno soppesati ed accolti Tarc figlio di Grarc.” dichiarò Bard. “Ma dobbiamo decidere tra i nostri capitani quale tattica adottare. Fino ad allora, non faremo nessuna mossa. Tuttavia, ti sarei grato se ringraziassi Barc a nome dei nostri popoli per i tuoi messaggi ricchi di gioia e per l'aiuto che ci avete dato.”

“Così sia. Comunicherò a Barc i vostri ringraziamenti. Possa il vento soffiare sempre nella direzione che volete prendere.” e dopo aver pronunciato tali parole, Tarc si alzò in volo, prendendo la direzione del nord.

“Bene! Direi che queste sono ottime notizie! Davvero ottime notizie! Non vedo l'ora di comunicare ogni cosa al mio popolo. Stanotte si udiranno canti e balli come non se ne sono mai sentiti sotto la Montagna!” il volto di Bard era raggiante di gioia, mentre quello di Thorin era scuro come un banco di nubi temporalesche. Gli occhi del nano lampeggiavano, mentre la mano con cui stringeva la propria ascia tremava dall'emozioni che lo stavano squassando.

“Thorin...cosa hai? Stai bene?”

“Prepara i tuoi uomini.”

“Cosa?”

“Hai sentito benissimo. Raduna i tuoi uomini. Domani scendiamo nella Valle a combattere e a riprenderci ciò che è nostro.” la voce del nano era fredda ed inespressiva. Priva di qualsiasi emozione.

“Ma non hai sentito il parere del corvo? Non sarebbe meglio aspettare?”

“No. Ora vai ad avvertire i capitani. Che la notizia si diffonda. Che ogni nano e ogni uomo capace di impugnare un'arma sia pronto per la battaglia entro l'alba di domani. Va ed esegui i miei comandi.”

Tale fu la forza provenire dalla voce di Thorin che Bard non rispose né si arrabbiò per il tono di comando usato verso di lui, sire della Valle. Tutto ciò che fece fu di girarsi e di andare ad eseguire gli ordini di Thorin. Mentre quest'ultimo fissava con ferocia lo spettacolo sotto di lui.

Thorin era sconvolto. Sauron era caduto! Allora significava che c'era ancora speranza per quel mondo. Come gli parevano stupidi e vuoti i tetri pensieri di poco fa. Come era stato stupido ad abbattersi ed a desiderare la morte. In quell'istante, mentre il suo cuore si riempiva di un immenso furore, il nano ricordò le ultime parole che gli disse suo padre. Parole che in quei cupi giorni non aveva minimamente compreso ma che ora, con la mente libera dalla paura e dalla disperazione, capì.

 

“Ricorda chi siamo Thorin.”

 

Parole enigmatiche che gli avevano tolto ogni certezza. Cosa voleva dire suo padre con quella frase? Perché dirgli solo questo? Quale segreto si celava dietro a quelle parole?

Dubbi che gli avevano roso il cervello come un tarlo in quegli ultimi giorni. Era arrivato anche a sospettare che suo padre fosse impazzito prima di morire. Ma ora finalmente tutto gli era chiaro. Suo padre non era impazzito, ma anzi, era rimasto incredibilmente lucido e previdente.

 

“Ricorda chi siamo”

 

Sì, ora era tutto chiaro. Ora tutto aveva un senso. Una felicità incredibile esplose dentro il petto di Thorin. Sopraffatto dalla gioia, il nano cominciò a piangere silenziosamente.

“Padre...”

 

“Ricorda chi siamo Thorin. Ricordalo.”

 

Sì, lo avrebbe ricordato.

 

Thorin inspirò con forza l'aria fumosa dell'alba, mentre sentiva dietro di lui il rumore dei passi degli uomini e dei nani. Era stato più difficile del previsto, nonostante l'euforia per le notizie portare dai corvi imperiali, organizzare ogni cosa per la mattina del giorno dopo. Molti uomini non si erano ancora ripresi del tutto dalla battaglia precedente, e chi stava bene molto spesso aveva le armi rovinate, o l'armatura danneggiata. I fabbri e gli armaioli dei nani avevano lavorato come dei pazzi fino a poche ore prima dell'alba per poter permettere ad ogni uomo o nano sano di scendere in battaglia con un armamento adeguato. Tuttavia i loro sforzi non erano stati vani . Dalle porte di Erebor era uscita silenziosamente una marea fatta di acciaio e ferro. Ogni nano era ricoperto di una robusta cotta di maglia d'acciaio, mentre in mano tenevano un'ascia, una spada con scudo oppure una robusta balestra di acciaio morbido. Gli uomini invece indossavano per la maggior parte giubbe di cuoio lavorato, con in mano lancia e scudo e legata alla vita una lunga spada , in testa tenevano robusti elmi di ferro. Ma c'erano anche uomini dallo sguardo fiero che, ricoperti da splendide armature di piastre d'acciaio, impugnavano spade lucenti e scudi di ferro con dipinti sopra gli emblemi della città di Dale. Erano i cavalieri della Valle. Gli unici guerrieri di professione presenti nel popolo di Bard. Grande era il loro valore e pochi erano capaci di tenere loro testa nell'uso della spada e dell'ascia . Tuttavia, ogni uomo, soldato o miliziano che fosse, teneva a tracolla, o in mano al posto della lancia, un grande arco di tasso o di pioppo dacché quella era l'arma preferita degli uomini della Valle.

Thorin vide con la coda dell'occhio alla sua destra Bard, splendente nella sua regale cotta di maglia, che lo fissava come in attesa di un ordine. Girandosi, il nano vide che ogni sguardo dell'esercito, nano ed umano, era rivolto a lui. Al Re che governa sotto la Montagna. Passando lo sguardo tra volti stanchi, coperti da barbe mal fatte e da cicatrici recenti, Thorin vide però una cosa che aumentò la furia dentro di lui. Ogni guerriero aveva negli occhi lo stesso fuoco che c'era dentro di lui. Ogni guerriero aveva paura di morire e della battaglia esattamente come lui, ma tutti loro si sarebbero gettati addosso al nemico senza esitare ad un suo comando. Un nemico disorientato e confuso che, verso la metà della notte, aveva ricevuto messaggi di sconfitta e sventura. Messaggi che narravano che il loro potente signore era stato sconfitto, che a Sud le truppe di Mordor erano state distrutte. Quando all'alba essi videro che dalla Montagna usciva un fiero esercito, che portava con se morte e rovina, il cuore di tutti i nemici tremò. Solo gli Esterling, uomini crudeli ma fieri, accettarono il loro destino e si prepararono a morire con le armi in pugno.

Thorin guardò attentamente i volti degli uomini che aveva dietro di sé. Li guardo dal primo all'ultimo, fino a quando i suoi occhi non riuscirono più a distinguere i volti in fondo alle file dell'esercito. Poi, lentamente, cominciò a parlare. Dapprima con voce normale, poi sempre più alta.

“Soldati! Nani di Erebor, uomini della Valle, popoli liberi del Nord! Ascoltatemi!” la voce di Thorin divenne presto potente come un rombo di tuono. Un ruggito carico di rabbia e di una furia antica quanto il suo popolo.

“Popoli del Nord! Vedo nei vostri occhi paura. Vedo nei vostri occhi il timore della battaglia. Ed è giusto avere questo timore. Nessuno, nano, uomo o elfo che sia, dovrebbe essere felice di scendere in battaglia per uccidere altre persone. Quello che state provando è la stessa cosa che provo io, gli stessi sentimenti che provo dentro il mio cuore. Ma non dovete vergognarvi di ciò! Non è da questo che si dimostra il valore di qualcuno!”

“Soldati! Io vi porto le parole del vostro re. Del re che è morto per salvare tutti noi. Di colui che non ha esitato a dare la propria vita per quella del suo popolo. Soldati! Ricordate le parole di Re Dàin. Egli mi diede un ultimo comando da dire al suo popolo. L'ultima sua volontà.”

“Ricorda chi siamo.” Thorin pronunciò tali parole con voce tonante mentre l'eco tra i bracci della Montagna rimbombò con lentezza sopra l'esercito.

“Sì, questo fu l'ultimo comando del vostro re. 'Ricorda chi siamo'. Un comando che ogni uomo e nano deve fare. Esse sono parole enigmatiche. Criptiche. Parole su cui ho riflettuto a lungo e a cui non riuscivo a dare un senso. Ma ora ho compreso cosa voleva dire il nostro re. Ora ho capito ogni cosa.” il nano si accorse che ora l'esercito intero pendeva dalle sue labbra. Aveva catturato l'attenzione dei suoi uomini ed ora doveva infiammare e dare fuoco alla rabbia che giaceva nel cuore di ognuno di loro.

“Quelle erano parole di vittoria!”

“Soldati!” urlò Thorin con voce limpida e tonante. “Guardate il nemico! Il loro numero è solamente tre volte superiore al nostro. Ma qui, davanti alle porte del più grande regno della Terra di Mezzo, qui cinquemila nani e tremila uomini bagneranno la terra con il loro sangue! Ed essi lo sanno!”

“Guardate!” urlò Thorin con voce tonante girandosi ed indicando le schiere nemiche. “Guardate! Il nemico ci teme! Ci teme e ha paura di noi! Ha paura perché noi siamo i guerrieri del Nord! I discendenti dei più prodi e valorosi guerrieri che mai la Terra di Mezzo ha visto! Soldati! In questa valle, ottant'anni fa, Re Thorin Scudodiquercia corse incontro alla battaglia, accompagnato solamente da dodici compagni. Soltanto dodici! Piccolo numero sì, ma le perdite che inflisse al nemico furono immense, così letali che fu grazie a quel prode sacrificio che i nostri padri vinsero la battaglia!”

“Soldati! Questo intendeva dire il nostro re! Questo è stato il suo ultimo messaggio per la sua gente: Ricordatevi di Re Thorin Scudodiquercia e dei suoi prodi dodici compagni! Ricordatevi di Re Dàin Piediferro e del suo sangue che imbratta le porte di Erebor! Ricordatevi di Bard l'Uccisore del Drago e della sua tomba profanata dal Nemico!”

“Soldati! Ricordateli! Ringraziateli! Ringraziate i signori del Nord!!”

Un urlo uscì dalle bocche dei soldati mentre battevano con forza le armi sugli scudi ed urlavano con voce tonante “Ringraziateli! Ringraziateli! Ringraziate i signori del Nord!”

“Soldati!” Urlò il principe dei nani “Oggi libereremo il mondo dall'oscurità e dalle barbarie! E lo condurremo verso un futuro talmente radioso e luminoso che nessuno di noi può immaginare!”

Si mise l'elmo.

“Alla vittoria!” con un urlo Thorin partì alla carica, subito seguito dai suoi soldati. Una marea d'acciaio che ruggiva come un mare in tempesta. Ma nessuno poteva rivaleggiare con Thorin figlio di Dàin quel giorno. Da sotto l'elmo i suoi occhi ardevano di un fuoco immenso. Talmente forte che sembrava fosse alimentato dalle fucine di Aule in persona. Quel giorno il nano maneggiava l'ascia con abilità ineguagliata e brillava di luce propria. Brillava fulgido nell'aria del mattino tanto che splendeva come Tulkas, il Valar guerriero, quando combatteva durante i primordi del mondo. Quando ancora le stelle non erano state create e il mondo era giovane. Con la bocca spalancata in un unico immenso urlo di guerra, Thorin e i suoi uomini piombarono sulle schiere nemiche. Distruggendole, schiantandone le difese ed infine sterminandone in buona parte, mettendo in fuga i superstiti.

 

Ma nei secoli a venire, i nani di Erebor e gli uomini della Valle cantarono a lungo di Re Thorin Elminpietra e della sua furiosa carica. A lungo i canti del Nord parlarono del discorso del re dei nani e della sua furia guerriera. Ultimo discendente ed erede di Durin su questa terra che combatté e distrusse le armate di Sauron L'Oscuro Signore, e diede vita ad una nuova era di pace e prosperità per il Nord.

 

Fine

 

  
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